❶ ✫ 𝑯𝒆𝒍𝒍𝒐 𝒆𝒗𝒆𝒓𝒚𝒐𝒏𝒆, 𝒊'𝒎 𝑨𝒃𝒊𝒈𝒂𝒊𝒍 𝑨𝒔𝒉𝒆𝒓! ✫


~ Una vita finisce, e un'altra comincia.
Sempre questa frase, che alla fine un fondo di verità ce l'ha.
Eppure... Chi la finirà?
Chi ne prenderà il posto? ~

{Arial Black }

***

I raggi del sole filtrano dalla mia finestra e io apro gli occhi :
È mattina.
Sbadiglio e mi stiracchio, prima di scendere dal letto e di prepararmi per andare a scuola.

Mi chiamo Abigail e ho diciassette anni.
Sono figlia unica e sono cresciuta in una famiglia umile.
Mio padre, dieci anni fa, ha iniziato ad alcolizzarsi.

La tensione che si era creata, lo aveva spinto ad entrare in circoli molto pericolosi.
Gli allibratori gli erano sempre alle calcagna, come dei cani da caccia.
Si cercava di fare il possibile per restituire fino all'ultimo dollaro, ma era difficile.
Se la prendeva con la mamma, urlandole contro, e se io la difendevo, faceva del male a me.

«Sei una vergogna per la famiglia!»

Questo era quello che mi diceva sempre.
La sua superstizione gli faceva pensare che i miei capelli argentati, cresciuti dopo poco tempo che sono nata, fossero segno che ero una strega.

Tutto ciò è diventato così pesante...
E continuava così.
Ogni.
Maledetto.
Giorno.
Era diventato viscido, come un serpente.

E poi, in un giorno qualunque, è sparito.
Di lui non si hanno più tracce da ormai diverso tempo.

Ero ancora piccola, e mio padre mi considerava una creatura indegna di esistere... Ero sconvolta, mi sentivo molto debole e credevo di non riuscire a superare tutto questo.

Mesi dopo, però, cambiò ogni cosa.
Ci trasferimmo, e iniziammo una nuova vita.

Nonostante tutto ciò, ho sempre sorriso, aiutavo gli altri e cercavo di renderli felici, anche quando mi sentivo morire dentro.

Ho imparato a convivere con tutto questo e ormai a scuola hanno per fortuna smesso di tirarmi le frecciatine.

Non mi preoccupavo tanto di come tutto questo sarebbe cambiato, ma se in realtà sarebbe cessato.

Quattro estati fa, ho conosciuto la mia migliore amica, Ludivine Gordon.

All'inizio ci detestavamo.
In più, ci trovavamo in tutti gli stessi corsi.
Ci siamo menate una volta, ma fuori scuola, per evitare espulsioni o ammonizioni.
Siamo rimaste talmente sfinite che ci siamo messe sull'erba fresca, che ci solleticava il viso, a guardare il cielo.
«Ma perché mi odi?»

Questa è stata la sua prima domanda, dopo infinite litigate di un mese intero.
«In realtà, sembra che ci odiamo a vicenda, perché ci siamo scambiate un'occhiata, e abbiamo pensato l'una dell'altra cose sbagliate causate dalla nostra prima impressione.»

Ed è vero.
Io indossavo un vestito molto carino; mi ero agghindata per il mio primo giorno di superiori.

In quel momento, quelli della mia età mi stavano prendendo in giro.
Quelli degli ultimi anni invece provavano a flirtare, o a rimorchiarmi.
Non gli davo corda, perché sapevo dove volevano arrivare, e semplicemente li mettevo a tacere con le mie battute aspre.

Lei invece era tutto il contrario.
Non veniva calcolata da nessuno, viveva nella sua fantasia.

Una maglia dei Queen, dei jeans strappati e braccialetti neri.
I suoi capelli erano raccolti in uno chignon fatto di corsa e aveva gli occhi gonfi, dati da un pianto lungo ed estenuante.

