Cαριƚσʅσ 25
«Bevi questo», fece Jimin, porgendole un bicchiere con una poltiglia dalla consistenza sinistra.
Jisoo allungó un braccio, mentre con l'altro si reggeva la testa penzolante seduta allo sgabello della cucina.
«Sei tu quello che è appena stato lasciato, tu dovevi ubriacarti, non io», gli disse con aria disgustata, reprimendo i conati.
«Io non sono stato mollato da nessuno, semmai è il contrario!
E non è colpa mia se non reggi l'alcol», ribatté Jimin, poggiandosi a braccia conserte sul bancone del piano cottura.
«Non sono più abituata a fare serata,
e nell'ultimo periodo non abbiamo fatto altro», fece Jisoo rassegnata.
Con la scusa della nuova vita da single, Jimin l'aveva trascinata ad ogni evento sponsorizzato dai social e lei, in ostaggio dei sensi di colpa nei suoi confronti, finiva sempre per accettare di malavoglia.
Ogni serata iniziava e finiva allo stesso modo: qualche cocktail per iniziare, foto da postare sulle storie di Instagram, salto in pista veloce e di nuovo foto, scambio di numeri con uomini che Jimin non avrebbe né più voluto vedere, né sentire.
Tempo speso più per dimostrare forzatamente di essere felice e sereno, che esserlo veramente.
Jimin si aggirava per locali e discoteche solo per ostentare il fatto che stesse andando avanti, nonostante la rottura, nonostante Yoongi non facesse più parte della sua esistenza, o forse per riempire il vuoto che sentiva rimbombargli nel petto.
Jisoo lo assecondava come meglio poteva, sebbene quella non fosse il genere di vita che le si addiceva.
«Non puoi sempre e solo lavorare, finalmente stai respirando un po' di aria nuova! Fa bene anche a te distrarti e non pensare a Taehyung»
Jisoo, a quelle parole si girò di scatto verso di lui: «Io non penso a Taehyung»
«Ah giusto, tu sei quella che si fa dare passaggi a casa dal CEO giovane e fico!», la punzecchiò l'amico.
Jisoo lo fulminò con uno sguardo che non ammetteva ulteriori parole.
«Bevi che devi andare al lavoro!», la incitò Jimin, sviando il discorso.
Già il lavoro.
Quello che stava pericolosamente trascurando per fare da balia all'amico dal cuore spezzato.
Aveva buttato giù qualcosa, ma la data di scadenza si stava facendo pericolosamente più vicina e aveva paura di non riuscire a concludere il tutto nei tempi prestabiliti.
In realtà aveva terminato già l'intera parte scientifica: aveva bisogno solo di qualche modello computazionale per la conformazione delle varie molecole e per le loro interazioni.
Era più preoccupata della parte di marketing, di cui non si era mai occupata nella sua carriera e che invece questa volta le veniva richiesta.
Come lanciare un prodotto? O meglio, come far credere alla gente che sia talmente innovativo da battere tutti gli altri già in commercio?
«Cos'è che devi progettare?», le chiese Jimin.
Jisoo afferrò il bicchiere anti-sbronza e se lo portò alle labbra: l'odore era disgustoso e immaginava che il sapore sarebbe stato anche peggio.
Buttò giù senza pensarci troppo.
Il liquido viscido le scivolò in gola, lasciandole sulla bocca una leggera nota amara che la fece contorcere in una smorfia di disgusto.
«Un sonnifero», riuscì a rispondere.
«Brava, in un solo sorso!
E io potrei provarlo, visto che non dormo da giorni?»
«No Jimin, deve essere testato in laboratorio prima di somministrarlo alle persone», rispose lei con velata saccenza.
«Peccato. Beh, io cerco di riposarmi allora, anche senza farmaci», disse prima di allontanarsi verso la sua camera.
«Non vai in ufficio?», gli chiese Jisoo, voltandosi verso di lui.
«Ferie illimitate! Magari mi prendo un anno sabbatico, chi lo sa!», fece Jimin, prima di chiudere la porta della sua stanza.
"La situazione è più grave del previsto... Dio, che mal di testa!", pensò Jisoo cercando di raccogliere tutte le forze per iniziare quella giornata.
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Dopo qualche ora la situazione non era migliorata: si sentiva un'ameba, fissa davanti allo schermo del pc e incapace di procedere con il lavoro.
La mancanza di sonno e la stanchezza si stavano facendo sentire e Jisoo si ritrovò a maledire Yoongi, Jimin e l'amore in generale.
