3. La luce che sopraggiunge da dentro
La porta di legno massiccio dell'enorme sala si chiude, dietro lo strascico della veste nera. L'imperatrice Zahira è furibonda, stordita, stravolta, stremata... non sa nemmeno lei cosa le passa per la testa. Di certo non è sicura delle calunnie che ha vomitato in faccia al Gran visir, non del tutto almeno. Il volto contrito, la posizione prona, le lacrime agli occhi... tutto le è sembrato quell'uomo, lì per lì, fuorché un assassino.
E se davvero non lo fosse? Sciocchezze! si risponde, Che motivo avrebbe avuto altrimenti di farmi una proposta di matrimonio?!
Assassino o meno, non se l'aspettava questa mossa da parte sua. Le è stato vicino tutto questo tempo solo per ottenere la corona da scià? Che sventura essere una mera pedina di potere, ambita solo per la dote che possiede.
Le ancelle che la accompagnano si riparano i timpani. È così arrabbiata che i suoi urli echeggiano per tutta la navata, sconquassando le vetrate policrome delle finestre, che si susseguono a intervalli regolari di colonne arcuate. L'eco disturba le orecchie del ciambellano sonnecchiante, che rinviene dall'abbiocco e scatta sull'attenti. Barcolla e si tiene dalla balaustra d'avorio. Non si regge in piedi, il poveretto, è stato male tutta la notte a causa della tosse.
«Farabutto!» urla isterica, gettando per sbaglio l'occhio sul suo dignitario di corte, che trasalisce attonito. «Io mi fidavo di te!»
«Non è colpa mia! Volevo avvisarvi, ma me lo hanno impedito...» blatera lui, tra un colpo di tosse e l'altro.
Zahira aggrotta le sopracciglia sottili, fulminandolo con una smorfia. Non è un po' troppo vecchio per stare qui? Forse dovrebbe assegnargli un vitalizio una volta per tutte...
«Che vai farneticando?» domanda, nervosa.
Il servitore strabuzza gli occhi cisposi e le indica i tre consiglieri che stanno scendendo le scale in maniera temeraria, osservandola con sdegno. Di sicuro vorranno rimproverarla per non aver scelto un pretendente alla cerimonia di ieri.
Se ne infischia di come la guardano, neanche si ricorda i loro nomi. Li chiama a caso, come meglio le pare. Visto il loro aspetto ripugnante da grasso, brutto e troglodita, le verrebbe da nominarli Rocca, Cactus e Raccattabrindisi. Ma si contiene dall'insultarli apertamente, nei limiti della sua buona educazione.
Menomale che non ha niente tra le mani, a eccezione degli anelli di lapislazzuli infilati fra le dita, sennò avrebbe scaraventato loro più del solito sguardo bieco e minaccioso.
La esortano a sedersi e lei sale sull'altare, calpestando rabbiosa il lungo tappeto pezzato di rombi. Lascia precipitare il suo corpo aggraziato su quei cuscini blu screziati da stelle gialle, che ormai hanno assunto la forma del suo sedere.
«Cosa volete?» domanda, antipatica come non mai, stringendo i pugni nei manici del trono.
«L'intero Consiglio vuole proporvi un partito, signora» dice uno di loro, quello più paffuto. «Siamo certi che non vi potrete tirare indietro stavolta.»
Zahira alza gli occhi al soffitto scintillante di arabeschi. Si massaggia le tempie e prega che finisca questa inconcepibile e ridicola farsa.
«Non vi azzardate a propormi Farao!» ordina, adirata e indiscreta, suscitando la curiosità nei presenti che l'hanno sentita.
I tre ministri si guardano tra di loro, un po' confusi. Come mai l'imperatrice ce l'ha col Gran visir?
I servi che lucidano scale e pavimenti fermano il loro sfregamento e si voltano sorpresi, illuminati dai raggi colorati che attraversano le vetrate. Le guardie alle porte dei corridoi, predisposte a due a due, si forniscono a vicenda segni stupiti di intesa. Il ciambellano, in procinto di tossire, entra in apnea per un istante di troppo che per poco non gli fa fuoriuscire gli occhi dalle orbite. Le ancelle bisbigliano l'una con l'altra con un indiscusso piacere.
Zahira nota, nei volti dei suoi servitori, una certa luce che sopraggiunge loro da dentro. È come se fossero felici dell'idea che un uomo di umili origini sorga come nuovo astro. Forse si è accesa la speranza che la loro beneamata imperatrice si sposi con l'unico visir lì a palazzo che li tratti con dignità?
