7. Dentro un universo
Farao trae in salvo Zahira dietro la schiena. Sguaina la sciabola e la punta al collo della copia infida. È così affilata che taglia metà della barba, nera con ciuffi argentei.
«Desidero diventare imperatore di Rolin!» urla Murad.
Dei fulmini sconquassano il cielo rosso. Un mulinello d'aria si accanisce su Zahira, Farao cerca invano di trattenerla per la mano, ma non riesce ad afferrare le sue dita sottili. Un sisma martella le mura della città. Una gabbia piomba dritta su di lui. Il tappeto volante sfreccia a trarlo in salvo, ma non arriva a intrufolarsi tra le sbarre che imprigionano il suo proprietario. L'uomo urla, cerca di spaccare il ferro, ma a ogni tentativo di fuga la prigione si rimpicciolisce.
Zahira viene portata su un tetto pericolante. Il perfido cognato è in piedi davanti a lei. Cerca di trovare, tra le sue vesti, un'arma che sia in grado di fermarlo.
«Risparmia la fatica, Amore mio» dice l'uomo fraudolento, facendo lo splendido. Estrae la lampada di Graham dalla manica. Il genio sprizza fuori, in dimensioni assai ridotte, e finisce sul palmo di Murad. «Perché non siamo a Rolin?!» Stritola il povero omino rosso tra le dita.
«Devi essere più specifico quando esprimi i desideri, pezzo di gene!» risponde il ribelle Graham, con una ridicola voce che sembra squittire.
«E perché non ho la corona in testa?!»
Le narici dilatate nel padrone arrogante mandano respiri maligni che inumidiscono i suoi capelli spenti.
«Credi che sia così facile?!». Si dimena. «Un genio ti può predisporre l'occasione per esaudire il tuo desiderio, non realizzarlo al posto tuo! Solo tu puoi agire per te stesso, solo tu e nessun'altro!»
Murad lo stringe ancora di più, poi guarda truce l'attraente cognata.
«Bene, vorrà dire che a Rolin tornerò solo io e nessun'altro!» Rinfila il genio dentro la lampada e sfodera il coltello da sotto una manica.
I suoi passi pesanti si approssimano alla donna indifesa. Murad si lancia sul suo corpo. Zahira non ha abbastanza forza per respingerlo a lungo. Cerca di picchiarlo, di dargli calci. Ma non serve a nulla: l'uomo non sente alcun tipo di dolore.
«Avrei dovuto uccidere prima te di mio fratello» sussurra Murad, infimo, alle orecchie di Zahira.
L'imperatrice spalanca gli occhi al cielo. Lo sapeva, se lo sentiva nelle viscere che era stato lui a portarle via l'amore della sua vita.
«E sai come l'ho fatta franca?» deride. «Ho avvelenato l'hashish che inalava! Se ci pensi non sono stato io, avrebbe potuto smettere di fumare!» ride, spietato. «Povera vedova bisbetica uscita di senno, nessuno ti ha mai creduto.»
Zahira gli sputa in un occhio. Inorridita. Infuriata.
«Te la farò pagare, caino!» si dimena.
«Non credo proprio, grazie al genio sono invincibile, non posso morire!» Murad le stringe di più i polsi contro alle tegole dorate del tetto, puntandole la lama alla gola.
«Il genio?» realizza Zahira. «Ma certo: il genio!»
Ora sì che è tutto chiaro.
«È stata la magia recuperata di Graham a portarti qui, per via del primo desiderio che ho espresso!». Un ghigno soddisfatto, coraggioso, si dissemina sul suo volto. «Hai torto. Tu sei qui per morire!»
«Deliri, deliri e ancora deliri!» sminuisce Murad.
«E invece no!» esclama, provocatoria. «Ho espresso il desiderio di vedere l'assassino di Mazda morire agonizzante. E guarda un po'? Sei tu! Hai i minuti contati, assassino!»
Murad effonde risi malvagi. Allontana il coltello e avvicina la sua bocca viscida al collo dell'imperatrice.
«Evidentemente non lo sai, mia cara: l'effetto di un desiderio si può annullare con un altro» sussurra, maniaco di potere.
«No» pronuncia lei, inasprita dalla rabbia, soggiogata dalla paura. «La magia del genio potrà modificare le strade che ti portano a realizzare il tuo destino, ma non può... non può modificare il tuo destino!»
«Ma davvero?» beffeggia.
Le mani grosse e rudi violano il suo bassoventre.
«L-lasciami!» balbetta lei.
