Cαριƚσʅσ 6
La stazione di Daegu, come tutte le stazioni, era uno di quei luoghi "non luoghi", posti mai vissuti veramente da qualcuno, siti di passaggio in cui tutti sostano, ma dove nessuno resta.
Jisoo li aveva sempre trovati estremamente affascinanti nelle rare volte in cui si era ritrovata lì, seduta ad attendere una nuova partenza.
Osservava la gente di passaggio, il loro aspetto, i bagagli che trasportava, il modo in cui la massa si muoveva tra i binari, chi correndo e chi più lentamente, creando un frenetico viavai.
Le piaceva immaginare da dove provenissero e dove fossero diretti, se si trovassero a Daegu per affari o per motivi personali.
Amava osservare in disparte i saluti che si rivolgevano i viaggiatori con i loro accompagnatori: c'era chi si lasciava con un semplice gesto della mano e chi, invece, si scambiava lunghi baci e abbracci prima di salire sul vagone, segno che il tempo che li avrebbe tenuti separati non sarebbe stato breve.
Per raccontare la varietà della vita e dell'umanità sarebbe bastato stare lì ogni giorno, seduta esattamente su quella panchina di cemento, dove ora stava sostando, a osservare in disparte.
Forse lo avrebbe fatto, se fosse stata un'altra, se la sua vita fosse stata diversa, se...
I suoi pensieri confusi vennero interrotti da due piccole mani che le si erano poggiate su un ginocchio.
Si girò di scatto e vide una bambina di circa tre anni, con un buffo impermeabile rosa e due codine sparate a destra e a sinistra, che l'osservava con gli occhi grandi e birichini.
«E tu chi sei?», le domandò Jisoo,
intenerita da quel piccolo fagotto.
«Haru, dove vai? Non disturbare la signorina!», esclamò una donna, che doveva essere la madre della
bambina.
Jisoo alzò lo sguardo e si accorse che la ragazza era molto giovane, forse ancora più di lei.
Ed era già madre, mentre lei a quasi trentun'anni, non aveva ancora ben chiaro nemmeno se la sua vita le piacesse o meno.
«Nessun disturbo, figurati!», la rassicurò lei, dandogli subito del tu.
La ragazza le sorrise, afferrando la piccola mano della figlia, che però non aveva alcuna intenzione di allontanarsi da Jisoo.
«Non riesco a starle dietro!
Un attimo di distrazione e si allontana.
Haru tesoro, dobbiamo andare, sta per arrivare papà!»
Jisoo osservava la piccola, che dal canto suo la guardava incuriosita, facendole grandi sorrisi.
Poi la bambina venne attratta dal suono dell'altoparlante, che annunciava l'arrivo di un treno proveniente da Seoul.
Si staccò rapidamente dal ginocchio di Jisoo e si lasciò condurre dalla mamma che la teneva per mano.
«Buona giornata!», le disse la donna, prima di allontanarsi verso il binario.
«Anche a voi! Ciao Haru!», le salutò Jisoo con la mano, mentre la piccola si era girata di nuovo a guardarla.
Le osservò sostare poco più in là, ad attendere quello che doveva essere il papà.
Difatti, dopo pochi secondi, scese un uomo elegante, in giacca e cravatta, che prima diede un dolce bacio alla moglie e poi sollevò la bambina, tenendola in braccio.
Jisoo rimase a fissarli sognante.
Aveva sempre amato i bambini, ma ultimamente si stava accorgendo di non poter fare a meno di notarli in ogni posto in cui si recasse.
Ne ammirava le espressioni buffe, i sorrisi, i movimenti goffi e sentiva crescere sempre più in lei un bisogno di affetto, di maternità.
Con Taehyung avevano sempre parlato di bambini in senso astratto, avevano immaginato di averli un giorno, in un futuro non ben precisato, ma mai concretamente.
E, ora come ora, per loro stava diventando difficile incontrarsi durante la giornata, figuriamoci sotto le coperte.
Lui tornava a casa sempre più distrutto e, il più delle volte, Jisoo era già a letto immersa nel sonno.
Nel dormiveglia lo sentiva distendersi accanto a lei, per poi addormentarsi profondamente quasi nell'immediato.
Quello non era di certo il momento giusto per avere un bambino, sebbene una parte di lei lo desiderasse con tutta sé stessa.
