Cαριƚσʅσ 33
Jimin aveva appena parcheggiato l'auto fuori dal rinomato locale.
Il ristorante Jungsik era uno dei ristoranti stellati della capitale, le cui grandi vetrate si affacciavano su una delle caotiche vie del quartiere di Gangnam.
Lui spense il motore per poi annunciare:
«Ci siamo...Pronta?»
«Assolutamente no», rispose Jisoo in tutta sincerità, con lo sguardo perso di fronte a sé.
Non sapeva dare una motivazione al suo stato d'animo, ma era certo che fosse particolarmente nervosa e avrebbe desiderato essere ovunque tranne che lì.
«E se adottassimo un piano di salvataggio? Decidiamo un codice segreto da usare in caso di emergenza!»
«Tipo?», chiese Jisoo curiosa.
«Un tic, qualcosa che possa far capire all'altro che è in difficoltà e ha bisogno di una mano»
«Tu non sarai mai in difficoltà», fece lei alzando un sopracciglio.
«Sì effettivamente riesco sempre ad essere a mio agio... ma è una dote che tu non hai! Quindi quando le cose si mettono male entro in gioco io e tadadan... problema risolto!», le disse spavaldo e sorridente.
Come sempre Jimin le stava offrendo il suo aiuto incondizionato, la sua mano sempre tesa ad afferrarla e sostenerla in qualsiasi momento.
La sua ancora di salvezza.
«Grazie, Jimin», fece Jisoo sincera.
«Mi ringrazierai a fine serata.
Quando senti di non farcela muovi quel bracciale e io intervengo!
Ti copro le spalle baby!», aggiunse facendole l'occhiolino.
«Andiamo o faremo tardi», lo redarguì Jisoo, aprendo lo sportello dell'auto.
Non fece in tempo a sentire la ghiaia del parcheggio scricchiolare sotto alla suola delle sue décolleté nere, che si sentì prendere a braccetto dal suo migliore amico.
Lo guardò sorpresa e lui con aria solenne le disse:
«Hai voluto un accompagnatore e avrai il migliore!»
Per l'occasione aveva indossato un completo nero, dal quale spuntava una camicia anche essa nera ma sbottonata, perché Jimin non tollerava le cravatte.
I capelli platino erano fluenti e pettinati ordinatamente, conferendogli un fascino magnetico.
Jisoo gli sorrise e strinse a sua volta il braccio di Jimin, aggrappandosi all'unica cosa certa in quel momento: la sua amicizia.
Cominciarono ad avanzare verso l'entrata del ristorante, sferzati dalla brezza frizzante di inizio febbraio.
«Respira», le sussurró Jimin, percependo il suo passo incerto.
«Ci sto provando», rispose Jisoo.
«Andrà tutto bene. Sei bellissima, sarai in grado di portare avanti ogni conversazione brillantemente e trascorreremo una piacevolissima serata bevendo champagne», cercò di tranquillizzarla lui.
Lei si limitò ad avanzare con il volto tirato e privo della benché minima espressione.
L'elegante abito in pizzo nero le sfiorava di tanto in tanto le caviglie nude, mentre la stola dello stesso colore le carezzava e le copriva le spalle.
Fecero il loro ingresso accolti dal personale di sala che subito li accompagnò verso i tavoli.
L'intero locale doveva essere stato affittato per l'evento.
Le luci erano basse, in sottofondo suonava una soffusa melodia jazz per nulla invadente.
I tavoli erano minimal, senza tovaglia, adornati solo da una piantina floreale al centro.
Rimasero impalati in disparte come se avessero sbagliato invito e non dovessero trovarsi lì.
«Ook... riconosci qualcuno?», le chiede Jimin in un sussurro.
«Solo di vista. Alcuni hanno partecipato alla mia presentazione di qualche settimana fa», rispose Jisoo facendo scorrere lo sguardo velocemente tra i capannelli di uomini in giacca e cravatta intenti a conversare.
«Hai intenzione di avvicinarti?»
«Per ora no», rispose Jisoo deglutendo e stringendo la pochette che teneva tra le mani.
Poi d'un tratto uno degli uomini che stava fissando da lontano alzò un braccio nella loro direzione.