«Sei così bella, nessuna donna del mio harem è paragonabile a te...» il suo raccapricciante tono perverso la intirizzisce. «Rispetto a quella di tuo marito, la tua sarà una morte più dolorosa... o forse più piacevole.» Si morde le labbra. «Dipende da te.» Impugna il coltello e le strappa via vestiti.
La donna schiva la sua bocca. Lo supplica, lo picchia con le ginocchia, con i piedi, con le braccia. Ma non valgono a niente i suoi sforzi.
Murad viene colpito alle spalle, ma non vede bene cosa sia, per via del buio della notte. È il tappeto volante, si è scagliato addosso a lui.
L'oggetto magico senziente lo percuote, violento, pesante, inafferrabile. Cerca di tramortirlo. Riesce a tirar via la lampada di Graham dalla sua manica e gettarla lontano dal tetto.L'oggetto magico senziente lo percuote, violento, pesante, inafferrabile. Cerca di tramortirlo. Riesce a tirar via la lampada di Graham dalla sua manica e gettarla lontano dal tetto.
Le sbarre attanagliano i muscoli delle spalle di Farao, impedendogli ogni singolo movimento brusco. Ha sentito le grida dell'amata e ha perso la voce a forza di urlare, insieme a ogni traccia di bontà che lo inibisce.
Mostro! Lo vuole ammazzare, trucidare.
Vede la lampada cadere dal tetto, rotolare giù per le rovine dorate. Si ferma a un metro da lui. Farao fischia, chiama Busat. Ma il manufatto animato che Aïcha ha ordito con le sue stesse mani non arriva.
Si sforza di allungare il braccio. Emette gemiti di dolore. Il ferro a momenti gli trafora le ossa.
La sfiora. Continua a provarci.
L'ha presa.
«GRHAM!» invoca, stremato. Graffia la patina sull'incisione del nome. Il fumo rosso fuoriesce dalla cannetta di bronzo. «Desidero che Zahira torni a Rolin sana e salva!»
La voce dentro la lampada esita.
«Ma se esaudisco questo, tu...»
«ORA!» grida.
Il genio si materializza, imponente come una bufera. Farao è folgorato da scintille. Le sbarre scompaiono. Delle scale ripide si formano dalle rovine, lui agguanta da terra la sciabola e corre a salvare Zahira.
Murad brandisce il coltello per lacerare questa diavoleria volante. L'imperatrice ricambia il favore a Busat, sferrando un colpo alla testa stempiata del sultano con una tegola, ma non ce la fa a stordirlo.
Busat si squarcia in due. Zahira cerca di rianimare il tappeto, ma il cognato, con la vena in fronte pulsante, la aggredisce di nuovo. Qualcuno gli tocca la spalla destra e lui si volta. Un pugno gli arriva dritto in faccia.
Farao scrocchia le dita, gli assesta un colpo di sciabola sulla milza a sangue freddo e il mostro cade, agonizzante.
Le stelle illuminano la pelle olivigna del suo prode eroe. È la terza volta oggi che le salva la vita. Il braccio di lui trema. Tutto di lui trema e, scosso, lascia scivolare la spada dalle mani.
Lei si lancia ad avvolgerlo con tutta sé stessa. Ansima di paura, non frena la sua esuberanza. Piange di gioia a saperlo sano e salvo. Le sue dita accarezzano le guance un po' irsute. Un turbine di liberazione, di desiderio, inghiotte entrambi.
Gli occhi, languidi e scuri, cibano di coraggio l'animo attraverso il suo sorriso. Il corpo, giovane e prestante, produce vigore grazie a questo ulteriore contatto. Non si pente di quello che ha fatto, né di quello che ha intenzione di fare: baciarla.
Le cinge la vita, vezzeggiandole il ventre. Le accarezza i voluminosi capelli serici. Cerca il consenso nei suoi splendidi occhi, dove il cielo diurno è rimasto come traccia indelebile.
Zahira allarga di più la mezzaluna sul volto. Le palpebre scendono, delicate come un velo di seta. Si approssima al mento dell'audace Farao, adescata dall'innegabile fascino esotico. Preda del momento passionale, acconsente.
Un colpo al cuore. Un gemito sofferente: Murad trapassa la sciabola dalla lunga schiena dell'uomo. La punta della lama affilata erompe dal petto, graffia appena il collo di Zahira. La spada si stacca da lui.
Il cuore di lei si ferma all'istante: l'agonia compare negli occhi di Farao. Zahira lo accompagna nella caduta, geme. L'uomo la respinge, estrae la lampada dalla tasca e gliela porge in mano.