«Certo che no!» enuncia Cactus. Non sia mai! Ci mancherebbe altro che quel beduino travestito da signore continui a governare. Dopo la morte di Mazda, il beduino è divenuto automaticamente l'unico reggente, e se divenisse ufficialmente imperatore finirebbe la loro pacchia. Sennò perché starebbero insistendo tanto affinché quella donna isterica si sposi? Non vogliono che lui avanzi il diritto di reggenza per mancata successione al trono!
Le trombe squillano all'improvviso. Decine di paggi sconosciuti irrompono in sala, suonando tamburi e strumenti a fiato. Alcuni sono sui cammelli e sporcano, con gli zoccoli insabbiati, i tappeti appena messi. Venti serve, dagli abiti succinti, camminano lungo la navata e lanciano petali variopinti, che racimolano da grossi cesti di canna. Li posano a terra e poi, in sincrono, cominciano a ondeggiare sui movimenti della danza del ventre. I suoni dolci di questa musica trionfale sembrano emessi dalle loro curve sinuose.
Una sagoma familiare, in groppa a un dromedario bianco, si staglia nel bagliore intenso del meriggio. I servitori la aiutano a scendere e questa si rivela un uomo bassino, tarchiato, che ancheggia sicuro. Mano a mano che approssima i passi al centro della sala, il volto scoperto dell'imperatrice si riempie di stupore.
Mazda? si chiede sbigottita.
«Sultano Murad delle montagne del nord...» annuncia inquieto il ciambellano, con voce gutturale.
La sovrana non emette fiato, è sconvolta dalla somiglianza incredibile tra lui e suo marito. È interdetta, lo osserva camminare e riconosce, nelle movenze e nella mimica, l'amore della sua vita.
«Cognata!» esulta l'uomo «Lieto di rincontrarvi, nonostante le scomode circostanze!». Ridacchia, come se non gliene importasse nulla del fratello gemello defunto. Anzi: davvero non gliene importa. È giunto a compiangerlo sino a Rolin solo il giorno del funerale. «Il vostro volto è deprimente ma splendido. Vi compatisco, mia cara.»
No, di grazia! le viene da rispondere a tono. Ma si trattiene, anche se non è davvero lui, trova anormale perdere le staffe con l'immagine di suo marito davanti agli occhi.
«Non potrei mai permettere che abbiate per sposo un qualsiasi forestiero pezzente!» perora, in poche parole, la sua posizione. Ma ride sotto ai baffi. «Perciò ho intrapreso un viaggio di due giorni solo per giungere al vostro cospetto e chiedervi la mano.»
È impettito, baldanzoso, non traspare la minima emozione in ciò che ha affermato. La sua voce scattante, il suo volto barbuto, i vestiti regali... sembra, agli occhi di tutti, la salma resuscitata del defunto imperatore.
Zahira ha appena realizzato che gli uomini saggi che la circondano sono di un'arroganza sconcertante che sconfina in una stupidità immane.
Chi è il babbeo che ha pensato fosse un'idea geniale? Getta occhiate incandescenti ai tre consiglieri compiaciuti, sicuri di averla avuta vinta. Quanto devono essere fetidi d'animo per credere che conti solo l'aspetto esteriore per lei? Quell'uomo non è suo marito e non lo sarà mai!
Murad inarca le sopracciglia e si rassetta la lunga barba brizzolata, qualche pelo gli è finito dietro il colletto del kandura biancastro. Attende una risposta.
Gli occhi di tutti sono puntati sull'imperatrice. Le ancelle che la accerchiano hanno quasi la sua stessa espressione sconvolta. Le guardie alle porte voltano le spalle ai corridoi e fanno capolino per godersi la scena grottesca. Il ciambellano è a tanto così da fracassarsi da solo la testa sul mosaico del muro, decisamente non ha voglia di stare a guardare la sovrana che inveisce, di nuovo, contro quei nobili senza cervello.
Assurdo che i servitori la conoscano meglio dei suoi consiglieri.
Murad è anche poligamo, santo cielo... è un'imperatrice, non una concubina! Sarebbero da lapidare a seduta stante quei tre ministri che sono stati eletti portavoce dall'intero Consiglio.
«Via» digrigna i denti. Ha dei tic all'occhio destro.