Era il signor Lim, l'investitore che aveva voluto congratularsi con lei poche settimane prima.
«Ti hanno salutata dobbiamo andare», la esortò Jimin.
Le poggiò una mano dietro la schiena in modo da spingerla delicatamente ad avanzare.
«Domanda: come devo presentarmi? Come accompagnatore? Fidanzato? Toyboy?», le chiese Jimin sotto voce.
«Amico, semplicemente», rispose lei sorridendo tesa verso gli uomini di affari.
«Dottoressa Kim! Che piacere averla con noi questa sera!», l'accolse mellifluo il Mr. Lim.
Jisoo si limitò a piegare il busto in segno di rispetto.
«Conosce già i miei colleghi?
Il dottor Ghim, il dottor Chung e il dottor Pak»
I tre uomini sorrisero nella sua direzione cordiali.
«Stavamo prendendo qualcosa da bere, vi unite a noi, lei e il signor...?», chiese il dottor Lim puntando gli occhi curiosi su Jimin.
«Park. Park Jimin, signore»
«Si occupa anche lei di farmacologia come la sua fidanzata?», continuò a chiedere Lim, sistemandosi la cravatta celeste poggiata sulla pancia prominente.
«Io? No, no, per fortuna ... », rispose Jimin di getto, beccandosi le occhiatacce dei suoi interlocutori.
Poi, capendo di aver appena fatto una gaffe aggiunse: «Voglio dire, fortunatamente per la società e per l'industria farmacologica mi occupo di tutt'altro. Sono un architetto, specializzato in interior design e un semplice amico della dottoressa Kim», aggiunse con aria formale e solenne.
Gli uomini d'affari apparvero stupiti e sinceramente colpiti, tanto da iniziare a porgli domande di genuino interesse riguardanti il mondo del design.
Jisoo non sapeva come, ma era riuscito a trasformare una battuta mal riuscita in un successo.
Quell'attimo in cui i riflettori erano puntati su qualcun altro e non su di lei, le servì per guardarsi attorno alla ricerca di un volto amico.
Notò il movimento di alcuni partecipanti verso l'entrata da cui lei e Jimin erano appena arrivati.
Si chiese cosa li stesse attraendo e la risposta le si parò davanti in tutto il suo carisma: Jung Haein stava facendo il suo ingresso nella sala, seguito da suo cugino.
Era avvolto in un lungo cappotto nero, le scarpe lucide, i capelli corti e pettinati come sempre.
Le mani forti pronte a stringere, l'andatura sicura ed elegante, lo sguardo fermo e impassibile di chi conosce il proprio valore.
Jisoo si accorse di essere rimasta impalata a guardarlo, mentre lui sembrava non essersi nemmeno accorto della sua presenza, impegnato a salutare colleghi e imprenditori.
«Jisoo?», la destò la voce di Jimin, che pose subito lo sguardo nella direzione in cui lei stava guardando.
«Ah, adesso capisco... », commentò subito dopo.
Jisoo intercettò una rapida occhiata di Haein verso di lei che la spinse a distogliere subito il contatto visivo e tornare presente a sé stessa.
«Dovremmo trovare il nostro posto a tavola», si limitò a bofonchiare, allontanandosi da lì.
L'amico la seguì in silenzio, stranamente senza fare alcun commento.
Trovarono i loro nominativi stampati in una sottile calligrafia su un elegante segnaposto di cristallo e si misero a sedere.
Jisoo non poté fare a meno di notare che si trovava dalla parte opposta della tavolata rispetto al CEO.
Non l'aveva salutata, solo uno sguardo fugace, come quelli che si concedono alla tappezzeria.
Era inutile negarlo: il comportamento di Haein nell'ultimo periodo l'infastidiva, ma ciò che la turbava di più era il non riuscire a dare un nome al vortice di pensieri e sensazioni che le scatenava.
Un cameriere in livrea si piegò verso il tavolo e iniziò a riempire i calici di vino, bianco e rosso.
Quando tutti ebbero da bere, il presidente della PharmaJ si alzò richiamando l'attenzione dei presenti.
«Buonasera a tutti. È un piacere avervi qui. Io e mio cugino Jun, volevamo augurarvi buona serata. Parlate di lavoro e di affari, ma ricordatevi anche di apprezzare le sublimi pietanze del ristorante! Buon appetito», disse stretto in un doppio petto grigio scuro.
