CAPITOLO 12

MATT

Alissa entra nella mia auto, sbattendo lo sportello del passeggero e facendomi imprecare mentre mi accomodo al posto del guidatore. Me lo sono meritato, vero, ma è stato più forte di me. Ferirla è il solo modo che conosco per non essere annientato e non lasciarla vincere nella nostra guerra. Non avrei mai pensato di ritrovarmi a essere geloso di qualcuno, tantomeno a stare male per una persona. E, sinceramente, non ne ero nemmeno preparato. Alissa è piombata nella mia vita da un giorno all'altro e per molti, troppi mesi, è rimasta nel suo angolino. In un cassetto nascosto della mia mente, fino a quella maledetta notte al Dejà vu, dove mi ha baciato. Ha aperto il cassetto e non ero pronto a scoprirne tutto il contenuto. Ho tentato di rimettere tutto in ordine, di riportare tutto all'interno del cassetto, ma più ci provavo e più lei si faceva strada dentro di me, fino a raggiungere il mio cuore. E ora, io non so più come scacciarla via.

Prendo il cellulare e, prima di partire, mando un messaggio ad Harper per avvertirla, per evitare che ci dia per dispersi.

«Hai scritto ad Alex?» Mi domanda, tagliente, e con le braccia conserte.

«La cintura.» Ignoro la sua domanda, apro completamente la mia decappottabile e metto in moto, pronto a partire. Non riesco a capire come faccia a essere sempre così ingenua. Crede davvero che penserei a scrivere ad Alex quando sono con lei? Mi ero perfino dimenticato di averla invitata con noi. Cioè, non è che me lo fossi veramente dimenticato, ma non le ho chiesto di venire perché mi interessi passare del tempo con lei. Piuttosto, per evitare che mio padre abbia a tiro lei e nostro figlio. E poi, ho l'impellente necessità di rimanere un po' da solo con Alissa. Ne ho bisogno per mantenere la mia sanità mentale. Anche se al momento è arrabbiata tanto quanto io sono furibondo, anche se non ci parleremo per tutto il viaggio o, al contrario, dovessimo prenderci a parolacce per l'intero tragitto, devo stare con lei. Averla accanto mi rilassa e dissipa momentaneamente la mia inquietudine.

«Non ignorarmi, Matthew. Hai scritto ad Alex? Hai sentito la necessità di inventarti qualche scusa per giustificare il fatto che, come al solito, ti sei comportato come lo stronzo che sei?» Come previsto, mi insulta, ma a me scappa quasi un sorriso. Lo trattengo, ovviamente, perché non ho nessuna intenzione di scatenare la sua furia. Nonostante quello che può sembrare, non sono un masochista e ci tengo al mio bellissimo culo. Ma percepisco un certo fastidio misto a gelosia nelle sue parole, e questo mi inorgoglisce.

«Sì, le ho scritto, perché?» Mento, scrollando una spalla, indifferente. Alissa si imbroncia e socchiude gli occhi come se volesse uccidermi con il solo potere del suo sguardo.

«Io non ti capisco, Matt. Perché mi hai trascinata in macchina con te, se l'hai invitata per passare del tempo con lei?» Il suo tono di voce, ora, non è minaccioso o collerico, semplicemente triste. Mi volto a guardarla per qualche secondo, ha i palmi delle mani aperti sulle cosce e il viso rivolto dritto di fronte a lei, a osservare la strada. Il vento le scompiglia i capelli sciolti, che gli finiscono davanti al viso. Le ciglia lunghe le contornano gli occhi castani, creando delle ombre al di sotto. Osservo il suo naso piccolo e lineare e le sue labbra carnose. È perfetta, cazzo.

Mi costringo, però, a smetterla di fissarla e a riportare lo sguardo sulla strada, prima di ammazzarci addosso a qualche palo. Scuoto la testa perché, come al solito Alissa non ha capito un bel niente. Non so se faccia finta, o se veramente la sua totale insicurezza in sé stessa la porti a dubitare di tutto. Certo, capisco la sua mancanza di fiducia, ma io credo di averle dimostrato più volte quello che provo per lei.

