❻ ♪ 𝙇𝙚𝙩 𝙩𝙝𝙚 𝙥𝙖𝙧𝙩𝙮 𝙗𝙚𝙜𝙞𝙣! ♪ 𝓅𝓉. ②
~ Ogni religione antica ha le sue divinità.
Le leggende ne determinano i fatti.
Chronos è l'ultimo dei dodici titani, figli di Urano e Gea.
È il padre di tutti gli Dei Greci, ma crudele, in quanto li ha divorati tutti.
Tutti tranne Zeus, Poseidone e Ade, che lo detronizzarono e lo rinchiusero negli abissi del Tartaro, la prigione maledetta.
I semidei sono il frutto dell'unione tra un Dio e un mortale, mentre i ciclopi, da un Dio e una Ninfa marina.
In Egitto, ogni Dio è devoto ad Iside e Osiride.
Anubis celebra la morte, Sekhmet sprona alla guerra, Seth incita al caos e all'odio, mentre Bastet protegge le famiglie, dona prosperità alle donne e fertilità al terreno.
Ma questi sono solo pochi esempi...
In Giappone, invece, ci sono Izanagi e Izanami, primo uomo e prima donna sulla terra, Dio della vita e Dea della morte.
Genitori di otto milioni di Kami, maggiori o minori.
A ruota sono sorvegliati dagli spiriti animali, che diventano loro servitori, gli Shikigami, e mantengono l'equilibrio tra il mondo degli Yokai ( Kitsune, Bake Neko, Tengu, Riujin, Oni e gli Hanyo ) e quello umano, come gli Shinigami, che mantengono equilibrio tra vita e morte, in quanto nella nostra cultura vengono chiamati "Tristi Mietitori."
Odino è il padre degli Dei Norreni.
Thor, Dio del tuono, è il figlio prediletto, mentre Loki, è stato preso sotto la sua ala.
È per metà gigante di ghiaccio, i loro nemici per la battaglia del Ragnarok, e per metà Dio da una madre a noi ignota.
Sfrutta la sua incredibile capacità di mutaforma per deridere ed ingannare gli altri, per suo divertimento.
Nomi diversi, rappresentazioni differenti.
Ma, ognuna di esse, si distingue per un fatto del tutto Sconosciuto :
La preghiera. ~
{ Arial Black }
• 1 aprile 2024 •
Quanta differenza c'è tra me e lei?
Per quanto posso difenderla ancora?
Perché tutto questo mi fa sentire come un imbecille?
Lascio le mie domande alle spalle, e guardo l'orologio.
Sono le sei e mezza.
Abby deve prendere le pastiglie.
Mi alzo e vado giù in cucina, mentre le preparo qualcosa da mangiare e le metto la scatoletta con i suoi farmaci vicino al bicchiere già pieno d'acqua.
Prendo il cellulare dalla tasca e mando un messaggio a Molotov.
Non mi sono dimenticato di lui, è che le priorità sono diventate altre, ora si sta ambientando in quella che posso chiamare casa da quindici milioni di dollari.
Blake : Molotov, ti invio la posizione di Levy.
Spero tu ti senta pronto a fare questo lavoro.
Molotov : certo Boss, mai stato più pronto.
Nella casa in cui mi hanno portato sto da dio.
Vivere nel lusso è una meraviglia ;-).
Blake : In questi giorni non mi sentirai, ma appena il tuo compito sarà completato, avrai i tuoi soldi e la vita che meriti dopo quella in cui sei morto.
Mi risponde con una faccina, e chiudo la chat.
Su WhatsApp devo mantenere il nome Blake, se no salta all'aria tutto quello che ho cercato di costruire, tutto quello che mi appartiene.
Mi accendo una sigaretta, la prima della giornata.
Pochi minuti dopo la spengo, annoiato dal gesto automatico che ti fa inalare tossine e merda varia.
Faccio sparire il fumo, e resto in attesa.
Da qua sento la sua sveglia.