Quel maledetto istinto irrazionale che riusciva sempre e solo a portare scompiglio nelle vite di chiunque.
"Fa bene anche a te distrarti e non pensare a Taehyung".
Quella frase a bruciapelo di Jimin continuava a ronzarle nella testa e a farle perdere anche l'ultimo briciolo di concentrazione che le restava.
Era vero, cercava continuamente pretesti per non pensare a lui: il lavoro, ora la discoteca, come per riempire tutti i buchi in cui poteva far capolino il suo fantasma.
Pensarlo era consolatorio e al tempo stesso straziante nei momenti in cui sentiva il peso della solitudine.
Non riusciva ancora a definire ciò che continuava ad essere per lei: un rimpianto? Uno sbaglio? O qualcosa di ancora non totalmente chiuso e archiviato?
Ma cos'altro avrebbe potuto fare se non rassegnarsi e scacciarlo dal suo cuore e dai suoi ricordi?
Non si erano più cercati dal giorno in cui aveva traslocato, non sapeva nemmeno se lui stesse ancora in quell'appartamento.
Si erano allontanati con uno strappo repentino che ancora riusciva a causarle del dolore quasi fisico.
Ecco perché Jisoo accoglieva ogni forma di distrazione possibile come un toccasana, proprio per evitare di sentire quel dolore, per evitare di pensare all'immagine offuscata di Taehyung e avere paura un giorno di dimenticarne l'odore della pelle, il tono della voce, il sapore dei suoi baci.
Si portò entrambe le mani alle tempie, massaggiandosele: doveva tornare ad essere lucida, aveva assolutamente bisogno di un caffè, sebbene oramai fosse il quarto della giornata.
Si alzò dalla seduta e prese a camminare per il lungo corridoio costellato da uffici che sembravano non finire mai.
Superò la sala riunioni open space, delimitata solo da vetrate che permettevano di vedere all'interno.
C'era una riunione tra i vertici dell'azienda e i suoi maggiori azionisti che durava da ore.
Ad ogni caffè che la costringeva a passare di lì, Jisoo poteva osservare i volti dei cugini Jung e degli altri partecipanti che si facevano via via più provati.
"Forse qualcuno sta passando una mattinata peggiore della mia", pensò.
Raggiunse la macchinetta, una di quelle automatiche che più che un caffè regalano una deliziosa brodaglia marrone.
Premette il tasto di erogazione e si mise in attesa con lo sguardo perso nel vuoto.
«Buttalo quello. Ho bisogno di un caffè vero, andiamo al bar», fece una voce alle sue spalle.
Jisoo si girò sorpresa, trovandosi Haein davanti impegnato ad allentarsi il nodo alla cravatta.
«Come scusa?», gli chiese lei, pensando di aver capito male.
«Ti ho proposto di scendere al bar di sotto. Devo assolutamente fuggire da qui», rispose lui.
Jisoo di ritrovò nella classica situazione in cui non sapeva come comportarsi: accettare quell'invito innocente o evitare e tornare in ufficio?
Dopotutto era solo un caffè, le avrebbe rubato non più di venti minuti.
Così fece un segno di assenso con la testa e lo seguì.
Cinque minuti dopo erano seduti al tavolo del bar dall'altro lato della strada. Era un locale accogliente e ultramoderno, frequentato per la maggior parte dai dipendenti degli uffici della zona.
Avevano ordinato i due caffè e ora si ritrovavano uno di fronte all'altra.
Lui abbozzò un lieve sorriso prima di togliersi la giacca blu che indossava e rimanere in camicia.
«Giornata pesante anche per te?», le chiese, sbottonandosi i primi due bottoni.
Era evidentemente provato e sembrava che con quel gesto stesse cercando di alleggerirsi, di sentirsi meno pesante e allontanare lo stress di quella giornata, tornando ad essere Haein prima di tutto e non solo il CEO dell'azienda.
«Ho qualche ora di sonno da recuperare in realtà», rispose lei vaga.
«Non vorrai dirmi che lavori al progetto anche di notte!
Credimi, lo stacanovismo è deleterio, me ne sto rendendo conto ogni giorno di più»
In un attimo le si parò davanti l'immagine di lei intenta a ballare in pista dopo qualche shottino di troppo, facendole storcere la bocca per il senso di colpa.
«Già... », commentò, guardando ovunque tranne che verso il suo interlocutore.
