Cαριƚσʅσ 5
Il tintinnio della mia sveglia risuona per tutta la camera, tiro fuori dalle coperte la mano sinistra e la spengo gettando a terra il cellulare. Al rumore del botto che il mio povero telefono fa al contatto con il pavimento, mi alzo di scatto. Ho un dolore allucinante alla testa, è come se me la stessero trapanando per affiggerci sopra un quadro con scritto "Sono una cretina e anche molto stronza". È arrivato il momento di dire tutto a Tom, devo farlo e prima glielo dico prima lui riuscirà ad andare avanti e a prendere di nuovo in mano la sua vita. Mi alzo dal letto e, ciondolando, mi trascino verso il bagno per una doccia; lo specchio è proprio di fronte a me e mi rivela ciò che sono realmente: una traditrice, ciò che non sarei mai voluta e dovuta diventare, quello che ho sempre disprezzato delle persone. Se solo mi vedesse mio padre ne resterebbe deluso, la sua piccolina, la sua dolce e perfetta figlia che sta combinando un errore dietro l'altro. Mi darebbe due ceffoni e mi farebbe rinsavire, ma ora come ora farei di tutto per poterlo rivedere anche solo un minuto. Mio padre se ne è andato quando io avevo nove anni, con questo non intendo dire che se ne sia andato per rifarsi una vita con chissà chi e chissà dove, ma un incidente lo ha portato via, via da me e da mia madre. Ricordo che mamma era distrutta, le ero rimasta solo io e nessun altro, ma a quell'età potevo fare ben poco per aiutarla e tirarla su di morale, così mi sono chiusa in me stessa e ho iniziato a scrivere; dopo qualche anno dalla morte di mio padre, è riuscita a rifarsi una vita, ero felicissima per lei, finalmente era di nuovo felice e io con lei. Matthew mi ha fatto da secondo padre, senza mai però pretendere di sostituire quello vero. Una lacrima percorre il mio viso e dopo di essa un'altra e ancora, ancora. Ho sempre adorato mio padre, era perfetto e, da quel poco che ricordo, gli ero molto affezionata, molto più che a mia madre, forse anche per il fatto che lei lavorava molto più di lui, facendo l'infermiera faceva turni improponibili. Quando la notte facevo un incubo, era sempre lui a correre da me, lo consideravo il mio principe azzurro, colui che per me avrebbe fatto ogni cosa. Il giorno della sua morte mi aveva appena fatta scendere dall'auto, di fronte alla mia scuola, ci eravamo salutati con un lungo abbraccio e un grande bacio, come se lui sentisse che tutto, di lì a poco, sarebbe finito. Mentre stavo per entrare un grande boato ha riempito le mie orecchie e di colpo mi sono voltata. C'era un grande camion, solo un grande camion, non capivo cosa fosse successo. Poi, vedendo una ruota nel bel mezzo della strada, ho capito. Ho iniziato a urlare e a correre verso di lui, volevo vederlo per l'ultima volta, non chiedevo tanto, ma una maestra mi ha bloccata, abbracciandomi e tenendomi stretta a sé. L'autista del camion non si era fatto nulla, mentre mio padre è morto sul colpo. Ero lì, ma non sono riuscita a fare niente, ero lì e non l'ho salvato. Avevo nove anni e il mio mondo mi si è frantumato addosso. Al suo funerale ho pianto talmente tanto che ricordo pochissimo, solamente i fiori riposti sulla bara, mio zio Jack e non so chi altri che portavano via mio padre e più nulla. Ora lui saprebbe consigliarmi, saprebbe dirmi ciò che va fatto e sarebbe sicuramente la scelta giusta. Entro in doccia per una sciacquata veloce e dopo di che esco, afferrando dall'armadio un paio di leggins e una felpa nera molto larga. Infilo le scarpe da ginnastica e mi avvio verso la stanza di Tom, non potrò sfuggire alla verità ancora per molto, quindi prima che lui possa scoprire qualcosa è meglio che io sia sincera con lui. Mentre continuo a riflettere sul modo migliore per spiegargli ciò che è successo, il terrore ha il sopravvento. Di fronte alla sua stanza, con la mano pronta per bussare mi blocco, la mia mente naviga in cerca della forza necessaria per fare ciò che devo fare. Prima che io possa bussare, la porta si apre, dinnanzi a me c'è Tom, il suo viso è sopreso non credeva e soprattutto non si aspettava di vedermi lì, davanti la sua porta e con un viso così.
«Amore, che succede? Non mi avevi detto che saresti venuta.» mi chiede lui dolcemente. Le parole escono veloci dalla mia bocca senza che io possa controllarle.
«Dobbiamo parlare.» una voce cupa e malinconica, il suo viso è preoccupato, sa il motivo per cui dobbiamo parlare o per lo meno se lo aspetta.
«Va bene, ma andiamo in un luogo più tranquillo.»
Insieme ci dirigiamo verso il tetto dell'edificio, il mio sguardo è basso, mentre invece Tom nemmeno mi guarda, non cerca nemmeno i miei occhi. Ho paura, ho il terrore di dovergli dire tutto, ma so che devo farlo. Arrivati sul tetto, Tom si posiziona di fronte a me, braccia incrociate e in attesa di una mia parola, una qualsiasi.
«Tom, ho riflettuto a lungo e non posso andare avanti a mentirti, non voglio illuderti.» non dice nulla, si limita a fissarmi, ma il suo volto, i suoi occhi sono diversi, è come se fossero spenti, come se sapesse già tutto.
«Che mi devi dire Etheleen.»
«Non posso sposarti, ti farei solamente del male.»
«Va bene, magari più avanti. Non c'è fretta, abbiamo tutto il tempo.» queste sue parole mi spezzano, mi corrodono l'anima, il cuore, perché io so che non c'è futuro per noi e devo essere proprio io a dirglielo.
«No, Tom. Devo dirti anche un'altra cosa.» mi fissa, fissa incessantemente i miei occhi, mentre io, colpevole, distolgo lo sguardo altrove, non riesco più a guardarlo.
«Sono stata con un altro.» ecco, l'ho detto. Come una pugnalata è arrivata dritta al cuore e ora, la sua anima sanguina.
«Cosa stai dicendo? Chi cazzo è?» il suo tono, così duro, così violento mi perfora la testa e non accenna ad andare via.
«Non ha importanza.»
«Si che ha importanza, dimmi chi cazzo è Etheleen!» grida, un grido forte e brutale che rimbomba per tutto l'edificio o almeno è quello che credo io.
«Non lo conosci cazzo!» urlo anche io. Respiro, cerco di calmarmi anche se ho le gambe che tremano, non ho mai visto Tom così e ammetto che ho paura, credo che in questo stato potrebbe fare di tutto. Annuisce, i suoi occhi, ora li vedo, è di nuovo lui, ma sono colme di lacrime. L'ho ferito, l'ho pugnalato e ora lui mi odia, mi detesta come giusto che sia. Mi fissa, ma dopo qualche minuto corre via, vorrei rincorrerlo e pregarlo di perdonarmi, ma le mia gambe sono inchiodate al terreno. Una lacrima dietro l'altra iniziano a scendere copiose sul mio viso devastato dal dolore; mi accascio a terra e continuo a piangere, non piango così dalla morte di mio padre. Grido, il dolore sta arrivando alla testa, non posso e non voglio smettere di stare male per quello che ho fatto a Tom, non potrò mai perdonarmi. Sono un mostro ed è giusto che lui mi odi.
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