Intanto, i viaggiatori del treno proveniente da Seoul stavano man mano scendendo dal vagone e gli occhi di Jisoo si poggiarono su un volto noto, che si stava guardando intorno in cerca di qualcuno, o per meglio dire, in cerca di lei.
Si alzò di scatto dalla panchina e cominciò a sollevare il braccio destro per attirare la sua attenzione, andandogli incontro.
La gioia si impossessò di lei, stampandole sul volto un ampio sorriso.
«Ehi bellezza!», esclamò Jimin, allargando le braccia verso Jisoo.
«Bentornato!», fece lei, lasciandosi stringere in un forte abbraccio che sapeva di casa.
Le era mancato così tanto.
Con Jimin il tempo sembrava sempre interrompersi al loro ultimo incontro, come se si fossero visti fino al giorno prima.
Si staccarono e Jisoo notò che si era lasciato allungare un po' i capelli, che gli ricadevano ordinati ai lati del viso, rendendolo più attraente del solito.
«Stai bene!»
«Parli del mio cambio look?
Avevi dubbi? Io sto sempre bene!», ribatté lui da vero narciso quale era.
«Ok Mr. modestia, mi scusi! Andato bene il viaggio?», gli chiese, iniziando a camminare lungo il binario.
«Sì, mi sono rilassato, ho dormito un po'. Tae?»
«Ci aspetta al locale», rispose Jisoo frettolosamente.
Uscirono dalla stazione e salirono in macchina, immettendosi nel traffico della città.
«Sto facendo una lista mentale», esordì Jimin, allacciandosi la cintura.
«Una lista di cosa?»
«Di tutto ciò che potrò chiederti in cambio, dopo questo favore!», esternò placidamente l'amico.
Jisoo alzò gli occhi al cielo, consapevole che avesse ragione.
La sua era stata una richiesta repentina, una questione di vita o di morte.
Un tentativo disperato di salvare il salvabile.
Più trascorrevano i giorni, più si stava rendendo conto che i lavori di allestimento del K stavano andando a rilento, impattando inevitabilmente sull'umore di Taehyung.
Aveva la netta sensazione che stesse navigando in alto mare, annaspando per cercare soluzioni nel più breve tempo possibile.
Il peso di quel nuovo progetto da terminare, sommato al suo impegno costante all'ON, lo stavano esaurendo.
Jisoo non poteva più vederlo in quelle condizioni: rivoleva il suo Taehyung, il tempo da trascorrere con lui, la loro vita insieme.
E così a mali estremi, estremi rimedi, aveva deciso di contattare l'unica persona che in quel momento poteva risolvere la situazione e salvare la loro relazione: Jimin.
L'aveva chiamato una sera, spiegandogli in quali condizioni versasse il locale, dicendogli che Taehyung aveva bisogno dell'intervento di un esperto, anzi del migliore architetto in circolazione, cercando di far leva sull'ego smisurato dell'amico.
Jimin era riuscito a spostare tutti i suoi impegni lavorativi e personali e, nemmeno una settimana dopo, era partito in direzione Daegu, in suo aiuto.
Jisoo stava guidando concentrata sulla strada, percependo però la strana sensazione di essere osservata.
Mosse lo sguardo a destra, scoprendo che Jimin la stava scrutando attentamente.
«Che c'è?», gli chiese, presa alla sprovvista.
«Tae sa del mio arrivo, vero?», domandò lui, continuando a fissarla.
Jisoo deglutì colpevole, ma tentò di simulare disinvoltura.
«Certo! Che domande sono? Ci aspetta al K»
«E come mai non mi ha mai contattato per spiegarmi le varie problematiche? Le modifiche da apportare? Una stima sui costi?», continuò Jimin, sempre più inquisitorio.
«Te l'ho detto, in questo periodo è molto impegnato e gli sarà sicuramente passato di mente.
Avrà pensato che ne potevate parlare di persona quando saresti arrivato...»
«Jisoo, uno dei tuoi più grandi difetti è quello di non saper dire le bugie»
1 a 0 per Jimin. Colpita e affondata.
«Va bene. Mi dispiace, sono stata una cretina a non averti detto la verità», ammise lei, con lo sguardo dispiaciuto dritto di fronte a sé.
«E quale sarebbe?», la esortò Jimin.
