CAPITOLO 30
MATT
Approfitto della presenza degli sposi e della distrazione di tutti i miei amici per svignarmela dal tavolo e uscire per riprendere un po' d'aria. Perché, cazzo, vederla insieme a quello mi ha estirpato tutto l'ossigeno dai polmoni. Lei non sembrava sorpresa che mi trovassi insieme ad Alex, quindi presumo che lo sapesse già. E se seguo un semplice ragionamento deduttivo, si è portata lo stronzo dietro solo per ripicca nei miei confronti che non sono stato sincero. Che poi in realtà, non le ho detto nessuna bugia, ho semplicemente omesso un piccolo dettaglio. Continuiamo a ripetere sempre gli stessi fottuti errori. Continuiamo a fare ripicche, a dire bugie e a fare quello che ci riesce meglio da sempre: ferirci a vicenda e dimenticarci dei sentimenti dell'altro. Dopotutto, non siamo cambiati in questi tre mesi e il nostro stare lontani non è servito proprio a nulla. E questo è un cazzo di problema.
Per me.
Per lei.
Per noi. Soprattutto, per noi.
Tenendo le mani nelle tasche per evitare di prendere a pugni qualcosa – o qualcuno –, mi addentro nella vegetazione e mi siedo ai piedi di un albero, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Me ne frego se il mio abito di Armani ne risentirà, perché tutto quello di cui ho bisogno al momento è calmarmi ed evitare di fare una scenata. La mia testa continua a ripetermi di rientrare dentro quella cazzo di sala da ballo e umiliare Alissa. Magari fare qualcosa tipo lo scambio di saliva con Alex a Coney Island davanti a tutti. Vorrei lasciarla a bocca aperta e con le lacrime agli occhi, farla sentire una nullità, esattamente come ha fatto lei nel momento in cui è apparsa insieme a lui. Ma, a proposito di ripetere sempre gli stessi errori, preferirei evitare, nonostante la tentazione sia bella forte.
Mi strofino le mani sul viso, mentre nella mia mente si riproducono a ripetizioni le immagini di quello che è appena successo.
«Matt?» Alzo gli occhi e sbatto le palpebre per riabituarmi alla luce. Alissa è di fronte a me, in piedi, mentre si morde il labbro, si tortura le dita e storce la caviglia, come una bambina che deve confessare qualche marachella ai genitori. Peccato che io non sia il padre, che cazzo. Sono l'uomo che dovrebbe starle accanto e posseggo una dignità.
«Che ci fai qui?» Mi alzo e mi passo una mano dietro al sedere per eliminare residui di terra e erba. I miei lineamenti sono tirati, la mascella dura e la voglia di urlare come un maledetto pazzo mi sta ossessionando.
«Ti ho visto dalla vetrata che stavi venendo qui, e ti ho seguito.» Cerca i miei occhi e io glieli concedo molto volentieri, dato che quelli bastano a farle capire quanto sono incazzato.
«Intendevo qui al matrimonio, Alissa. Con lui.» Indico con una mano la sala del ricevimento alle nostre spalle, poi incrocio le braccia al petto e attendo la sua inutile spiegazione. Si è vendicata. È tutto.
«Harper mi aveva chiesto di venire a prendere Sophie a un certo punto della festa.» Si spiega e si avvicina di un passo. Non mi muovo, solo per farle capire che non la temo. Ma il solo starle vicino adesso, mi sta facendo venire l'orticaria. Sento la pelle bruciare, prudere dalla rabbia, tanto che avrei voglia di strapparmela di dosso. Esattamente come avrei voglia di strapparmi lei dalla pelle, dal cuore, dallo stomaco e soprattutto dalla mia fottuta testa.
«E lui era incluso nel pacchetto?»
«Siamo amici.» Ed eccola che mi colpisce con un bel pugno dritto in un occhio. Amici. Sono due fottutissimi amici. Come no.
