CAPITOLO 24
MATT
Mi sta davvero facendo una cazzo di scenata di gelosia?
Alterno gli occhi tra Isabel, la ragazza appena conosciuta, e Alissa. Colei che per tre fottuti mesi ha ignorato le mie telefonate, i miei messaggi, ha evitato tutti i miei agguati a casa sua o nella nostra palestra comune, e che ora è qui, credendo di avere il diritto di essere gelosa. Sono allibito. Anzi no, allibito è dire poco. Sono sconvolto e, soprattutto, sono incazzato nero.
Mi ha mollato e le sono corso dietro come un povero idiota, l'ho supplicata di scegliere me e non l'ha fatto, lasciandomi, così, per la seconda volta. E ora, si presenta qui, con il suo vestitino corto e attillato, il culo - mio grandissimo punto debole - messo in bella mostra e fasciato perfettamente dal tessuto, i tacchi alti che le slanciano le gambe, la scollatura a V profonda - forse anche un po' troppo - e un bel rossetto rosso sulle labbra piene, che ti verrebbe voglia di levarglielo a suon di baci alla sola vista. Che cazzo, gioca sporco.
«Sono Isabel, ciao.» La rossa si alza dallo sgabello e, con un sorriso, porge la mano ad Alissa, che, lentamente, sposta lo sguardo da me a lei.
«Ciao.» Riesce a dire, dopo un momento di indecisione, afferrandogliela. Ho come l'impressione che non volesse concedergliela, ma, cazzo, non riuscirebbe mai a comportarsi così da stronza con una ragazza che, per il momento, le ha mostrato solo gentilezza. Se non ci è mai riuscita nemmeno con Brianna, che la tortura di continuo, figuriamoci con una sconosciuta che non le ha mai fatto niente. «Quindi, sei...» Socchiude gli occhi e studia Isabel con attenzione, come se in quella sua testolina bacata si stiano susseguendo teorie di cospirazione degne dei Terrapiattisti.
«Sono solo una ragazza che è stata piantata in asso dalla sua amica, grazie all'amico del qui presente Matt.» Ridacchia Isabel, poggiandomi una mano su un bicipite, in un gesto totalmente innocuo. Anche io ho pensato che nel suo avvicinamento, questa sera, ci fosse un doppio fine, ma poi ho capito che la rossa era semplicemente depressa, esattamente come me. Non credo che stia cercando di rimorchiarmi, piuttosto semplicemente che sia una tipa espansiva ed estroversa con una grande voglia di distrarsi. Ma Alissa non sembra pensarla così. Cazzo, no. I suoi occhi seguono la mano di Isabel e i suoi denti affondano violentemente nel labbro inferiore, mentre le narici le fremono dalla rabbia. Credo che abbia una quantità d'alcol in corpo non indifferente, perché di solito, anche quando è gelosa, Alissa riesce a mantenere un certo controllo di sé stessa e delle sue emozioni.
«Esatto, socializzavamo, Alissa. In realtà, ci stavamo divertendo parecchio.» In realtà, avevamo appena iniziato a parlare e la conversazione non era una delle più divertenti della mia vita. Ma io sto cercando la mia rivincita, la necessito. Per cui, passo un braccio attorno alle spalle della sconosciuta e me la stringo addosso, con un sorriso compiaciuto.
Alissa mi ruba la bottiglia di Vodka dalla mano e se l'attacca alle labbra per berne un lungo e impressionate sorso. Prende respiro e poi torna a bere e io vorrei fregarmene, ma l'istinto di protezione nei suoi confronti mi costringe a riprendere la bottiglia, togliergliela dalle mani e sbatterla sul bancone.
«Che cazzo vuoi, Alissa? Basta con le cazzate e dimmi perché sei qui!» Si asciuga il contorno delle labbra con le dita, stando attenta a non sbavare il rossetto, poi punta i suoi occhioni nei miei. E, cazzo, potrei giurare di sentirla entrarmi dentro, legarsi a me e cucire la sua anima alla mia, ancora una volta.