Murad e la combriccola di sciroccati non si spostano, pensano che lei si rivolga alla gente di classe inferiore. Dicono alle ancelle e ai lavapavimenti di lasciare alla conversazione un po' di riservatezza.
«No, voi!» si eleva, tirannica, dal suo trono. «Andate via!» sbraita a gran voce, indicando ai buffoni mancati l'uscita alle loro spalle.
Sette grosse guardie entrano in sala con le loro sciabole e lance d'acciaio. Spinti dalla ripugnanza, vogliono cacciare via quegli sceicchi insensibili che l'hanno offesa.
«Non così in fretta» controbatte il ministro più allampanato, oltraggiando in ogni modo la sovrana che dovrebbe riverire. «Siamo stufi della vostra testa dura! Non volete sposarvi neanche con il sultano Murad? Così sia! Ma badate che senza marito siete spodestabile! Abbiamo scoperto che vostro cognato è il legittimo erede in ordine di successione e noi votiamo in suo favore per deporvi anche adesso, se non vi decidete a scegliere marito!»
Silenzio in sala. Il volto della corte si rabbuia come se fosse calata la notte in pieno mezzogiorno.
Zahira rabbrividisce. Che tiro disonesto che le hanno lanciato.
I ministri sogghignano, canaglie. Murad la guarda perfido, altezzoso in tutte le sue cadute di stile. Lo sguardo di suo cognato sì che è quello di un farabutto, di uno stratega, di un potenziale sicario.
Un senso di colpa le pervade la mente quando realizza che ha maltrattato ingiustamente il suo Gran visir. Accusarlo di omicidio, dopo che si era persino inginocchiato per chiederle la mano, non è stato un affronto meno peggiore di quello che stanno facendo a lei.
Come ha potuto pensare che Mazda abbia commesso l'errore grossolano di avvicinare a sé un uomo malefico? Non era uno stupido! Farao è sempre stato fedele, umile, tenace, carismatico... sì, insomma: che le è saltato in mente?
Le guardie al servizio di Murad si intrufolano da tutte le entrate. I servitori non hanno il coraggio di interferire, sebbene stiano esecrando quei parassiti.
Non sa che fare. L'unico uomo che la difende e che potrebbe schiacciare quei vermi con la suola del suo potere non è lì. E, se ci fosse, dubita che adesso starebbe dalla sua parte.
Il tempo stringe. Sente nel cuore la sabbia che scende dalla clessidra. Non ha intenzione di dargliela vinta. Non così, non adesso e non davanti ai suoi sudditi.
Non vorrebbe mai giacere con un altro, ma se fosse costretta preferirebbe di gran lunga l'amico fidato di suo marito piuttosto che la sua ignobile copia.
«Deponete le armi immediatamente» comanda, temendo di non riuscire a placare lo sgomento. In alto il mento, a testa mai chinata, proclama: «Ho scelto, stamane, il mio secondo sposo.»
Il silenzio in sala si impregna di una nuova tensione. Il volto della corte riassorbe l'ombra come se stesse scalando l'alba in piena mezzanotte.
Tutti, col fiato sospeso, fanno evacuare dalle labbra una parola, una domanda: Chi?
«Il mio Gran visir.» La sua voce è ferma, sicura.
Lo scompiglio deflagra anche dai muri maculati di pitture parietali. Il ciambellano scatena il primo applauso e la corte si infervora, mentre i ministri titubano.
«E, di grazia, perché un Gran visir al posto di un sultano?» chiede il Raccattabrindisi.
Zahira tira i tendini del collo, le dà un po' fastidio parafrasare le parole di Farao.
«Perché è più intelligente, più giovane, più ricco e più gradevole alla vista di tutti voi zotici messi assieme!»
E con questo encomiastico elogio che li deride, i ministri deplorevoli chinano la testa.
«Osate di nuovo insorgere e vi farò rinchiudere nelle segrete.» Scruta Murad per minacciare tutti. «Fuori dal mio palazzo!»
L'astro sovrano ha l'ultima parola. Non si piega dinnanzi a nessuna montagna. Si è elevato in alto su tutti loro e non azzardano a scrutarla per non rimanere accecati.
È riuscita a farsi valere, finalmente. Ma non è soddisfatta a pieno: ha dovuto attingere alla persuasione di un uomo che ha più potere di lei. O meglio: che ha potere, a differenza di lei.