«Lui è il tuo ex ancora innamorato di te. Non venirmi a raccontare stronzate, Alissa.» Scuote la testa e abbassa gli occhi per qualche secondo. Il che non mi tranquillizza affatto. Se non riesce a mantenere il mio sguardo, significa solo che ha qualcosa da nascondere. E io non ho nessuna intenzione di essere preso per il culo. «Non mi guardi. Che c'è? Te lo sei scopato?»
Alza di nuovo gli occhi su di me, accigliata e maledettamente arrabbiata per la mia insinuazione. Ma credo che la mia domanda sia più che lecita.
«Non che ti riguardi o che ti debba delle spiegazioni su quello che ho fatto in questi tre mesi, ma no. Io e Liam siamo solo amici, come ti ho già detto. Capisco che per te è complicato tenerti l'uccello nei pantaloni di fronte a una persona di sesso opposto al tuo, ma non tutti siamo come te, Matthew. Non siamo tutti degli animali incapaci di controllarci.» Animale? Sarei un animale? Cazzo, la mano mi si staccherà a furia di seghe. E questo solo perché l'ultima donna per cui l'ho tirato fuori dai pantaloni risale all'anteguerra, a causa sua.
«Hai ragione, io sono un animale.» Faccio un passo in avanti e lei sussulta. Forse per il mio tono di voce basso o per il mio sorriso enigmatico, non saprei dirlo. Passo la lingua sulle labbra, mentre la osservo da capo a piedi. È di nuovo senza cappotto, all'aperto, con già un'influenza in corso e in pieno inverno a New York, con delle leggere calze che le coprono le gambe, una gonnellina di pelle e un maglioncino grigio. Mi fa veramente uscire di testa.
«Perché non mi hai...» La sua voce si blocca, quando finisce per indietreggiare addosso a un albero con il mio corpo appiccicato al suo.
«Ti rendi conto di come sei bella?» Non c'entra assolutamente niente con il discorso che stavamo facendo, ma non ho potuto fare a meno di farglielo notare. Anche quando sono completamente fuori di me per la rabbia, la sua bellezza riesce a confondermi e a farmi capitolare.
Mi abbasso sul suo collo e respiro il suo odore, mentre lei si aggrappa ai lembi della mia giacca elegante. La stringe come se fosse l'unica ragione per cui le sue gambe ancora non hanno ceduto. La mia mano si infila nei suoi capelli lunghi e mossi, l'altra finisce sul suo fianco. I suoi ansiti mi riempiono le orecchie, il suo petto sfiora il mio a ogni respiro e le sue dita abbandonano la mia giacca per focalizzarsi ad accarezzare il mio addome al di sopra della camicia. La pelle mi brucia al suo passaggio, un brivido mi percorre la schiena e la patta dei pantaloni comincia a stringermi tanto da farmi male.
Premo il bacino contro il suo addome, mentre la mano scivola sul suo sedere. Trascino la bocca lungo il suo collo, fermandomi solo nel momento in cui raggiunge la sua.
«Sono stanco dei giochetti, Alissa.» Le soffio sulle labbra e lei chiude gli occhi, mentre strofina la punta del naso sulla mia. «Guardami.»
«Mi dispiace.» Ammette, spalancando le palpebre per ottemperare alla mia richiesta. «Perché non mi hai detto che saresti venuto con Alex?» Abbassa di nuovo gli occhi, come se così facendo, potesse in qualche modo nascondermi i suoi pensieri. Impossibile, perché io e lei siamo una cosa sola e tutto ciò che sente, lo sento anche io. Nella stessa misura, con la stessa intensità e paura.
«Guardami.» E, per la seconda volta, esaudisce il mio desiderio, accarezzandomi con i suoi occhi grandi e del colore del cioccolato.
