Cαριƚσʅσ 21

Il mattino seguente era arrivato come qualsiasi altro: i rumori lontani della strada sottostante, la luce fioca che penetrava tra le tapparelle abbassate, il calore del piumone che faceva da scudo al gelo della stanza.
Eppure non era un giorno come gli altri: era la mattina di Natale.

Jisoo si svegliò con questo pensiero in testa e rimase distesa con gli occhi fissi al soffitto nel tentativo di ignorare la realtà: era il giorno di Natale e per la prima volta nella sua vita era sola.
Nessuno l'avrebbe abbracciata appena sveglia, né le avrebbe fatto trovare una calda e abbondante colazione al suo risveglio.
Non ci sarebbero stati alberi e regali da scartare. Nessun abbraccio, nessun sorriso.

La mente la portò ad esattamente un anno prima, quando la sua vita scorreva pacifica e serena e nulla le avrebbe mai fatto immaginare che prima o poi sarebbe cambiata.
Anche quella mattina si era svegliata sola nel letto e aveva tastato confusamente il posto alla sua sinistra, trovandolo vuoto.
Con un occhio ancora semichiuso si era voltata, notando solo le coperte e il piumone bianco sparpagliati sul materasso.

«Tae?», aveva chiesto con la voce ancora impastata dal sonno.
Ma il silenzio della stanza accanto testimoniava un nulla di fatto.

«Ma dove sei finito?», aveva tentato di nuovo.

In tutta risposta udì solo lo scampanellìo di una melodia e le note di "Jingle bell rock" che cominciarono a fare eco tra le pareti dell'appartamento.

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Taehyung l'aspettava in salotto con un sorriso luminoso da bambino stampato sul viso, i pantaloni del pigiama a scacchi rossi e blu, mentre dondolava sul posto, schioccando le dita delle mani a ritmo di musica.
Jisoo si era fermata ad osservarlo, scrollando la testa con aria divertita.
Le sorrideva accanto all' albero di Natale e d'un tratto le si era avvicinato per prenderle le mani e trascinarla in un ballo improvvisato insieme a lui.
Avevano cominciato a ballonzolare sul posto abbracciati l'un l'altro, ridendo della loro stessa goffaggine.

Chiuse gli occhi e per un attimo le sembrò di tornare a quell'attimo, di risentire le mani grandi e morbide di Taehyung tra le sue, di perdersi nuovamente in quegli occhi che la guardavano sorridenti.

"Quella doveva essere la felicità" , pensò tra sé, tornando a Seoul, mentre le note di Jingle bell rock  diventavano solo un eco lontano nei suoi ricordi.

Non aveva voglia di alzarsi, voleva solo aspettare passivamente tra le coperte che quel giorno di festa finisse, per poi dimenticarlo in fretta e archiviarlo come il peggior Natale della sua vita.
Aveva timore persino ad accendere il telefono, non voleva sentire nessuno, né tanto meno scambiare auguri.
Il senso del dovere continuava però a sussurrarle che se non poteva trascorrere quella giornata come
tutti gli anni, allora lei stessa le avrebbe comunque dato uno scopo.
E le carte da studiare ancora impilate sulla scrivania della sua camera sembravano suggerirle quale potesse essere.

Sicuramente una tazza di caffè fumante l'avrebbe aiutata a sgomberare la mente e a trovare la giusta concentrazione.
Così si tirò su dal letto lentamente, si stiracchiò ancora assonnata e si diresse nella cucina deserta, rischiarata dalle prime luci del mattino.
Aveva appena afferrato la sua tazzina preferita, quando il telefono cominciò a squillarle: sua madre, come era facile immaginare.
Jisoo cercò di superare le sue resistenze e accettò la chiamata.

«Buon Natale bambina mia!», la travolse la voce di sua mamma ricca di entusiasmo.

«Auguri mamma», rispose lei con tono forzatamente gioviale.

«Ti sei svegliata da poco? Che farai oggi?»

Jisoo si guardò attorno, poggiando gli occhi sul tavolo della cucina sgombro, poi sul divano e la tv, per poi rispondere con tono piatto:
«Penso che farò la spola tra il letto e il divano»

«Non hai nessun programma? Perché non esci un po' e prendi una boccata di aria fresca?»

"Di aria gelida semmai", pensò tra sé, notando i tetti imbiancati dei palazzi antistanti.

«Vedrò quello che mi va di fare»

«Ancora non riesco a capire perché non sei voluta tornare a casa per le festività», commentò sua madre con tono dispiaciuto.

«Ne abbiamo già parlato mamma, non farmi ripetere le stesse cose.
Sono impegnata con il lavoro, ho da fare e non era il caso che tornassi»

«Va bene hai ragione, scusa.
Tu sai ciò che è meglio per te, almeno lo spero.
Non voglio disturbarti ulteriormente.
Ciao tesoro», fece sua madre, terminando la chiamata.