«Io vengo da una riunione distruttiva e ho una call tra due ore», fece lui sospirando.
«Ecco i caffè», disse una giovane cameriera arrivata al tavolo.
«Grazie», rispose Haein, afferrando le due tazzine.
La ragazza restò imbambolata per un attimo, sorridendogli, intenta a rimirarlo.
Haein sembrò notare quel piccolo momento d'imbarazzo e le sorrise a sua volta, prima che la cameriera riprendesse contezza di sé stessa e si allontanasse imbarazzata.
Jisoo fece finta di niente, afferrò la sua tazzina e ne annusò l'intenso aroma, rigirandosela tra le mani.
«Allora... », iniziò Haein per poi prendere un sorso di caffè.
«... come va con il il progetto?», le chiese fissandola.
Jisoo andò subito sulla difensiva, sentendosi in soggezione e rispose:
«Procede»
«Sicura? Non si direbbe dal numero di caffè che hai preso nell'intera mattinata»
«Mi hai spiata per caso?»
«No, ti ho solo vista fare avanti e indietro per il corridoio più volte», disse lui, guardandola di sottecchi.
Jisoo rimase in silenzio, trincerata dietro il suo orgoglio.
«Intendiamoci non ho intenzione d'interferire con il tuo lavoro, però se ti servisse qualche dritta o qualche consiglio sei libera di chiedere... », le propose Haein.
«Sono bloccata con la parte di marketing, va bene? Non me ne sono mai occupata, non ci capisco niente!», esclamò lei stizzita.
«Per tua fortuna mi ritengo abbastanza ferrato in merito», disse Haein con aria soddisfatta.
«Quando mio padre ha fondato l'azienda si aspettava che io diventassi un chimico farmaceutico come lui.
Invece tutte quelle formule, le stechiometrie, quelle interazioni molecolari non mi sono mai andate a genio e ho deciso di prendere economia.
L'ha vissuto come un affronto.
Per sua fortuna Jun ha invece voluto seguire le sue orme e questo lo ha tranquillizzato perché gli garantiva qualcuno di cui potersi fidare per lasciare l'azienda», le raccontò con sincerità.
«Ma il CEO sei tu, non tuo cugino... », commentò Jisoo, prima di dare l'ultimo sorso al suo caffè.
«Perché il tempo e la perseveranza mi hanno poi dato ragione.
Ho dimostrato a mio padre che per portare avanti un'azienda di successo bisogna innanzitutto avere nozioni di finanza, di bilanci, di marketing per l'appunto.
Con Jun i compiti sono spartiti al meglio: io mi occupo del settore economico, lui di quello scientifico.
E in questo modo siamo riusciti anche a quotarci in borsa»
«E tuo padre?», gli chiese Jisoo curiosa.
«Lui ora vive a Tokio e si gode la pensione. Non perde occasione per criticarmi ogni tanto, ma sotto sotto è più che soddisfatto di come vanno le cose»
"E lo credo bene!", pensò Jisoo, riflettendo al tempo stesso sul fatto che nemmeno un multimiliardario giovane e sicuro di sé riuscisse a soddisfare in pieno le aspettative di un genitore.
«Sono pronto, fammi tutte le domande che vuoi», la incitò Haein, incrociando le braccia.
Jisoo tentò di superare le sue resistenze e di accettare la mano che Haein le stava porgendo.
Così iniziò con una serie di domande a raffica: lui l'ascoltava in silenzio con un sorrisetto compiaciuto stampato sul volto, per poi risponderle sicuro ed esaustivo.
Si notava quanto fosse esperto nel settore, quanta esperienza avesse accumulato seppur così giovane.
Non sembrava il classico "figlio di papà" che aveva ereditato un'azienda di cui gli importava ben poco, anzi, l'aveva presa in carico e fatta arrivare ai vertici nazionali.
Jisoo lo ascoltava rapita, notando quanto apparisse brillante e estremamente intelligente.
Cercava di cogliere tutto ciò che le stava trasmettendo come informazioni preziose da appuntare nella mente e di cui fare tesoro non solo per il progetto, ma anche come bagaglio culturale.
Era talmente concentrata da non accorgersi nemmeno dello scorrere del tempo: era trascorsa circa un'ora da quando avevano preso posto al tavolo, quando il suo cellulare cominciò a squillare nella borsetta.
«Scusami», lo interruppe, cercando freneticamente il telefono.
«Fa pure», disse lui.
«Pronto?», rispose lei alla cornetta.