«Perché?» Insiste, non ricevendo risposta. La sua voce è flebile, come se pensasse di non aver alcun diritto di ricevere una spiegazione. Il che, da un certo punto di vista, è del tutto vero. Ma in fin dei conti, tutti sappiamo che io non sono mai appartenuto a nessuno, se non a lei. Per cui, se c'è una persona che merita di ricevere una risposta a qualsiasi domanda le baleni nella testolina, quella è lei. Il mio tutto. L'unica donna per me.
«Non credevo fosse importante.» Mento, con una scrollata di spalle. Era decisamente importante che glielo dicessi, anche nella nostra attuale e stramba situazione. «E non volevo ferirti per una cosa così stupida.» E questa, invece, è la sola e unica verità. Non volevo che stesse male, o che passasse la giornata a tormentarsi con brutti pensieri. Alissa è gelosa almeno quanto me, solo che lei è più brava a mascherarla e a trattenerla fino a quando non è il momento più appropriato per buttarmela addosso. E io non me ne lamento, mi piace che mi consideri una sua proprietà e che voglia tenermi tutto per sé. Ma so anche che vedermi con altre ragazze, soprattutto quella che aspetta un bambino da me, la fa soffrire e io ho solo cercato di evitarlo. Non ho mai toccato Alex in tre mesi e non avrei ceduto di certo adesso, a maggior ragione ora che il mio vero amore è rientrato come un uragano nella mia vita.
«Ma lo hai fatto lo stesso. E non solo per il matrimonio, anche per come mi hai trattata ieri.» Il suo tono è accusatorio, ma le sue dita sono delicate e dolci mentre si infilano tra i miei capelli per sistemarmi il ciuffo - ormai più corto dell'ultima volta che lei lo ha toccato - sulla fronte. «Eri freddo e scostante e mi hai fatto sentire un'idiota.» Si morde il labbro e io vorrei prendermi a calci.
«Sono così arrabbiato, Alissa.» Ammetto, poggiando la fronte contro la sua.
«Con me?» Mi rispecchio nei suoi occhi, leggendoci dentro tristezza, paura, rimpianto.
«Con te, con me stesso, con il fottuto destino. E sai qual è la cosa che più mi fa incazzare?» Nega con la testa e la lingua fa capolino tra le sue labbra per inumidirle. Dio, quella lingua. «Voglio la mia rivincita, voglio fartela pagare ed è come un'ossessione per me. Ma la cosa che non sopporto è che non ci riesco. Appena ti vedo, mi trasformo in un emerito coglione, un uomo senza palle che farebbe di tutto solo per vederti sorridere, anche solo per mezzo secondo. La rabbia sparisce, il risentimento pure e l'unico sentimento che provo è...» Amore... Ma non lo dico. Alissa pende dalle mie labbra, freme per sentire ancora una volta quelle due paroline magiche uscire dalla mia bocca. Ma la mia situazione è già fin troppo precaria, senza mi ci metta anche io a peggiorare le cose.
«È...?»
«Non lo so cos'è! Di certo, non è l'odio che dovrei provare nei tuoi confronti. Vorrei tanto odiarti, sarebbe tutto estremamente più facile, ma semplicemente non ci riesco. Nemmeno se ti presenti insieme a Mr. Dottor Biondo naturale, solo per farmi incazzare.» Le sfugge una risatina, che fa affiorare un sorriso spontaneo sulle mie labbra.
«Tu non hai idea di quanto mi sia mancato. È stato come...» Scuote la testa, come per scacciare dei momenti o delle immagini di cui vorrebbe liberarsi per sempre. Ma qualsiasi cosa abbia sentito in questi tre mesi di distanza, non è paragonabile a quello che ho provato io senza di lei.
«È stato come vivere in un film muto in bianco in nero, senza sfumature di colori, senza calore, senza rumori. È stato come vivere nel nulla. Gli altri mi parlavano, ma io non li sentivo. Gli altri ridevano, ma io piangevo dentro. Gli altri continuavano a vivere la loro vita, mentre io rimanevo bloccato a rivivere l'ultima volta che ti ho vista e che abbiamo litigato, come in un loop del cazzo.» Finisco la sua frase, confessandolo come io ho affrontato ogni maledetto giorno da quando mi ha abbandonato per l'ennesima volta.