«Mamma, non volevo...aspetta», tentò di dire Jisoo, mentre dalla cornetta proveniva solo un "tu-tu" incessante e muto.

Stava per spegnere il telefono in un ultimo gesto di stizza, quando si accorse di una email appena arrivata sulla sua casella di posta elettronica: ufficio personale della PharmaJ.

"Cari colleghi/e,
In occasione di questa giornata di festività saremmo lieti di invitarvi ad una serata augurale organizzata dalla nostra azienda.
Vi attendiamo presso l'Hotel Ambassador, trentesimo piano, 9 pm.
È gradita una gentile conferma della vostra partecipazione in cui specificare nome, cognome ed eventuali accompagnatori.
La direzione."

Lèsse il testo più volte, domandandosi se quell'email le fosse arrivata per errore.

"Una festa aziendale? Stasera?
È proprio necessario che io vada?" , rifletté tra sé, fissando ancora lo schermo del telefono.

La pigrizia le suggeriva che pigiama, pantofole e plaid erano la giusta soluzione per far sì che quella giornata trascorresse nel più breve tempo possibile.
Eppure perché sprecare l' opportunità di trascinarsi fuori casa?
Dopotutto cosa aveva da perdere?
In ogni caso avrebbe potuto dare un'occhiata e, se la situazione non le andava a genio, sarebbe potuta sgattaiolare via senza che nessuno se ne accorgesse, visto che la maggior parte degli altri dipendenti non sapeva nemmeno chi fosse.
Quella possibilità la tranquillizzò e iniziò a digitare la sua email di risposta:

"Kim Jisoo, un posto".

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«Siamo arrivati, signorina», disse il tassista, girando leggermente il volto verso il sedile posteriore.

«Oh grazie. Ecco a lei», rispose Jisoo, allungandogli le banconote prima di afferrare la maniglia dello sportello e poggiare il piede destro fuori dall'auto.
Il freddo della sera le avvolse le gambe fasciate in un paio di collant neri.
Alzò lo sguardo verso quello che doveva essere l'Hotel Ambassador, un cinque stelle a Jung-gu, nel cuore del centro storico di Seoul.
La magnificenza dell'edificio le fece venire un groppo alla gola, che tentò subito di sciogliere avvicinandosi all'entrata.
Si ritrovò in una grande hall luminosa, abbellita da alberi di Natale illuminati d'oro e ghirlande di vischio.
Un membro dello staff l'intercettò subito e con aria cortese le chiese:

«Buonasera. È qui per l'evento organizzato dalla PharmaJ?»

«», rispose Jisoo, continuando a guardarsi attorno smarrita.

«Cognome e nome?», le domandò, afferrando quella che doveva essere la lista dei partecipanti.

«Kim Jisoo»

Dopo un breve controllo l'uomo si rivolse di nuovo a lei con un sorriso aperto, dicendole:

«Da quella parte trova gli ascensori.
Ultimo piano. Buona serata!»

Jisoo lo salutò, piegando leggermente il busto e si incamminò verso la direzione appena indicata.
I tacchi già le facevano male e continuava a sentirsi poco stabile e traballante su quel pavimento di marmo così liscio e insidioso.
Indossava un abito in maglia grigio, a collo alto che le arrivava sotto il ginocchio e aveva lasciato i capelli sciolti sulle spalle.
Continuava a domandarsi se fosse abbastanza elegante per un posto del genere e aveva timore di non riuscire a sostenere nessuna conversazione e di rimanere in disparte per il resto della serata.
Questi erano i pensieri che l'accompagnavano mentre l'ascensore a vetri la stava trasportando lentamente al trentesimo piano dell'edificio.
Un leggero trillo la destò e le fece capire di essere arrivata a destinazione.

Davanti a lei un grande salone circondato da una moltitudine di vetrate che davano sulla città, oramai coperta di nero velluto serale.
Dal soffitto pendevano una serie di luci argentate e dorate dalle forme più disparate che andavano dai pacchetti, ai fiocchi di neve, fino alle campanelle e alle stelline.
Ad ogni angolo della sala erano state allestite lunghe tavolate, abbellite con ghirlande e ramoscelli di abete, ricche di prelibatezze di ogni genere che venivano servite da eleganti camerieri in livrea.

Jisoo rimase ferma senza fare un ulteriore passo in avanti solo per ammirare il posto in cui si trovava: non era abituata a tutto quello sfarzo, a quell'elegante ricercatezza e per l'ennesima volta si sentiva un pezzetto di un puzzle che non riusciva ad incastrarsi perfettamente nel resto dell'immagine.
Un cameriere le passò accanto con un vassoio, porgendole un sottile flûte di cristallo con dello champagne.
Lei lo accettò cortese, pur sapendo che lo champagne non era mai stato nelle sue corde.