«E tu? Hai avvertito il tuo Liam?» La guardo con la coda dell'occhio per non perdermi la sua reazione alla mia provocazione. Si volta di scatto verso di me e le sue labbra invitanti si comprimono tra di loro in una linea aspra.

«È per questo che l'hai fatto? Per vendicarti? Per farmela pagare di aver passato una serata insieme a lui?» Alza la voce, infastidita.

«Quindi, ammetti di averci passato la serata. Perfetto. Veramente perfetto, cazzo.» Avevo sperato che gli avesse dato solo un maledetto passaggio a casa, anche se ne dubitavo, ma ora ne ho addirittura la conferma. Stringo il volante tra le mie mani, tanto forte da far sbiancare le nocche. Sono talmente incazzato, che sono tentato di abbandonarla per strada.

«Sì, certo! Non credevo fosse vietato. Non vedo quale sia il problema.» Ribatte esasperata, scostandosi i capelli da davanti gli occhi.

«E io non vedo quale sia il problema nell'aver invitato Alex con noi.» Ci voltiamo l'una verso l'altro, incatenando i nostri occhi per qualche secondo.

«Quindi, solo perché hai questo stupido vizio di ferirmi quando sei arrabbiato, hai pensato di far venire Alex per il nostro weekend!» Il mio cuore sussulta, appena sente le parole "nostro weekend". Sto per dire qualcosa, qualsiasi cosa, e non lasciare che la sua frase perda d'importanza, ma lei non me ne lascia il tempo e continua. «E immagino già la tua soddisfazione nel farmi stare male, a guardarvi per tre giorni mentre giocate alla pseudo famigliola perfetta. Grazie, Matt! Si vede che ci tieni molto a me. Non hai potuto farne a meno, hai dovuto vendicarti. Bravo, ci sei riuscito!» Sbraita, ma la voce le si incrina sulle ultime parole, facendomi pensare che stia per piangere. Questo mi porta a fermarmi in una piazzola all'angolo della strada per assicurarmi che stia bene. Come al solito, credo di aver esagerato. E odio quando la riduco così, solo per la mia smania di vendetta.

Mi volto verso di lei, che si leva l'elastico dal polso e si lega i capelli disordinati dal vento nella sua solita coda alta. Vedo il suo mento tremare e le ciglia sbattere ripetutamente per cacciare via le lacrime, confermando la mia paura. Sto per farla piangere di nuovo. Adesso, il mio orgoglio del cazzo vorrei solo mandarlo a fare in culo.

«Che fai? Perché ti sei fermato?» Mi domanda, con la voce spezzata. Si asciuga velocemente una lacrima dalla guancia e si gira immediatamente verso il finestrino per nascondersi da me. Non vuole darmi la soddisfazione di vederla piangere, ma in realtà non capisce che per me è solo un colpo all'anima. Ogni lacrima che versa per me è un pugnale che mi colpisce dritto allo stomaco. Anche se io non riesco a farne a meno.

«Ehi.» La afferro per il mento, richiamando la sua attenzione su di me. I suoi occhi sono bagnati, e lo vedo che sta facendo di tutto per trattenersi. Si morde il labbro ed evita totalmente il mio sguardo. «Hai detto il nostro weekend?»

«Intendevo...» Fa una pausa, scrolla le spalle e prende tempo per pensare a come rimangiarsi la sua frase. Troppo tardi, piccola testarda, ho capito benissimo cosa volevi intendere. «... intendevo, il "nostro" di tutti quanti noi.» Ancora non mi guarda.

«Guardami.» È un ordine, ma suona più come una supplica del cazzo. Voglio i suoi occhi, voglio sentirmi bruciare sotto il suo sguardo, voglio leggere l'amore che ancora prova per me, voglio scorgere la sua dolcezza, e voglio che smetta di versare lacrime. E, dopo qualche esitazione, lei lo fa. Mi guarda, soddisfacendo tutti i miei bisogni.