«È esattamente come mi sono sentita anche io, fino a quando non ce l'ho fatta più, Matt. Sarei voluta tornare molto prima da te, ma avevo paura che non mi volessi più, che fossi andato avanti. Alex mi raccontava di te, di voi, del vostro progetto di andare a vivere insieme. E io...» Si morde il labbro e poi fa un respiro profondo e tremolante. Vedo le lacrime pizzicarle l'angolo degli occhi, ma Alissa alza il mento e si mostra coraggiosa e determinata a spiegarmi il suo punto di vista. «Io ho pensato che mi avessi dimenticata, Matt. Mi sono sentita una stupida, perché per quanto io ci provassi, non ci riuscivo. Non riuscivo a toglierti dalla mia testa. Continuavo a chiedere di te, a Dylan, ad Harper, ad Alex, anche se mi faceva male sentire del vostro rapporto. Ma anche quello era meglio del nulla. Ho persino mandato Abbie in missioni segrete per indagare tramite Evan, con discrezione, ovviamente. Perché non volevo che lo venissi a sapere e che pensassi di me che fossi una totale cretina.» Cazzo, come avrei mai potuto pensarlo, dal momento in cui io ho fatto lo stesso con lei, sentendomi esattamente nel suo stesso modo. Ma mi esimio dal dirglielo.
«Sei diventata una piccola stalker, quindi?» Le accarezzo le labbra con le mie e lei emette un flebile respiro, mentre le sue dita si intrecciano dietro il mio collo. Ovviamente, non confesso di aver passato giornate intere sui social delle sue sorelle o dei suoi amici, incluso quel cazzone di Ben, solo nella speranza che pubblicassero qualcosa in cui lei fosse presente. No, no, meglio tenere certi dettagli per me. Ricordiamoci sempre che sono un cazzo di uomo.
«Lo sono sempre stata, da quando ti conosco.» Ammette, e un leggero rossore si espande sulle sue guance. Di fronte alla sua confessione e il suo imbarazzo, non posso fare a meno di farmi sfuggire una risatina, perché, fondamentalmente, lo sono sempre stato anche io, nonostante non ne ero cosciente.
«Quindi, cosa hai concluso dal tuo spionaggio? Ti ho dimenticata?» Sorrido, perché già solo la domanda è abbastanza ridicola. Cazzo, le ho appena fatto l'ennesima scenata di gelosia.
«Non ne sono ancora del tutto sicura.» Arriccia le labbra in un'espressione dubbiosa e io vorrei staccargliele a forza di morderle.
«Non ne sei sicura?» Le sussurro sulle labbra, afferrandola per il sedere e spingendola contro la mia erezione. «Non senti come ti vuole?» Boccheggia, come se volesse parlare ma non ci riuscisse. Le sue dita stringono con forza le mie spalle, quasi volessero perforarmi la pelle.
«Ti voglio anch'io.» Inarca la schiena e si preme maggiormente contro di me. Non riuscendo più a trattenermi, le mordo il labbro inferiore, tirandolo talmente forte da farle serrare le palpebre dal dolore. Una delle mie mani finisce sotto la sua gonna, accarezzandola sopra il tessuto delle leggere calze nere.
«Hai messo di nuovo le autoreggenti...» Constato, sfiorando il pizzo delle sue calze, sotto la gonna. «... E le tue mutandine sono già bagnate per me.» Aggiungo, passando un dito sul tessuto lungo tutta la sua fessura.