«Signorina Kim! Che piacere vederla!», la destò una voce femminile che la costrinse a voltarsi.

Davanti a lei c'era la signora Park, stretta in un caldo maglione color panna a collo alto e un paio di pantaloni neri a sigaretta, elegante anche fuori dal contesto lavorativo.
Alle sue spalle un uomo e una ragazza di circa sedici anni che la guardavano curiosi.

«Salve signora Park. Finalmente un viso conosciuto», rispose Jisoo, sorridendole.

«Oh lavoro nella PharmaJ da almeno vent'anni e conosco la metà della persone presenti! L'azienda è talmente grande e c'è un tale turnover che è impossibile individuare tutti i colleghi.
Posso presentarle mio marito e mia figlia Hayoon?»

L'uomo e la ragazza le porsero il loro saluto, piegando leggermente il busto e lei fece lo stesso.

«Piacere mio e auguri di buon Natale! Io sono Jisoo. Anche lei, signora Park, mi chiami per nome, per favore»

«Passiamo a darci del tu?», le chiese la donna radiosa.

«Ne sarei molto felice!», rispose Jisoo, sentendosi più a suo agio.

«Ci avviciniamo al buffet», disse il marito della donna, un uomo piccolo e tarchiato ma dall'aria bonaria, prima di congedarsi con la figlia.

«Andate pure, vi raggiungiamo tra poco!», fece la donna, prima di rivolgersi nuovamente a Jisoo:
«Mi chiamo Kyung comunque.
Che festa inaspettata eh?», esclamò la donna in modo confidenziale.

«Già. Non sono abituata a questo genere di eventi»

«Nemmeno io. È il primo anno che viene organizzato!
Ero talmente curiosa che ho supplicato mio marito di saltare la solita noiosa cena di Natale da sua zia per venire qui!»

Jisoo sorrise cordiale.
Quella donna le ispirava simpatia, mentre la guardava con un sorriso quasi materno. Sperava in cuor suo che potesse diventare uno dei pochi punti di riferimento in quel contesto che continuava a farla sentire disorientata.

«E tu? Primo Natale da sola, vero?», le chiese curiosa. Poi in un attimo cambiò espressione, forse rendendosi conto di essere sembrata inopportuna:
«Perdonami! Ricordo il tuo curriculum e mi è parso di leggere che non sei di qui. Ho il difetto di memorizzare tanti dati, ma non lo faccio per farmi i fatti degli altri!»

«Nessun problema. Sì, sono di Daegu e probabilmente la mia aria smarrita girando per Seoul lo conferma ogni giorno»

«Ci vuole tempo per ambientarsi soprattutto in questa città, oltre che in questo contesto lavorativo.
Vieni, ti presento alcune facce conosciute!», disse la segretaria prima di trascinarla verso un nutrito gruppetto di persone intente a conversare.

Jisoo passò i successivi trenta minuti a presentarsi, far finta di aver memorizzato nomi che in realtà venivano subito archiviati in un angolo remoto della mente, ad annuire e sorridere.
Non era mai stata il tipo da pubbliche relazioni, né talmente aperta da fare facilmente conoscenza.
Di solito erano gli altri a fare un passo verso di lei per conoscerla e stringere un legame, sebbene poi fosse capace di intrecciare relazioni durature e sincere.
Tuttavia sapeva di non poter continuare a fare l'eremita arroccata nel suo ufficio per sempre e doveva in qualche modo amalgamarsi alla sua nuova realtà lavorativa.

D'un tratto quello che doveva chiamarsi YeJoon (o forse Yojoon?), che la signora Park le aveva presentato come un eccellente contabile, si voltò verso l'entrata, commentando:

«È arrivato finalmente ... e non è solo, come era facile immaginare!»

Quelle parole catturano l'attenzione di tutti i colleghi che partecipavano alla conversazione, compresa Jisoo che si girò nella direzione in cui puntava il volto dell'uomo appena conosciuto.
Jung Haein stava facendo il suo ingresso nella sala, avvolto in un elegante smoking nero.
Al suo fianco, una donna talmente sottile da sembrare un cigno, stretta in un abito di seta coperto da una pomposa pelliccia scura.
Sembravano due star del cinema impegnate a sfilare sul red carpet e tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di loro.

«Chi è lei? La conoscete? L'ultima fiamma era una conduttrice famosa», chiese a bassa voce una donna.

«Mai vista. Ma sarà sicuramente una delle solite modelle», commentò un'altra.

Jisoo distolse lo sguardo da quelle sue figure, poggiandolo nuovamente sul cocktail che teneva stretto tra le mani e che si stava sciogliendo.
Si sistemò i capelli dietro le spalle e tornò ad ascoltare in silenzio i discorsi della combriccola.
Con il corpo se ne stava lì, impegnata ad abbozzare sorrisi di circostanza, mentre con la mente vagava fuori da quella sala così sfarzosa e al tempo stesso così distante da lei.