Continua a guardarmi, ma non risponde. Poi, afferra la mia mano dalla spalla di Isabel, mi solleva il braccio da sopra la sua schiena e mi trascina fuori dal locale, senza nemmeno fermarsi al guardaroba per prendere le nostre giacche.
Il contatto con l'aria fredda la fa rabbrividire da capo a piedi e portare le braccia al petto per cercare di ripararsi un po'. Se le sfrega velocemente per scaldarsi, e anche per prendere ulteriore tempo. Continua a camminare e io la seguo, perseguitando a studiarla attentamente e soffermandomi con lo sguardo proprio nel punto in cui il vestito termina sulle sue cosce e che, essendosi alzato leggermente, lascia intravedere il pizzo delle autoreggenti. Cazzo, ha messo le autoreggenti. È chiaro che vuole ammazzarmi.
Mi sistemo il ciuffo con una mano e scompiglio i capelli, passandomi la lingua sulle labbra per calmare i miei bollenti spiriti. Ricorda che hai una cazzo di dignità, Matt, non ti farai mettere in ginocchio solo perché ha un culo da prendere a morsi.
«Allora?» Sbotto duramente, innervosito dai miei stessi pensieri e da come improvvisamente il mio pene abbia terminato il suo fottuto sciopero.
Alissa si blocca, di colpo, e si volta verso di me, sfregando i palmi delle mani tra di loro. Io mantengo le distanze, fermandomi a qualche metro da lei, appoggiandomi con la schiena al muro fuori dal locale e continuando a fissarla con freddezza, nonostante il fuoco che avverto dentro di me. Mi aspetto che abbassi gli occhi, come al suo solito, che si morda il labbro imbarazzata, ma Alissa sostiene il mio sguardo e mi affronta. Fanculo alla vodka!
Mi viene incontro velocemente, facendomi irrigidire. Mi afferra il maglione nei pugni e mi guarda dal basso, con le labbra schiuse e gli occhi persi, come se anche lei non sapesse esattamente come comportarsi e cosa sta facendo. Sento le sue mani fredde persino attraverso il tessuto pesante, sento il suo corpo legarsi al mio e l'aria rimanermi boccata nei polmoni. Cazzo, è troppo vicina. Le mani mi tremano per la rabbia, ma anche per la voglia di afferrarla per i fianchi e sbatterla contro questo cazzo di muro.
Comunque, mi costringo a rimanere fermo e a mantenere l'espressione più indifferente che conosco e che abbia nel mio repertorio. È difficile, però, fare la cosa giusta quando il tuo intero corpo ti rema contro. Mi sento come un leone in una gabbia di tre fottuti metri quadrati, in trappola tra lei e il muro, il suo petto contro il mio e lo sguardo incastonato nel suo. Dove cazzo è finito tutto l'ossigeno?
Alissa porta una mano dietro la mia nuca e mi spinge contro il suo viso, lasciandomi completamente spiazzato. Il mio collo cerca di opporre resistenza, ma lei, imperterrita e inarrendevole, si solleva sulle punte, nonostante i tacchi alti, solo per venirmi incontro.
«Ti prego, Matt.» Mi soffia sulle labbra, con quella voce che mi fa emettere un ringhio frustrato e furioso, come il maledetto animale che sono. Le afferro con irruenza i polsi e rigiro la situazione a mio favore. La schiena di Alissa si schianta contro il muro e il mio corpo di adagia sul suo, mentre continuo a tenerle i polsi stretti nelle mie mani, in modo da impedirle di fare danni.
«Che stai facendo?» Sibilo a denti stretti sulle sue labbra, talmente vicine al mio viso che riesco a sentire il profumo di fragola del suo rossetto del cazzo. Sì, proprio quello che mi sta regalando un biglietto di sola andata per un fottuto centro psichiatrico.
Con lo sguardo, mi fisso proprio lì, sulla sua bocca tinta di rosso con la sola voglia di morderla fino a staccargliela. Ma l'orgoglio, signori miei, è un grandissimo bastardo. E io ne ho da vendere.