Il ritmo incalzante e attivo mi fa automaticamente tamburellare le dita sul marmo vicino ai fornelli, a cui sono pigramente appoggiato con l'osso sacro.
Mi rialzo.
Vado a prendere anche io da mangiare.
Apro il muro e mi nascondo, perché preferisco non mi veda.
Torno poco dopo, rimasto comunque insoddisfatto della colazione molto sostanziosa.
Tre porzioni di un B negativo, che mi piace parecchio, e non è servito a un cazzo.
È comunque rimasta malissimo, dopo quello che le ho detto.
Forse sono proprio coglione.
Le sue ciabatte risuonano mentre scende, per poi fermarsi e sedersi a fissare la vasta scelta di cosa mangiare.
Cerco di essere sereno, anche se non lo sono per niente, salutandola.
«Buongiorno.»
Una risposta così neutra si abbina in ogni contesto, che tu sia arrivato felice o triste.
Non fa nessuna differenza.
«Ciao.»
Ecco la sua.
Fredda e molto distaccata.
Dopo minuti di indecisione, prende solo i suoi dannati psicofarmaci.
Si alza dallo sgabello e torna su facendo finta che io non esista.
Non ha mangiato nulla di quello che c'era.
«Vai a mangiare.»
Mentre è sulle scale si gira verso di me mentre tiene il corrimano.
«So io cosa è meglio per me stessa.
E di certo non è avere un criminale assassino che mi dice cosa fare, grazie!»
Ha detto effettivamente la verità, e la verità fa male.
La seguo per vedere ogni suo movimento, ogni suo scatto involontario, dato dalla lesione cerebrale, che purtroppo ha e con cui deve convivere.
«Io torno a dormire.
Per le otto e mezza sarò sveglia.»
Dirmelo per lei non fa una piega.
Si infila nel letto, ma i raggi del sole le stanno dando fastidio.
Gli occhi che strizza prima.
Il girarsi al lato opposto dopo.
Nulla.
La sua fotosensibilità la sta dilaniando.
Prendo il telefono e vado su Alexa.
Per non farmi sentire digito sulla barra dei messaggi dell'app.
"Alexa, oscura i vetri dello Skyline e spegni tutte le luci a gradazione."
Il buio si riversa, con estrema lentezza per non creare un distacco troppo pesante.
Poco dopo, la sento russare di nuovo.
Mi avvicino a lei.
«alla fine, mi sa che avevi ragione tu.
Il ragazzo sbagliato al momento giusto ero io.»
Osservarla beata mentre dorme, è come chiedere di stare in paradiso, senza spostarsi di un centimetro, fermando il tempo per rendere quest'attimo un infinito senso di pace.
Solo io e lei.
Però, torno nella realtà.
In conclusione per il progetto scolastico, mi ha mandato il file del nostro lavoro.
Anche se ho il suo numero salvato, non gli mando un messaggio.
Suona di nuovo la sveglia.
Rise mi riesce a dare la carica, ogni volta che ne ho bisogno.
Cerco di aprire gli occhi, ma anziché vedere la luce, noto che i vetri dello Skyline sono stati oscurati e le luci sono state spente.
Mi sa che ha notato la mia difficoltà con la fotosensibilità.
Cerco di adattarmi, e piano piano, le pupille cominciano a dilatarsi, per farmi vedere meglio tutto quanto.
Tolgo le coperte e mi alzo dal letto.
Scendo di nuovo, e vedo Adam.
«Dove si trova Seth?»
Chiedo, ma la mia bocca, ancora impastata dal sonno, lo fa sembrare più il verso svogliato di un Grizzly.
«ciao anche a te.
Purtroppo Seth è sostanzialmente un po' malconcio, ma non preoccuparti, si riprenderà presto.»
Il suo sorriso un po' impacciato mi fa sentire meglio.
Dall'altra rampa di scale, scende Kayros.
Stranamente, mi rivolge lui la parola per primo la mattina.
«Dai, corri a prepararti.»
Appoggio l'indice sul labbro inferiore, confusa.
«Per cosa?»
Sorride, divertito.
