Cαριƚσʅσ 13
Jisoo continuava a guardare il biglietto stropicciato e scribacchiato velocemente pochi giorni prima.
Se lo passava tra le mani, leggeva e guardava, rimirava quelle quattro parole e poi l'immenso grattacielo che le si stagliava davanti a Gangnam, il centro nevralgico degli affari e del lusso di Seoul.
Era talmente imponente da far venire le vertigini solo osservandolo.
Era impalata in mezzo alla strada, incerta se quello fosse l'indirizzo, o meglio, se quella fosse la sua giusta destinazione.
Non c'erano dubbi, quella era la ventitreesima strada, il navigatore non l'aveva tradita, e l'immensa J posta sulla sommità del grattacielo non era altro che la conferma che quella fosse la sede centrale della PharmaJ di Seoul.
Eppure se ne stava fissa lì, immobile, nonostante il suo colloquio conoscitivo fosse stato fissato nemmeno venti minuti dopo.
I lavoratori della capitale le passavano accanto come schegge, cercando di evitarla e di non travolgerla nella loro corsa mattutina verso il posto di lavoro. Sembravano una mandria impazzita che si spostava da un punto all'altro della piazza, con il capo chino e le mani strette nella ventiquattr'ore.
Erano grigi, erano impersonali, tutti uguali gli uni agli altri.
Jisoo spiccava come un punto luce in quella folla monocromatica, avvolta in un caldo cappotto avana che Taehyung le aveva regalato un anno prima.
Il senso di colpa nei suoi confronti continuava ad attanagliarla.
Non gli aveva detto che sarebbe andata ad affrontare un colloquio di lavoro, men che meno che fosse a Seoul.
Aveva accampato la scusa di una giornata da passare con suo padre e Yun in totale relax, per allontanarsi dai pensieri e dalle preoccupazioni di quel periodo.
Complice il fatto che Taehyung fosse uscito presto da casa per iniziare la sua giornata al K, Jisoo ne aveva approfittato per raggiungere la stazione e prendere il treno superveloce per raggiungere Seoul in meno di tre ore.
Era salita sul vagone carica di tensione e malumore.
Odiava mentire, soprattutto a lui.
Al posto di Taehyung si sarebbe sentita tradita, presa in giro, raggirata.
Ma non aveva avuto altra scelta.
Si ripeteva che quello sarebbe stato un viaggio a vuoto, un mero tentativo di dare una svolta alle sue giornate.
Per vari giorni aveva pensato alla possibilità di non presentarsi, di non provare nemmeno, ma poi si era detta che quella era una possibilità che doveva darsi, che se avesse rinunciato già in partenza se lo sarebbe rinfacciata per tutta la vita.
Non l'avrebbero mai presa, ma cosa aveva da perdere?
Stava già perdendo sè stessa, giorno dopo giorno, nella lenta monotonia delle sue giornate.
Viveva quella piccola menzogna come un segreto, un'avventura con sé stessa che nessuno, a parte lei, avrebbe mai saputo.
Ad eccezione di Daeji, l'unica persona al corrente di quello che stava facendo.
«Jisoo, devi andare. È troppo importante. Prendilo come uno schiaffo morale nei confronti di quegli idioti che ti hanno messa alla porta!»
Aveva continuato a ripeterle frasi motivazionali del genere ogni singolo giorno, come un mantra, fino a convincerla.
Lo doveva a tutti gli anni di studio e di fatica, alla sua dedizione e perseveranza.
Lo doveva a sé stessa.
E con quel pensiero in testa, aveva tentato di accantonare sensi di colpa, ansie e paure ed era partita alla volta di Seoul, senza alcuna aspettativa.
"Ora sei qui. Pensi di restare impalata a guardare la facciata del palazzo o ti muovi?
Una stretta di mano, due parole e poi te ne torni a casa", disse a sé stessa, cercando di scrollarsi di dosso il timore che la stava immobilizzando.
Riaccartocció il biglietto con l'indirizzo scritto da Daeji e se lo ficcò sulla tasca destra della giacca.
Fece un profondo respiro e cominciò ad avvicinarsi alle grandi porte in vetro del grattacielo.
Sulla soglia era piantato un bodyguard, vestito totalmente in nero, con tanto di auricolari alle orecchie, che senza dire una parola, le impedì di andare oltre, allungando il braccio destro.
Jisoo lo guardò spaventata con il timore di aver fatto qualcosa di male.
"Ok, niente colloquio, ora ti arrestano direttamente", pensò tra sé allarmata.
«Dove deve andare? E perché?», le chiese l'uomo, con voce piatta.
«Oh, buongiorno. Dovrei sostenere un colloquio di lavoro», rispose lei frettolosamente.