«Ho ricevuto il tuo regalo.» Respira come se avesse appena corso una maratona di cinquanta chilometri e i suoi ansiti mi eccitano in una maniera che nemmeno credevo fosse possibile. Dire che i tre mesi di astinenza si stiano facendo sentire tutti è dire poco. Ma, questa volta, la rabbia che provo prevale anche sul mio uccello.
«E quindi? Credi che questo ti dia il diritto di saltarmi addosso come se niente fosse successo?» Premo la fronte contro la sua e chiudo gli occhi, respirando il profumo di cocco della sua pelle morbida. Dio, se mi era mancato.
«Mi hai scritto di aver capito i tuoi errori, ma il tuo comportamento dimostra il contrario.» Le sue parole suonano come un rimprovero, ma il tono di voce, quello suona solo come desiderio.
«Infatti, ho ammesso i miei sbagli e ho provato a chiederti scusa, a chiamarti e a mandarti messaggi, cosa che tu hai completamente ignorato. Ma questo non significa che io ancora ti voglia, Alissa.» Riapro gli occhi, giusto in tempo per godermi la sua reazione. Il suo corpo si agita contro il mio, come se volesse liberarsi dalla mia stretta. Deglutisce e si lecca le labbra, nervosa, perché so di aver toccato il suo punto debole: l'insicurezza. Ma poi, mi inchioda di nuovo con il suo sguardo, che, diversamente dal solito, ostenta una certa determinazione. Vuole farmi soccombere al suo fascino, e sono a un passo dal mandare a fanculo tutto e cedere.
«Ti sento duro contro il mio bacino, Matt... credo che questo risponda a tutte le mie domande.»
«Ti trovo attraente, questo non l'ho mai nascosto, ma non c'è nient'altro.»
«Non saresti qui, se non te ne importasse niente di me. Mi avresti scaricata, da sola e al freddo, e te ne saresti tornato da quella figa della tua amichetta rossa.»
«Non sai un cazzo.» La accuso, lasciandole i polsi liberi e passandomi una mano tra i capelli, mentre lei stringe di nuovo i pugni attorno al mio maglione.
«So abbastanza, invece! So che ti manco, come tu manchi a me. So che mi pensi, come io penso a te, sempre. So che vuoi baciarmi, tanto quanto lo voglio io in questo momento. So che ti batte forte il cuore, esattamente come il mio. So che non riesci a respirare, perché nemmeno io ci riesco. E so che mi stai trattando così solo perché sei orgoglioso e ferito, perché io ti conosco.» Sussurra tutto d'un fiato, facendomi serrare la mascella. Perché, cazzo, ha ragione su tutto.
«Dammi un buon motivo per non mandarti a fanculo all'istante, Alissa. E hai solo tre secondi per convincermi.»
«Perché voglio farmi perdonare.» Risponde, senza nemmeno pensarci su. Inarco un sopracciglio, perché, devo ammetterlo, conoscere il modo in cui vorrebbe farsi perdonare, mi incuriosisce e non poco.
«E, dimmi, come vorresti farti perdonare?» Mi informo, socchiudendo gli occhi e osservandola dalla testa ai piedi. Sbatte le ciglia lunghe, non rendendosi nemmeno conto di quanto sia sexy mentre lo fa, e si morde il labbro, mentre le sue guance si colorano di un meraviglioso rosso. Bene, ho la vaga impressione che c'entri il sesso. La cosa inizia a farsi interessante.
Alissa si guarda intorno con circospezione e poi mi afferra la mano nella sua, trascinandola in basso, al di sotto del suo vestito, e me la posa proprio lì... tra le sue cosce. E, cazzo, niente mutandine. Nemmeno una misera striscia di pizzo o cotone. Niente. Nulla. È completamente nuda sotto il suo vestito. E mi gira la cazzo di testa.
Vengo invaso da mille pensieri, alcuni tremendamente sporchi, altri in grado di farmi incazzare come una bestia furiosa. Perché, come diavolo le viene in mente di andarsene in giro senza intimo, con un vestitino che con un'alzata di mano rischierebbe di farla rimanere nuda? Sono allibito, completamente sotto shock.