«Andiamo al Golden Globe.»
Non posso credere alle mie orecchie.
Il centro commerciale più rinomato e costoso di tutta la citta!?
«Dai, smettila di stupirti ogni volta e preparati, non abbiamo tutta la giornata.»
Li guardo entrambi, prima uno, poi l'altro.
Alla fine mi giro e corro su, intenta a pensare a cosa mettermi oggi.
Vado nella valigia e prendo un top verde acqua, degli slip con sopra dei pantaloncini neri skinny e delle vecchie Converse bianche.
Ovviamente sotto al top un reggiseno invisibile è d'obbligo.
Sfreccio in bagno con la montagna di roba che devo mettere, ma prima chiudo a chiave.
Non si sa mai.
Del mascara, un ombretto leggero e un burrocacao sono il make-up adatto a questa giornata, ricca di sole, ma ricoperto dalle nuvole.
Inizia a farsi sentire l'aria calda della primavera, ormai inoltrata da più di una settimana.
Oggi è il primo aprile.
Direi che Ashley ha scelto il giorno perfetto per una festa.
Un tema più spaventoso e lugubre non si poteva scegliere, eh?
Mi guardo allo specchio e mi rendo conto che sono una ragazza qualunque, nessuna differenza.
Anche se mi ha detto tutte quelle cose, l'opinione su me stessa non cambierà di una virgola.
Faccio scattare dal senso opposto la chiave in ottone e apro la porta, uscendo. Percorro la stanza, per poi scendere le scale.
Di nuovo al piano terra, non guardo le loro facce.
A dire la verità non mi interessa per un cazzo.
Prendo il mio telefono, il portafoglio con i documenti e la borsa e mi avvio verso l'uscita.
Un tono scocciato è quello che esce dalla mia bocca.
«Allora?
Non avevi detto che dovevamo fare degli acquisti?»
Mi raggiunge dopo poco, rivolgendosi ad Adam, prima di andare.
«Tieni d'occhio quel coglione.»
L'unico assenso che il bodyguard dà, è quello monosillabe.
Mentre chiude la porta, approfitto del tempo che impiega per vedere che cosa indossa.
Una polo bianca della Colmar, dei jeans Levis di una tonalità blu chiaro, e delle Adidas nere.
Direi che uno dei suoi vizi è andare in giro vestito di marca, ma con abiti poco appariscenti... Anzi, io li definirei normali.
Smetto di fissarlo, e ci inoltriamo verso l'ascensore.
Lo chiama e aspettiamo il solito minuto, che sembra interminabile.
Lo stuzzico un po'.
«Le scale sono un'optional?»
Mi guarda male.
«È casa mia e faccio quello che mi pare, e se questo lo pago mensilmente, tanto vale che lo uso!»
Uhh, mi sa che gli dà fastidio se qualcuno gli fa battute graffianti sul suo prezioso attico.
Ne terrò conto allora.
Finalmente arriva, e noi saliamo.
Schiaccia il pulsante numero zero.
«Smettila di guardarmi così.»
Mi confonde.
«Così come?»
Mi guarda dall'alto in basso.
Appoggia le mani al soffitto dell'impianto elettrico che trasporta le persone in senso verticale, mettendosi davanti a me, per poi rispondermi.
«Cosí come la prima volta a scuola.
I tuoi occhi esprimono troppe emozioni da assimilare, quindi datti una regolata, ragazzina.»
Mi rivolgo a lui sdegnata.
«Oh, adesso siamo ritornati da punto a capo!
Ma va meglio così, credimi.
Ti ringrazio di avermi riportato giù dal piedistallo e di farmi camminare di nuovo per terra.»
Si stacca dal mio spazio vitale, che come ogni volta invade, e non risponde.
Che idiota...
L'ascensore suona la sinfonia di Für Elise di Mozart, quando si apre.
Entrambi raggiungiamo la Mustang, ma ognuno nei pensieri propri.
Prende le chiavi e la apre.
Salgo, e dopo essermi allacciata la cintura, chiudo la portiera.