Ci siamo guardate, e i nostri pensieri scattarono immediatamente.
Io pensavo che fosse una persona che si autolesionava, decisamente introversa e dal pensiero negativo e oscuro.
Io, al contrario, ho dato l'impressione di essere la reginetta, viziata e stronza fino al midollo.

Inutile dire che quando eravamo in ritardo, ci spintonavamo per arrivare a lezione.

Rimasti due posti liberi, ci siamo sempre dovute accontentare.

Lei non mi ha mai giudicata, dopo quel dibattito a suon di lividi.
Imparammo sempre di più l'una dall'altra, capendo che ogni cosa non è mai come sembra.
Quando trovai il coraggio di dirle la causa che mi aveva portato sofferenza, non esitò un attimo ad abbracciarmi.

«Abby, se gli altri non ti calcolano, sappi che ci perdono solo loro.
Tu, invece, saprai davvero di chi fidarti, quando la maggior parte di tutti quegli studenti farà finta che non esisti.»

Ora, io e lei siamo inseparabili.
Ci compensiamo con i nostri poli opposti e siamo felici che il fato abbia potuto farci incontrare.

Apro l'armadio e valuto le opzioni.

Alla fine, scelgo di mettermi dei vestiti carini, siamo in primavera e voglio usare tanti colori differenti.
Oggi il tempo è bello, e il tepore della stella che ci riscalda mi dà energia positiva.
Mi infilo la mia maglietta blu preferita e i jeans con su i fiori, con delle Adidas bianche e azzurre.

Mi trucco con un ombretto leggero, il mascara e un po' di illuminante.
Scendo poi a fare colazione, e solo dalle scale si sente il fantastico profumo dei miei biscotti preferiti...

«Ciao mamma!»
vado ad abbracciarla e le do un bacio sulla guancia.

Lei è sempre stata brava in tutto quello che faceva e che fa ancora.
È una semplice impiegata nell'edificio giornalistico The New York Times, ma nessuno riesce a odiarla, perché ha sempre una soluzione al primo problema che le si para davanti.
Per questo è rispettata, ed è stata soprannominata "Tenacious spirit."
E quando Papà è scomparso, lasciandoci sole, ha cercato di non farsi abbattere da tutto ciò, anche se io ricordo solo qualche frammento di quel periodo.

«Tesoro, non deprimerti, ci sono qui io con te.
So che è brutto, Ma non devi arrenderti mai, per nessuna ragione.
Sei una bambina coraggiosa e altruista, e niente riuscirà a distruggerti.»

E le sue parole mi hanno incentivato a farmi forza.

Anche se adesso ha quarantadue anni, sembra una donna molto più giovane e sorride sempre, come me.
Mi siedo sullo sgabello e la guardo indaffarata con gli ultimi ritocchi per la colazione.
Mi fa la sua solita domanda, di cui so già la risposta a memoria.

«Abigail, hai dormito bene?»
Mento.
«Si mamma, mai stata meglio!»
Sono un po' stanca di questo inutile modo di perdere tempo e di preoccupazioni illusorie.
Sono solo incubi, no?

No, testa dura!
Ti stanno facendo del male, e non vuoi ammetterlo!

Non credo sia stato molto convincente, perché nota il mio tono di voce un po' strano.

«Abby... li hai fatti... non è vero?»
Beccata... Tanto vale dirglielo...
«Si, ma stavolta non erano come al solito, sembravano meno spaventosi, te lo assicuro.»
Dico mentre addento i miei biscotti al cioccolato.
Anche se li amo, faccio fatica a riuscire a mandare giù ogni singolo boccone.
Ma devo fingere, se non voglio far preoccupare mia madre.

«Mhhh... Sono davvero buoni mamma!»
Sorride mentre mi guarda gustarli.
Ogni morso mi fa salire la nausea in modo abominevole.
Ma con lei, ogni traccia di questo problema svanisce, anche se mangio letteralmente due biscotti.

