Cαριƚσʅσ 32
La febbre era passata, insieme ai giorni di convalescenza trascorsi tra il letto e il divano.
Antipiretici, pasti caldi e tanto riposo avevano prodotto i loro benefici e Jisoo era tornata al lavoro dopo circa tre giorni.
Ciò che invece non era per nulla passato era l'imbarazzo che provava ogni volta che incrociava per sbaglio il suo capo.
Quella pseudo confessione mentre era febbricitante di certo non era passata inosservata e aveva prodotto un disagio palpabile tra i due, che oramai facevano di tutto pur di non trovarsi vicini.
Erano trascorsi dieci giorni dalla sua presentazione e Jisoo si era accorta di aver visto Haein di sfuggita solo un paio di volte.
Nessun cenno, né riunione o caffè condiviso.
La frase che le aveva detto allora "Questo non cambierà il nostro rapporto lavorativo.
Comportiamoci come se questa conversazione non sia mai avvenuta", non sembrava poi essere così vera.
Erano tornati ad un semplice rapporto di lavoro: distacco e noncuranza.
Eppure Jisoo non riusciva a essere del tutto indifferente: le sembrava di aver perduto qualcosa, quella strana sintonia con Haein a cui non riusciva nemmeno a dare un nome.
Erano amici? Colleghi? Lui il suo mentore e lei la sua allieva?
Oppure l'aveva sempre
vista come una possibile preda e l'aver incassato un due di picche era troppo per lui?
Pensieri e riflessioni che continuavano ad arrovellarle la mente nonostante la sua volontà di silenziarli.
Quelle quisquilie senza senso dovevano lasciarla indenne.
Il CEO non voleva più regalarle quadri costosi, darle passaggi nella sua auto di lusso o invitarla a pranzo?
Beh, se ne sarebbe fatta una ragione.
Avrebbe continuato a svolgere le sue mansioni con la stessa serietà di sempre, perché dopotutto il motivo per cui si era trasferita e aveva stravolto la sua vita era proprio il lavoro, l'unica cosa veramente importante per lei in quel momento.
Era tarda mattinata quando Jisoo se ne stava da sola nel suo ufficio concentrata a capire un nuovo programma appena istallato, quando sentì bussare alla porta.
Senza neanche aspettare il suo permesso, la signora Park fece capolino.
«Buongiorno Jisoo.
Posso disturbarti per qualche minuto?», le chiese gentile come sempre.
Teneva stretta tra le mani un'agenda e si mise subito a sfogliarla alla ricerca di una pagina in particolare.
«Certo, mi dica pure», rispose lei, sfilandosi gli occhiali da vista una volta allontanato lo sguardo dallo schermo del pc.
«Si tratta del piano ferie di voi dipendenti. Dovreste maturare quattro settimane all'anno.
Preferenze?».
Jisoo alzò le sopracciglia sorpresa.
Non aveva la minima di idea di quali settimane scegliere per assentarsi.
Di solito si accordava sempre con Taehyung per organizzare qualche viaggio insieme o semplicemente per passare del tempo lontano da tutto e da tutti.
Ma ora era sola, a chilometri da casa e non aveva alcun programma in serbo.
«No nessuna. Prenderò i giorni scartati dagli altri».
«Sicura cara? Una volta fissati non potranno essere cambiati», l'avvisó la segretaria quasi con tono dispiaciuto.
«Sicura», rispose Jisoo un po' rassegnata.
Dopotutto quello era l'ultimo dei suoi problemi in quel momento.
«Ti arriverà per email il piano ferie una volta firmato e approvato dai piani alti», fece la signora Park, richiudendo con un gesto veloce l'agenda.
«Appena hai qualche giorno libero approfittane per cambiare un po' d'aria, stare sempre qui dentro non fa bene a nessuno», aggiunse con tono materno prima di uscire e chiudersi la porta dell'ufficio alle spalle.
Jisoo si limitò a fare un sospiro e inforcò nuovamente gli occhiali per proseguire il suo lavoro al computer quando di nuovo udì delle nocche bussare.
Pensò subito che la signora Park avesse dimenticato qualcosa da dirle, ma inaspettatamente si ritrovò di fronte Haein.
Sembrava impacciato, come timoroso di entrare in uno degli uffici della sua stessa azienda e di rivolgersi ad una sua dipendente.
«Posso?», le chiese.
«Dimmi... », balbettò Jisoo con un misto di ansia e nervosismo che non seppe decifrare neppure lei.
«Gli azionisti del progetto Ipno hanno proposto una cena di gala domani, in cui si parlerà fondamentalmente di lavoro.
Pensi di poter venire?», le chiese, dopo essersi schiarito la voce, visibilmente a disagio.
