1."Primo" giorno di scuola ✔
REVISIONATO
Nella GIF: Krystal Matthews
Prima o poi la rompo questa sveglia, mi ha disturbata pochi minuti fa e -
Ah sì?
Ok, è stato un quarto d'ora fa, ma non voglio uscire dalla vasca, mia madre mi ha fatto la grazia di comprare il bagnoschiuma alla vaniglia, per una volta...
Il dolce silenzio è interrotto dalle urla.
«Krystal! Esci dalla vasca! È il tuo primo giorno e non puoi arrivare in ritardo» strilla entusiasta mia sorella Alyson invadendo i miei spazi.
«Non bastava la sveglia stamattina, adesso anche tu? E poi esci che sono nuda!»
Ormai sono anni che ho dimenticato cosa significa stare davvero tranquilla, in ogni senso. Ho due fratelli: Alyson, che ha 18 anni e va già in quella che sarà la mia nuova scuola, al quarto e ultimo anno; e mio fratello Dylan che ne ha 23 e va all'università dove si sta preparando per diventare insegnante di scienze motorie o simili, vista la sua passione per lo sport.
«Se non ti alzi subito chiamo la mamma. Sai come ti convincerebbe ad uscire di lì» mi dice Alyson, ignorando la mia richiesta. Quanto la odio quando fa quella voce da saputella.
Controvoglia mi alzo e mi asciugo il corpo. Torno nella mia stanza: è molto grande, con un letto a due piazze ed un meraviglioso ed ampissimo armadio occupato da tutti i miei amati jeans, felpe e maglioni. Una scrivania è lì vicino e un comodino è al lato del letto, dove di solito si trova qualche libro.
Vado verso l'armadio e prendo i primi vestiti che mi capitano a tiro, in questo caso una t-shirt larga come piace a me e un paio di jeans con scarpe da ginnastica. Sopra, la giacca di pelle nera, perfetto.
Mi guardo allo specchio per vedere come sto, se il mascara di ieri sera si vede tanto.
Ho grandi occhi chiari che col nero spiccano il doppio e dei capelli castano scuro tutti scompigliati, ma non mi premuro neanche di passare la spazzola.
Chiudo la porta su cui capeggia il cartello 'Don't disturb! Keep away!' e esco dalla camera. Sono una persona molto chiusa e testarda, ed è così da circa quattro anni: da allora non mi faccio toccare o mettere i piedi in testa, ne ho avuto abbastanza.
Mi precipito giù dalle scale delle mia villa e vado verso la cucina, lì c'è mia madre coi miei fratelli a fare colazione.
È strano che mia madre sia in casa, di solito lavora sempre di giorno e non è mai qui. Anche perché, quando siamo svegli noi, lei dorme a causa dei turni sempre diversi che le fanno fare. Tutto a causa di mio padre.
Saluto tutti con un sonoro «buongiorno» e poi mi siedo a fare colazione. In un paio di minuti riesco a mettere in bocca un cornetto, latte e cereali, una spremuta e qualche biscotto rubato a mia sorella.
Mi chiedo come tu possa essere così magra!
Non hai altro da fare? Tipo uscire dalla mia testa una volta per tutte?
Ti voglio far notare che i tuoi fratelli se ne stanno andando. È il caso che lo faccia anche tu, non credi?
«Ehi, aspettate! Non conosco la strada» urlo loro dietro.
«Sempre la solita, sbrigati!» Mia sorella, sempre gentile.
«Seguici con la moto, vai subito in segreteria e poi in classe. Capito?» nel frattempo vado alla moto che mi porterà a scuola.
Sì, sono una ragazza e ho la moto. Sapete, non è un'esclusiva maschile averne una come Dio comanda e poi io odio usare quegli scooter orrendi. È un regalo di mio padre per i miei 14 anni, ed ho potuto usarla solo 2 anni dopo soffrendo tantissimo, finché non ci ho potuto mettere le mani, ricordo la disperazione di mia madre. Una Yamaha nera come una pantera, con cui correre in sfregio ai limiti.
Mio fratello accompagna con la macchina Aly tutte le mattine per poi dirigersi all'università, lì a poca distanza. Dylan è sempre così apprensivo, protettivo, gentile, palla al piede...
Gli voglio troppo bene ma mi rifiuto di farmi accompagnare da quando ho la mia bimba.
«Segreteria. Classe. Certo» che no. Non andrò in classe, farò due passi per conoscere la scuola, dopo tutto essendo al terzo ci passerò i prossimi due anni della mia vita, fino al quarto dove mi diplomerò.