«Si rechi alla reception e si faccia registrare. Le daranno un tesserino da visitatore», aggiunse l'uomo in modo quasi robotico.
«Va bene, grazie. Buona giornata», fece Jisoo, intimidita, senza ricevere in cambio nessuna risposta.
Il body guard la fece passare e, una volta varcata la porta d'ingresso, Jisoo si ritrovò in un'immensa hall in marmo grigio e vetro.
Il suono incessante degli ascensori in movimento rimbombava nella sala e un flusso continuo di gente si spostava da una parte all'altra.
Di fronte a sé un lunghissimo bancone in marmo, dietro al quale erano posizionati sei uscieri, tutti rigorosamente dotati di auricolari e microfono ad archetto.
Jisoo si sentiva catapultata in un altro mondo, distante anni luce dalla sua azienda, che al confronto, sembrava una piccola realtà a gestione familiare, nonostante fatturasse milioni di won.
«Salve», disse timidamente, nel tentativo di attrarre l'attenzione di una delle receptionist, talmente bella da sembrare una modella.
La guardò distrattamente, continuando a muovere veloce le dita sulla tastiera del pc che aveva di fronte a sé.
«Mi dica», le fece con espressione impassibile.
«Dovrei sostenere un colloquio con il dottor Jung», disse lei in un filo di voce, stritolandosi le mani dal nervosismo.
«Orario?»
«Tra cinque minuti, veramente», rispose in tutta sincerità.
«È sempre raccomandabile presentarsi almeno mezz'ora prima dell'appuntamento», la rimproverò la ragazza con tono asciutto.
«Oh, mi dispiace... », fu tutto quello che riuscì a dire, maledicendo la sua mancanza di intraprendenza, che l'aveva fatta desistere dall' entrare appena arrivata a destinazione.
«Colloquio ore 11:00 con il dottor Jung», fece la ragazza, parlando al microfono.
«Nome?», aggiunse, guardandola in faccia per la prima volta.
«Kim. Kim Jisoo», rispose prontamente lei.
«Kim Jisoo», ripetè l'altra.
Passò un secondo e poi si rivolse nuovamente a lei, dicendo:
«Appuntamento confermato.
Questo è il suo tesserino da visitatore. Ho bisogno di un suo documento»
Jisoo frugò nervosamente nella borsa ed estrasse il portafoglio per afferrare la sua carta d'identità.
«Ufficio 106, decimo piano», aggiunse la ragazza.
«La ringrazio!», rispose Jisoo, dirigendosi verso la sua destra.
«Dall'altra parte!
Quelli sono gli ascensori per la discesa», la redarguì la receptionist, con tono altezzoso.
"Che imbranata! Ti fai riconoscere ovunque!", pensò tra sé, mentre con un sorriso colmo di imbarazzo si diresse nella giusta direzione.
Entrò nell'ascensore, schiacciata a un angolo dalla calca di persone. Guardava con insistenza i numeri dei piani che scorrevano veloci sotto i suoi occhi, con lo stomaco in subbuglio per l'agitazione.
"Come devo comportarmi?
Formale, ma non troppo.
Devo anche apparire come una persona cordiale e alla mano.
Che domande mi farà? E se fossero troppo tecniche e io non sapessi cosa rispondere? Dovevo prepararmi e ripassare qualcosa...
Dio, che ansia!".
Questi erano il genere di pensieri che continuavano a vorticarle nella testa, facendole venire la tachicardia.
Il trillo dell'ascensore, giunto a destinazione, la scosse dai suoi turbamenti.
Decimo piano.
Lentamente, Jisoo cominciò a seguire la scia di persone e si ritrovò in un immenso corridoio, su cui si affacciavano tutti gli uffici a vista, divisi solo da pareti in vetro.
Si sentiva spaesata, straniera in quel luogo così lontano anche dalla sua più fervida immaginazione.
Muoveva freneticamente gli occhi da un punto all'altro, alla ricerca dell' ufficio 106.
102, 104...106.
Rimase per un attimo ad osservare la targhetta in oro che riportava quelle tre cifre.
Poi lanciò un'occhiata all'interno dell'ufficio che sembrava essere deserto.
Solo due sedie in pelle scura e una scrivania con vista su Seoul.
«È la signorina Kim?», sentì una voce femminile alle sue spalle che la fece quasi sobbalzare.
Jisoo si girò di scatto, ritrovandosi di fronte una signora di mezza età, con i capelli raccolti e l'aria particolarmente elegante.
«Sì... », riuscì a balbettare lei.
«Il dottor Jung la sta attendendo, mi segua», le disse, sorridendole in modo affabile, a differenza della ragazza all'entrata.