La sbatto più forte e la Trachea sembra bruciargli dal colpo di tosse.
«Ma cazzo, lascia le divergenze a dopo!»
Faccio la finta tonta.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
Contrae la mascella, ma alla fine ingrana la marcia e parte.
Guardo il viale alberato, pieno di ville enormi, e di grattacieli poco più in là.
Le fronde delle Betulle ondeggiano tra di loro, sinuosamente.
L'aria le fa danzare anche con un semplice fruscio.
La radio trasmette una canzone che mi piace molto :
Delicate di Taylor Swift.
Passa giusto il tempo di quella canzone, prima che la sua voce decreti il verdetto.
«Siamo quasi arrivati.»
E infatti, l'imponente facciata di colore bianco dell'edificio, si erge in tutta la sua altezza.
È semplice ma ben strutturata, con le porte scorrevoli a sensore trasparenti.
La scritta a caratteri cubitali in alto di colore rosso "Golden Globe" è visibile a chilometri di distanza.
Spegne l'auto appena parcheggiata.
Siamo ancora all'interno del veicolo, ma non riesco a trattenere il mio commento eccitante.
«Io non sono mai stata qui, ma, porca troia, è ancora meglio di quello che decantavano!»
Usciamo entrambi e la Mustang si chiude automaticamente.
«Gusti non troppo raffinati, vero?»
«esatto.»
Gemo.
Ma tappo subito la mia bocca, guardandolo di sfuggita per vedere la sua reazione.
«Non farti paranoie di una risposta così spontanea.
L'ho costruito io.»
Mi spiace, ma non abbocco più.
«Non ci credo.»
«Allora leggi che cosa c'è scritto qua.»
Il suo tono leggermente sarcastico gli costa un'occhiataccia da parte mia.
Mi avvicino alla lamina di Bronzo su un muretto di pietra, con una scritta incisa in carattere corsivo.
«Direttore generale CEO :
Carter Grimm.
È un altro dei tuoi tanti nomi per i lavori illeciti?»
«Abbassa la voce, ragazzina!
È già tanto se sei al corrente anche tu di questo tipo di cose.»
«Allora decidi un cazzo di nome per te!
Che cosa ti lamenti a fare?»
Mi guarda.
Ha la stessa espressione di ieri sera, quando mi ha beccata con Seth a pomiciare.
Beh, più che pomiciare, sembrava già al livello successivo.
«Direi che non amo fare decisioni così idiote quanto inutili.
Quindi, a te la scelta.»
E in tutto questo, ci troviamo ancora nella piazzetta del centro commerciale.
Ci metto poco, prima di capire qual'è quello giusto.
«Kayros.
Non preferisci sentirti chiamare con il tuo nome, dopo una vita intera a non averlo mai sentito?»
Mi sorride in modo sincero.
«Sei arrossita.»
La sua affermazione mi fa voltare, con la timidezza che prende il sopravvento.
Ci avviamo verso l'entrata, e mi sorge il vago dubbio che vestita così sembro una barbona.
Lo blocco, tirandolo per la maglia.
«No, aspetta!
Non posso farmi vedere vestita in questo modo, sembro una povera in mezzo a gente che trasuda soldi a palate.»
Ma la sua risposta mi sorprende.
«Perchè preoccuparsi?
Non ti dovrebbe fregare nulla dei commenti altrui, e sai benissimo che gli snob dell'alta società non sanno fare altro che criticare.
Io non sono della loro stessa idea.»
Mi prende per mano senza chiedermelo nemmeno, e ricomincia a camminare come se il mastodontico edificio in cui dobbiamo entrare fosse un banale supermarket.
Appena superate le porte scorrevoli, noto che sono come l'attrazione di un circo.
Mi stanno fissando tutti, cazzo.
Borbotto nervosamente.
«É una pessima idea, te l'ho detto.
Ti prego, andiamo via!»
Continua a camminare.
Ma non mi ascolta!?
Sto per tirare giù un papiro di rimorsi, quando abbassa la schiena per sussurrarmi all'orecchio.