Le voci del matrimonio si diffondono e la scelta ricaduta su Farao semina consensi ovunque fuori dalla cerchia consiliare. La corte è elettrizzata, la servitù esaltata. L'esempio dell'uomo dalle umili origini che diverrà imperatore infonde loro speranza perché, come nelle storie di Shahrazād, dimostra che anche uno come loro può puntare al cielo.
Si trova ora nella sua stanza, a levarsi di dosso le vesti funerarie e farsi mettere in ghingheri dalle ancelle che cercano di nascondere l'entusiasmo. Sanno che la loro signora non vuole maritarsi, vorrebbero tenere il broncio, ma non ce la fanno: in molte stravedono per il Gran visir. Lui sì che è un buon partito! Generoso, avvenente e di una dialettica esotica ineguagliabile, caratteristica di un giramondo quale è stato lui. C'è chi è contenta per lei e c'è chi la invidia.
Zahira riconosce che poteva capitarle di peggio, che non sia un uomo riprovevole è già tanto. Forse un favore le ha fatto: lui governerà, allontanerà quei parassiti, le farà avere un erede e, finalmente, la lasceranno in pace a commemorare Mazda giorno e notte.
Più granelli scendono dalla clessidra, più capisce quanto è stata sciocca a dargli dell'assassino. È incredibile che solo lei abbia pensato questo. Si è pentita amaramente della reazione che ha avuto ai giardini. Si vergogna persino di dirlo a Sibel, la sua ancella più intima. Ma glielo deve dire, non avrebbe modo sennò di mandargli le sue scuse a scanso di equivoci.
Con toni amichevoli, chiama Sibel a sé e manda via le compagne dalla camera. Non vuole dirle cosa riferire a Farao, né mandarla da lui con una lettera che costituisca una prova inequivocabile.
«Rendimi le tue vesti d'ancella, per favore» le chiede «Vorrei stare da sola con il futuro consorte senza gli occhi puntati addosso.»
La ragazza la guarda con un po' di sospetto, ma non esita per un attimo a spogliarsi e cambiarsi l'abito sobrio con quello regale e sfarzoso dell'imperatrice.
Zahira copre il volto con un velo che le nasconde i suoi inconfondibili occhi blu. Chiede a Sibel di fare altrettanto. In questo modo nessuno si accorgerà dello scambio.
Esce dalla stanza e attraversa le gallerie scarlatte per raggiungere le camere di Farao. Riesce a farla in barba ai guardiani del suo corridoio, camuffandosi la voce. Hanno l'ordine di non lasciar passare nessuno,
«Altolà!» la fermano. «Solo il Gran visir e il suo leccapiedi possono accedere a queste camere. Né servi, né nobili hanno il permesso di introdurvisi.»
«È l'imperatrice in persona che mi manda. Devo consegnare un messaggio al suo futuro sposo.» Mostra l'anello con lo stemma imperiale come prova. «Se torno da lei e le riferisco che non l'ho recapitato per colpa vostra credete che avrà abbastanza pazienza, dopo il tentato spodestamento del sultano?»
Si insospettiscono, ma ciononostante abbassano le sciabole e la lasciano entrare.
Si avvicina la porta e la apre, piano, dimenticandosi di bussare. Non è abituata a chiedere il permesso.
Si guarda intorno e, una volta dentro, tira su il tulle blu che le intralcia la vista. È stupefatta dalla quantità di statue e arazzi ammucchiati nello spazio ristretto dell'anticamera. Ha un po' di timore a proseguire il susseguirsi delle arcate fino alla stanza da letto, ma continua ad avanzare con passi felpati, tra le numerose lampade che illuminano i suoi primi tesori. Non che lo voglia cogliere di sorpresa, però è intimidita e vorrebbe fermarsi a recuperare la sua faccia tosta.
L'ombra di Mah, ingigantita a dismisura, si staglia nei vetri dell'enorme portafinestra. Zahira sente un fragore provenire dalle maniglie che si chiudono, seguiti da dei versi mortificati. Si ferma a osservare lui e il suo padrone dietro ai separé di marmo sforacchiati di mezzelune, che sanciscono la fine dell'anticamera e il limite dello spazio più privato.
Farao, in confortevoli abiti blu scollacciati e poco vistosi, si abbatte straziato sul circolare letto a baldacchino, troppo grande per un uomo solo. Ha passato le ore peggiori della sua vita. Povero, la donna che ama ha accettato di sposarlo e lo sanno tutti tranne lui.