Sono incazzato ed eccitato e, giuro, non ci sto capendo veramente niente. Sbatto le palpebre, cercando di riprendere un po' di lucidità, ma anche i suoi occhi che mi fissano ostentando innocenza, di certo non mi aiutano a rimanere calmo.
«Merda, Alissa.» Sospiro, lasciando cadere la testa sulla sua spalla, mentre la mia mano è decisa a rimanere esattamente dov'è. La accarezzo con un dito, e diavolo se è bagnata. La sua bocca si schiude e un leggero gemito si fa strada tra le sue labbra. Le mie, le sfiorano la clavicola, il collo, la mandibola, fino a fermarsi di fronte alle sue. La tentazione è talmente tanta che mantenere il controllo fa male quanto andare a sbattere il mignolo del piede a un cazzo di angolo. Le afferro le guance con la mano libera e le sue labbra si protraggono in avanti, ancora più invitanti e carnose.
«Come dovrei prendere, secondo te, la notizia che hai passato l'intera serata, in giro per locali e con un vestito che a malapena ti copre il culo, senza un cazzo di intimo addosso?» Le domando, rilassato ma duro, come se in questo momento la mia collera non rasentasse la pura follia.
Alissa scuote la testa in segno di negazione e sgrana gli occhi, mentre, finalmente, la mia mano abbandona il suo calore e si tira fuori da sotto il suo vestito per andare a stringerle un fianco e attirarla maggiormente a me. Appoggia il palmo ghiacciato della sua mano sulla mia guancia e mi accarezza in un gesto gentile, quasi fossi un bambino.
«No, amore mio, no!» Lo stomaco si stringe, il cuore fa male, mentre la mia testa ripercorre tutte le volte in cui, in questi tre mesi, mi sono sentito solo e con l'unica speranza di udire proprio la sua voce chiamarmi "amore mio". E ora, di punto in bianco, lei è qui e utilizza quelle parole come se lo avesse sempre fatto, con la stessa naturalezza e spontaneità di quando lo fa con sua nipote. Non ne ha diritto, cazzo. «Sono passata in bagno, prima di venire da te. L'ho fatto solo per te. Perché mi manchi e ti voglio, Matt. Dio, ti voglio così tanto che fa male, ovunque.»
Scoppio a ridere, così forte da sembrare un pazzo appena scappato da un manicomio. Le mie mani la abbandonano e si infilano nei miei capelli, strattonandoli. Sto sul serio cercando di trovare un senso e una spiegazione a tutto questo, ma, ahimè, non ce n'è nessuna. Mi allontano e le do le spalle, continuando a ridere al limite di una crisi isterica.
«Matt.» Mi mette una mano sulla spalla, ma io me la scrollo di dosso bruscamente, mentre mi volto verso di lei, con i lineamenti talmente tirati dalla rabbia da farla sussultare. L'ho detto che sembro un pazzo, no?
«Tu...» Le punto l'indice contro, mentre mi guarda con gli occhi lucidi. L'ho ferita con il mio comportamento, anche se cerca di non darlo a vedere, e l'alcol la rende ancora più instabile ed emotiva di quanto non lo sia normalmente. Vuole mettersi a frignare? Che lo facesse. Mi scivolerebbe addosso, perché non mi interessa un fottuto cazzo delle sue false lacrime. Cosa dovrei dire delle mie, eh? Di tutte quelle che mi ha fatto versare, anche quando non volevo. «... hai la minima idea di quello che mi hai fatto passare, in questi tre mesi?» Invesco contro di lei, fregandomene del mio tono di voce decisamente alto. «L'inferno, Alissa, ecco cosa! E te ne sei fregata di me e dei miei sentimenti. Hai pensato solo a te stessa e non hai nemmeno avuto la decenza di rispondere a un messaggio, nemmeno per sapere come stessi. E ora vieni qui, mezza nuda e con uno stupido piano di seduzione, che nemmeno ti si addice, pensando che avrei ceduto come un coglione morto di figa. Per chi mi hai preso, esattamente, Alissa? Per il tuo pupazzetto?» Non riesco a tenere a freno la lingua e in un minuto, sputo fuori tutto quello che non sono riuscito a dirle in novanta giorni.