«Tae non sa niente perché è troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di una mano.
Ma è diventato tutto insostenibile, per lui, per me, per noi!
Quindi ho pensato che dovevo intervenire in qualche modo e mi sei venuto in mente tu»
«Ok, ma potevi dirmelo subito, avrei capito! È così grave la situazione?», le chiese comprensivo.
«Bisogna incollare la carta da parati, passare più mani di vernice, preparare il carton gesso...»
«Non mi riferivo ai lavori. Intendevo tra te e Tae», la interruppe Jimin.
Jisoo sentì un tonfo al cuore, come se fosse scivolato dalla sua cassa toracica e si fosse perso nelle viscere.
Non aveva mai ammesso a nessuno che ultimamente la loro storia stesse vivendo un periodo difficile, né con sua madre e con sua nonna, né con le sue migliori amiche.
Era convinta fosse una fase di passaggio e relegava i suoi malumori e timori in un angolo dell'anima, silenziandoli, non volendoli vedere.
Jisoo era fatta così, lo era sempre stata.
Anche con Suho per molto tempo aveva fatto fatica ad ammettere che qualcosa non andasse e aveva continuato a sperare, a fare progetti.
Ma Suho non era Taehyung, non voleva nemmeno compararli.
Taehyung era la sua casa, la sua linfa vitale, il suo tutto.
Era talmente così tante cose, che il solo pensiero di perderlo le faceva mancare l'aria.
Eppure in quel periodo la distanza che li separava sembrava strapparlo sempre più da lei, pezzettino dopo pezzettino.
«È un periodo molto impegnativo lavorativamente sia per me che per Taehyung, ahimè. E la nostra relazione ne sta un po' risentendo», disse sinceramente.
«Normale amministrazione, ci sta.
Io e Yoongi, ci siamo tirati i piatti fino a pochi giorni fa. Lo stare un po' lontani servirà a far tornare la calma», fece Jimin ironico.
«Come mai?», chiese Jisoo, ridendo.
«Oh beh, visioni contrastanti su quanti debbano essere gli invitati»
«Gli invitati a cosa?»
Seguì un attimo di silenzio, una suspence inattesa che pervase l'abitacolo dell'auto.
Poi Jimin si schiarì la voce e disse:
«Al nostro matrimonio»
«Cooosa?», fece Jisoo, stringendo saldamente il volante per evitare di sbandare.
«Te lo avrei voluto dire in modo diverso e in un altro momento, ma sì, abbiamo intenzione di fare il grande passo!»
«Jimin, ma è meraviglioso! Sono tanto contenta per voi!», esclamò Jisoo, tentando di non prestare troppa attenzione al sinistro senso d'invidia che sentiva covarle nel profondo.
Si odiava per quella fastidiosa sensazione, perché voleva sinceramente bene sia a Jimin che a Yoongi e si augurava per loro solo il migliore dei futuri.
Tuttavia, la vita continuava a sbandierarle in faccia un'amara verità: quanto lei fosse ferma e quanto invece gli altri continuassero a concretizzare qualcosa, a fare progetti, a crescere, in un certo senso.
Presa da quel vortice di pensieri e sensazioni, quasi non si accorse di essere giunta a destinazione.
Parcheggiò poco distante dal K e tirò il freno a mano.
«Arrivati», annunciò con poco entusiasmo.
«Ascolta, facciamo così: diciamo a Tae che ci eravamo sentiti per telefono, che tu mi hai parlato a grandi linee del nuovo locale e che poi sono stato io stesso a propormi di venire a dare una mano, visto che sarei tornato a Daegu a trovare i miei. Che ne pensi?»
«Jimin, non voglio che tu menta per me»
«Ah! Ancora questa visione retrograda della menzogna! Un'omissione ogni tanto non fa male a nessuno. Fidati di me!», le disse facendole l'occhiolino.
«Grazie. Per tutto... », gli fece lei, guardandolo negli occhi.
«Oh cara, troverò un modo per farti perdonare! Stanne certa!», esclamò Jimin prima di scendere dall'auto.
Si avvicinarono al locale, mentre il cuore di Jisoo pompava nel petto, spargendo in ogni angolo del suo corpo il senso di colpa che la stava attanagliando.
Bussò al vetro, trattenendo il respiro.
