𝑪𝒂𝒑 33

11𝒕𝒉 𝑫𝑶𝑪𝑻𝑶𝑹
"Allora? Mi aiuterai?" chiesi al Thanagariano.
Lui era la mia unica speranza rimasta per liberare mia figlia.
Se non avesse accettato, non solo avrei perso io, ne avrebbero pagato pegno Wilt e il popolo di Thanagarian.
La situazione era tesa come la corda di un violino.
Chi l'avrebbe vinta?
Il bene avrebbe prevalso sul male oppure no?
Spettava a lui scegliere.
I minuti successivi passarono inesorabili e parvero infiniti, lo scrutati ben bene e il nostro sguardo si incrociò.
Era terrorizzato.

Si prese ancora qualche altro minuto, si guardò attorno, focalizzò l'attenzione verso il mondo esterno, brulicante di esseri viventi.
Là erano presenti migliaia e migliaia di suoi simili: c'erano i suoi amici, le persone più fidate, tantissime donne e bambini, il futuro di domani.
Poi, come folgorato da un'improvvisa illuminazione, si girò verso di me, il suo volto era mutato, la sua espressione, ora, era più determinata, come se ogni preoccupazione fosse scemata, ogni dubbio polverizzato e spazzato via, per lasciare spazio alla certezza.

"Gli Alati* credono in me: Io non posso voltare loro le spalle. Che leader sarei se li lasciassi allo sbaraglio, preferendo la mia incolumità alla loro? Non posso permettere, tantomeno, accettare che accada quanto appena visto e provato sulla mia pelle. Io scelgo i Thanagariani, di conseguenza, ti condurrò nel momento esatto in cui dovrò portare la ragazza."

"È così che si ragiona. Batti l'ala!" esclamai euforico.

"Io non capirò mai il vostro idioma." sbuffò.

"Cioè, quando due umani si trovano in sintonia su determinate decisioni, è quanto fanno, in segno di approvazione. Tu hai delle belle ali, e puoi usarla come variante."

Mi guardò con aria infastidita, con poca voglia di comunicare con il sottoscritto.

"Ehm, okay... allora preferisci stringerci la mano?" continuai a non ricevere risposta, avevo addosso solo il suo sguardo glaciale, "Oppure, potremmo fare senza lo scambio di alcun convenevole. Come vuoi tu!"

"Non perdiamo tempo, partiamo immediatamente." mi esortò, tagliando corto.
Annuii.
Avevo tanta stima per lui, sapeva a quale destino andava incontro, si stava per sacrificare per difendere la sua patria, i suoi concittadini.
Non tutti avrebbero intrapreso questa via, i più codardi se la sarebbero svignata, cercando un rifugio sicuro dove poter vivere indisturbato e nell'ombra, mentre, sul suo pianeta si sarebbe verificato un vero e proprio eccidio.
Tuttavia, era per una giusta causa, sarebbe rimasto nei cuori di questi alieni per sempre, ricordato come un valoroso eroe, il più noto e conosciuto di tutti i tempi.

"Ne varrà la pena, puoi giurarci!" affermai, con l'intento di infondergli forza.

Il resto del viaggio, il quale, pressappoco durò qualche secondo, si svolse in completo silenzio.
Il mio nuovo amico era assorto nei suoi pensieri, inoltre, non era certo molto loquace.
Cercai qualche argomento da trattare, forse una piccola distrazione gli avrebbe giovato anche se per poco, nonostante questo, non riuscii a farmi venire in mente nulla.
Restai quindi zitto, non proprio certo che un mio discorso gli avrebbe potuto fare piacere.

Parcheggiai la cabina al piano inferiore dello stabile, sperai non ci fossero telecamere, almeno, il nostro attacco a sorpresa avrebbe avuto buone potenzialità di avere successo.
Avere la fattibilità di muoversi indisturbati tra quei cunicoli, era un enorme vantaggio.
Perciò, scansionai l'ambiente circostante, il mio cacciavite sonico, non rivelò niente.
Tirai un sospiro di sollievo, godendomi l'attimo di giubilo, durò poco, molto poco, il luogo brulicava di guardie.
Discrezione e cautela, erano le parole chiave dell'operazione.
Parlando di ciò, stavamo vivendo un evento insolito: una mossa, un gesto, un atto sbagliato, avrebbe portato a conseguenze catastrofiche, era tutto instabile e tutto poteva mutare.