«Mi dispiace, amore mio, te lo giuro... mi dispiace così tanto.» Tenta di nuovo ad avvicinarsi e toccarmi, ma io faccio un passo indietro, perché solo averla vicino mi fa annebbiare la vista dal dolore.
«Non chiamarmi così, cazzo! Io non sono il tuo amore. E non lo sarò mai.» Trasalisce, come se le avessi appena gettato un secchio d'acqua ghiacciato dritto sulla testa. «E non fare quella faccia, Alissa. Lo sappiamo entrambi che non te n'è mai fregato un cazzo di me.»
«Come puoi dire una cosa del genere?» Si difende e si porta una mano al cuore, a dimostrazione che quest'ultima mia affermazione l'abbia ferita più di qualsiasi altra cosa mi sia uscita dalla bocca, questa sera. Non credo che a lei non sia mai importato nulla di me, ma non mi hai mai dato la stessa importanza che invece io ho dato a lei. Per me, Alissa è al primo posto, insieme ai miei fratelli, ma io, per lei, sono sempre stato a metà classifica.
«Posso, perché è quello che hai sempre dimostrato! Cos'è? Stasera avevi voglia di scopare e non hai trovato nessuno che te l'ha ficcato dentro? È strano, in effetti, ma, se vuoi, dentro c'è sempre Cole. Se non ricordo male, l'ultima volta volevi il suo cazzo.» Le rinfaccio l'ultima notte che ci siamo visti a Coney Island, nonostante io abbia fatto molto di peggio in quell'occasione.
«Non ci provare!» Sbatte i palmi contro il mio petto, con violenza, e mi spinge all'indietro, con una forza quasi inesistente, ma che comunque mi fa fare un leggero passo indietro. «Non farmi passare per una poco di buono. Sai benissimo che non lo sono mai stata! Quella sera, hai baciato Alex di fronte a me, brutto stronzo che non sei altro! Ti sei divertito, eh? Ti è piaciuto vedermi soffrire per le tue bravate, vero?» Mi insulta, graffiandomi il petto da sopra il mio maglione. Stiamo urlando talmente tanto, che non mi stupirebbe se da un momento all'altro arrivasse una volante per portarci dentro con l'accusa di "disturbo della quiete pubblica", prima di portarci in un centro di sanità mentale, s'intende.
L'afferro i polsi, per farla smettere di tirarmi pugni sul petto, non perché mi stia facendo male, dal momento che con quelle due braccia non riuscirebbe a schiacciare nemmeno una mosca. No, mi ha già fatto parecchio male, ma non fisicamente. La fermo, perché non voglio che mi tocchi.
«Mi è piaciuto da morire!» No, ho sempre odiato vederti piangere per me, amore mio...
«È tutta colpa tua! Hai rovinato tutto!» Mi accusa, e di cosa esattamente ancora non sono stato in grado di capirlo.
«No.» La smentisco, con un'improvvisa calma che stupisce anche me stesso. Alissa placa la sua furia e smette di dimenarsi per cercare di liberarsi dalla mia stretta. Tende le orecchie, perché sa che questo è il gran finale, dove le sferrerò il colpo di grazia e la lascerò agonizzante a terra. Sono uno stronzo, lei continua a ripetermelo e io non l'ho mai negato. E ora, sto anche per dimostrarglielo. «La colpa è tua. Sei tu, che hai rovinato tutto. E ora io sono andato a vivere con la mia ragazza, incinta, e indovina? Siamo una cazzo di famiglia felice!» Mento e continuo a mentire, perché voglio che lo senta anche lei, quel dolore al petto che mi porto dietro da troppo tempo. «Dovresti sorridere, Alissa, perché tutti i tuoi desideri si sono avverati. Sono un fidanzato modello e sarò anche un padre modello. Con Alex e senza di te.» La voce mi cede sul finale, ma cerco di mantenere la mia espressione più indifferente per non farle capire quanto mi faccia male anche solo pronunciarle quelle parole. Non lo faccio solo per ferirla, ma anche per metterla alla prova. Se dopo tutto quello che le ho detto stasera, Alissa avrà il coraggio di insistere, potrei avere la conferma che ho sempre desiderato da parte sua. Ma se facesse di nuovo marcia indietro, se smettesse di provarci ancora prima di iniziare a farlo, allora saprei che non c'è alcuna speranza per noi due. Le sono corso dietro per tanto tempo, ora credo che stia a lei dimostrarmi che tiene a me.