«Scappa» riesce a pronunciare, tra mugolii e spasmi. Sfrega il bronzo.
«No» urla lei. «Non lo farò mai. Resisti, ti prego!» supplica, piangente.
Si volta, di scatto. La rivalsa guida il cognato durante gli ultimi respiri. Lei si alza, con la forza immane dell'odio che la sta accecando di vendetta. Grida, insulta quella bestia immonda che è vissuto strisciando ancora un po' solo per portarle via un altro uomo. Afferra il pugnale con cui la voleva uccidere, lo scaglia sulla sua testa con indicibile foga. Rompe le tegole dal tetto, le scaraventa su di lui fino a che il suo cadavere non diviene vittima della sabbia sospinta dal vento.
Graham soccorre, straziato, il padrone che ossequia. Cascate salate scendono dai suoi occhi, resi più malinconici dalla forma umana appena assunta. Lo mantiene in vita, per quanto i suoi scarsi poteri lo possano permettere. Si dispera. Si rabbuia. Chi lo sta per lasciare non è un padrone, né un semplice amico: è suo figlio. Non lo avrà generato, ma lo ha visto crescere e lo ha accompagnato per tutta la vita.
Gli porta le mani al petto che sgorga di sangue. Ricorda la prima volta che le ha toccate, quasi ventisei anni fa, quando lo procurò a un vecchio schiavo che aveva espresso il desiderio di avere un figlio.
Lo trovò nel deserto: era un piccolo fagottino abbandonato sulla sabbia, appena fuori dalle mura di un borgo solitario. Uno scarto, un povero neonato voluto da nessuno, appena venuto al mondo e dal mondo rifiutato. E pensare che fu proprio quell'insignificante e derelitto esserino a divenire il desiderio più grande, la speranza più accesa, di un pover'uomo che anelava solo a essere un padre e non un padrone.
Quando lui morì di vecchiaia, Farao scoprì che tipo di essere fosse colui che lo aveva trovato. Saputa la verità sul vero nome di Mah e sulla sua natura, prese a viaggiare per il mondo insieme a lui, alla ricerca della mappa che sarebbe stata in grado di liberarlo una volta per tutte.
Non lo ha mai trattato da schiavo, e per questo Mah ha fatto tutto quello che ha potuto per renderlo felice, nonostante le fatiche, le sofferenze inevitabili, di quel piccolo scricciolo. Allora lo aveva salvato da un triste destino inesistente, adesso, invece, non può fare nulla per evitare che la sua anima passi all'altro mondo tanto presto. Di anni ne ha più di un milione. Di morti ne ha viste a bizzeffe, e neanche quella di Yamir è stata tanto triste come questa.
Il brutto dell'affezionarsi agli esseri umani è che prima o poi se ne vanno altrove, presenti nel mondo come tracce silenti. Sapeva che sarebbe accaduto, ma non immaginava così e adesso.
«Ti voglio bene, Mah» proferisce Farao, con un sorriso impresso sul volto.
Zahira si avvicina, porge al genio lo strenuo Busat. Mah ricuce ogni strappo del tappeto, manovra che, purtroppo, con gli esseri umani non ha lo stesso effetto risanatore. Lascia spazio alla donna di dirgli le sue ultime parole.
«Se solo avessi accettato di sposarti senza fare storie tutto questo non sarebbe accaduto» piagnucola. «Mi dispiace.» Gli accarezza i capelli, corti e morbidi.
Farao le sorride. Poggia la mano sulla sua, lasciandogliela salda sul suo volto rapato. Con l'altra sfiora la piccola lesione che lei ha sul collo. Si strugge d'amore fino all'ultimo istante.
«No. Sono stato complice della situazione anche io» rantola. «Avrei dovuto dirti che esisteva un modo per riavere Mazda. Sono stato egoista, ho posto la mia felicità davanti alla tua.»
Zahira porta il dito alle sue labbra tenere. Non le importa più cosa lui ha detto o non abbia detto.
Farao socchiude gli occhi scuri. «Torna a Rolin e fai in modo che la piuma bruci sui suoi resti...»
Zahira cerca di zittirlo per fargli risparmiare del fiato prezioso.
«Io ti amo» esala «Zahira.»
Toglie il dito dalla sua bocca. È la prima volta che si rivolge a lei chiamandola per nome, suona come un dolce assolo di tar. E... e lo vorrebbe sentire pronunciare ancora. Cosa rispondere non lo sa, ma cosa fare sì. È il minimo, dopo quello che questo splendido uomo ha dovuto affrontare: lo bacia.
