Cαριƚσʅσ 17
«Ehi...Coinquilina!», le voce cristallina di Jimin fece sobbalzare Jisoo di colpo.
Si girò di scatto, trovandolo a fare capolino dalla porta semiaperta di quella che era la sua nuova camera.
«Mi hai fatto prendere un colpo!», ribatté lei, sentendo il cuore arrivare quasi alla gola.
«Ho bussato! Ma non mi hai sentito!», si difese lui, indicando qualcosa sopra la sua testa.
In un attimo Jisoo si ricordò che indossava i suoi cuffioni Bluetooth che evidentemente le avevano impedito di sentire qualsiasi rumore.
Ascoltare la musica la faceva sentire meno sola e spaesata, se chiudeva gli occhi poteva ancora essere lì, a Daegu, nel suo appartamento, in quella che oramai era la sua vecchia vita.
«Scusa», fece lei, sfilandosele.
«Non volevo disturbarti! Ti stai sistemando?», le chiese, notando la miriade di abiti sparsi sul letto e le ante del piccolo armadio in legno spalancate.
«Ci provo. Non c'entrerà mai tutto, vero?», gli domandò lei con aria rassegnata.
«Ne dubito. Non pensavo fossi una fashion addicted! Ti ho sottovalutata!», disse Jimin stupito.
«Magari! Sto cercando di capire cosa poter indossare domani. Non ho nulla di adatto»
«Il tuo primo giorno da donna in carriera nella capitale!
Sono agitato ed emozionato per te!», esclamò l'amico con eccessivo entusiasmo.
«Io sono solo nervosa... », commentò Jisoo torva.
Era arrivata da soli due giorni, ma quella sensazione d' inquietudine non l'aveva lasciata nemmeno un attimo.
«Basta con questa faccia da funerale!
Ti voglio R-a-d-i-o-s-a!
Sta per iniziare una nuova vita!
Un nuovo tutto! Ti stanno attendendo tante cose belle che aspettano solo di essere acciuffate!», aggiunse Jimin, avvicinandosi a Jisoo per afferrarla per le spalle e scrollarla.
«Me lo fai un sorriso?», le chiese, sorridendole a sua volta.
Jisoo abbozzò una piccola smorfia.
«Mi stai prendendo in giro?», le chiese lui torvo.
Jisoo tirò su gli angoli della bocca con sforzo sovrumano.
«C'è da lavorare, ma per adesso mi accontento. Comunque, per domani un bel completo giacca e pantalone è quello che ci vuole!»
Jisoo cominciò ad affondare le mani tra i vestiti, alla ricerca di ciò che le aveva appena suggerito l'amico.
Dopo vari tentativi tirò su una gruccia con una giacca blu oversize e il pantalone a sigaretta dello stesso colore.
«Che dici?», gli chiese.
«Sì, direi che può andare bene», fece Jimin valutandone il tessuto. Per poi aggiungere: «Una camicetta ce l'hai?»
Jisoo, questa volta, andò dritta verso l'obbiettivo, sollevando quella che era la sua camicia passe-partout.
«Bianca? Naaaa. Un altro colore?»
Lei alzò gli occhi al cielo e si rimise a cercare.
«Ne dovrei avere una.... Celeste. Sempre che la ritrovi. Eccola!», esclamò.
Avvicinò il capo appena trovato al tailleur e Jimin finalmente fece un segno di approvazione.
«Ora sì che ragioniamo! Li lascerai tutti a bocca aperta! Entrerai in quel grattacielo come una diva, in femme fatal, sbatterai in faccia la tua borsetta al primo uscere di turno, pretendendo di farti accompagnare nel tuo nuovo ufficio e...»
«Jimin, Jimin fermati! Hai visto veramente troppi film!», lo zittì Jisoo, riportandolo alla realtà.
«Oh quanto è bello sognare! Dovresti farlo più spesso bella mia!», ribatté lui con un tono da drama queen.
«Se mi aiutasse ad allontanarmi dalla realtà, magari... », commentò lei, tetra.
«Jisoo, quella di venire qui a Seoul è stata una tua scelta nel caso te ne fossi dimenticata», la rimbeccò Jimin, con un tono più duro.