Cercammo di muoverci, senza dare nell'occhio, purtroppo non passammo inosservati per molto.

"Reggimi il gioco!" mi avvertì.
Si posizionò dietro di me e venni trattato come un ostaggio.
Intuizione furba, nessuno del suo esercito si sarebbe insospettito se avessero creduto a quel tranello.
Lui si giustificò con i presenti, annunciando di avermi colto mentre li spiavo e di starmi conducendo dal sommo capo.

Nessuno fiatò e ci fecero proseguire senza ulteriori inconvenienze.
Tutto, procedette per il verso giusto, finché, dal nulla sbucò Anthony.
Tese la sua arma sonica verso il nostro nuovo alleato, credendo seriamente alla nostra messa in scena.

"Fermati o ti sparo!"

"Shhhhh! È tutto apposto. È dalla nostra parte! Sta solo fingendo. Con tale tattica, avremmo l'occasione di raggiungere Caty, senza incorrere in eventuali problemi. Fino ad ora è filato tutto liscio." lo aggiornai sul programma in corso.

"Quindi hai un'idea sul come agire?"

"Ehm... sì?"

"Non mi sembri convinto!" dedusse mio cognato, facendo una smorfia di disappunto.

"Mi verrà a momento debito, non temere."

"Hai intenzione di convincere l'altro con un tuo sproloquio?"

"Tu proponi qualcosa di diverso?"

"Certo... tipo questo!" esclamò con naturalezza.
Come se nulla fosse, si voltò di scatto e fulmineamente, con la mano sinistra, tirò fuori la sua revolver, precedentemente riposta, e sparò all'alieno alle nostre spalle.

"Piccolo Dalek, che hai combinato?" rimasi un po' deluso dal suo comportamento, avevo sperato che avesse imparato, dopo il viaggio verso Thanagarian.

"Cosa c'è di più affidabile di una pistola? La mia revolver! Perquisiscilo, Signor Dottore, guarda cosa sta impugnando."

Lo feci, ebbene sì, lui aveva ragione: l'Alato era in procinto di aggredirci, aveva con sé un coltello, ed era pronto all'agguato.

"Dimmi almeno che hai usato quella narcotizzante."

"Se vuoi avere questa risposta, allora così sarà."

"Stai mentendo!" sbuffai.

"Meglio mentire, all'essere una femminuccia." replicò, storcendo la bocca.

"Solo perché non sono pro armi? Non tutto si risolve con la violenza, credevo lo avessi compreso. Perché non provi a leggere la biografia di Gandhi?"

"La conosco! Però che intendi fare adesso? Andare là dal tuo amico a fare il pacifista mentre lui tortura tua figlia? Ora cercherò di essere il più sincero possibile: approvo e, in futuro tenterò di approcciarmi con la tua ideologia, ciononostante, non credo di esserne in grado oggi. Non voglio che a mia sorella venga torto un capello. Mi capisci, vero?"

Annuì.
Susseguì qualche minuto di silenzio, ognuno a pensare alla conversazione appena avuta.

Prendemmo le scale, il nostro andamento era veloce e deciso, saremmo giunti alla fine con estrema rapidità, però, a metà tratto, notai un'ombra avvicinarsi e sentii lo sbattere delle ali.
Alzai gli occhi verso il soffitto, la direzione, dalla quale, scaturiva il movimento, e vidi un corpo inerme, cadere a terra, provocando un tonfo cupo e tetro.
Per l'ennesima occasione, il castano ci aveva difeso, rivelandosi competente nel fronteggiare qualunque avversità.

"Grazie!"

"Mi occupo io di questo problema. Mister Wilt, assisti il Dottore e tienilo al sicuro."

"Sarà fatto! Ti porto dal Grande Maestro."

"No, aspetta! Devo prima recarmi da un'altra parte."
l'Ibrido acconsentì e, con la sua figura, di cui vantava maestosità, per farmi da scudo.
Spalancò le sue ampie ali, mentre, posizionò le sue enormi braccia sotto le mie ascelle.
Ci sollevammo, i miei piedi si staccarono dal suolo, avvertendo il mio peso spostarsi repentinamente verso il torso e, con un battito d'ali, approdammo nel secondo piano.
Mi girai, in mezzo alla gradinata, c'era il membro della mia famiglia, il quale si stava confrontando contro quegli alieni.
Teneva in entrambi gli arti superiori, due armi da fuoco, e, senza scrupolo, stava facendo fuori tutti gli avversari.
Era un abile lottatore, glielo riconoscevo, e, ciò che più stimavo in lui era la sua capacità di tenere i nervi saldi e una mente fredda.
Era un guerrigliero nato e il soprannome datogli, lo rispecchiava in pieno.