Il servo prende a sgranocchiare qualcosa che all'apparenza sembra non aver raccattato da nessuna parte. Chiede al padrone, in un tono assai confidenziale, se vuole favorire. Quest'ultimo non risponde, il suo volto olivastro è soppresso nel cuscino verde, mentre le sue braccia forzute tirano pugni sul materasso cremisi.
«Padrone, quella donna impulsiva e caparbia non merita la tua devozione» dice Mah, scimmiottando le gestualità femminili attorno al suo letto. I suoi capelli nerissimi gli cascano lisci lungo il collo come i crini di un cavallo.
Dopo questo scherno del servo, di pessimo gusto, non vede l'ora di coglierli impreparati.
«Non insultare Zahira, Mah!» grida Farao, scaraventando addosso al leccapiedi un cuscino di sabbia. «Questo non te lo permetto!»
Zahira impallidisce. È impressionata della fedeltà che Farao dimostra alle spalle dopo quello che è accaduto. Che insolente, però, a chiamarla per nome.
Il servo acchiappa il cuscino e lo lacera con un coltello, spuntatogli sulla mano destra. Lo svuota, facendo cadere sul tappeto persiano delle pietre preziose invece che della polvere. Prende a ridere. Il visir lo guarda seccato, ha gli occhi arrossati, il fiato corto.
«Più passano gli anni, Farao, e più anomalo diventi!». Il cibo scompare dalla mano sinistra di Mah come per magia. «"Lei è la gemma più preziosa del mondo", "lei è troppo al di fuori della mia portata" e ora ti tormenti per il suo rifiuto!» deride ancora, prendendo delle pietre scintillanti che sembrano rimbalzare sulla seta del tappeto, steso per terra. Gliele ammucchia accanto al cuscino. «Questa è una gemma, non lei!» ride, afferrandone una e mettendola controluce davanti a lui. «Però non hai tutti i torti: le hai chiesto di sposarti e ti ha accusato di omicidio. Che ridere!» Si inginocchia e gli consegna un diamante per simulare una proposta di matrimonio.
Farao rizza la schiena. Prende la gemma e la mira su Mah, ma questo la schiva, rompendo lo specchio di fronte al suo letto.
«Non te la vorrai prendere di nuovo con me?» il servo si scompone.
Il visir si alza e getta il resto delle pietre fuori dalla finestra, spaccando i vetri. Certo che, se sperpera le sue ricchezze così, adesso si spiega perché la servitù lo osanna.
«Scusami, Mah.» Farao rigetta il posteriore sul materasso. Dondola il busto, con i gomiti sulle ginocchia.
Zahira si tappa la bocca con le mani ambrate, sempre più sconcertata dalle parole che adopera Mah. Il servo sbaglia e il padrone chiede scusa?
«Lei ha ragione. È tutto troppo perfetto» continua l'uomo, placido, dopo una manciata di secondi. «Sei proprio sicuro che non ci sia sotto il tuo zampino?» Guarda di sottecchi il leccapiedi.
«Sicurissimo!» esclama in un rutto. «La mia magia non c'entra nulla in tutto questo.»
Zahira indietreggia sorpresa. Preme di più le sue labbra per non emettere rumori indesiderati. Mah sa usare la magia?!
Farao si leva di dosso il panciotto blu di persia e si stende a petto in su. Osserva le mezzelune islamiche dipinte nel soffitto e boccheggia per il caldo. Gli occhi cerulei, curiosi, vengono distratti dal suo torso statuario. Evita di fissarlo per non arrossire.
«Non la biasimo se pensa che sia stato io a uccidere Mazda. Data la mia posizione, chiunque potrebbe pensarlo. Sembra sia macchinato apposta per farmi finire con un cappio al collo.»
«Sempre che sia stato assassinato...» azzarda a dubitare Mah. «È la tua parola contro la sua!»
Farao sospira pensoso, mentre Zahira vorrebbe torcere il collo al leccapiedi. È scioccata da cosa ha appena scoperto, tra la magia e la dichiarata innocenza.
«Sì, ma assassinato o meno, è lei che ha l'ultima parola.»
«Non direi proprio, quella donna non viene ascoltata» gli ricorda «e non mi stupisce!». Sghignazza. Si sposta vicino alle lampade colorate che adornano la parete di lato al balcone. La sua pelle ebanina, alla luce di queste, assume un riflesso rossastro. «Non le crederanno mai.»
Zahira ribolle di rabbia, un po' per il suo spregio, un po' perché ha ragione. Farao cerca di asciugarsi il sudore tra le lenzuola fresche.