«conosco tutte queste persone.
I loro vestiti sono più taroccati delle carte di un sensitivo, e non lo sanno.
La differenza, è che tu non ti mostri per quello che non sei, come questo branco di imbecilli con le mani bucate.»
Cerco di tenere a mente il suo ragionamento.
Poco distante da me, c'è una donna con un vestito leopardato ed attillato di Guess.
Le scarpe tacco dieci beige di Versace sono abbinate con la borsa nera di Gucci.
È esageratamente truccata, camminando come se dovesse andare sul Red Carpet di Hollywood.
Direi che la lussuria è il suo secondo nome.
Smetto di guardarla, e mi concentro sulle vetrine dei negozi.
Elettronica, abbigliamento, makeup, market, cinema, gioielleria... È praticamente una versione di cemento e calcestruzzo di Amazon.
Sono talmente immersa nei miri pensieri, che non ho più fatto caso al fatto di essere mano nella mano con Kayros.
Si, finalmente posso chiamarlo con un nome definitivo.
A lui non sembra importargliene granché di avere un contatto fisico con me.
Infatti poco dopo si stacca.
«Finalmemte!
Avevo paura di aver dimenticato la mappa, ma alla fine l'ho trovato.»
Ci troviamo davanti ad uno dei negozi più famosi in tutto il mondo :
Victoria's Secret.
Rimango imbambolata, credendo sia un sogno e basta.
Ma non lo è.
«Dai, entriamo.»
Faccio un sospiro.
Abby, benvenuta nel mondo del lusso.
Non si potrebbe definire nemmeno negozio, è grosso come metà dell'attico.
È nero e grigio, con vari manichini che indossano la nuova collezione appena uscita.
Tutto è ben allineato, nessun capo d'abbigliamento fuori posto.
Direi che il concetto di ordine e perfezione deve esserci per forza.
Il soffitto è alto, cosa che mi è sempre piaciuta.
All'interno ci siamo solo noi e la commessa.
È una giovane ragazza, avrà poco più della mia età.
Ha una coda di cavallo perfetta, non un capello fuori posto.
Ha un abito molto elegante e comodo allo stesso tempo di colore grigio.
Alza la testa nel momento in cui mi immergo sempre di più a curiosare tra i vari articoli.
Si rivolge a Kairos.
«Salve, che cosa desidera?»
«Vorrei trovare un completo intimo e degli accessori per la mia ragazza.»
Ci giriamo entrambe e ci fissiamo negli occhi.
Lei con aria di sufficienza e di sdegno ben evidenti.
Probabilmente non si è accorta della mia presenza.
Io presa alla sprovvista, sia dall'atteggiamento superficiale di Haileen, da quello che c'è scritto sul suo cartellino nominativo, che dall'affermazione di lui.
"La mia ragazza", Con un tono di voce talmente serio, da sembrare una celebrazione della messa.
Cambia subito espressione e si dirige nel reparto lingerie.
«Mi segua signorina, le faccio vedere i nostri completi.»
E arrivate alla sezione, mi mostra vari completi.
«Secondo me uno tra questi tre le stanno d'incanto.
Se vuole andare a provarli, faccia con calma.»
Me li lascia in mano.
Mi rivolge un sorriso sincero e ritorna alla cassa.
Si, l'ha soggiogata per forza, altrimenti il suo viso sarebbe contratto in una smorfia, che avrebbe provato a celare con falso perbuonismo.
Mi ritrovo in continua agitazione.
Una mano fredda, ma anche calda, si appoggia sulla mia spalla.
Non mi giro.
«Tu vai, io sarò qui fuori ad aspettarti.»
Aspetta, cosa?
«No!»
Ribatto di colpo.
«Perchè?»
Mi guardo le scarpe, come se fossero la cosa più bella in questo momento.
Smetto di attaccare bottone. Parlare con lui alla fine è inutile.
«Capisco.
Non vuoi farti vedere da me.»
Senza dire altro, va su una delle poltrone verde acqua.
