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15 luglio 2024

Sophia's POV

Molto spesso le persone sottovalutano il concetto di "silenzio".
Il silenzio è legato alla riflessione, alla pace e all'ascolto. È visto come uno stato di calma in cui ci si allontana dalle distrazioni.

Le persone sentono sempre il bisogno, l'urgenza di occupare il silenzio con suoni, rumori e parole, quando in realtà è lo stato naturale del mondo.
Il silenzio è esistito fin dal principio dell'universo, già quando regnava il Chaos non c'erano rumori inutili ad aggiungersi alla confusione in cui la galassia si trovava.

Il Chaos è un concetto di origine filosofiche e mitologiche, in cui rappresentava il vuoto.
Secondo i Greci era una condizione di disordine assoluto, senza forma o struttura.
Nella credenza filosofica, invece, il Chaos è un simbolo del disordine che non solo distrugge, ma concede la possibilità alla cita di andare avanti.

E il silenzio regnava.
Uno stato di quiete che non necessitava di essere riempito dalle parole.

Ed oggi è estremamente sottovalutato, così come lo sono le persone che lo preferiscono.
Ho sempre creduto che il silenzio fosse il metodo di comunicazione migliore: la potenza di due sguardi che si incrociano, il linguaggio corporeo, i piccoli gesti spontanei che il nostro corpo mette in atto in determinate situazioni. Tutti questi esempi sono solo alcuni del perché secondo me, nonostante la loro bellezza, le parole siano inferiori.

Ce ne sono alcune che mi piacciono particolarmente, però.
Ad esempio, "meraki". È un termine greco che significa fare qualcosa per pura passione, mettendoci tutta l'anima ma senza pensare al risultato.
"Limerence", parola che descrive l'intensa infatuazione romantica per qualcuno.

Ma la mia preferita è "saudade". È una parola portoghese che esprime la nostalgia o la malinconia per qualcosa che è perduto, ma che ancora si ama; un sentimento di desiderio e mancanza profonda.

Per quanto le parole possano essere forti e profonde, non sono mai state il mio forte.
Ho iniziato a parlare tardi, a 4 anni, e vorrei dire "e da lì non ho più smesso", ma non è così.
Sin da piccola, i miei genitori mi hanno portata da una logopedista per farmi iniziare a comunicare con il mondo.

Ma io non me volevo sapere di parlare.
La psicologa che mi seguiva durante l'infazia e la preadolescenza era arrivata ad una conclusione, un macigno che mi porto sulle spalle ancora oggi: soffro di mutismo selettivo.
Non è un vero disturbo, ma le caratteristiche psicologiche ci assomigliano.
Mancanza di comunicazione verbale, comportamenti incoerenti e scarsa socializzazione con le persone.

L'unico modo che, allora come oggi, mi aiuta ad esprimermi è la danza.
Da quando i miei genitori hanno capito che più dello stretto necessario non avrei parlato, hanno seguito il consiglio della mia psicologa e hanno iniziato a farmi provare ogni sport o hobby.

Fortunatamente mi sono appassionata alla danza quasi subito e da lì non ho più smesso.
Ho studiato in una delle tante scuole di Boston, appena a venti minuti da casa, ma grazie ai concorsi ho girato l'America e qualche Stato dell'Europa.
Grazie alla danza ho anche conosciuto le persone che pian piano hanno iniziato a farmi tirare fuori la voce: le mie compagne e la mia insegnante.

Ballare è veramente l'unico modo in cui riesco a sentirmi me stessa al centro per cento. Quando sono sul palco, le poltrone sono occupate ma non riesco a vedere i volti delle persone e la musica parte mi sento completamente nel mio elemento.
Avvolta dal silenzio della sala ma con quell'unico suono che riesce a guidarmi come una luce.

Il nostro aereo per Boston partirà dopodomani nel primo pomeriggio.
Ci resta la nostra penultima serata in Puglia.
Con una malinconia collettiva, ci troviamo intente a prepararci per questa sera, sedute sulle sedie in plastica sulla terrazza di uno degli hotel più "italiani" che io abbia mai visto, con il mare e il tramonto sullo sfondo.