Aprì delicatamente la porta a vetri dell'ufficio 106 e Jisoo si posizionò dietro di lei, ancora spaesata.
«Dottore, la signorina Kim è arrivata»
Nell'istante in cui Jisoo si stava domandando con chi stesse parlando la donna, la sedia dietro la scrivania ruotò su sé stessa, rivelando quello che doveva essere il famigerato dottor Jung.
Jisoo non riuscì a trattenere un moto di delusione, accorgendosi che l'uomo che aveva temuto fino a quel momento, non era altro che un ragazzo all'incirca della sua età, poco più alto della scrivania stessa.
«Salve!», fece, alzandosi in piedi per un breve accenno di saluto.
Sembrava poco più che un quattordicenne, stretto in un completo grigio gessato.
Il suo viso però appariva particolarmente cordiale e ispirava simpatia, con un paio di occhialetti tondi calati sulla punta del naso.
«Buongiorno», rispose Jisoo, chinandosi in forma di rispetto.
«Grazie signora Park, può andare», fece lui, rivolgendosi alla segretaria, la quale, senza aggiungere una parola, uscì dall'ufficio lasciandoli soli.
Jisoo non poteva credere che quel ragazzo così minuto fosse il CEO di una delle aziende più importanti del paese. Più lo guardava e più in lui non riusciva a trovare nulla di autoritario, forse perché non si aspettava fosse così giovane.
«Si sieda pure dottoressa Kim», le disse, indicandole con gentilezza la poltroncina di fronte a lui.
«Si rilassi, questa è solo una chiacchierata di pura conoscenza», le disse, cercando di metterla a suo agio.
«Mi scusi. Era da tempo che non mi presentavo ad un colloquio di lavoro», ammise lei con sincerità.
«Vedo infatti che ha lavorato per molti anni alla Corean cosmetics.
È una buona azienda, sebbene un po' piccola», fece il dottor Jung, sfogliando i fogli di quello che doveva essere il suo curriculum.
«Sì, sono stata assunta subito dopo la laurea, fino a circa un mese fa»
«Fine dell'idillio lavorativo?», le chiese ilare.
«Divergenze, direi», disse Jisoo con tono amaro.
«Beh, non pensiamo al passato ma piuttosto al presente.
Conosce la nostra azienda signorina Kim?», le domandò, osservandola da sotto gli occhiali tondi.
«Difficile non conoscerla. Credo che sia al vertice del settore farmacologico del paese»
«Sì, onestamente sì.
Ma non ci crogioliamo sugli allori per questo, anzi cerchiamo di essere sempre un'azienda dinamica, alla ricerca di nuovi spunti creativi e di personale all'altezza.
E lei sembra avere tutti i requisiti giusti.
Laurea con il massimo dei voti, master di primo livello e un'esperienza pluriennale in azienda», le disse con spontaneità.
Jisoo si sentì in imbarazzo.
Si aspettava un interrogatorio per testare le sue capacità, di certo non complimenti così gratuiti.
«La ringrazio», rispose timidamente.
«Che cosa le piace fare?
Sarebbe interessata a restare nell'ambito della cosmesi o è aperta anche ad altri settori? Quello più strettamente farmacologico, ad esempio. Fortunatamente la nostra azienda spazia in molti campi»
«Oh, sono disposta a fare tutto, non mi pongo limiti in questo senso», disse velocemente lei.
"Disposta a fare tutto, Jisoo?
Ti rendi conto che suona male,
vero?
Ottimo biglietto da visita per un primo colloquio!", cominciò a sussurrarle la vocina fastidiosa nella sua testa.
«Bene. Questo è lo spirito giusto.
Sarebbe disposta anche a trasferirsi?Leggo che vive a Daegu», le domandò diretto.
In un attimo sentì lo stomaco contorcersi in una sorta di spasmo.
No che non era pronta a trasferirsi.
Ma cosa avrebbe potuto rispondere se non:
«Certo, non ci sono problemi.
La capitale mi ha sempre affascinata!», per poi deglutire, cercando di digerire la sua stessa bugia.
«Ottimo! Ora parliamo di cose più pratiche: con il suo bagaglio lavorativo sarebbe sicuramente adatta per il nostro settore ricerca e sviluppo, sta a lei poi, come le ho detto, decidere quale ambito sia più vicino ai suoi interessi.
Parliamo di un contratto a tempo indeterminato che prevede questo compenso annuale», disse il dottor Jung, per poi afferrare un foglio di carta e cominciare a scrivere un numero a cifre tonde.
Poi lo girò verso di lei in modo che potesse vederlo e Jisoo strabuzzò gli occhi dalla sorpresa: era più del doppio di quello che era abituata a percepire nella sua ex azienda.