Divarica le sue gambe, sprofondando ampiamente nello schienale.
Mi si scaldano le guance a vederlo in questa posizione, e non è positivo per me tutto questo.
«Potresti accomodarti in modo decoroso, non come un troglodita.»
Porta una mano alla bocca, passando delicatamente sulle sue labbra il pollice.
Ma allora fa apposta cazzo!
«Va bene, continua a fare il bambino.
Io vado a provare questi.»
Lì per lì, se fosse stato un altro ragazzo, sarei potuta stare al gioco.
Ma questa volta non cederò.
Vado nei camerini.
Sono molto grandi, questo è sicuro.
Le tende pesanti dorate sono il tocco di stile.
Ci sono quattro appendiabiti, e lo sgabello per sedersi non manca.
Cerco di scegliere quale provare per primo.
Uno è nero, di seta, con del pizzo lavorato finemente che va giù lungo i bordi dalle forme floreali.
L'altro, di Raso, di colore rosso sotto il pizzo nero semplice.
L'ultimo, ma non meno importante, è di cotone leggero, con delle sfumature blu, adornato dal pizzo ricamato con delle forme simili a decine di piccoli cristalli.
Da' un effetto meraviglioso.
Attraverso il piccolo spiraglio della tenda guardo Kayros.
È intento a fumare una sigaretta, ignaro che lo sto osservando.
Ma non è vietato nei locali pubblici!?
Guardo sopra la mia testa.
Ah, un condizionatore ad aria inversa.
Ora capisco tutto.
Comunque, questo vizio non se lo toglierà mai.
Sicura del fatto che non mi verrà a dare fastidio, inizio a spogliarmi.
Rimasta completamente nuda, vedo di nuovo le cicatrici.
Le sfioro.
Alcune sono sulla schiena, verso il basso, a destra.
Sono quelle che mi ha procurato Alan.
Due, invece, si trovano sul seno sinistro e sotto di esso.
Mi chiedo come non sia riuscito a beccarle mentre mi stava toccando, al parcheggio.
Mi infilo gli slip del completo a diamanti.
Non mi stanno male, devo ammetterlo.
Mi giro su me stessa, facendo una prova.
Sto per mettere il reggiseno, quando sento la sua voce proprio dietro alla tenda, e dallo spavento, lo lancio per aria e finisce fuori dal camerino.
Merda, e ora?
«Sai, mi tenti se lanci i pezzi dell'intimo.»
Il suo tono dispettoso lo fa solo sembrare sexy.
Cosa che non dovrebbe fare effetto di di me.
Istintivamente, mi copro con le braccia, nel vano tentativo di nascondermi.
«Potresti... Ridarmelo?»
Sono spaventata, questo ormai lo sanno anche i muri.
«Solo se farai una cosa per me.»
«che cosa?»
Ho decisamente il terrore, ma anche la curiosità a parimerito di quello che vuole chiedermi.
«Voglio baciarti.»
Sposto di poco il tessuto che ci divide e lo guardo di sottecchi.
Si avvicina, e vedo che ha già raccolto il pezzo sopra del mio completo.
Se lui pensa di essere furbo... Vediamo come se la cava con me.
Prima che il bacio si verifichi, afferro l'unico indumento che può salvarmi, e cerco di metterlo alla velocità della luce, e a girarmi, appena in tempo prima che lui scosta la tenda, quasi strappandola dagli anelli che la tengono.
«Non hai rispet-»
Le sue parole si dissolvono nel momento esatto in cui mi vede con solo il minimo indispensabile adatto a coprirmi.
«Cazzo... Abby.
Cazzo...»
Farfuglia qualcosa di incomprensibile, e la sua faccia è esterrefatta.
Deglutisco a fatica.
Il groppo che ho in gola mi fa morire dalla vergogna.
Lentamente la sua mano si avvicina, e accarezza la mia pelle all'altezza del fianco.
Ogni volta che mi tocca, mi fa sentire una scintilla di esplosione e il mio respiro diventa affannoso.