«Non è successo niente con Liam. Abbiamo solo parlato e mangiato un panino.» Mormora. Le mie spalle si rilassano e la testa smette di torturarsi.

«Non ho invitato Alex per farti un dispetto, Alissa. E non le ho veramente scritto prima. Ho solo mandato un messaggio ad Harper per avvertirla. Ho chiesto ad Alex di venire perché ho detto a mio padre del bambino e non l'ha presa esattamente come un nonno avrebbe dovuto. Un nonno felice, per lo meno.» Confesso, spostando la mano dal suo mento, per permettere al pollice di asciugarle i residui di lacrime da sotto gli occhioni cioccolato, che ora sono spalancati dalla sorpresa.

«Oh... E tu... insomma, tu...» Balbetta, quasi impaurita. «Tu credi che lui possa arrivare a farle del male?» Mi domanda, preoccupata.

«No.» La sua ingenuità e il suo bisogno di sapere sempre che le persone che ama siano al sicuro fanno spuntare un sorriso tenero sulle mie labbra. È questo che mi fa impazzire di lei. Alissa è dolce, sempre pronta a mettersi in secondo piano per gli altri e ha questa capacità di preoccuparsi sempre per tutti. «Non le farebbe mai del male, ma è un manipolatore ed è molto influente, e ho preferito non lasciarla da sola con lui in città. Tutto qui.» Annuisce, mordendosi l'interno della guancia.

«Hai fatto bene.» Ammette, rivolgendomi per la prima volta nella giornata un sorriso.

«Ma questo non cambia il fatto che non voglio che quel coglione ti giri intorno.» Le intimo, serio, puntandogli l'indice contro. Alissa sospira e alza gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

«Non è un coglione, smettila di offenderlo.» Lo difende, facendomi innervosire nuovamente. «E mi faresti un grande favore se la prossima che vi incontrate, potessi evitare di essere scortese con lui.» Mi guarda, minacciosa, con un sopracciglio alzato. Quell'imbecille gli ha riferito anche della nostra conversazione, quindi. Che razza di idiota, solo per avere un po' di compassione.

«Se l'è meritato.» Rispondo, rimettendo in moto la macchina.

«Sì, immagino.» Ribatte, piccata. Ma è vero che se l'è meritato. Ricordo ancora il suo sorrisino soddisfatto, quando ha scoperto che Alex fosse incinta e che il padre fossi proprio io. Era contento, stava gioendo del fatto di avere di nuovo campo libero.

«Mi ha provocato. Non è un santo come credi tu.» Insisto, odio il fatto che si fidi più di lui che l'ha tradita, che di me. Io non l'avrei mai fatto. Va bene, mi sono portato al letto la sua migliore amica, che oltretutto è rimasta incinta, la sua peggior nemica, una quantità sproporzionata di donne appartenenti alla popolazione di Manhattan... Sì, forse la sua diffidenza è fondata. Ma è anche vero che non stavamo insieme, non avevo dei doveri nei suoi confronti. Se lei fosse stata veramente mia, non l'avrei mai fatta soffrire così.

Alissa sbuffa, poi mi ignora e alza il volume della radio, che sta suonando Hypnotized, canzone che già mi sta sulle palle a causa di tutte le volte la passano in radio durante il giorno.

Comincia a canticchiare, la guardo di traverso e la becco a tenere il tempo con il piede e a muovere la testa a ritmo della musica. Alterno i miei occhi dalla strada a lei, che se ne accorge subito.

«Che c'è?» Chiede, timidamente, con le guance rosse.

«Niente, mi piace.» Rispondo, istintivamente.

«Che cosa?» Mi guarda confusa.

«Guardarti.» Confesso, facendole schiarire la voce, a disagio. «E, soprattutto, ascoltarti mentre stoni come una campana.» La sbeffeggio, voltandomi a guardare la sua reazione. Sgrana gli occhi e la sua bocca si stende in un sorriso divertito. Di tutta risposta, comincia a cantare ad alta voce e a fare movimenti strani con le braccia come accompagnamento.