«Jisoo, ci siamo!», fece la voce concitata di una delle sue migliori amiche.
«Chae? Che vuoi dire?»
«Jennie ha le contrazioni. Kai la sta portando in ospedale!»
«Cosa?! Ma non è troppo presto?»
«Due settimane prima del previsto, ha fretta di nascere!»
Jisoo aveva gli occhi sbarrati e si rese conto quasi di urlare in faccia al suo capo, che la guardava incuriosito dall'altra parte del tavolo.
Senza pensarci ulteriormente rispose di getto:
«Arrivo. Il tempo di partire!»
«Sei sicura di farcela?», le chiese Chaeyoung.
«Ci vediamo in ospedale, tienimi aggiornata!», disse all'amica prima di chiudere la chiamata.
«Brutte notizie?», le chiese Haein.
«No, bellissime in verità. La mia migliore amica sta per partorire... e devo assolutamente raggiungerla!»
«Devi partire adesso?»
«Sì», fu tutto quello che riuscì a dire Jisoo, impegnata a riordinare le idee e a prepararsi a quel viaggio improvviso.
Haein afferrò il cellulare e cominciò a digitare qualcosa in modo frenetico, per poi esclamare:
«C'è un treno che parte tra mezz'ora e arriva a Daegu in serata. I posti per quelli ad alta velocità sono terminati»
«Va bene lo stesso! Devo solo andare a recuperare le mie cose in ufficio...», fece Jisoo, alzandosi dalla sedia.
«Ti do un passaggio in macchina!», le propose lui.
«No, non serve che ti scomodi!»
«È l'unico modo che hai per arrivare in tempo! Ci vediamo qua di fronte tra cinque minuti», fece risoluto.
«Grazie... », riuscì a borbottare lei, prima di uscire di fretta dal bar e risalire in ufficio.
Le sembrò di vivere una corsa contro il tempo, mentre spegneva il pc, afferrava frenetica la borsa e si scaraventava a prendere il primo ascensore disponibile.
Ad attenderla proprio davanti all' entrata della PharmaJ, un' utilitaria bianca di quelle elettriche biposto, guidata da Haein.
«È tua?», gli chiese Jisoo, entrando dal lato passeggero.
«Non l'ho rubata se è questo che intendi», rispose ridendo, mentre si immetteva velocemente nel traffico.
«È che non pensavo...», iniziò lei.
«... che potessi guidare una citycar? Gihun è un fedele collaboratore ma non posso pretendere di avere sempre a disposizione un autista privato.
E soprattutto ho bisogno anche della mia privacy e autonomia», spiegò il CEO.
«Certo, capisco. Errore mio, scusa», rispose Jisoo in imbarazzo.
«Saremo lì in dieci minuti», la tranquillizzò lui, svicolando in velocità tra le auto.
Dopo poco effettivamente arrivarono a destinazione e Haein parcheggiò in doppia fila davanti all' entrata della stazione.
Spense il motore e si girò verso di lei.
Jisoo sentì un moto d'imbarazzo calare e riempire l'intero abitacolo.
«Grazie per il passaggio allora... »
«Mi pagherai un caffè al bar la prossima volta. Vai, altrimenti perdi il treno!», rispose lui.
«Buona serata!», lo salutò Jisoo, scendendo dall'auto, prima di mettersi a correre verso la biglietteria.
«Un biglietto per Daegu, grazie», chiese affannata alla cassiera.
Mentre aspettava, non poteva ignorare il fatto che fosse la prima volta che tornava a casa da quando si era trasferita.
Che sensazione avrebbe provato?
Si sarebbe sentita spaesata in una vita che non le apparteneva più, oppure avrebbe provato una tremenda nostalgia?
Quello che di cui era certa è che voleva essere lì a tutti i costi per Jennie e Kai.
Al tempo stesso non poteva ignorare la gentilezza di Haein, senza il quale probabilmente non sarebbe riuscita a partire in tempo.
Quel pomeriggio era stato piacevole, lui era stato piacevole.
"Jisoo è e rimane il tuo capo.
Ti ha solo offerto un caffè e dato un passaggio in macchina", rimuginò tra sé, ma i suoi pensieri vennero interrotti dalla voce della bigliettaia.
«Ecco a lei, buon viaggio»
«Grazie» rispose Jisoo, afferrando il biglietto, prima di sistemarsi la borsa sulla spalla e dirigersi verso il tabellone che riportava la scritta "Daegu".
Casa.
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