«Hai ragione. L'ho voluto io, quindi dovrei smetterla di lamentarmi»
«Dovresti solo essere più consapevole di quello che sei e delle decisioni che prendi, tutto qua»
«Non è stato facile Jimin, credimi. Sarei voluta venire a Seoul con un altro stato d'animo»
«Me ne rendo conto.
Ma devi darti l'opportunità di sorprenderti.
Non sarà una cosa immediata, ci vorrà del tempo per ambientarti e abituarti, ma il cambiamento non è sempre negativo, anzi!
Te lo dice uno che dopo la prima notte lontano da casa già frignava per tornare perché il letto era scomodo, la casa fredda, la metropolitana puzzolente e la gente antipatica»
«E poi? Cosa è cambiato?», gli chiese Jisoo curiosa.
«Nulla. La casa, la metro e le persone sono rimaste le stesse.
Ma sono cambiato io.
Sono semplicemente diventato più aperto a ciò che non conoscevo», le disse Jimin sorridendole bonario.
«Fidati, questa città ti catturerà e, prima che te ne accorga, vedrai che tornare a Daegu sarà solo per rivivere alcuni ricordi della tua vecchia vita, ma sentirai che la tua casa è qui», continuò cingendole le spalle.
"Rivivere alcuni ricordi della tua vecchia vita", pensare a quella frase per Jisoo era come una stillettata al cuore.
In un attimo le vennero in mente i volti di tutti coloro che amava e che aveva lasciato: i suoi genitori, sua nonna, i suoi amici...Taehyung.
Li vide sbiaditi ed ebbe paura che se le parole di Jimin si fossero avverate, man mano li avrebbe persi uno dopo l'altro, troppo lontana e impegnata a condurre la sua esistenza altrove.
«Io e Yoon ti aiuteremo a vivere il meglio che Seoul possa offrirti e a farti sentire meno spaesata»
«Grazie per avermi ospitata.
Cercherò al più presto una sistemazione alla mia portata, così levo il disturbo il prima possibile!», si affrettò a dire Jisoo.
«Ma quale disturbo?
Noi siamo più che felici di averti qui con noi!
Magari ogni tanto ti chiederemo di trattenerti un po' più al lavoro per i nostri tete a tete, ma credo che sia un buon compromesso, non trovi?»
Jisoo strabuzzò gli occhi, tentando di allontanare dalla mente le immagini disturbanti degli incontri amorosi tra i due suoi amici.
«Vi sarei grata di avvisarmi nel caso, proprio per evitare di vederv...voglio dire, di trovarmi in situazioni imbarazzanti»
«Tranquilla. Per noi è importante sia mantenere la nostra, che la tua privacy.
A proposito, lo stesso vale per te: se mai volessi portare qualcuno qui non devi farti problemi, basta dirlo e ti lasciamo l'intero appartamento libero!»
«Jimin, non credo di andare incontro a questa possibilità», fece Jisoo seria.
«Per adesso! Ma tra qualche tempo chissà! Te l'ho detto: apriti al cambiamento!»
Jisoo in tutta risposta alzò gli occhi al cielo, consapevole che la visione del suo migliore amico fosse diametralmente opposta alla sua.
L'idea remota d'intrecciare una qualche relazione in quel momento non le sfiorava minimamente la testa.
I suoi pensieri erano agganciati a lui, al loro amore finito, al bene che c'era stato e, al tempo stesso, al male che si erano fatti a vicenda.
«Scusate l'interruzione ma il kimki si fredda!», disse Yoongi, affacciandosi dallo stipite della porta.
Era più pallido del solito e si era fatto crescere i capelli, che ora gli arrivavano quasi fino alle spalle.
Nelle poche ore che non passava a negozio la sua presenza in casa era silenziosa e riservata, a differenza di quella del fidanzato che faceva sentire il suo arrivo già da chilometri di distanza prima di varcare la porta dell'appartamento.
«Hai preparato tutto? L'ho già detto che sei un uomo da sposare?», chiese Jimin, sogghignando prima di raggiungere il compagno.
«Me lo ripeti almeno dieci volte al giorno», commentò Yoongi rassegnato.
«Perché è la verità», rispose lui per poi scoccargli un bacio a stampo sulle labbra.