Ascolto le altre ragazze chiacchierare, mentre mi stendo il blush sulle guance.
Loro hanno sempre compensato il mio silenzio, rendendo il rumore piacevole alle mie orecchie.

«Se neanche stasera trovo un italiano bello e misterioso che mi farà girare la testa e al quale penserò per i prossimi sei mesi mi ammazzo» borbotta Gwen, imbronciata e drammatica.
È da quando siamo atterrate nella penisola, una settimana fa, che la mia amica si ostina a voler trovare un italiano "tipico" con la camicia di lino e i capelli castani, uno di quelli che si vedono su internet.
È rimasta abbastanza delusa quando si è trovata davanti la realtà: ragazzini in giro con il monopattino elettrico e i pantaloni calati fino a metà sedere.

«Goditi questa penultima serata e non pensare ai ragazzi» la rimbecca Sarah, stretta nel suo vestitino bianco.
Le due ballerine continuano a battibeccare finché non arriva l'ora di uscire dalla nostra stanza d'albergo.

Il sole ormai è scomparso dietro l'orizzonte da un bel po' quando entriamo all'ingresso del locale in cui concluderemo la nostra vacanza.
Siamo arrivate in Italia come sei ragazze americane in visita; dopo una settimana una rischiava di rimanere incinta, un'altra è sparita per dodici ore, una terza (io) si è addormentata sul materassino in acqua e la sono dovuta andare a riprendere con il pedalò e le altre tre hanno vomitato almeno una volta a serata.

Tuttavia credo che la ricorderò come la migliore vacanza della mia vita. Abbiamo visitato la Puglia, ci siamo fatte tanti bagni nell'acqua limpida, ci siamo abbronzate, abbiamo riso e scherzato, ci siamo ritirate all'alba e ho persino portato avanti io stessa un dibattito sui ragazzi italiani per convincere Gwen che come li intende lei non esistono.
E, cavolo, sono stata io tutto il tempo a parlare italiano con quelli del posto.

Proprio per il fatto che da piccola non parlavo, mamma e papà mi avevano iscritta a dei corsi di lingua tra cui proprio l'italiano, che mi è sempre piaciuto e ho continuato a studiare da sola fino ad ora.

Il mio mutismo in questa vacanza mi ha lasciato un po' di respiro, seppur un'onda di ansia cresceva in me ogni volta che dovevo chiedere il conto al cameriere.

Il locale in cui ci troviamo si chiama "Baila", si trova in una spiaggetta nascosta sul promontorio del Gargano ed è molto simile a tutte le discoteche che abbiamo frequentato negli ultimi sette giorni.
Luci a led sparate negli occhi, musica trap italiana a tutto volume ma perfettamente ballabile, persone l'una appiccicata all'altra e divanetti in pelle macchiate di drinks.

«Oh questa cantante ora la conosco, è Anna Pepe!» esclama Cassie, emozionata per aver riconosciuto la canzone che sentiamo in loop da una settimana, invintandoci poi a seguirla in pista.

Guardo divertita le mie amiche iniziare a muoversi goffamente, nonostante gli anni di danza che ci portiamo dietro.
Le seguo anche io, sentendomi completamente a mio agio nell'esatto momento in cui inizio a muovere i fianchi sensualmente contro il bacino di Sarah, mentre scoppiamo a ridere.

Balliamo, scherziamo e ascolto i loro schiamazzi per un bel po' di tempo, finché non indico alla ragazze il bar e mi avvicino al bancone.
«Un gin tonic, please» ordino, mischiando italiano e inglese.

La barista, una donna dai capelli rosa shocking, mi porge il bicchierino e si allontana per servire un altro cliente.

È quando mi giro e faccio per tornare dalle mie amiche che vengo investita da una sguardo profondo che attraversa tutta la mia figura.
A pochi metri di distanza da me, in pista, un ragazzo dai capelli castani e uno sguardo magnetico non accenna a distogliere gli occhi dai miei.