La mano sinistra immersa nella tasca dei pantaloni e la destra protesa verso di loro, intenta a sorreggere un calice.
Jisoo deglutì e si mise a sorseggiare subito del vino bianco.
Arrivarono le prime portate, di quelle che occupano un quarto del piatto ma che sono scenicamente allettanti.
I commensali iniziarono ad immergersi in fitte conversazioni a cui Jisoo pareva del tutto estranea.
Jimin tentava di tanto in tanto di farla distrarre parlando del cibo, invitandola ad assaggiare quello che lo aveva colpito di più, ma a lei sembrava tutto insapore.
Si sentiva imprigionata in una situazione che le andava stretta e che non le si addiceva. Si domandava solamente cosa c'entrasse, senza trovare risposta alcuna.
Non sapeva che argomenti affrontare, non sapeva niente di business o di accordi economici.
Era solo la dipendente di una multinazionale, di cui ancora conosceva ben poco.
Si sentiva parte del mobilio, un bell'oggetto di arredamento che tutti notano ma che nessuno si ferma ad osservare.
I suoi pensieri cupi e pessimisti vennero interrotti dalla voce del dottor Lim, seduto di fronte a lei:
«Dottoressa, quindi è ufficiale: inizia la fase sperimentale del nuovo farmaco!»
Jisoo venne presa così alla sprovvista da puntare gli occhi allarmati su Jimin, che non poté far altro che ricambiare lo sguardo.
«Come scusi?», riuscì a chiedere, sentendo in un attimo la mancanza di salivazione.
«Il sonnifero che ci ha presentato settimane fa. Inizierà la fase 1 a breve.
Non ne era al corrente?»
«No...», rispose in tutta sincerità Jisoo. Poi vedendo il suo interlocutore confuso, si affrettò ad aggiungere:
«Ma è un'ottima notizia...ne sono contenta»
Quindi aveva capito bene: il suo progetto, la sua formulazione, la sua prima sfida era andata in porto.
Una prima soddisfazione, il segno
che finalmente il suo approdo alla PharmaJ aveva portato a qualcosa.
Un istinto atavico, a cui non seppe opporre resistenza, la portò a posare gli occhi verso Haein.
Era immerso in una fitta conversazione con l'uomo seduto alla sua destra, troppo distante e impegnato per ricambiare il suo sguardo.
Non le aveva detto niente.
Perché non comunicarle quella bella notizia? Perché non riconoscerle il duro lavoro svolto?
Qualcosa tra loro era cambiato e il supporto che lui aveva avuto da sempre nei suoi confronti era scomparso, soppiantato da una formale indifferenza.
«Complimenti, non avevo dubbi che ce l'avresti fatta», le sussurrò Jimin al suo fianco, stringendole la mano sotto il tavolo.
Jisoo si limitò a distogliere lo sguardo dal CEO e ad abbozzare un mezzo sorriso.
In quel momento quello che le stava pesando di più era il fatto che l'atteggiamento di Haein nei suoi confronti le stava rovinando quello che doveva essere un momento memorabile: ce l'aveva fatta, doveva essere fiera di lei e della sua caparbietà e invece tutto ciò che sentiva era solo un senso di fastidio che non sapeva ben decifrare.
La cena continuò a scorrere lenta e priva della benché minima partecipazione di Jisoo che continuò ad avvertire costantemente del disagio e il desiderio di tornare a casa il prima possibile.
Le portate principali erano state consumate e gli ospiti attendevano solo l'arrivo del dessert, che sarebbe stato servito a mo di buffet.
Jisoo e Jimin se ne stavano in piedi, appoggiati al muro, osservando gli altri commensali in disparte.
«La serata si è rivelata diversa da quanto ti aspettavi?», le chiese ad un tratto Jimin diretto, lontano da orecchie indiscrete.
«No, purtroppo me l'immaginavo esattamente così. Anzi, scusa se ho trascinato qui anche te», rispose Jisoo con una nota amara nella voce.