Sempre se non vieni bocciata.
Viva la positività, ma non ha tutti i torti: sono stata costretta a cambiare scuola perché sono stata espulsa dalla vecchia. Ma non mi è pesato in fondo: non conoscevo nessuno e ricambiavo l'odio verso tutti i professori. Voglio usare bene questa possibilità, non ho il migliore dei comportamenti ma sono brava nello studio, nonostante non mi piaccia.
Non vedo l'ora che finisca per avere il mio diploma in mano e andarmene da qui, e usare tutti i soldi che ho.
C'è comunque anche la possibilità che tu vada al college eh...
Non credo proprio.
Seguo mio fratello ed arrivo a scuola, passo dalla segreteria per ritirare dei moduli e conoscere la mia classe. Poi faccio un lungo giro dei corridoi: questa scuola ha letteralmente di tutto, non è come la bettola di Londra dove trovavi anche scarafaggi nei bagni. Non valeva un centesimo per quanto veniva pagata.
Dirigendomi in classe sento delle voci: «Sarà meglio per te che tu ci faccia il nostro compito, e prendi un bel voto, -che sbruffona - altrimenti te la farò pagare»
È una ragazza, si tocca continuamente i capelli biondi e curati ed ha un'aria altezzosa, guarda le altre come fossero servette pronte a soddisfare ogni suo capriccio. È solo il primo giorno e devo già avere a che fare con l'ennesima scena da commedia per ragazze.
Ma perché tipe così sono presenti in ogni scuola? Non poteva stare lo strappo alla regola in questa? Mi ricorda troppo Anne e mi dà sui nervi.
Scommetto che ora l'altra risponderà con voce impaurita.
«Il...Il compito lo dobbiamo fare insieme. Non...non posso fare tutto io...»
Ecco, appunto. Comunque sono fatti suoi, non di certo miei, non certo al primo giorno.
«Allora vedremo di convincerti»
Mi sporgo un po' per vedere la scena: due ragazze accerchiano la poverina e l'altra alza la mano come a volersi proteggere.
Voglio i popcorn, solo a me sembra di stare in un film con protagonista la mafia russa? Forse ci sta bene anche quella italiana, o la yakuza giapponese. Quelle scene dove volano minacce ma poi alla fin fine non succede nulla. Ma ho un cattivo presentimento, la bionda ha uno sguardo troppo alterato, se qualcuno non interviene per la ragazza non finirà bene. Vorrei fare finta di nulla, non immedesimarmi in lei e non ricordare le volte in cui ero al suo posto. Vorrei lasciar perdere, non fare sempre la paladina, stare nel mio. Magari vivrei meglio.
«No» non resisto, bloccandole il braccio. So che si arrenderà subito, perché troppo delicata, ma so anche che non finirà bene.
Almeno per lei.
«Come ti permetti? Chi sei?» dice con voce sorpresa ma fastidiosa, da gallina, per rendere bene l'idea.
«Non ti interessa sapere chi sono. Ascolta bene: a meno che tu non voglia farti male davvero prendi le tue gambine e vai a fare un giro. Non mi piacciono quelle come te» e stringo di più. Lei vede la rabbia nei miei occhi e il suo braccio si affievolisce, poi si affievolisce anche lei, ed il suo sguardo smette di sostenere il mio.
Ho vissuto troppe volte questa scena nella vecchia scuola, anche se al posto della vittima impaurita, fino a che non ho iniziato ad usare il superpotere che mi ha dato mio padre: lo sguardo raggelante, che lui usa durante le trattative, mentre io mi limito alla vita di tutti i giorni per autodifesa.
«Sappi che non finisce qui!» mi dice nemmeno troppo convinta, si sarà resa conto di aver detto una banalità, «E tu» dice rivolgendosi alla ragazza che sembra ancora sotto shock «vedi di fare come ti ho detto o renderò la tua vita un inferno».
E tutto questo per uno stupido compito? Siamo seri?
«Tutto bene?»
«Sì, mi chiamo Jessica comunque. Grazie di avermi aiutato» Lascia in sospeso la frase non conoscendo il mio nome.
«Krystal. Nessun problema, era giusto farlo» e faccio per andarmene ma la sua voce mi ferma.
«Che ne dici se dopo le lezioni pranziamo insieme?» dice, poi come se si fosse pentita di aver pronunciato il peggiore degli insulti si chiude la bocca con le mani. Non sono il tipo da compagnia, la gente mi si avvicina solo per i soldi o, al massimo, per mio fratello.