Restiamo a fissarci per un tempo indefinito, ed è proprio ora che ripenso a quanto ho ragione quando dico che è mille volte meglio uno sguardo di mille parole.

Un brivido percorre velocemente tutta la mia spina dorsale. Nessuno mi ha mai guardata così.
Il mio cuore batte all'impazzata.
Sono sempre stata "vista", ma mai osservata.
Non con questa intensità o con questo interesse.

Sorseggio il drink senza staccare gli occhi dal ragazzo misterioso, mentre un'ondata di calore, eccitazione e attrazione mi penetra fin nelle ossa.

Non ho mai provato un'emozione del genere.
È indescrivibile a parole, e anche in questo caso è il linguaggio non verbale a centrare cosa sento. La pelle d'oca invade le mie braccia mentre resto sempre più ammaliata dalla figura del ragazzo.

Nessun "colpo di fulmine" mi ha mai colpita così, facendo percepire anche a metri di distanza la tensione tra me ed un'altra persona.

Il ragazzo è alto, con un fisico asciutto ma i bicipi sporgono dalla canotta nera che indossa.
I capelli castani terminano sul lato sinistro con una sfumatura blu elettrica.

Sembra che tutta la musica e le persone attorno a noi siano sparite, ci siamo solo io e lui.
Credo che nessuno dei due voglia spezzare l'incantesimo in cui ci troviamo, dato che non ci muoviamo di una virgola.

Restiamo aggrappati ai nostri occhi, lasciando l'attrazione e la tensione legarci sempre di più.
Una scintilla di lussuria occupa entrambi.
O forse sono pazza e mi sto facendo solo tanti film mentali.

All'improvviso, il ragazzo si avvicina a me.
L'ansia inizia a farmi battere il cuore all'impazzata.
Keep calm, Soph, you'll be alright.

«Ciao» saluta in italiano il ragazzo, ormai ad un passo da me. La sua voce non è profonda, ma una nota melodiosa entra nelle mie orecchie.
Da qui, i suoi occhi sono ancora più limpidi e riesco a notare l'anello al naso che porta.

Percepisco l'agitazione crescere in me e ciò porta sempre e solo ad una cosa: chiudermi in me stessa.
Lo saluto con un gesto del capo, cercando di trasmettere nonchalanche nonostante dentro di me continuino a scoppiettare i fuochi d'artificio.

Da questa distanza, l'elettricità che scorreva tra noi prima è sempre più forte.
Mi assale una voglia matta di circondargli i bicipiti con la mano, stamparmi addosso al suo corpo e le mie labbra sulle sue. E anche altro.

Mi guarda con un sorriso sulle labbra e la stessa scintilla negli occhi mentre osserva ogni curva della mia figura.

Damn, this is way too much.
Senza dire una parola, gli afferro la mano e arriviamo in centro pista.
Vorrei urlare che la connessione che ho sentito tra di noi non l'ho mai percepita con nessuno, ma mi limito a prendergli anche l'altra mano e a farlo iniziare a seguirmi in un balletto goffo.

La musica sovrasta ogni rumore e le luci si alternano da rosso, a verde fino ad arrivare al viola.
Con la coda dell'occhio cerco le mie amiche e le ritrovo tutte intente a guardare la scena con un sorriso malizioso.

Porto gli occhi sul ragazzo ignoto, che ormai si è avvicinato ancora di più e mi sovrasta di una testa bella e buona.

«Non so cos'è stato il nostro scambio di prima, ma mi è piaciuto» afferma ad alta voce al mio orecchio, in modo da sovrastare la musica.
Una scia di brividi corsparge la mia pelle, nuovamente.
Sembra come avesse parlato al posto mio, riflettendo tutto ciò che stavo pensando fino ad ora.

Ancora una volta mi ritrovo senza parole, o con troppe parole nella testa, e il mio corpo reagisce nel secondo modo che mette in atto automaticamente in situazioni come questa: con l'impulsività.