"Come faremo a continuare a lavorare insieme se non riesce nemmeno a rivolgermi parola?" , pensò Jisoo, prima ancora di riflettere sulla proposta appena ricevuta.
«Io?», fu tutto quello che riuscì a farfugliare.
Haein annuì con la testa.
«Hanno chiesto espressamente di te»
"Per un attimo ho pensato che l'invito venisse da lui... che stupida!"
«Sì,certo...ci sarò!», rispose decisa.
«Ristorante Jungsik, 20 e 30», disse facendo per andarsene, per poi aggiungere prima di uscire:
«Puoi portare chi vuoi, è stato conteggiato un posto in più per ogni partecipante... »
«Ok», fu tutto quello che riuscì a rispondere lei, presa alla sprovvista.
Haein fece una mezza smorfia, forse un tentativo di sorridere riuscito male e uscì definitivamente dall'ufficio.
Jisoo in attimo percepì che il disagio che l'aveva invasa fino ad un minuto prima era passato.
Perché, perché reagiva così?
Perché dopo la loro ultima conversazione a casa sua non riusciva a trattarlo per quello che era? Semplicemente il suo capo...e niente, nulla più.
La confusione che l'attanagliava non era certo lo stato d'animo migliore per affrontare quella cena.
Ci sarebbero stati tutti i maggiori investitori del suo progetto, le avrebbero fatto domande, avrebbe dovuto sostenere conversazioni importanti e lei doveva mostrarsi non solo all'altezza ma anche superare la tensione che c'era tra lei e Haein.
Troppe situazioni scomode da sobbarcarsi da sola.
In quel momento le venne in mente la sua possibile ancora di salvezza: Jimin.
Afferrò il cellulare e iniziò a digitare frenetica:
«Annulla tutti gli impegni di domani sera. Ho bisogno di te!»
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Jisoo se ne stava davanti allo specchio della sua camera, studiando la sua immagine riflessa con un' espressione corrucciata e al tempo stesso schifata.
«Dimmi che ne pensi», chiese al suo migliore amico, seduto sulla sponda del letto alle sue spalle.
«Stai bene, come stavi bene con il vestito precedente e quello prima ancora», sospirò Jimin desolato.
Era quasi un'ora che non faceva altro che provare e riprovare tutto ciò che aveva dentro l'armadio, senza riuscire a trovare nulla di adatto e il suo coinquilino era il povero malcapitato che doveva darle un parere.
«Ma... », tentò di ribattere lei.
«Ma non ti piace nulla.
È una cena di lavoro Jisoo, non una sfilata di moda.
Scommetto che l'età media dei partecipanti si aggira tra i 50 e i 70 anni e dubito che avrebbero da ridire sul tuo outfit. A meno che... », iniziò, puntandole due occhi inquisitori addosso.
«A meno che?», domandò Jisoo sulla difensiva.
«... che tutta quest'ansia non sia dettata da altro... o meglio, da qualcun altro», insinuò.
«Non capisco di cosa tu stia parlando!», ribatté Jisoo, rivolgendosi di nuovo alla sua immagine e tentando di portarsi i capelli in alto per migliorare la sua figura.
«Ci sarà anche il bambolotto a capo della tua azienda immagino... », continuò Jimin.
«Si chiama Haein e non è un bambolotto, ma un manager affermato», lo redarguì prontamente lei.
«Come lo difendi! Proprio cotta a puntino!»
«Jimin!», esclamò Jisoo, fulminandolo con lo sguardo.
«Oh andiamo! Tutta questa pantomima è solo dovuta al fatto che lui ti piace ma fai fatica ad ammetterlo, soprattutto a te stessa»
Rimase a bocca aperta, incassando le parole schiette e sincere del suo amico. Cercò di trangugiarle un attimo come un boccone amaro difficile da digerire, per poi esclamare con forza:
«Sei completamente fuori strada! Voglio solo fare una buona impressione, lui non c'entra nulla!
E se non hai voglia di accompagnarmi stasera basta dirlo!», fece con tono risentito.
Jimin si alzò dal letto e le poggiò entrambe le mani sulle spalle, per poi dirle con voce calma:
«Ho detto che ci sarò e non ti abbandono. Prendiamo la mia auto, almeno siamo sicuri di non rimanere a piedi. Metti quello che ti fa stare più a tuo agio... sarai perfetta in ogni modo»
Le scoccò un bacio sulla guancia e senza aggiungere altro uscì dalla stanza.
Jisoo si sentì immediatamente in colpa: aveva alzato il tono della voce senza motivo, mentre lui era stato fin troppo paziente.
Oppure un motivo c'era?
Ma era troppo complicato anche solo prenderlo in considerazione.
Con questo pensiero in testa si sfilò con stizza il completo grigio che aveva addosso, stando attenta a non incrociare il suo stesso sguardo per paura di quello che avrebbe potuto vedervi dentro.
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