Le libero i polsi e le braccia le ricadono lungo i fianchi. Mi prendo un ultimo secondo per imprimermela nella testa, giusto nel caso in cui sparisse di nuovo. E magari, stavolta, per sempre.
Ha gli occhi bassi, forse per nascondere le lacrime, che ci scommetto la pelle, spingono per rigarle le guance. Trema come una foglia, ha la punta del naso tutta rossa, così come le gote, e le labbra secche. Il vento freddo le sferza i capelli, facendo svolazzare la sua mezza coda alta e portandogliene alcune ciocche sul viso. Vorrei prenderla tra le braccia e riscaldarla, riportarla dentro e poi a casa, nel mio letto. Ma, come ho detto, l'orgoglio è un fottuto bastardo.
«Prendi la tua giacca e tornatene a casa, Alissa. E magari rimettiti anche le mutande.» Stringe la mano attorno alla sua borsetta, come se si fosse appena ricordata dove ha messo il suo intimo. La voglia di mettere le mani in quella borsa e prendermi quello che sono strasicuro sia un perizoma in pizzo per portarmelo a casa, è tanta. Ma chiudo gli occhi e, invece che nella sua piccola borsa, le infilo nelle tasche, mentre la sorpasso e me ne torno dentro.
«Allora, com'è andata?» Mi domanda impaziente Evan, appena poggio di nuovo il culo sul mio amato sgabello.
«Passami un'altra bottiglia di vodka, che è meglio.» Il mio amico obbedisce, con un sospiro pesante. So che era stato lui a spifferare la mia posizione e non mi trattengo dal farglielo notare. «E la prossima volta, evita di organizzarmi blitz a sorpresa.» Finisco a malapena di rimproverarlo, quando sento due braccia circondarmi le spalle e una testa poggiarsi sulla mia spalla. È Harper. Riconoscerei il suo profumo anche se da un momento all'altro perdessi completamente l'olfatto.
«Ehi.» Mi bacia la guancia e io mi rigiro per farla sedere sulle mie gambe. «Giornata dura?» Mi domanda, indicando con il mento la bottiglia, ancora in mio possesso.
«Di merda è più appropriato.» Mi sorride dolcemente e mi accarezza la schiena.
«Ho accompagnato Alissa, nella speranza che risolveste i vostri problemi. Ma è chiaro che non sia andata così.»
«Già.» Mi limito a confermare.
«Ci vediamo domani per il trasloco, così ne possiamo parlare quando avrai la mente lucida?» Mi guarda speranzosa.
«Non se ci sarà anche lei, Harper.» E non è un capriccio, solo un dato di fatto.
«Ci sarà, ma se cambi idea saremo contenti di accettare il tuo aiuto.» Si alza da sopra le mie gambe e mi abbraccia. «È arrivato il nostro taxi, devo andare. Ti voglio bene.»
«Anche io.» La guardo allontanarsi, mentre afferro il telefono dalla tasca posteriore dei jeans.
"Sono arrivata a casa, mi sento sola. Tornerai tra molto?"
Blocco il telefono e ignoro il messaggio di Alex, che continua a tampinarmi come se fosse la mia maledetta fidanzata. Non lo è, cazzo, anche se l'ho detto ad Alissa.
"Non sei la mia cazzo di ragazza, lasciami vivere!"
Lo scrivo, ma poi lo cancello e non lo invio. Devo smetterla di trattare male le persone solo per lenire la rabbia che sento addosso come una seconda pelle. Soprattutto, devo smetterla con Alex, che è la madre di mio figlio.
"Tra poco sono a casa."
E quel "tra poco" è esattamente tre ore dopo, che ho passato a girovagare per la cazzo di città senza una meta, ubriaco da star male e con il cuore reduce da un'ustione di terzo grado.
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