Torno a guardare la strada, ma non riesco a trattenere una risata. Alissa continua a cantare e a muovere la testa e il busto a tempo di musica. Credo che stia cercando di ballare, se così possiamo dire.

Mi prende la mano, poggiata sul cambio e la usa come fosse un microfono. È buffa, veramente stonata, ma sempre bellissima. Amo quando è spontanea, quando si diverte e mette da parte le inibizioni, quando si lascia andare e non si nasconde dietro la sua timidezza, quando non si preoccupa di sembrare ridicola e se ne frega del giudizio degli altri, quando è semplicemente sé stessa. Lei è perfetta dentro e fuori, con le sue stranezze e il suo carattere chiuso, con i suoi punti di forza e con i suoi difetti, e non dovrebbe mai vergognarsi di quello che è.

Trasportato dalla sua improvvisa allegria, alzo ancora il volume della radio, mi unisco alla sua performance e inizio a cantare con lei. Scoppia a ridere, appena mi sente, ma poi mi riprende il duetto. Alza le braccia in aria e chiude gli occhi, godendosi il vento, la musica e l'attimo di serenità. Lei è felice e questo è tutto quello che mi serve per sentirmi altrettanto bene. Finché il suo sorriso rimarrà intatto sulle sue stupende labbra, il mio farà lo stesso. E questo sarà per sempre.

«Menomale, che la campana sono io.» Mi deride, appena termina la canzone, abbassando di nuovo il volume della radio. Non lascia la mia mano, che appoggia sulla sua coscia e continua a tenere stretta nella sua, come se non si fosse nemmeno accorta del suo gesto. Io, ovviamente, non me ne lamento affatto e faccio finta di nulla.

«Sicuramente, meglio di te, zuccherino. Uccideresti anche i morti, cazzo!» Continuo a prenderla in giro. Ma, in realtà, non vado per niente fiero delle mie capacità artistiche e musicali. Sono veramente pessime. Forse, anche del tutto inesistenti, se vogliamo essere sinceri. In poche parole? Faccio veramente schifo a cantare.

«Smettila, non è vero. La mia doccia non si è mai lamentata delle mie performance.» Ribatte, saccente.

«Nemmeno io mi sarei lamentato, se fossimo sotto la doccia, ora.» Lancio un'occhiata lasciva al suo corpo, e le stringo la coscia, facendola sussultare. Solo a quel punto si accorge di tenere ancora in ostaggio la mia mano, e si affretta subito a liberarla e scansarla da sopra la sua pelle. Ma, istintivamente, io gliela riprendo per portarmela alle labbra e baciarle ogni singolo dito. Dopodiché, la intrappolo sotto la mia sul cambio. Incrocio le nostre dita, sentendo i suoi occhi addosso.

«Matt...» Pronuncia il mio nome in tono di disappunto, come se stesse per dire che tutto questo è sbagliato, che non dovremmo comportarci così. Ma io non voglio più ascoltare le stronzate le invadono la testa e non la lasciano godere di ciò che la rende veramente felice nella vita. Io voglio essere la sua felicità. Punto.

«Sta' zitta, Alissa.» Sentenzio, senza darle diritto di replica. Lei non ribatte e, con la coda dell'occhio, vedo spuntarle un leggero sorriso sulle labbra, mentre osserva le nostre mani unite.

«Cosa ti ha detto tuo padre?» Mi domanda poi, dopo qualche minuto di silenzio. Mi irrigidisco, ripensando a quello stronzo e alle parole che ha utilizzato per parlare di Alissa, credendo che fosse lei la ragazza da cui aspetto un figlio. Quello stronzo non immaginava nemmeno quanto avrei voluto che le sue supposizioni fossero state vere. Non aveva idea di quanto avrei voluto sedermi a quella tavola, con l'amore della mia vita accanto a me e dare la bella notizia alla mia famiglia.

«Niente, è solo uno stronzo.» Rispondo, irritato.

«Perché?» Insiste.

«Perché per lui sono solo un coglione che si è fatto fregare da una che è interessata solo ai miei soldi.» Ammetto, indignato.

«Come fa a parlare così di una persona che nemmeno conosce?» Borbotta, infastidita.