Jisoo lì osservò intenerita dalla penombra della sua camera da letto, pensando che dopotutto qualche rapporto riesce veramente a superare tutti gli ostacoli... a differenza del suo.
«Jisoo, tu sei l'ospite d'onore! Vieni a tavola!», la esortò Jimin.
«Ospite d'onore? In che sen...?», chiese, uscendo dalla stanza per poi ritrovarsi nel piccolo salotto in cui era stata imbandita una vera e propria tavolata ricca di prelibatezze di ogni genere.
Rimase muta con gli occhi sbarrati.
«Quando avete preparato tutto questo?»
«Mentre tu eri impegnata a svuotare i tuoi scatoloni e ad ascoltare la musica, noi piccoli elfi domestici ci siamo dati da fare! Volevamo festeggiare il tuo arrivo e soprattutto farti l'in bocca al lupo per il tuo primo giorno di lavoro a Seoul!», esclamò Jimin, soddisfatto della riuscita della sorpresa.
Yoongi non aggiunse altro, ma le porse un bicchierino colmo di Soju e brindò alla sua salute prima di svuotare il suo in un solo sorso.
«Ragazzi, davvero non so come ringraziarvi, per tutto. Mi fate commuovere... », fece Jisoo, sentendo gli occhi già umidi dall'emozione di quel momento tanto inaspettato.
«Niente lacrime, solo cibo e alcol!
A Jisoo e al suo nuovo inizio a Seoul!», disse Jimin, tenendo in mano un'altro bicchierino di grappa.
"Ai cambiamenti", pensò tra sé Jisoo, buttando giù nella gola quel liquore infuocato.
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Il gran giorno era arrivato, preceduto da una notte quasi insonne.
Jisoo si era svegliata ancora prima che la sveglia suonasse, cominciandosi a preparare nel silenzio della casa ancora dormiente.
Aveva indossato il tailleur blu e la camicia celeste scelti da Jimin e li aveva abbinati ad un paio di décolleté nere, sempre eleganti.
Aveva prestato maggiore attenzione a trucco e parrucco proprio per riuscire ad apparire al meglio.
Iniziava una nuova fase della sua vita, che inevitabilmente richiedeva anche una nuova lei.
Tirò un profondo respiro, rimirandosi allo specchio della sua camera per un'ultima volta, per poi uscire di casa senza incrociare né Yoongi, né Jimin.
Aspettando la linea 3 della metro che l'avrebbe portata a Gangnam, era rimasta piacevolmente stupita da quanto quella mattina fosse in largo anticipo: arrivare in perfetto orario il primo giorno di lavoro era già un ottimo biglietto da visita.
Peccato che, dopo circa venti minuti di corsa, si fosse accorta che quella non era la linea giusta.
Aveva imboccato la metro dalla parte opposta alla sua destinazione.
"Cazzo!", aveva esclamato interiormente, una volta raggiunta quell'orribile consapevolezza e così era scesa in tutta fretta alla prima fermata disponibile, si era fatta spazio tra la gente che affollava la metropolitana della capitale di prima mattina ed era finalmente riuscita a salire sul vagone giusto.
Ovviamente l'ampio anticipo di quella mattina era stato sostituito dal suo solito e proverbiale ritardo cronico.
Era riemersa dai sotterranei della metro e si era subito trovata davanti l'ormai noto grattacielo della PharmaJ, il suo nuovo posto di lavoro.
Con passo da velocista si era avvicinata all'entrata, sbarrata dal solito bodyguard in Total black.
«Buongiorno! Mi faccia entrare per favore, è il mio primo giorno di lavoro!», disse trafelata.
«Tesserino?», le chiese quello impassibile.
«Non ce l'ho ancora. Come le ho appena detto, inizio oggi. E sono in terribile ritardo, per favore!», lo pregò lei.
«Entri. Ma si ricordi che da domani è necessario il tesserino di riconoscimento per passare!», la redarguì l'uomo.
«Chiarissimo! Grazie!», rispose Jisoo, fiondandosi all'interno della hall.
Tentò invano di dirigersi verso gli ascensori, ma venne subito richiamata da una voce stridula proveniente dalla portineria.
«Signorina, dove sta andando?»