Rimaniamo col fiato sospeso entrambi, persi l'uno negli occhi dell'altra.
Fa qualche passo indietro, bruscamente.
Scuote la testa, come se fosse stato ipnotizzato.
«Scusa... Io... Non...»
Queste sono le uniche parole che gli escono.
Interrompe ogni contatto, tornando alla cassa.
«Prendo tutti i completi che le ha dato.»
E ci troviamo direttamente fuori dal negozio.
Camminiamo senza emettere un suono, e ci fermiamo davanti ad un emporio che ho visto molte volte, ma in cui non sono mai entrata :
Gucci.
Non aspetta un minuto di più per entrare e chiedere al commesso se hanno dei vestiti rossi femminili.
Me ne vengono mostrati due.
Il primo, di un rosso amaranto, ha uno scollo a cuore, con piccole farfalle, sparse in tutto l'abito, ed una gonna ampia, come quelle delle principesse Disney.
Il secondo, di un rosso più acceso, è ricoperto interamente da brillantini, con un corsetto rigido, uno scollo a V e una gonna a sirena.
Scelgo il primo.
Vado nei camerini.
Di nuovo.
Questa volta lo vedo stare in piedi, visibilmente agitato, come se qualcosa non andasse.
Mi tolgo gli indumenti, e, con una lentezza infinita, mi infilo il vestito.
L'unico problema, è che la cerniera è lunga, e si trova sulla schiena.
Sono troppo orgogliosa per chiedere a Kairos di aiutarmi con questa lampo così inutile, quanto di alta classe, anche se, detto tra noi, posso solo considerare le donne della borghesia odierna, viziate, impossibili da accontentare e sempre scontente della vita.
Figuriamoci me, che sono sempre cresciuta in un modo semplice, talvolta al limite del possibile.
Ora, vivere con Kayros, mi fa sentire in difetto, perché spende un sacco di soldi in più per me.
Mi sento come se fossi una mantenuta che non fa nulla per dare una mano.
Accosto di qualche centimetro la tenda di Cashmere grigia.
«Mi scusi, può allacciarmi il vestito?
Non riesco a farlo da sola.»
Il ragazzo, che avrà più o meno la stessa età di Kayros, arriva da me in poco tempo, leggiadro come una piuma, come non stesse nemmeno camminando.
Il contatto che le sue dita hanno sulla mia colonna vertebrale, è così veloce, che il freddo rilasciato mi fa venire i brividi.
Ti prego, non dirmi che è un vampiro.
«Indovinato tesoro, ora non muoverti, e non ti farò un graffio.»
Lo mormora minacciosamente.
Non ho nemmeno la forza di parlare.
Cerco di instaurare una connessione con il ragazzo che mi fa ogni volta scoprire qualcosa di nuovo.
«Ho subito notato che non eri nello staff prestabilito, ma ho voluto tenerti d'occhio.
Stacca le tue mani dal suo vestito, o sarà qualcos'altro a dover subire lo stesso trattamento, e credimi, non sarà una bella cosa per te.»
Il vampiro si ritrae come se fossi diventata lava bollente.
Allora ha sentito la mia frase in latino!
"Kayros, auxilium mihi placet."
Tradotto :
"Kayros, ti prego aiutami."
Si avvicina, ritrovandosi alle mie spalle.
Sento il suo tocco sulla mia pelle morbida, e un lussurioso piacere inizia a diffondersi nel mio corpo, come un calore che aumenta la temperatura.
Un ritmo irregolare torna nel mio respiro.
Le sue dita, abili e tiepide, tirano su l'esile cerniera del vestito impreziosito.
Mi preme leggermente le mani sulle spalle.
«Stai benissimo, Eclipse.»
Rimango stranita.
«Perché mi hai chiamata così?»
«Perchè fai vacillare il mio lato oscuro, con il tuo, luminoso e vivo.
Ogni mio atto malvagio e senza cuore, viene smorzato dalla tua voglia di vedere il mondo senza una causa disperata di bisogno e conforto, come sta succedendo a me.