"Che ci faccio io qui? Che cosa ho in comune con queste persone?
Mi sto annoiando a morte.
Sarebbe stato meglio rimanere a casa.
Chissà che cosa staranno facendo a Daegu, come hanno abbellito la città quest'anno, che eventi hanno organizzato..."

Più si guardava attorno, più si sentiva sola, sebbene fosse circondata da una moltitudine di persone, forse perché quelle a cui teneva veramente erano a chilometri di distanza da lei.
Il pensiero andò inevitabilmente a Taehyung... a come stesse, a cosa stesse facendo.
Sentì la necessità di prendere una boccata d'aria fresca fuori sul terrazzo, solo per restare un attimo da sola e allontanarsi da quel chiacchiericcio futile.
Si congedò con due parole sussurrate all'orecchio della signora Park e fuoriuscì da una delle enormi porte a vetri.

Il freddo pungente della sera l'avvolse immediatamente , ma al tempo stesso fu come tornare a respirare dopo una prolungata apnea.
Si sentiva persa, confusa, disorientata, in quel contesto che continuava  forzatamente a cercare d'indossare alla perfezione, ma che stentava a starle bene addosso.

Afferrò il cellulare nella borsetta e le dita cercarono in automatico il nome di Taehyung.
Si era sforzata di non pensare a lui quel giorno, per lo meno non più di quanto già non facesse normalmente, e ora si domandava se fosse giusto scrivergli, anche solo per fargli i suoi auguri di buon Natale.

«Un po' freddo non trova?», fece una voce maschile alle sue spalle.

Jisoo si girò di scatto e si ritrovò davanti Jung Haein, impegnato a sfregare le mani l'un con l'altra.

«Buonasera», lo salutò Jisoo, ricacciando immediatamente il telefono nella borsetta.

«Non mi aspettavo accettasse l'invito all'evento», disse lui, posizionandosi accanto a lei.

«Perché?», gli chiese, alzando un sopracciglio.

«Beh vista la serata di ieri sera immaginavo che desse la priorità al lavoro. Non la facevo un tipo mondano»

«Potrei dire la stessa cosa di lei Dottor Jung, dopotutto anche lei era in ufficio la sera della vigilia di Natale», rispose Jisoo decisa.

«Tagliente come il tagliacarte che ha cercato di puntarmi addosso», commentò Haein con un ghigno.

Jisoo decise di non ribattere e rivolse nuovamente lo sguardo verso la città illuminata che si stagliava sotto di loro.

«Devo ammettete che però è stata lei a darmi quest'idea! E a giudicare dalle presenze, dovrei quasi ringraziarla»

«Come, scusi?», chiese Jisoo confusa.

«È stata la nostra conversazione di ieri a farmi pensare che non tutti i dipendenti hanno la possibilità di trascorrere le festività con i loro cari. Così ho pensato di organizzare questa festa proprio per favorire la socialità tra colleghi. Penso che sia un fattore importante in un'azienda», spiegò lui con aria sicura.

«Mi fa piacere esserle stata d'aiuto»

«Tuttavia sembra che lei non si diverta per niente, o sbaglio?»

«Si sbaglia. Ho avuto la possibilità di conoscere nuove persone, tutte molto cordiali.
Sono solo stanca e avevo bisogno di prendere una boccata d'aria fresca», mentì Jisoo sulla difensiva.

Haein sembrò per un attimo riflettere su qualcosa, per poi farsi più vicino a lei e sussurrarle in un orecchio:
«So che quello che le sto per dire non si addice propriamente a un capo ma: cerchi di lavorare meno dottoressa Kim e di godersi la serata. Buon Natale»

«Rientri dentro o prenderà freddo!», aggiunse a voce più alta, prima di allontanarsi e recarsi nuovamente all'interno della sala.

Jisoo rimase per un attimo interdetta, chiedendosi se il sussurrare qualcosa all'orecchio di una dipendente fosse un gesto appropriato.
Si guardò intorno, preoccupata che qualcuno avesse captato quella scena, ma la terrazza pareva deserta.

"Ok, forse è il caso di prendere la giacca e tornare a casa", pensò tra sé, rimirando per l'ultima volta il panorama.

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Intanto a chilometri di distanza, due dita erano rimaste sospese sopra lo schermo del cellulare, soppesando l'ipotesi di cliccare il tasto invio o cancella.

"Auguri per un sereno Natale, Kim", citava il display, che Taehyung fissava ormai da un tempo indefinito.
In un attimo, chiuse gli occhi e scrollò la testa, rimproverandosi per quella debolezza, premette l'indice della mano destra sullo schermo, e fece scomparire lentamente quelle poche parole dalla sua vista.

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