"Come hanno fatto a individuarmi in questa miriade di persone?", si chiese Jisoo sconcertata, avvicinandosi a quella che scoprì essere la receptionist poco cordiale della volta precedente.
«Salve. Mi scusi è il mio primo giorno di lavoro e pensavo di potermi recare direttamente ai piani superiori»
«Nome?», le chiese l'altra con tono annoiato.
«Kim Jisoo»
«No, non compare.
Non può salire senza tesserino»
«Ma le giuro che sono una nuova dipendente! E sono in ritardo!»
«È una prassi per lei evidentemente», commentò la ragazza, che quindi si ricordava del loro incontro precedente.
«Guardi: questa è la stipula del contratto di lavoro che mi è stata inviata per email», fece Jisoo, allungandole lo smartphone nel tentativo disperato di comprovare quello che stava dicendo.
La ragazza diede un'occhiata rapida allo schermo, per poi dire:
«Senta, ora le darò un tesserino da visitatore, ma entro oggi avrei bisogno che il suo dirigente completi la registrazione, in modo che possa consegnarle quello da dipendente»
«Grazie! Lei è gentilissima!», mentì Jisoo, mentre in realtà la stava maledicendo con tutta sé stessa per averle fatto perdere ancora più tempo.
«Ecco», fece l'altra, allungandole la targhetta.
«Buona giornata!», esclamò Jisoo, avviandosi verso gli ascensori per la salita.
«Sono guasti!», l'avvisò la ragazza.
«E come arrivo al decimo piano?», chiese Jisoo con gli occhi sbarrati.
«Esistono le scale, ovviamente», ribatté l'altra, indicandole la direzione per la rampa.
Jisoo alzò gli occhi al cielo, pensando che quella giornata le avesse tirato già troppi brutti tiri.
"Non è umanamente possibile essere così sfigati! Come fanno ad andarmi sempre tutte storte?", pensava, avanzando sugli scalini a due a due per guadagnare tempo e superando tutti quelli che erano i suoi futuri colleghi, impegnati come lei nella scalata.
Al sesto piano già non aveva più fiato e fu costretta a rallentare per non andare incontro a un infarto.
Si sfilò i tacchi e il cappotto per andare più veloce e, arrivata all'ultima rampa del nono piano, fece uno scatto in avanti per aprire il prima possibile la porta che l'avrebbe condotta al decimo.
In quel momento però, una figura che stava uscendo proprio da quella porta, le si parò davanti, interrompendo la sua corsa e soprattutto versandole quello che doveva essere cappuccino sulla camicetta celeste linda e pulita.
«Cavolo!», sentì esclamare una voce maschile di fronte a lei.
Jisoo rimase immobile con la testa bassa, troppo impegnata a osservare la macchia marroncina che si stava espandendo sul suo petto.
«Sta bene?», ricominciò la stessa voce.
Lei alzò gli occhi lentamente, scorgendo prima un completo scuro elegante che avvolgeva un fisico asciutto e imponente e poi il volto di un ragazzo sulla trentina che la guardava corrucciato.
Viso pulito, con barba fatta di prima mattina, capelli corti neri ben pettinati, lineamenti lineari e gentili.
Sembrava un modello appena uscito da una casa di moda.
«Io sì, la mia camicia un po' meno.
Si può sapere dove stavi guardando?», sbottò lei, una volta ripresa dallo shock.
«Siamo già passati al "tu"?
Veramente mi sei piombata addosso all'improvviso!», cercò di discolparsi lui.
Jisoo rimase in silenzio, rinfilandosi nervosamente le scarpe.
«Se vuoi posso pagarti il costo della tintoria», continuò il ragazzo di fronte a lei.
«Lascia stare! Sono già in ritardo!», disse superandolo senza degnarlo di un altro sguardo.
Con un diavolo per capello, percorse l'intero corridoio per raggiungere quello che ricordava essere l'ufficio del dottor Jung.
«Signorina Kim!», la richiamò una voce alle sue spalle.
Si voltò e riconobbe la segretaria di mezza età che l'aveva accolta la volta precedente, stretta in un impeccabile abito nero.
«Buongiorno», fece Jisoo, avvicinandosi a lei.