«Sempre.» Geme e chiude di nuovo gli occhi, tirando indietro la testa. La nuca le poggia sul tronco dell'albero, le labbra sono schiuse per emettere lievi sospiri disperati e le sue mani viaggiano lentamente verso la cintura dei miei pantaloni, sfiorandomi il petto e l'addome al loro passaggio. Non si è nemmeno guardata intorno per assicurarsi che non ci sia nessuno, il che mi fa andare su di giri. La sua eccitazione incontrollata mi fa venire voglia di levarle tutto e dare spettacolo.
Inizio ad accarezzarla tra le gambe da sopra le sue mutandine in pizzo per creare maggiore attrito sul clitoride e lei mugola in apprezzamento.
«Non posso darti il tempo che mi chiedi, non ci riesco. Tre mesi sono stati abbastanza e non voglio aspettare un minuto di più.» Credo che si sia dimenticata da chi sia stata partorita la brillante idea. Ma non ho tempo di ricordarglielo, che mi afferra da dietro la nuca, si alza sulle punte e preme le labbra sulle mie. Le lecca e mi succhia quello inferiore, continuando a mandare scariche elettriche dritte al mio cazzo. Lascio che la mia lingua si scontri con la sua, che la mia bocca la divori in un bacio affamato e disperato allo stesso tempo. La bacio come se volessi incollarmela addosso per sempre. Come se questo in qualche modo potesse risolvere tutti i nostri problemi. Come se potessimo far scomparire tutto il resto del mondo. Come se volessi venerarla per il resto della mia vita.
Voglio darle tutto. Il mio corpo. La mia testa. La mia anima. Voglio sentirmi veramente suo, appartenerle sul serio. E voglio che lo sappiano tutti. Soprattutto Liam e questo... Steve, che ancora non ancora capito chi cazzo sia.
Le mie dita continuano a torturarle il clitoride, le sue si affrettano a slacciarmi la cinta e a sbottonarmi i pantaloni. E dato che lei sembra non preoccuparsi affatto di essere in un luogo pubblico, ad un matrimonio, con almeno centocinquanta invitati che potrebbero comparire da un momento all'altro, mi guardo intorno con la coda dell'occhio. Conosco il suo senso del pudore e sono sicuro che uno dei suoi peggiori incubi sia proprio quello di essere beccata in atteggiamenti intimi in pubblico.
«Che hai intenzione di fare?» Ho il respiro corto e il battito accelerato.
«Non lo so...» Fa spallucce. «Un emogas all'arteria femorale?»
«Non hai la siringa.» La mia bocca si piega in un leggero sorriso provocatorio.
«Quella ce l'hai tu e anche bella grossa, se non ricordo male.» Abbassa la cerniera dei miei pantaloni, regalandomi un attimo di sollievo, e infila una mano nei miei boxer.
«Cazzo!» Ansimo sulle sue labbra, appena sento la sua mano fredda entrare in contatto con la mia pelle calda.
«Mi sei mancato.» Mi guarda dritto negli occhi e mi sorride maliziosa, ma non sono sicuro di chi sia il destinatario delle sue parole, se io o il mio cazzo. Non stento a credere che il mio pene gli sia mancato. Dopotutto, non credo che Liam o quell'altro coglione di Mason abbiano mai soddisfatto le sue aspettative o i suoi desideri tra le lenzuola. Come lo so? Basta guardarli in faccia. Del nuovo tipo, Steve... beh, meglio per lui che se lo sia tenuto ben stretto nei pantaloni.
Passa il pollice sulla mia punta, raccogliendo un po' del mio liquido pre-seminale, per poi percorrere la mia asta con il palmo della mano. Butto la testa indietro e lei ne approfitta per baciarmi il collo, inumidirlo con la lingua, mentre aumenta il ritmo della sua mano. Cerco di concentrarmi sul movimento delle mie dita e di velocizzarne i movimenti sul suo clitoride, ma in questa lotta sta vincendo lei. Sentire le sue mani su di me è talmente bello, che rischio di venire solo a causa di questa sensazione che mi riempie lo stomaco.