È vedova, è lì per un altro, ma non le importa. Anche se vale tanto, un bacio non le costa nulla.
Le loro labbra si toccano, finalmente. Si assaporano, si divorano, si liquefanno insieme fino a divenire la stessa carne. Si cercano e si ritrovano entrambi l'anima l'uno nella bocca dell'altra.
Che sciagura è la vita, solo in punto di morte riesce ad assumere valore.
Dolce, famelico, ingordo. È una battaglia in cui non ci si arrende, in cui nessuno dei due può vincere. Non mollano la presa, non si saziano. È un legame indissolubile che li rende voraci. L'essenza di Farao sa di desiderio, di speranza, di vero amore. E quella di Zahira... ha lo stesso retrogusto.
Eh sì: lo ama anche lei, di un amore sconosciuto, nato senza preavviso. Non sa il momento preciso in cui si è innamorata, lo assimila solo ora che lui la sta abbandonando per sempre.
Graham aveva ragione: si è in grado di amare più di una volta perché siamo dentro un universo, perché abbiamo dentro un universo e in un universo entra l'infinito.
E piange, di gioia e di dolore insieme. Non si prosciuga il sale che gocciola dalla disperazione, impregnato della sua unica speranza: la volontà di protrarre il bacio all'infinito. Un futuro insieme a lui è adesso l'unico desiderio che vorrebbe esprimere.
Il cuore dell'uomo palpita, felice e sofferente, innamorato e moribondo: è lo stesso tono che possiede la vita, che gli ha sorriso con la morte.
La lascia andare, stavolta davvero. L'amore di lei non sarà durato quanto avrebbe voluto, ma almeno ne ha avuto un assaggio. Esala l'ultimo respiro dentro la bocca di Zahira, contento per sempre.
Ora è costretta a mollare la presa. Il pianto convulso non ha più fine. Lo stringe, disperata. Cerca di trovare un battito da qualche parte, ma non esiste più.
No: non è affatto pronta a vivere senza riprovare di nuovo la stessa e unica sensazione.
«Padrona...» proferisce Mah, dopo qualche minuto. «Dobbiamo andare.» Le tende la lampada.
«No» mugola Zahira. «Non senza di lui.»
Il tappeto magico si avvicina al corpo esanime. Non ha occhi per compiangere l'affezionato proprietario, eppure mostra sofferenza in qualche modo. Si offre come primo drappo funebre fino a Rolin, ma la donna lo ferma. Si volta in direzione del genio, accanto a lei. Graham scuote la testa, le fa intendere che non può nulla contro la morte. Osserva il volto distrutto di lei.
No, un attimo... Sta sorridendo! Perché sta sorridendo? Una speranza le sorge nell'animo, è contenta che adesso potrà amare solo Mazda?
«Busat, allontanati da qui» comanda l'imperatrice. «Non vorrei rischiare di bruciarti.»
Graham trasalisce. Poggia la mano nerboruta sulla sua spalla. Chiede se ne è sicura.
«Sì. La vita non è solo quella che abbiamo vissuto, è anche quella che abbiamo ancora da vivere. Mazda è il mio passato, e non smetterò mai di amarlo per questo... ma voglio che sia Farao il mio futuro.»
Ha fatto la sua scelta e non ci pensa su due volte: agguanta il velo dalla tasca, scopre la piuma infuocata. La osserva. Pensa al suo Farao e immagina l'incerto futuro che, forse, qualcosa le promette. Mette al sicuro per sempre la magia della resurrezione nel petto dell'uomo. La spinge, cospargendola del suo sangue.
Divampa una piccola fiamma che non le brucia le dita. Mah la allontana.
L'incendio si attizza, il fuoco trangugia il cadavere fino alle ossa. Arde, sfiamma. Dell'uomo amato, defunto, rimane la cenere luccicante tra le tegole contaminate di silice.
Un granello di sabbia. Dieci granelli di sabbia. Trenta granelli di sabbia. Sessanta granelli di sabbia.
La cenere si è spenta.
Si capovolge la clessidra: un granello di sabbia. Dieci granelli di sabbia. Trenta granelli di sabbia. Sessanta granelli di sabbia.
La cenere è ancora spenta.