«La stavamo aspettando. Io sono la signora Park, segretaria personale del dottor Jung. L'attende in ufficio», fece la donna, mentre i suoi occhi si erano posati sulla macchia di cappuccino stampata sul petto di Jisoo.
Ma elegantemente fece finta di niente.
«Grazie», rispose Jisoo in imbarazzo, cercando di sistemarsi i capelli con una mano.
«Mi segua», esclamò la donna facendole strada.
La condusse verso il solito ufficio, bussò delicatamente alla porta e la fece entrare.
«Dottoressa Kim! Benarrivata!», esclamò l'uomo, sorridendole da sotto gli occhialini tondi che indossava.
«Salve, mi scuso per il ritardo, ma questa mattina sono andata incontro a
una serie d'imprevisti»
«Tipo quello?», disse lui, indicando la camicetta.
«Sì, uno dei tanti ahimè», rispose Jisoo, arrossendo.
«Oh non si preoccupi! Cose che capitano! L'importante è che la giornata storta prosegui al meglio!
Posso mostrarle il suo ufficio?»
«Certo! Con piacere!», esclamò lei, colpita dall'affabilità di quello che sarebbe stato il suo capo.
«Venga, è dall'altra parte del corridoio.
Lo dividerà con il suo capo settore. Oggi è assente per motivi personali, ma sono sicuro che formerete un'ottima squadra!», aggiunse il dottor Jung, muovendosi rapido nel corridoio mentre tutti gli altri dipendenti si piegavano al suo passaggio in segno di rispetto.
«Ecco qui. Ufficio 117»
Jisoo lo seguì all'interno, ritrovandosi davanti a due scrivanie poste ai lati di un'immensa vetrata che dava su Seoul.
«Sarà difficile concentrarsi con una vista così!», esclamò sincera.
«Ci farà l'abitudine vedrà!
Le ho lasciato sulla scrivània alcuni progetti a cui stiamo lavorando, se intanto vuole dargli un'occhiata.
Si accomodi e non esiti a chiamarmi se ha qualche dubbio. Il numero del mio ufficio è 0670»
«Grazie», rispose Jisoo, sorridendo.
«Buon primo giorno signorina Kim!», fece Jung prima di prendere la porta e richiuderla alle sue spalle.
Una volta rimasta sola, Jisoo si voltò verso la vista, cercando di rimirarne ogni minimo particolare: i ponti sul fiume Han, lo Skyline in lontananza, i palazzi che si perdevano a vista d'occhio.
Sembrava quasi di poter stringere l'intera città in un pugno da quell'altezza.
Avrebbe voluto chiamare subito sua mamma, sua nonna, le sue amiche, Daeji, per condividere con loro l'emozione di quel momento, ma il senso del dovere ebbe la meglio e si posizionò sulla sua scrivania bianca a studiare i fascicoli lasciati dal dottor Jung.
Dopo circa un'ora, sentì bussare alla porta.
«Avanti!», disse.
«Dottoressa Kim, il presidente vorrebbe fare la sua conoscenza», esordì la signora Park, facendo capolino.
«Ma mi ha accolta lui!», ribatté confusa Jisoo.
«Oh no! Lei ha conosciuto il vicepresidente della PharmaJ, non il presidente», le spiegò la donna.
«Non ne avevo idea, certo vengo subito, comunque», fece, alzandosi in piedi.
Arrivarono alla stanza adiacente a quella del dottor Jung e, come sempre, la signora Park la introdusse prima di farla entrare.
«Prego... », disse, facendola passare.
Jisoo si ritrovò in una stanza immensa, ancora più grande dell'ufficio di quello che pensava essere il suo vero capo.
Lo intravide in piedi vicino alla vetrata che le sorrideva.
Lei ricambiò, ma il sorriso le morì sulle labbra quando i suoi occhi si posarono sull'uomo seduto alla scrivania.
«Le presento il CEO della PharmaJ: mio cugino Haein», disse il dottor Jung.
"Oh no, l'idiota del cappuccino!", pensò Jisoo, cercando di apparire più disinvolta possibile.
E dopo un po' di suspence eccolo qui il nuovo personaggio: Jung Haein, il presidente della PharmaJ, nonché capo supremo di Jisoo.
Riusciranno ad andare d'accordo?
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