Quelle amicizie che all'inizio credi vere ma che poi sono più finte di quella bionda di poco fa. Con il tempo impari a distinguerle meglio.
«Fa niente, come se non fosse successo nulla, ora vado» inizia ad avviarsi per andarsene.
«Va bene» rispondo poi, lei mi sente e si gira con un sorriso bellissimo. Mi sembra una brava ragazza, le stronze tormentano sempre le brave ragazze, mai le stronze come loro.
Avere a che fare con lei mi fa pensare che forse potrei finalmente avere un'amica che non sia interessata solo ai miei soldi per poi voltarmi le spalle appena capita qualcosa di sconveniente. Ma il pensiero è soverchiato da quello del mio immenso ritardo, affretto il passo verso la mia classe: la 3° B.
«Di che classe sei?» chiede timidamente Jessica affiancandomi.
«3°B»
«Oh! Anch'io! Andiamo insieme?»
La sua non è una domanda ma quasi una supplica, così annuisco semplicemente. Per una volta farò finta di apprezzare la compagnia.
Jessica è davvero una bella ragazza. È di un biondo che mi piace molto, ha un sorriso coinvolgente e degli occhi castani splendidi, ma che non trasmettono allegria quanto il suo sorriso. Ha un corpo esile e minuto, su cui ricade la maglia larga che indossa.
Entro dicendo «mi scusi, non trovavo la segreteria».
«Fa niente per questa volta. Sei nuova ed è facile che ti perda. Accomodati pure dove vedi un banco vuoto» mi esorta la professoressa, fissandomi come se fossi un rebus. È vestita piuttosto elegante rispetto alla classica prof di liceo, se non fosse per il suo sguardo potrebbe starmi simpatica. Sto per andare al primo banco vuoto quando mi gela dicendo «Prima parlaci un po' di te».
Cosa? No, ma devo proprio?
Se te l'ha chiesto.
Qualcuno ha chiesto a te qualcosa, invece?
«Ok» poi faccio una pausa piuttosto lunga, quasi troppo «Mi chiamo Krystal Matthews, mi sono trasferita con la mia famiglia per motivi lavorativi di mio padre, prima abitavo a Londra. Spero di poter andare d'accordo con tutti voi» e con questa falsità orrenda inizio la mia breve presentazione piena di ulteriori falsità studiate apposta per uscire da queste situazioni di forzata socialità che odio. Mentre parlo, Jessica va a sedersi in un angolo da sola. Perché?
Al suono del mio cognome, come potevo immaginare, tutti iniziano a bisbigliare, mi squadrano meglio, ritornano a bisbigliare ed il mio viso inizia magicamente a venire associato ad uno degli uomini più influenti nel mondo degli affari.
Mio padre è davvero molto conosciuto qui a Miami, e mi sta rovinando la vita. Ormai non posso avere degli amici senza che intervenga il nome della famiglia a rovinare tutto.
Anche qui ricomincia l'incubo. Odio quell'uomo.
Cerco di non far vedere l'irritazione e chiedo alla prof «Così è sufficiente?»
«Sì certo. Ora puoi andare a sederti. Riprendiamo la lezione»
Il primo banco libero in cui mi lascio cadere è in terza fila. Da qui osservo. Affianco dalla parte della finestra c'è un ragazzo davvero molto carino: occhi verdi chiarissimi e capelli castani, un bel sorriso ma non il mio tipo, ha il viso troppo pulito.
Lo vorresti coi brufoli?
Non in quel senso, cretina.
«Io sono Ryan. Spero diventeremo amici»
Mi fa un fantastico sorriso ma io ricambio appena. Però sembra simpatico e gentile.
«Allora, sei davvero una Matthews?» mi delude continuando.
«Sì» dico scocciata «Ma non siamo figli di papà come tutti credono» chiarisco.
«Lo avevo capito subito da quando sei entrata, dal tuo modo di fare» e mi sorride di nuovo «Tranquilla, so come ci si sente, io sono un Johnson»
Ora che ci penso anche Johnson è un cognome conosciuto, l'ho sentito nominare durante uno di quei pallosissimi pranzi di mio padre di qualche tempo fa a cui puntualmente siamo stati costretti ad andare per dimostrare al mondo quale fantastico genitore è e quale splendida famiglia ha coltivato.
Però, che memoria.