Gli afferro la nuca con entrambe le mani e lo porto ad un centimetro dal mio volto. Nonostante sia più in basso rispetto a prima, devo lo stesso stare sulle punte.
Ci concediamo un'altra occhiata prima che le nostre labbra si uniscano in un bacio tutt'altro che casto.

Muovo le labbra sulle sue, mentre anche il ragazzo inizia a stare al gioco e chiede l'ingresso nella mia bocca.
La sua lingua scorre sulla mia e le mani si appoggiano sui miei fianchi, scivolando sempre più in basso appena sopra il mio sedere.

Con una mano spingo le sue fino ai miei glutei, dandogli il permesso di varcare quel limite.
Un stretta mi fa mugolare, con le labbra ancora immerse nel bacio.

Vengo urtata dalle persone, finendo così sempre più addosso al ragazzo.
Le scintille di prima sono diventati dei veri e propri incendi e la tensione sessuale che c'era tra noi si sta concretizzando.

Ancora con il fiatone e il cuore a mille per il bacio mozzafiato che ci siamo scambiati, faccio un cenno verso l'uscita.
L'aria fresca della sera ci investe, così come il rumore delle onde del mare.

Ecco un'altro rumore che tollero.
Così rilassante e allo stesso tempo imprevedibile.
Il suono delle onde porta solo bei ricordi: la sera, l'estate e le vacanze. Se è il mare italiano allora è ancora meglio.

«Scusa, non sono solito baciare le ragazze in discoteca senza sapere neanche il loro nome».
Spezza il silenzio il ragazzo, mentre ci sediamo sulle sabbia e le onde ci bagnano i piedi.

Finalmente mi sento in pace.
«It's okay, that was my fault. I was the one who kissed you» rispondo, dimenticandomi di parlare italiano.
Il ragazzo sembra stupito.
«Damn, sorry. Scusa, lo so l'italiano» aggiungo.

Il ragazzo sorride. «Wow, da fuori sembri molto italiana»
«Do I?»
«Yes, you do» replica con un sorriso ancora più divertito.

Poi, mi porge la mano. «Jacopo»
«Sophia»
«E di dove sei?» chiede Jacopo. Bel nome.
Da questa prospettiva riesco a notare un ciuffo blu tra u suoi capelli, che ricare ribelle sulla fronte.
«Boston. Can I call you Jack?»
Il ragazzo mi osserva divertito, ma annuisce. «Di solito mi chiamano Jsol o Jaco, ma Jack mi piace?»

«Che vuol dire Jsol?» domando, interessata.
«È il mio nome d'arte. Jacopo Sol. Faccio musica»
Annuisco lievemente.

«Tu non parli molto, vero?»
Il fatto che lo abbia notato mi colpisce, non so se negativamente o in positivo. Il fatto è che ancora non ho mostrato la mia parte "muta", anzi secondo i miei standard sto conversando normalmente.
«Bene, parlerò io allora»

Si schierisce scherzosamente la gola e inizia a presentarsi. Con il dito traccia pigramente delle linee sulla sabbia.
«Mi chiamo Jacopo Porporino, ho 22 anni e vivo a Milano anche se sono nato qui in Puglia. Nella vita faccio il cantante sotto il nome di Jacopo Sol. Suono la chitarra, la tastiera e mi cimento nella batteria. 
A Milano convivo con mia fratello e niente..., questo sono io. Ho partecipato allo scorso Sanremo Giovani, non so se conosci, e ad altri talent ma il mio sogno è Amici» spiega il ragazzo, mentre lo ascolto
con attenzione. «Do you know "Amici by Maria De Filippi" ? The talent show?» chiede poi con una pronuncia inglese terribile che mi fa scoppiare a ridere.

La mia risata si mischia al rumore del mare, rimbombando assieme alla musica che esce dal locale.
«Che ho detto?» domanda Jacopo, spaesato.
«Your pronounce. It's terrible» mormoro tra una risata e l'altra.

Improvvisamente, le sue labbra sono di nuovo sulle mie.
Mi catturano in un bacio inatteso ma, come
il precedente, mozzafiato e terribilmente sexy.