«Ha questa convinzione che io debba trovarmi una ragazza...» Faccio una pausa, prima di continuare. «... del nostro stesso rango. È una stronzata, ma per lui i soldi sono tutto, non ha una coscienza e non prova nessun sentimento umano. Quindi...» Lancio un'occhiata ad Alissa, preoccupato. La conosco, so che potrebbe sentirsi toccata da questo discorso. Potrebbe pensare di non essere al mio livello solo perché la sua famiglia non ha tanti soldi quanti ne ha mio padre e perché non possiede un attico al centro di Manhattan. Ma io non sono mio padre, non mi è mai interessato di queste stronzate. Rinuncerei a tutti i beni materiali, se questo significasse stare con lei. Alissa vale più di qualsiasi cosa, più di tutti gli introiti dell'azienda farmaceutica di mio padre.

«Oh...» Sussurra, mentre mi fermo di fronte all'hotel dove abbiamo riservato le nostre camere. Ho paura di averla offesa, perché ha smesso di parlare. Vorrei rassicurarla, ma temo di peggiorare la situazione. Alissa si affretta a levare la cintura di sicurezza e ad aprire lo sportello per scendere. Ma la blocco per il braccio, prima che riesca a scappare.

«Ascolta, so a cosa stai pensando. Non mi importa dei soldi. Non li disdegno, certo, non sono un ipocrita. Ma tu, per me, sei molto più importante.» Mi guarda con i suoi occhi grandi, completamente spalancati, e con le labbra, piene e rosee, semi aperte. «Non capisco perché sempre quell'aria sorpresa. Sai benissimo quanto conti per me.» Non le lascio il tempo di rispondere ed esco dall'auto, senza guardarla ulteriormente. La nostra, è una situazione troppo difficile da gestire per me. Vorremmo, ma non stiamo insieme, e io non ho la più pallida idea di come comportarmi con lei. Mi viene spontaneo essere dolce con lei, quando dimentico di odiarla con tutto me stesso. Ma, a quanto pare, parlarle a cuore aperto la mette a disagio e la fa innervosire. Probabilmente, perché non riesce a starmi troppo lontana, e questo la destabilizza parecchio. Ma, cazzo, anche io sono nella sua stessa disastrosa situazione e questo destabilizza parecchio anche me.

"Noi siamo appena arrivati."

Scrivo ad Harper, per avvertirla. Mi dispiace essere sparito così, di punto in bianco. Ci eravamo organizzati per i posti in macchina e la mia non avrebbe dovuto trasportare solo un passeggero. Ma, come al solito, la mia impulsività e il mio menefreghismo hanno preso il sopravvento.

"Ho dovuto chiedere a Cole di venire sotto casa mia, altrimenti non saremmo entrati tutti in una macchina. Grazie, a proposito! Comunque, un quarto d'ora e dovremmo arrivare."

Non riesco a trattenere una risatina, nell'immaginarmela completamente livida dalla rabbia.

Rimetto il telefono nella tasca posteriore dei jeans, ignorando completamente il fatto che sia presente un messaggio di Alex, e vado a recuperare il mio trolley e quello di Alissa, che mi raggiunge fuori dall'auto.

«Tra quindici minuti dovrebbero essere qui.» La avverto. Si guarda attorno e i suoi occhi puntano subito la distesa di sabbia e acqua di fronte a noi. La spiaggia è gremita di persone, nonostante sia ancora abbastanza presto.

«Li aspettiamo in spiaggia?» Si volta a guardarmi, gli occhi che le brillano dall'entusiasmo.

«Okay.» Scrollo una spalla. Ripongo nuovamente i bagagli all'interno dell'auto e ci butto dentro anche il mio telefono, perché sono convinto che mi chiederà di fare il bagno, esattamente come una bambina che vuole divertirsi. E lo so perché lei non ha il suo all'interno delle tasche.

Poi la seguo, prendendomi la libertà di ammirare il suo culo, messo in bella mostra dai suoi pantaloncini corti e attillati. Dio, come vorrei morderglielo.

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