«Quei ministri non vedono l'ora di vedermi sul lastrico. Non ha rilevanza se le crederanno o meno: avrebbero il pretesto perfetto per sbarazzarsi di me» comincia a disperarsi. «I beoti temono che potrei pretendere la corona da un momento all'altro...»
«Ne avresti il pieno diritto» interrompe Mah.
«Lo so!» lo incalza. «Ma non potrei mai fare questo a Zahira, non è giusto...»
Queste ultime parole le scaldano il cuore inavvertitamente e la fanno sorridere per un brevissimo istante. Mah rotea gli occhi, oltremodo seccato dal fatto che il suo padrone si comporti da citrullo.
Farao sospira, sovrappensiero. «O trovo un modo per smentire le accuse o me ne dovrò andare da qui» dice.
Il suo sguardo avvilito finisce dentro i frammenti di specchio. Il servo aggiusta ogni vetro rotto con uno schiocco di dita.
«Bene: andiamocene!» esclama allegro. Un bagaglio vuoto si materializza davanti a lui. Farao lo ferma, non ha intenzione di farglielo riempire.
«Mah, non voglio abbandonarla!» Si alza dal materasso, tenace, per poi sprofondarci di nuovo come a voler morire lì. «Vorrei trovare un modo per dimostrarle la mia irreprensibilità!»
«Un modo c'è, e non sottovalutarlo.» Sventola le mani, insieme agli indumenti larghi che mettono in mostra il suo poderoso torace nero. «Vuoi che esaudisca questo desiderio, padrone?» Sobilla scintille dalle dita.
«Che?! No!» Farao si precipita subito a fermarlo per le braccia. «Sei matto?! Non ho intenzione di correre rischi, l'ultima volta che hai cercato di esaudire un mio desiderio mi sono ritrovato sul deserto a salvare la pelle dell'imperatore!»
Zahira trasalisce, sforzandosi di non emettere fiato.
«Niente desideri!» prosegue l'uomo. «Piuttosto faccio tornare Mazda dall'aldilà per smentire le accuse.»
Mah alza un sopracciglio. «Sul serio?», incrocia le braccia in segno di sfida.
Farao ci pensa un attimo, poi assottiglia lo sguardo con fare minaccioso.
«Preferisco la fuga al martirio». Gli punta il dito contro come par avvertirlo di non combinare guai. «Niente desideri, sappiamo entrambi quale sarebbe il rischio.»
Mah sorride soddisfatto e ripone la magia. Con la coda dell'occhio guarda verso il separé parietale dove c'è l'imperatrice. Non è che si è accorto di lei?
«Qual è il tuo ordine, allora?» chiede, sogghignando.
«Ordine?!» Farao inarca le folte sopracciglia, confuso. «Fammi questo favore: gira per il palazzo, cerca di constatare se qualcuno perora le ipotesi di Zahira. L'unico ordine che hai è di essere libero! Ma che ti è preso?! Lo sai che detesto i tuoi modi da schiavo!»
Mah gli dà una pacca al collo e lo stringe, felice, in un abbraccio paterno.
«Sì, lo so, ma è sempre bello sentirtelo dire, Scricciolo.» Tira fuori, dall'interno del suo gilè, una lampada di bronzo. Gliela porge senza battere ciglio. «Se le cose si mettono male non esitare a evocarmi.»
Farao infila l'oggetto nella tasca profonda dei suoi pantaloni.
I lunghi capelli di Mah sventolano per un turbine d'aria improvviso. Il suo corpo massiccio scompare nell'ombra, letteralmente. Un soffio di vento invisibile, che sa di fumo ed erba bruciata, spalanca gli infissi e lascia la stanza.
Non riesce a crederci, eppure lo ha visto con i suoi occhi: un genio. Un vero genio! Adesso tutto quadra: è grazie a Mah se Farao è diventato Gran visir e possiede tante ricchezze!
L'uomo scosta le tende e cammina, a piedi nudi, verso la sua stanza dei tesori. Zahira lo tallona, lo vede aprire la porta del forziere con una combinazione segreta. Ha acceso una candela di cera. Forse starà riponendo la lampada di bronzo da qualche parte?
Rimane esterrefattadalla quantità di scrigni che strabordano di gemme e monete d'oro. Ma da dovearrivano esattamente questi beni? È il genio che li procura o ci sono altremagie che Farao tiene nascoste nella manica? Che tiene celate alla sua sovrana?
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