"Buona fortuna, Piccolo Dalek!" sussurrai, prima di girare l'angolo, non avendo più l'opportunità di vederlo.

Quando volò più rapidamente, mi resi conto che ci stavano inseguendo.
Non poteva andare meglio di così.
Raggiunta l'ultima porta, posta nel terzo corridoio percorso, aprì l'uscio con una potente spallata e lo richiuse velocemente, poggiandoci poi, qualche oggetto ingombrante e pesante, per impedire l'accesso ai suoi ex colleghi.

"In quanti siete?"

"Non in molti. Quelli che erano alle nostre calcagna, erano solamente due, facili da gestire. Tu sbrigati, tra non molto i due infanti saranno qui, e l'ambiente dovrà essere liberato."

"Sarà questione di qualche attimo." lo rassicurai.

Scrutai la stanza in cerca di esso, inutile dire che c'erano un'infinità di cianfrusaglie, quindi mi fu difficile localizzarlo.
Osservai vicino le finestre e, bingo! Sopra a una montagna di ferrame, c'era il Vortex.
Per l'evento, era stato conciato per le feste, e trasformato in una macchina paradosso, tanto da far coesistere il passato con il presente.
Mi misi all'opera, smontai alcune componenti, tranne gli elementi fondamentali, per il funzionamento dell'oggetto.

"Ti manca molto?"
Sussultai, ero talmente tanto preso dal lavoro in corso, che mi ero completamente dimenticato di essere in compagnia.

"Ci sono quasi! Verifico l'operatività."
Passaggio molto importante, in quanto, se mi premeva assicurare lo svolgersi degli accadimenti passati, dovevo essere certo funzionasse.
Se da lì a pochi minuti, Caty e Anthony bambini, si sarebbero presentati lì, il manipolatore del tempo doveva essere pronto all'uso, non dovevano vedermi lì e la nostra priorità era che la bambina si salvasse.

Presi il cacciavite sonico, schiacciai il pulsante azionando il procedimento, e mediante esso, controllai il fulcro.
Qui era stata creata la componente atta a non generare il paradosso.
Lo lasciai attivo, sarebbe rimasto tale, finché, non si fossero inserite le coordinate e l'anno di destinazione, esso, invece, avrebbe avviato il processo di disattivazione, cui sarebbe durato dieci minuti.

"Dobbiamo trovare un diversivo per lasciare intendere ai due Volatili, che ci hanno pedinato, di avere abbandonato la stanza." puntualizzò, quando lo informai di avere finito.

Annuii, aprii la finestra, essa emise un suono stridente, lui si preoccupò di liberare l'entrata, per facilitare loro l'accesso.
Successivamente, ci nascondemmo, sperammo solo che l'inganno potesse funzionare.
E funzionò!
Vedendo il locale vuoto, e il serramento spalancato, si precipitarono all'esterno dello stabile con l'intento di ispezionare il perimetro circostante.
Grazie al mio strumento sonico, chiusi ermeticamente l'infisso, guadagnando qualche minuto di vantaggio.

Adesso, eravamo pronti per aiutare mio cognato a porre fine alla situazione scomoda e sconveniente.
La nostra priorità era trarre in salvo la ragazzina dai capelli ramati dalle grinfie del suo aguzzino.
Piuttosto, avrei preso io il suo posto, per permettere alla mia creatura di vivere la sua esistenza.
Lei, a differenza mia, era un'anima nuova, io avevo già superato i mille anni di età.
Avevo fatto molta esperienza: avevo viaggiato tantissimo, veduto pianeti sconosciuti agli umani, vissuto in varie epoche storiche, conosciuto innumerevoli razze aliene.
Mentre lei doveva ancora esplorare l'universo, la vita l'attendeva, mille esperienze e altrettante avventure, erano lì per lei... e lei meritava tutto ciò.
L'amore di un genitore era ineguagliabile, e il mio nemico era uno stupido se credeva che non avrei mosso un dito per lei.