E se non ho spezzato la spina dorsale a quel maledetto infiltrato, è solo grazie a te.»
Guardo attraverso lo specchio rettangolare, dai bordi smussati.
Questo vestito mi sta benissimo, e sentirlo su di me ha un certo effetto, lo devo ammettere.
E poi vedo lui.
Ci fissiamo attraverso questo riflesso, e ogni mio pensiero scaturisce come se fosse in piena un fiume.
«Allora posso dedurre che questo abito ti piace.»
Annuisco fermamente.
Si precipita poi al reparto calzature, interrompendo quel contatto che mi faceva sentire diversa.
Mi sfilo il vestito e mi rimetto intimo, maglia, pantaloni, scarpe, ed esco dal camerino.
Lo vedo indaffarato.
Trova delle scarpe, con dei fiori incisi, delle sfumature blu, e un tacco sobriamente alto.
Appena mi nota, prende il meraviglioso vestito che mi ha fatto innamorare dalle mie mani, e poi, si avvia alla cassa.
«Sono dodicimila dollari.
Carta o contanti?»
Il vampiro sotto copertura trema di fronte al suo cospetto, costantemente terrorizzato da lui, e poco dopo, ci ritroviamo fuori anche da questo posto.
«Andiamo a casa, non voglio che succeda qualcos'altro di spiacevole.»
Usciamo dal centro commerciale, camminando a passo svelto.
Arrivati al parcheggio, con un click della chiave, il bagagliaio si alza e i sacchetti vengono riposti al suo interno.
Per tutto il tragitto mi sento in difetto.
Perché spendere tutti questi soldi per quattro cazzate?
Perché questi giorni non sono stati altro che dei tira e molla?
Perché ho paura di non essere alla sua altezza?
Perché ho paura che lui non voglia più amare nessuno?
La morsa di queste quattro domande si attenua, quando arriviamo a casa.
Appena la serratura scatta, la porta si apre.
Entro nell'attico tanto estraneo, quanto considerato l'unica dimora in cui vivere, e riesco finalmente a respirare davvero.
Lascia cautamente le borse di plastica fresche di shopping sul divano e si passa una mano tra i capelli, cercando di usare quei pochi secondi per fare mente locale.
«Tra poche ore andremo a quella festa.
Anzi, più che una festa, potrei definirla una trappola... È una di quelle ragnatele da cui esci se ne hai la fortuna.»
Io non so a cosa andremo incontro, perciò mi limito ad annuire mestamente.
«E tu?
Che cosa indosserai?»
Il mio pensiero sfugge dalla bocca, prima ancora di poter bloccare la mia voce.
Si gira, e con un'occhiata svogliata mi squadra.
I suoi occhi verdi indugiano sul mio seno e i miei fianchi per qualche secondo, prima di distogliere del tutto il suo sguardo magnetico.
«Pensavi davvero che non avessi gli indumenti adatti a questo tipo di richieste?»
Faccio spallucce.
«Non vivo nella tua testa, Kayros.
Con i soldi non puoi avere tutto, tantomeno quello che pensi di poterti riprendere con tanta facilità.»
Si toglie la polo.
«E cosa intendi con questo tuo ragionamento?»
Lo sa benissimo, cazzo.
Ma vuole sentirlo pronunciare da me.
Lo guardo.
La realtà deve essere sbattuta in faccia.
«I sentimenti, Kayros.
Quelli non li compri, te li devi riguadagnare.»
Da questo preciso momento, ogni senso di razionalità svanisce, e che di certo, tutto quello che vedi nei film true crime e d'azione, non sempre è vero.
Le procedure non servono a un cazzo, se la posta in gioco è una guerra di mafia, amore, mitologia e sovrannaturale.
***
Spazio autrice
Ciao a tutti!
Scusate la mia assenza prolungata, ma ho avuto molti problemi in questo periodo, e sono in vacanza, ma tranquilli, Arial è tornata!
Buon proseguimento, mie piccole Eclissi...
🌑⚜️🪷
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