«Ho scroccato una cena in un ristorante stellato che non mi sarei mai potuto permettere. Non mi è andata poi così male. E a dirla tutta nemmeno a te: non hai dovuto nemmeno usare il nostro codice segreto sos», disse facendole tintinnare il braccialetto al polso.
Jisoo si dimostrava impassibile e restia ad ogni input, così Jimin continuò:
«Lavori per l'azienda da quanto? Due mesi? Ed è già stato lanciato un tuo prodotto!»
«Prima che venga portato sul mercato passerà ancora molto tempo... deve superare tutte le fasi di sperimentazione in laboratorio. Test su test, riformulazioni ...»
«Ok, ma un giorno non troppo lontano saremo tutti stesi dal tuo sonnifero e io potrò vantarmi che la sua inventrice è la mia migliore amica!», ribatté Jimin nel vano tentativo di tirarle su il morale.
La cappa d'inquietudine che aveva coperto Jisoo non sembrava volersi diradare.
«Sai che dovresti, per una volta, essere felice di te stessa?», la incalzò Jimin.
Jisoo sentì gli occhi lucidi; erano espressione della rabbia che sentiva per non riuscire a vivere mai bene niente.
«E soprattutto...non sentirti in colpa», le sussurrò.
«Non c'è nulla di male se sei attratta da qualcuno che non è Taehyung.
È giusto che tu vada avanti»
Aveva pronunciato quella frase con estrema dolcezza e delicatezza, eppure sembrava che ogni singola parola avesse trafitto Jisoo come una serie di piccole lame appuntite e fatali.
In quell'esatto momento Haein attraversò la sala, seguito da uno stuolo di persone e i loro occhi si incrociarono per una frazione di secondi.
Jisoo si sentì accartocciare, come se qualcuno le avesse afferrato le viscere e si fosse divertito a spostarle a suo piacimento.
Bastò quell'attimo per farle sentire la verità delle parole di Jimin e il senso di colpa che la stava divorando.
Non poteva accettare quella scomoda verità: stava pensando ad un altro, un altro totalmente diverso da lui.
Era come se sentisse di tradire Taehyung o la memoria di ciò che erano stati. Come se con quell'incrocio di sguardi avesse deciso di dire basta e cancellarlo definitivamente dalla sua vita.
Il trillo del cellulare di Jimin la destò da quei pensieri.
«Devo andare», annunciò di botto il suo migliore amico, dopo aver letto qualcosa sul display e aver riposto il telefono nella tasca dei pantaloni.
«Come? Dove?», gli chiese sorpresa Jisoo.
«Quelli del corso di pilates mi hanno chiesto di raggiungerli», rispose sbrigativo lui, con tutta l'aria di volersi congedare il prima possibile da quel posto.
Jisoo non volle indagare: gli amici del corso di pilates continuavano ad essere la scusa perfetta per gli strani impegni di Jimin.
«Ti dispiace se ti lascio? Ce la fai a chiamare un taxi?», le chiese preoccupato.
«Non ti preoccupare, so cavarmela»
«Scusa tesoro! Ci vediamo più tardi a casa!», fece Jimin prima di scoccarle un bacio sulla tempia e avviarsi verso l'uscita.
Jisoo si ritrovò sola ad osservare apatica gli altri partecipanti impegnati in fitte conversazioni a cui lei non aveva la minima intenzione di partecipare.
Haein era scomparso e lei voleva solo silenziare il ronzio dei pensieri che le frullavano per la testa e tornare a casa.
Recuperó il cappotto, se lo infilò e senza avvisare nessuno della sua partenza, prese la porta e uscì in strada.
Il freddo di quella sera la pervase, mentre l'aria calda che usciva dai suoi polmoni cominciava a creare leggere scie di fumo.
Stava riflettendo su quale fosse il numero da contattare per chiamare un taxi quando una voce maschile alla sue spalle la costrinse a voltarsi:
«Signorina Kim!»
Gihun, l'autista di Haein era di fronte a lei a pochi passi dalla sua inconfondibile auto nera.
«Buonasera... », rispose Jisoo colta di sorpresa.
«La cena è terminata?», le chiese indicando l'entrata del locale.
«Sì... o meglio, no. Io sono molto stanca e preferisco tornare a casa»
«Le serve un passaggio?», chiese prontamente l'uomo.