Con le mani suoi miei fianchi, mi invita a salire a calvalcioni su di lui, e così faccio.
Gemo quando mi rendo conto della posizione in cui ci troviamo e sento il mio bacino spinge contro il suo.

«Okay, troppo, scusa» soffia ad un palmo dal mio volto.
Poggio una mano sul petto del ragazzo, per tranquillizzarlo. «No, actually that was wonderful. And the connection between us is wonderful too. Spero di non sentirla solo io» sputo tutto d'un fiato.
«Fidati, non la senti solo tu. Ci conosciamo da quanto? Venti minuti? Non ho mai avuto un approccio così rapido con una ragazza, né mi è mai capitato di restare imbambolato ad osservare una ragazza» replica. «Però non voglio sembrare una specie di pervertito, okay? Se vedo che la ragazze non ci sta non mi faccio avanti»
Inarco un sopracciglio. «E ci mancherebbe»

«Però non ce l'ho fatta ad ignorarti, Sophia. E, fidati, non ero l'unico a guardarti. C'erano almeno altri cinque ragazzi che ti mangiavano con gli occhi»
Really?

Resto senza parole. Sai che novità.
Poi deglutisco visibilmente e torno a sedermi accanto al ragazzo.

«So, you were saying that you want to join Amici... giusto?» cambio argomento, troppo in imbarazzo per continuare il precedente.
Fortunatamente Jacopo sembra averlo cpaito, tanto che annuisce in risposta.
«Sì, è il mio sogno sin da quando ero bambino. Stare a contatto con ragazzi con il mio stesso desiderio...wow» commenta.
«Ho fatto anche io i casting, questa estate» affermo.

Ancora una volta, sembra stupito. «Davvero? Canti? Come hai fatto a scoprire di Amici essendo americana?»
«Well no, io ballo da sempre. È stata una mia amica italiana che ha fatto l'exchange year nella mia cittadina ad avermelo consigliato» spiego.

«Che stile balli?»
«Principalmente hip hop, but I've also tried latin-american style e modern»
Jacopo annuisce, probabilmente non capendo la differenza di stili ma comunque cercando di mantenere viva la conversazione.

«What about you? Tell me, cosa suoni? Che musica ascolti?»
«Rilascio musica da un anno ma è sempre stata la mia grande passione. A casa suonava sempre Pino Daniele, ma anche Whitney Houston che ascolta mia madre. Col tempo mi sono approcciato ad un altro stile, ascoltando gli Arctic Mokeys e i Chase Atlantic. Ho iniziato a prendere lezioni di chitarra, ho preso la penna in mano e ora sono qui. Cerco di vivere di musica».
Non mi perdo una singola parola del suo monologo, seppur il dito che scorre pigramente lungo il mio braccio cerchi di catturare l'attenzione.
«I love Chase Atlantic too!» esclamo, con l'energia che mi esce fuori ogni volta che qualcuno ha i miei stessi interessi.

«Sono fortissimi e sono una grande ispirazione per me. Il sound, la vibe, i testi. Wow»
Annuisco, quasi ammaliata dalla naturalezza cin cui si sistema il ciuffo mentre parla di musica di alto livello.
«Che altro ascolti?» chiede poi.
«Lana Del Rey, The Weeknd and in questi giorni ho scoperto Kid Yugi»

Jacopo scoppia a ridere e mi porge il pugno, che non attendo un secondo a battere.
«Porta un po' di cultura italiana in America, brava»

Un silenzio naturale cala tra noi, mentre le onde continuano ad infrangersi a qualche centimetro da noi.
Il cielo si sta pian piano schiarendo, nonostante ancora sia notte fonda, e le stelle iniziano a sparire.
Il braccio di Jacopo mi avvolge le spalle, come se ci conoscessi da sempre. E, stranamente, questa cosa non mi dà fastidio.
Mi sento come se stessi nel mio elemento: riesco a parlare e le cose che normalmente mi avrebbero imbarazzata non lo stanno facendo.