Spero solo che andando avanti non si riveli come la biondina.
La classe non è molto ampia, motivo per cui siamo in banchi da tre.
«Come mai sei arrivata dopo un mese dall'inizio della scuola?» La curiosità del mio compagno di banco colpisce.
«Diciamo che ho avuto dei problemi con la scuola dove mi ero iscritta quest'anno» e si accontenta della mia risposta anche se è evidente dai suoi occhi che vorrebbe fare altre domande.
La lezione passa molto tranquilla tra chiacchiere con Ryan e battute scadenti sul modello «Volevo andare in vacanza sulla Luna, ma è piena!»
«Prof., posso andare in bagno?» supplico, ormai esasperata.
«Certo» sotto le risate di Ryan me ne esco dalla classe, mi dirigo verso un bagno, entro in una cabina e mi accendo una sigaretta.
Non fumo mai, ma ne sento la necessità: è difficile uscire da giri come quello.
La finisco e butto il mozzicone nell'acqua quando sento la campanella suonare, mi lavo la faccia con acqua gelida e ritorno in classe.
Giuro che se dovrò passare i prossimi anni così mi butterò a breve dal tetto della scuola.
Jessica è uscita in fretta e furia anche se, da quel che avevo capito, dovevamo pranzare insieme. Mi faccio accompagnare in mensa da Ryan ed appena arrivati lui va dal suo gruppo di amici, quasi tutti della squadra di basket della scuola di cui fa parte, e si vede dal fisico molto, ehm, tonico.
Allora lo hai guardato bene nonostante non fosse il tuo tipo, eh?
Ho detto che non è il mio tipo, non che non fosse bello.
Anche a Londra ci sono le squadre del liceo, ci sono abituata, ma negli States la squadra è sempre seguita da qualcosa che non sono abituata a vedere, le cheerleader.
La mensa è molto grande, ma qualcuno nonostante tutto preferisce il grande giardino e molti sono sotto l'ombra degli alberi con il loro vassoio sulle ginocchia, che ridono col proprio gruppo, quanto mi manca.
Abbandonata da Ryan impegnato a parlare di taglia fuori e tiri in sospensione, gironzolo e trovo Jessica. È sola al tavolo, ancora.
«Ehi»
«Ciao» mi dice mettendo su un sorriso in fretta. Sono sicura che prima avesse la faccia triste e persa.
«Come mai sola?»
«Niente di che. Come è andata la lezione?«
«Abbastanza bene e il mio compagno di banco è stato gentile, ma fa battute orrende»
«Chi? Non ho visto»
«Ryan. Johnson»
Si illumina.
«Davvero? Beh, Ryan è davvero un bravo ragazzo e non mi sorprendo, ma non ce lo vedo con te o almeno non ti ci vedo con la sua compagnia. Li conosco, non mi piace il suo gruppo, sono tipi che odio, presuntuosi fino al midollo. Per non parlare delle cheerleader, non so lui cosa ci faccia con tipi così» parla un po' a ruota libera, finalmente.
«Ehm si, hai ragione» ridacchio un po' imbarazzata dopo essermi sorbita questo flusso di coscienza più simile ad una inondazione. Ha detto più parole in questi cinque minuti che nelle precedenti due ore, con una strana luce negli occhi mentre parlava del mio nuovo compagno di banco.
«Però mi piacerebbe averlo come amico, sembra un ragazzo a posto» dico, e parlando scopro che lei lo conosce perché suo fratello è il migliore amico di Ryan.
Il pranzo sereno però è interrotto dall'arrivo della stessa bionda finta che avevo beccato a minacciare Jessica. Mi accendo come pronta ad un nuovo scontro, ma lei non si ferma e punta al tavolo di Ryan e si siede sulle gambe di un ragazzo, capisco che fa parte anche lei delle cheerleader. Dire che lo bacia non rende giustizia a quel deprimente spettacolo, gli mangia la faccia senza ritegno, sembra un cane a cui si tira l'osso a fine pasto. Però quel ragazzo sembra davvero bello anche visto da lontano, cerco di vederlo meglio ma la bionda è tutta spalmata sulla sua faccia.
Poi la gallina mi vede, o forse fa finta di vedermi per la prima volta, si stampa in faccia un patetico sguardo d'odio e capisco di essermi già fatta un'altra "amica". Mi indica al suo gruppetto, dice qualcosa poi si alza e si dirige verso di noi.
Ryan Johnson---> Dean Geyer
Jessica Emilton---> Olivia Holt
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