La porta si spalancò e Hyunjin comparve di fronte a loro: capelli sempre più lunghi, piercing al labbro inferiore e solita aria strafottente.
« 'Giorno», lo salutò Jisoo, felice di trovarsi davanti il cognato, piuttosto che Taehyung.
«Ehi! Ciao Jimin, come stai?», salutò Hyunjin, con un tono di voce squillante che rimbombò nella sala deserta.
«Non mi lamento! Si può?», chiese l'amico.
«Jimin?», fece una voce profonda, proveniente dall'interno del locale.
Jisoo perse un battito, sperando che il suo volto non mostrasse quanto in quel momento si stesse sentendo colpevole.
«Buongiorno amico!», esclamò Jimin, entrando con disinvoltura.
Jisoo lo seguì in silenzio, mentre Hyunjin chiuse la porta alle loro spalle.
Taehyung era di fronte a loro, in tuta, con un'espressione sorpresa e al tempo stesso indecifrabile.
Le scoccò un'occhiata silenziosa, per poi concentrare tutta la sua attenzione su Jimin.
«Che ci fai qui?», gli chiese, dandogli una grande pacca sulla spalla.
«Dovevo venire a trovare i miei nel weekend e ne ho approfittato per sentire Jisoo. Mi ha detto che sareste stati impegnati qui e così mi sono offerto per dare una mano. Che ne dici?», disse Jimin tranquillo, senza far trapelare nessuna esitazione.
«Oh, grande! Sì, sì, perfetto! Come vedi siamo un po' in alto mare... », esclamò Taehyung, con un tono di voce che Jisoo non seppe decifrare.
Non capiva se la presenza di Jimin gli facesse piacere o lo stesse infastidendo.
L'aveva volontariamente ignorata, come se lei non ci fosse, come se Jimin fosse arrivato da solo.
Si sentiva tremendamente a disagio e si stava torturando le mani, immerse nelle tasche della giacca.
«Tranquillo, non mi sembra un' impresa impossibile. Mi sono imbattuto in casi molto peggiori.
Spiegami quali erano i vostri progetti e iniziamo!», lo rassicurò Jimin, guardandosi intorno.
Jisoo li lasciò discutere, sedendosi in disparte in un angolo della sala.
Osservò Taehyung illustrare all'amico la visione di ogni centimetro quadrato di quel locale, come se lui riuscisse a immaginarlo nitidamente nella sua testa.
Jimin ascoltava in silenzio e annuiva, serio e professionale, come Jisoo non lo aveva mai visto prima.
Dopo più di mezz'ora di spiegazioni e progetti, Jimin esordì dicendo:
«Io inizierei dal pavimento e dal carton gesso. In modo tale che domani saremo pronti per dipingere anche quest'ultima parete»
«Bene! Fumo una sigaretta e arrivo, ok?», gli chiese Taehyung, con aria eccitata.
Jisoo lo vide più rilassato e tranquillo, come se la presenza di Jimin lo avesse rincuorato.
«Vai pure. Io intanto prendo qualche misura di riferimento»
Jisoo seguì con lo sguardo Taehyung, che uscì dal locale per accendersi una sigaretta.
Decise di raggiungerlo, per poter sondare il suo stato d'animo.
Le dava le spalle, mentre una nuvola di fumo saliva dalla sua figura.
«Ehi... », gli fece timidamente, cercando di cogliere la sua attenzione.
Lui si girò verso di lei, con un'espressione che Jisoo conosceva fin troppo bene: quella del risentimento.
Quando la guardava in quel modo era come se riuscisse a farla smaterializzare, a incenerirla, a renderla qualcosa d'inconsistente.
«Ce l'avrei fatta da solo, senza l'aiuto di nessuno», le disse freddamente.
«Tae... », tentò di ribattere lei, ma senza successo, perché lui con un gesto di stizza gettò la sigaretta a terra e le disse:
«Ne parliamo a casa. Ora ho da fare»,
per poi superarla e rientrare nel locale.
Eccomi! Ho ripreso il ritmo, sperando che Skinny love vi possa appassionare e tenere incollati allo schermo.
Se è così fatevi sentire, lasciate stelline e commentate!
Vi ricordo che sono attiva anche in direct se avete voglia di commentare in privato.
A presto con un nuovo capitolo❤️
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