«Come si vive a Milano?»
Sul volto del moro compare una smorfia. «Di merda. O meglio, è molto difficile vivere dignitosamente se si vuole vivere di arte in una città come Milano. L'affitto costa tanto, la vita anche»
«So why did you get there?»
«Perché è il sogno di un mini Jacopo di dieci anni quello di trasferirsi e diventare famoso. Lo faccio per lui. E per non pesare sui miei»

Annuisco, mentre un sorriso comprensivo prende spazio sul mio volto.
«Che succede? Perché sorridi?»
«Because I did the same exact thing. Appena finita la high school, mi sono iscritta alla Boston University in cui ora studio al Dipartimento di Educazione Fisica, Ricreazione e Danza. Allo stesso tempo lavoro in un bar, convivo con una ragazza nonché compagna di danza e, appunto, devo pagarmi le lezioni oltre alla retta del college. So, trust me, I totally get the point»
«E sei disposta a lasciare tutto per un programma dall'altra parte del mondo?»
Annuisco.

Tutto attorno a noi sembra silenzioso, anche se in realtà non lo è.
La musica all'interno della discoteca continua ad andare al massimo volume, ma sembra di non sentirla.
La notte è così tranquilla che sembra avvolgerci nel silenzio, nonostante sia tutta un'illusione.

«Hai tanto coraggio. Complimenti» stampa le labbra sulla mia tempia, in un gesto talmente intimo e quasi naturale che il mio cuore fa una capovolta.
«In futuro cosa vorresti fare?»
«I don't know, sicuramente qualcosa con la danza. Se non ballerina, insegnante di danza. I would love to study in New York, but right now non posso permettermelo»

Restiamo a parlare del futuro per un tempo indefinito, tanto che se possibile il cielo diventa più chiaro, l'alba si avvicina e la musica più alta.
Sarà ormai mattina presto, delle mie amiche neanche una traccia e sto parlando con un semi sconosciuto, ma mi sento nel mio ambiente.
La conversazione fluisce naturalmente, senza silenzi imbarazzanti che di solito fanno sempre da accompagnamento.
Seduta sulla sabbia fresca, a parlare dei miei sogni con un bel ragazzo con cui ho una connessione pazzesca.

«Oh, I know, right? One Direction is so good, I will forever be a Zayn girl» esclamo non appena il ragazzo cita un'altra tra le mie band preferite tra coloro da cui prende ispirazione.

«Quanto restate ancora in Italia?» chiede Jacopo di punto in bianco, dopo avermi lasciato l'ennesimo bacio della serata. Il suo braccio mi circonda le spalle, mentre continua a guardarmi come se esistessi solo io su questa spiaggia.
Ogni volta che le sue labbra sfiorano le mie, il mio stomaco va in subbuglio.
«Solo fino a domenica. Domani è la nostra ultima sera» mormoro con un filo di nostalgia nella voce.

«Ti va di incontrarci di nuovo? Balliamo, io chiacchiero e tu ascolti. Serata tranquilla» propone con occhi speranzosi.
Nessuno nei miei diciannove anni di vita mi ha mai chiesto di uscire così su due piedi e, conoscendo la me del passato, non avrei accettato.

Ma sono in Italia, sarà l'ultima opportunità che avrò per concludere al meglio la vacanza. Jacopo per ora mi sembra uno a posto: è simpatico, notevolmente bello, occhi chiari, più colto della media, ha un sex appeal non indifferente e soprattutto capisce subito quando non riesco a parlare e ci pensa lui al posto mio.
E se dovesse andare male, resterà un meme nel mio gruppo di amiche.

«Yes, why not

- spazio autrice -

Che dire, benvenuti in questa nuova avventura.
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto ma soprattutto che da oggi in poi riuscirete ad empatizzare con Sophia, la sua storia, il suo personaggio e le scelte che prenderà.
Come sempre ogni commento o voto mi fa tanto tanto piacere quindi lasciatemi tutti i feedback che volete! (e naturalmente fatemi notare eventuali errori grammaticali).
Beh, che questo viaggio abbia inizio...

~ Vivi💋

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