"Mi devi portare da lei." lo supplicai.

"Sì, muoviamoci subito!"

Ero pronto a usufruire del suo passaggio, mediante il volo, avremmo fatto prima, in quel mentre, udimmo dei passi avvicinarsi, erano trafelati, poi sopraggiunsero delle voci.
Erano loro, erano arrivati.

Non ci rimase altro da fare e ci celammo nella penombra, assistendo ai fatti susseguenti.

"Ti ritroverò, Piccolo Dalek! Stanne certo, verrò a prenderti!" furono le ultime parole che disse Caty, prima di essere teletrasportata via.

Stando ai miei calcoli e al mio lavoro, svolto con peculiarità, se la versione bambina aveva trovato scampo, lo stesso sarebbe accaduto alla versione adolescente della mia consanguinea.
Per scoprirlo, non mi rimaneva altro, sennonché controllare.

Fu straziante vedere il fanciullo venire portato via, mi si spezzò il cuore.
Purtroppo, quello era un punto fisso, così era stato e così doveva rimanere, non poteva essere cambiato.
Prima di essere trascinato via, l'infante si accorse della nostra presenza e in lui si dipinse un'espressione speranzosa.

"Seguiamoli!"

Così dicendo, l'Ibrido mi trasportò come fatto in precedenza e vicini a loro, li superò e braccò la strada, furono costretti ad arrestarsi.

"Lasciatelo immediatamente." ordinai.

"Non possiamo! Stiamo seguendo un ordine, datoci dal Grande Maestro."

"Grande Maestro? Sul serio? Ora lo chiamate così? Mi dispiace deludervi, vi annuncio che da ora, non dovrete più seguire lui. Quindi lasciatemi il bambino." ribadii con fare autoritario.

Non mi accontentarono.

"Bene! Questo l'avete voluto voi. Wilt tappati le orecchie. Non sarà piacevole!"

Estrassi dalla tasca del giacchetto, il cellulare, amplificai il suono tramite la sonicità del cacciavite, facendo emettere un rumore stridulo e fastidioso, come il fischio di un gesso contro la lavagna.
I Thanagariani si portarono le mani alle orecchie, come a non volere subire una simile tortura.
Come dargli torto? Loro avevano un udito più sviluppato del nostro, quindi, se per noi quel frastuono era sopportabile, seppure fosse uggioso, per loro equivaleva a un supplizio.

Lasciarono la presa sul mio caro, lui si precipitò tra le mie braccia.
Lo accolsi con calore, gli volevo un gran bene, ed era come se fosse stato sangue del mio sangue.

"Hai un conto in sospeso con il Maestro. Cercherò di tenerli alla larga. Va, prima che sia troppo tardi!" mi esortò l'Ibrido.

Lo ringraziai tramite un cenno del capo, l'istante successivo, presi per mano il castano e ci allontanammo.
I due Time Master erano lì, pronti alla resa dei conti.

𝑺𝑨𝑹𝑨 𝑳𝑨𝑵𝑪𝑬
Mi ero ritirata in Tibet, per ritrovare me stessa e soprattutto per placare la mia sete di sangue.
Quando decidetti di tornare a Star City, comprai un biglietto aereo e, il giorno dell'imbarco, mi presentai all'aereoporto.
Ero tranquilla e felice di avere la possibilità di rivedere mio padre e mia sorella Laurel.
Purtroppo qualcosa andò storto e un addetto alla security, con uno spiccato accento inglese, trovò addosso a me un'esigua quantità di sostanze stupefacenti.
Sicuramente era stato qualcun'altro a sabotarmi il volo, io non facevo uso di doghe e neanche ero invogliata a provarne.
Mi condusse in una sala, utilizzata per gli interrogatori, mi fece due o tre domande, poi tutto si fece buio.

Non so perché fui indotta in uno stato di addormentamento forzato, il mio corpo era pesante, sempre più pesante.
Era come se qualcuno mi stesse tirando dentro a un limbo, ove era difficile uscire.
Comunque, non conoscevano me, nulla mi avrebbe fermata, tanto meno lo stato di stasi in cui mi trovavo.