«Pensa che sia una quota abbastanza soddisfacente per lei?», le chiese con un sorriso sghembo stampato agli angoli della bocca.
«Direi di sì», balbettò lei con la salivazione al minimo.
«Bene, per me è tutto. Non ho altre domande da farle»
"Tutto qui?", si domandò sconcertata.
Quel colloquio non era durato nemmeno dieci minuti!
Era chiaro che stesse cercando di togliersela di torno nel più breve tempo possibile, sebbene la sua mente continuasse a proiettarle la cifra astronomica che le era stata appena proposta.
«La terremo aggiornata, signorina Kim», disse, porgendole la mano per una stretta.
Lei ricambiò il gesto, alzandosi dalla poltroncina in pelle ancora confusa
della rapidità con cui si era svolto tutto.
«Arrivederci», lo salutò, notando per la prima volta che il dottor Jung fosse almeno cinque centimetri più basso di lei.
Lo lasciò seduto alla sua scrivania, con aria pacifica e serena e lei sgattaiolò via dall'ufficio.
Diede un'ultima occhiata a quel corridoio open space, cercando di coglierne ogni minimo particolare, convinta che non avrebbe mai più messo piede in un luogo del genere.
Dopo aver preso l'ascensore, si ritrovò di nuovo nella gigantesca hall: una volta recuperato il documento i suoi occhi si posarono sul grande orologio appeso alla parete di fronte a lei.
Le 11 e mezza.
Il tutto si era svolto in nemmeno mezz'ora.
Era giusto in tempo per prendere il prossimo treno per Daegu e tornare alla sua vita di sempre.
In quel preciso momento pensò a Taehyung, a quanto desiderasse chiamarlo e raccontargli di quella mattinata.
Ma non poteva, e anzi, avrebbe dovuto dissimulare per tutti i giorni a seguire.
Mentre il senso di colpa aveva cominciato a stringerle lo stomaco, cominciò a sentire la vibrazione del cellulare.
«Pronto mamma?»
«Oh tesoro, buongiorno!
Ti ho mandato diversi messaggi ma non mi hai risposto.
Così ho chiamato Tae e mi ha detto che sei da papà.
Dovevo giusto domandargli una cosa importante, me lo passeresti per favore?», disse sua madre in un flusso di parole continuo.
«Oh... », iniziò a rispondere lei, ma l'eco di una sirena della polizia, che passava in quel momento, coprì la sua voce.
«Jisoo? Sei per strada?», le chiese sua madre allarmata da quel suono.
«Sì. Non siamo a casa»
«Papà è lì con te?», domandò sua mamma insistente.
«Sì. Cioè no. È rimasto indietro durante la camminata... », mentì lei, mordendosi quasi la lingua.
«Da quando tuo padre viene a camminare?
Jisoo, se devi dire le bugie almeno inventale con criterio!», la rimproverò subito.
Jisoo alzò gli occhi al cielo: riusciva a coglierla in fallo come quando aveva sei anni.
«Ok mamma non sono da papà, contenta?», ammise.
«E dove sei, si può sapere?»
«A Seoul»
«A fare cosa?»
«Un colloquio di lavoro», rispose in un sospiro.
«Tesoro, ma questa è una splendida notizia! Dove? Perché non mi hai detto nulla?»
«Alla PharmaJ»
«L'azienda quotata in borsa?
Stai scherzando?», le chiese sua madre con un tono di voce di almeno un' ottava più alto.
«Sì mamma, quell'azienda.
Ma non ti esaltare. Il colloquio è durato pochissimo. Non so nemmeno che sono venuta a fare», rispose Jisoo con aria rassegnata.
«Questo è il tuo solito pessimismo cosmico! Hai fatto bene a provare e a presentarti! Le occasioni non piovono dal cielo, ma vanno sempre afferrate!»
«Già...»
«Le bugie, invece, hanno le gambe corte.
E qualcuno non merita di sentirsele dire... », aggiunse, alludendo a Taehyung.
«Grazie mamma, non ho bisogno della morale adesso»
«Sei grande ormai.
Ricordati sempre però che la verità alleggerisce, le bugie pesano come macigni»
Jisoo chiuse gli occhi, tentando di silenziare il disagio che provava in quell'esatto momento.
Cosa aveva fatto di male dopotutto?
Aveva scelto di darsi una possibilità senza dover rendere conto a nessuno.
Aveva raccontato una piccola bugia, solo per non dover giustificare le sue azioni.
Aveva scelto sé stessa e non gli altri, per una volta.
«Mamma, devo proprio andare, altrimenti rischio di perdere il treno!», disse frettolosamente, chiudendo la chiamata, senza voler sentire una parola in più.
Impressioni su questa Jisoo e su come stanno andando le cose?
Adesso arriva il bello😎
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top