Zahira si prostra, supplica il cielo stellato. Prega che la piuma non abbia fallito. Spera che i resti di Farao non si conformino al deserto che distrugge e mantiene sepolta ogni traccia del passato. Cerca certezze nello sguardo di Mah, ma lui non ha idea di cosa stia succedendo.
«Avrebbe già dovuto funzionare» dice.
Si avvicina, strisciando, agli unici frammenti che rimangono di lui. Un pianto esasperato rimbomba tra le rovine. Supplica, scongiura, implora Ser Kal di rendergli l'uomo che l'ha salvata in ogni modo possibile e immaginabile.
Tutto è buio. Tutto è muto. Una lacrima di sale cade sulla disperazione e la speranza è versata sulla polvere.
La luce si accende di colpo. La cenere si innalza. Il vento caldo la conduce al suolo, distante da loro, con una luna crescente all'orizzonte.
La vampa miracolosa si aizza. Dopo aver disceso le scale, Zahira si allontana dal fumo brucente. Strizza gli occhi per il troppo calore, i bulbi per poco non le si squagliano dentro le orbite.
Una sagoma umana danza col fuoco. Si muove, svelta e leggiadra, come una grossa fiamma attraversata da un flebile sospiro.
A ogni crepitio un battito scalpita e la carne si modella. In alto una mano si muove, in sotto delle ginocchia si scontrano. Al centro costole e muscoli del torace prorompono e il volto viene riscolpito dalle fiammate.
La luce emessa diviene accecante, il genio e la donna chiudono gli occhi.
Una voce, un timbro, un rumore tossisce. Il vento sfiora i fili di seta del tappeto e dei loro capelli.
Il rumore diventa respiro.
Zahira sbarra le palpebre. È lui: Farao. Vestito solo della pelle rinata. Lucente, nella notte che traspare dai suoi occhi scuri e profondi, specchio di stelle.
«Zahira?» domanda frastornato, acuminando lo sguardo.
L'ultima e la prima parola che la sua tenera bocca pronuncia. L'ultimo e il primo pensiero che la sua mente concepisce. L'ultimo e il primo motivo per cui il suo cuore ha palpitato. Non è altri che lei.
Sussulta felice e gli salta addosso, facendolo cascare sulla sabbia. Lo massacra a suon di baci. Preme la carne, rovente, contro la sua, arroventata. Più realizza che è vero, che è vivo, più lei diventa vivace. Le labbra riemerse dell'uomo trattengono più respiri di Zahira che respiri suoi.
«Andateci piano!» grida Mah, sarcastico, con le lacrime stillanti sul suo largo riso. «Non abbiamo un'altra piuma per resuscitarlo, se muore di nuovo.»
Zahira frena un po' l'impeto. Abbandona la bocca squisita, da cui ora dipende, per lasciare libero l'uomo di immettere aria nei polmoni rigenerati.
«Cosa...» esala, trafelato «cosa significa questo?». Socchiude le palpebre e la guarda dritto negli occhi, confuso.
La donna comprime le mani morbide sul suo viso privo di rughe.
«Significa che ti amo.» Sorridono assieme. «E che ti voglio sposare!» Lo bacia di nuovo.
Nato. Sorto. Morto. Risorto. Rinato. Corrispondono tutti allo stato di innamorato: la felicità che gli riempie l'anima è più sconfinata del cielo, più accesa di un qualsiasi astro.
I loro corpi affondano sulla sabbia. La brama, la stringe, la aspira con tutti e cinque i sensi. È dovuto morire per respirarla, ma ne è valsa la pena.
Il genio si schiarisce la voce per richiamare l'attenzione.
«Avete finito o devo ritirarmi nella lampada?» chiede, compiaciuto ma serio.
Farao cerca di resistere a questo assalto passionale e disinvolto che lo manda in estasi. Distacca le labbra di ninfea dalle sue. Le mani di Zahira si arrestano. La fragorosa risata di gioia è musica celestiale per le sue orecchie.
Graham lo aiuta a rialzarsi. Il tappeto si drappeggia sulle sue gambe, per riparare le parti del corpo troppo sensibili dalla frescura notturna. Farao accarezza il vello del suo devoto Busat.
«Dobbiamo comunicarlo subito a corte!» dice alla sua amata, prendendola tra le braccia. «Non vedo l'ora di vedere le facce sbigottite di tutti i consiglieri»
Zahira increspa le sopracciglia e rotea gli occhi verso Mah. Ah, già...
«Ehm... veramente...» esplica, impacciata.
«Scricciolo» interrompe il genio «lo hanno saputo tutti quanti stamattina.»
«COSA?!»
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