Mi raddrizzo e torno a baciarla. Le stringo i capelli in pugno con la mano libera e la tengo attaccata a me. Fanculo al piano di andare con calma, questa donna mi porta all'esasperazione.
Mordicchio le sue labbra morbide e leggermente screpolate, sentendo il sapore del burro di cacao alla vaniglia sulla lingua, e assaporo il gusto della sua bocca. Le intrappolo la lingua tra le labbra e la succhio fino a farla gemere, lasciando che il suo verso si perda nella mia bocca. È un bacio primitivo, animale, per niente romantico e quasi sconcio. Il bacio giusto per due persone che si stanno dando piacere a vicenda nascosti, a qualche metro da un fottuto matrimonio. Ma è anche il bacio e il momento più erotico che abbia mai vissuto nella mia vita.
«Sai che possiamo essere visti?»
«Non mi importa.»
Le scosto le mutandine di lato e lascio che le mie dita entrino in contatto direttamente con la sua pelle. Con il pollice, continuo a stuzzicarle il clitoride gonfio, mentre infilo l'indice e il medio all'interno della sua intimità. Dio, è calda, morbida e più bagnata dell'Oceano Pacifico.
Il ritmo dei suoi respiri accelera e il suo sesso si stringe attorno alle mie dita, indicandomi che è quasi al limite. E io non sono da meno.
«Sto per venire, Alissa.» La avverto, in modo che si fermi.
«Okay.» Ansima, ma la sua mano continua a muoversi.
«Non voglio venirmi nelle mutande come un dannato adolescente.» Apre gli occhi, ma non accenna nemmeno a diminuire il suo ritmo. Mi fissa e le sue guance diventano rosse ancora prima che parli.
«Allora, vieni dove vuoi...» Mi guarda, quasi supplicante e provocante allo stesso tempo.
«Uhm... un'idea ce l'avrei.» Mi fisso sulle sue labbra, passandoci il pollice sopra, pensando a quanto sarebbe bello vederle attorno al mio uccello. «Ma rischierei di soffocarti, in questo momento.» Le sussurro, bocca contro bocca. Alissa geme forte, tanto da costringermi a baciarla per evitare che qualcuno la senta e ci becchi. Arresta il movimento della sua mano e un attimo dopo inizia a tremare sotto il mio corpo, mentre la sua fica si stringe spasmodicamente attorno alle mie dita, in preda all'orgasmo. I suoi mugolii si perdono dentro la mia bocca e il suo corpo si rilassa gradualmente. Si aggrappa alle mie spalle e io la sostengo per la vita, facendola appoggiare al mio petto per farla riprendere dalla sensazione devastante che l'ha scossa.
Dopo qualche secondo, sicuro che si sia ripresa e che riesca a tenersi in piedi con le proprie gambe, la libero dalla mia presa. Le sistemo la gonna che le era salita sui fianchi e ripongo correttamente il suo maglioncino all'interno. Poi passo a sistemare, per quanto possibile, la mia erezione, costringendola di nuovo dentro i pantaloni.
«Tu non...» Alzo gli occhi su di lei, continuando ad allacciarmi la cintura. Ha ancora gli occhi lucidi e le guance rosse per il piacere che ha provato. E ora si aggiunge anche il suo solito imbarazzo a imporporarle il viso, come se non mi avesse appena fatto una sega in un luogo pubblico. «Tu non sei...» Guarda la patta dei miei pantaloni e poi di nuovo i miei occhi. Sembra sentirsi in colpa per non avermi fatto venire, ma a me non importa un bel niente. Amo darle ciò che la fa stare bene, procurarle piacere, osservarla mentre il suo cervello si scollega e raggiunge il suo orgasmo grazie a me.
«Ti farai perdonare.» Lancio un'ultima occhiata al mio povero uccello costretto nei pantaloni, sospiro e le prendo la mano, per poi tornare verso la sala del ricevimento, conscio che dovrò lasciargliela prima di entrare.
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