Mi aggrappai ai miei ultimi istanti di lucidità, ed eccoli lì quei magnetici occhi verdi, mi osservavano con un velo di contrizione.
Conoscevo il perché di così tanta angustia, il motivo era il mio arresto.
Lui era Rip Hunter, uno dei miei più cari amici e, sinceramente, lo stavo aspettando in quel trasandato bar tibetano, dove avevo provocato una rissa.
Una povera signora era stata importunata da un tipo idiota, certe situazioni non potevo tollerarle.
Il sesso femminile vale tanto quanto quello maschile, la nostra opinione è come la loro.
Di conseguenza, se non gradivamo i loro fischi, le loro battutacce sessiste, la compagnia di certi elementi, siamo libere di ribellarci, di opporci al loro volere.
Non vivevamo più nel medioevo, con le loro leggi e regole ristrette, tantoché, un animale beneficiava una considerazione superiore rispetto a una donna.
Ai giorni nostri, con il cambiamento della società, con una maggiore apertura mentale, avevamo avuto modo di riscattarci, di poter ricoprire ruoli in cui, nell'antichità, solo gli uomini potevano professare.
Ci diedero la facoltà di istruirci, di votare, successivamente di partecipare alla gestione amministrativa e politica.
La strada intrapresa per il conseguimento di questi numerosi scopi fu faticosa, purtroppo, molte di noi pagarono a proprie spese la nostra ribellione contro l'emancipazione.
Si erano raggiunti dei bei traguardi eppure c'era ancora tanta altro da conquistare, per ottenere il pieno e completo rispetto e per la nostra voglia di fare capire che il gentil sesso, non è fragile e debole come credono alcuni.

Con questa motivazione, chiesi cortesemente all'individuo di lasciarla in pace.
Non ottenendo quanto sperato, gli gettai il bicchierino dello shot, il quale stavo bevendo, colpendolo in pieno volto.
Generai una rissa, ebbi la meglio, seppure il proprietario del locale, mi comunicò il divieto di mettere nuovamente piede nella sua proprietà.

Come precedentemente avvenuto, aspettai il presentarsi del capitano della Waverider, accompagnato dal suo lungo trench-coat marroncino, il quale gli conferiva l'aspetto di un cowboy.
Con mio estremo stupore, non si palesò.
L'unica arma a disposizione, per catturare la sua attenzione, fu acquistare un ticket per fare ritorno in patria.
Lui mi aveva espressamente intimato di non presentarmi in quel preciso periodo nella mia città natale, sennò, mi sarebbe spettata la sua stessa identica sorte, per questo trasgredii alla sua richiesta, presentandomi all'imbarco.
Ero consapevole del suo buon senso, avrebbe architettato un piano per la mia messa in sicurezza, atto a non farmi atterrare a Star City.
L'unica cosa che mai mi sarei aspettata, era che mi mettesse in stasi come aveva fatto al nostro compagno di squadra, Mick Rory.
Con uno sforzo sovrumano, tentai di ridestarmi e, all'ennesimo tentativo, i miei occhi si schiusero.
Avevo appena avuto la meglio su un congegno, costruito per questo intento, l'induzione di uno stato di sonno forzato.
Fui grata dell'allenamento e dell'addestramento ricevuto quando ero un membro della Lega degli Assassini.
Ci avevano insegnato a reagire a evenienze simili, di non farci ingannare da quel genere di apparenza, era un'utopia e lottare, affinché quella visione sparisse, e la consuetudine riprendesse la sua forma originaria.
Sara 1, Waverider 0.

"Gideon?" la chiamai, staccandomi un filo collegato a una macchinetta.

"Sono qui!" mi fece sapere.

"Dove siamo?"

"Il quesito esatto non è dove, ma quando."
Questo significava che eravamo a destinazione e giunti nel passato.
Non aggiunsi altro, conoscevo l'essenziale, ed era già notevole.

Saltai giù dalla lettiga in metallo, ancorata alla pavimentazione in maniera fissa.
Mi guardai attorno, alla ricerca di Rip, non era a bordo, l'avevo già immaginato.
In ogni caso, nell'ambiente attiguo, un insolito scenario, mi incuriosì: per l'evenienza, erano state posizionate tre sedie, accanto, un mini monitor per ciascuna postazione.
Qui era possibile visualizzare i parametri vitali di ogni singolo individuo posto su di esse.
La situazione rilevata dai macchinari, non era delle migliori.

*Alati = Thanagariani

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