«No, ora chiamo un taxi, ma grazie per l'offerta»
«Sicura? È sabato sera. Dubito che lei possa trovarne uno in breve tempo. Ed è veramente freddo!»
Jisoo lo guardò combattuta ma il terrore di rimanere lì fuori per un tempo indefinito la fece cedere.
«Beh effettivamente se fosse così gentile da accompagnarmi a casa...»
«Certo, salga pure in macchina. Conoscendo il dottor Jung dovró tornare a prenderlo tra almeno un'ora»
Jisoo con un po' di imbarazzo si avvicinò all'auto e salì sui sedili posteriori.
«Dovrei avere il suo indirizzo di casa ancora impostato sul navigatore... », fece Gihun, cominciando a smanettare sul display dell'auto.
«Trovato! Possiamo andare», le annunciò un secondo dopo per poi immettersi nel traffico.
Jisoo cominciò a vedere scorrere le luci della città e affondò il corpo sui morbidi sedili in pelle alla ricerca di un po' di relax.
«Daegu vero? Ho riconosciuto l'accento», le chiese dal nulla l'autista.
«Sì vengo da lì»
«Io sono di Gyeongju. Non siamo poi così distanti», le disse sorridendole amichevolmente dallo specchietto retrovisore.
«Lei invece non ha la minima inflessione», notò Jisoo.
«Vivo da vent'anni qui a Seoul.
È una città che mi ha dato tanto, a Gyeongju non avevo prospettive.
Però mi sono ripromesso di passare la vecchiaia a casa, nella mia campagna.
Seoul è troppo caotica per un vecchio.
E poi ogni volta che torno capisco che è lì che devo tornare», disse con una nota di malinconia nella voce.
Jisoo avvertì il senso di nostalgia che le affiorava nel petto ogni qualvolta pensava a Daegu e alle sue origini.
Sapeva che la scelta di allontanarsi era stata la sua e di nessun altro, ma spesso pensava a quella partenza come ad uno strappo, uno scippo, un'azione violenta che l'aveva allontanata da tutto ciò che le apparteneva e che aveva di più caro.
Chissà se un giorno anche lei avrebbe sentito l'esigenza di tornare a ciò che era sempre stata, ai suoi luoghi e ai suoi affetti.
Ora come ora viveva in due mondi che sembravano non appartenerle più.
Si accorse di riconoscere le strade che, veloci, le passavano accanto proiettate dai finestrini dell'auto: cominciava a orientarsi, a capire gli itinerari e le scorciatoie più brevi.
Seoul pian piano la stava accogliendo, nonostante lei continuasse ad esercitare una certa resistenza.
Ambientarsi significava chiudere le porte al passato e abbandonarsi al presente.
"È giusto che tu vada avanti"
La frase di Jimin continuava a ronzarle nelle orecchie e nel cuore.
Un peso nel petto la costrinse ad abbassare lo sguardo e a guardare le mani intrecciate sul grembo.
Non poteva opporsi al cambiamento, stava semplicemente procedendo nel cammino che il destino stava tracciando per lei.
Anche se questo voleva dire abituarsi all'assenza di Taehyung.
«Signorina, siamo arrivati», annunciò Gihun, fermando lentamente l'auto al bordo della strada.
Jisoo alzò gli occhi, sorpresa di trovarsi già a casa.
«Non so come ringraziarla», disse, rivolgendosi all'autista.
«Non c'è di che», fece lui bonario.
Jisoo aprì lo sportello ed uscì dall'auto.
«Ah signorina!», la chiamò Gihun, mentre era intenta a cercare le chiavi di casa nella borsetta.
Lei si avvicinò nuovamente alla macchina nera, abbassandosi all'altezza del finestrino.
«Questo è il mio biglietto da visita se mai avesse bisogno di un aiuto o di un passaggio», fece l'uomo allungandole un biglietto.
«Oh grazie! Buonanotte»
«Notte signorina», rispose Gihun con un mezzo sorriso, prima di rimettere in moto la macchina e ripartire.
Jisoo diede un'ultima occhiata alla strada, fece un profondo respiro e si diresse verso l'entrata del palazzo, cercando di lasciare tutti i suoi pensieri fuori dalla porta.
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