Adoro trascorrere le mattine così, io e lei che sorridiamo e che ci raccontiamo tutto quello che ci passa per la testa.
Mi mancano le serate dove guardiamo i film fino a tardi.
In effetti non stiamo più passando molto tempo insieme...

La vedo pensierosa.
«Tutto ok mamma?»
Ritorna in sé, e le sue labbra si incurvano leggermente.
«Certo tesoro!
Vuoi che ti accompagno a scuola?»
Lo dice mentre si toglie il grembiule, e vedo che è già pronta per andare a lavoro.

Gonna nera, poco sotto il ginocchio.
Camicia bianca stirata, con una spilla a forma di stella polare e delle scarpe grigie lucide, con un tacco basso.
i suoi meravigliosi capelli castani sono sciolti, e le arrivano a metà schiena.

È bellissima, come sempre.

"No mamma, Ludivine è venuta a prendermi.»
Il telefono vibra, e vedo un messaggio da parte sua, come se mi avesse letta nel pensiero.
Tipico.

Lulu : Allora, ma vuoi uscire o no!?

guardo l'orologio.
Sono le sette e cinquantuno.
Per poco non mi va di traverso l'ultimo boccone.
«Oh accidenti!
mamma devo andare, la scuola di certo non sta ad aspettare me!
E grazie per i biscotti.»
La abbraccio, e lei mi accarezza il viso.
«Di nulla, Abby.»

Le rivolgo l'ultima occhiata, prima di aprire la porta e prendere le chiavi dalla mensola, per poi uscire, e sentire il cinguettio del pettirosso che sta sempre sul ramo più basso del nostro Melo.

Corro come una matta e trovo già la Ford Puma verde acqua di Ludivine.
Sta sempre seduta sul muso della sua macchina, intenta a guardare il cellulare.

«Non volevo dirtelo, ma rischi di rovinarla, se lo fai tutti i giorni!»
La mia frase la coglie alla sprovvista, e alza il viso, ma rimane sempre accigliata.
«Era ora, Abby!
Dobbiamo andare a scuola, altrimenti come pensi di diplomarti con tutti questi minuti di ritardo?»
Sorride e io la abbraccio.
«Come farei senza di te?»

Salgo e mi metto la cintura di sicurezza.
Parte a tutta velocità, eppure sul viso di Lulu, vedo gli stessi occhi di quella ragazzina che doveva tirare fuori le unghie e i denti per difendersi.
Io ero impossibilitata a farlo, trovavo la forza per tornare in piedi dopo una caduta emotiva.

«Hai ancora quello sguardo perso e gli occhi gonfi della prima volta che ci siamo viste.
Che cosa è successo?»
So benissimo che qualcosa non va.

Le sue parole sono delicate.
«Non è successo nulla, davvero...»
Ma cambia subito idea dopo aver visto la mia versione espressiva "se non dici la verità te la estorco con la forza", deglutendo in modo nervoso.

«Casa.
Jonas ha suonato al citofono alle due di notte, e quando gli ho aperto...»
Ancora Jonas... Io giuro che lo distruggo, cazzo!
Divento sempre più nera di rabbia, e la mia voce trasuda odio.
«Continua.»
Dico, cercando di mantenere la calma che ho sempre.

Lo dice sputando veleno.
«Mi ha fatto del male.
L'ho pregato di lasciarmi in pace, ma non lo fa.
Ogni volta, ogni fottuta volta, mi fa qualcosa di diverso, e non la finirà mai.
Io... Io non riesco più a sopravvivere così.
Non è colpa mia se i nostri genitori sono morti, non li ho mica imbottiti di LSD o psicofarmaci perché andassero in overdose!
E lui ha creato questa visione contorta, pensando che ero arrabbiata con loro, e che li abbia uccisi!»

Suo fratello non è mai stato mentalmente stabile.
Già da piccolo era deviato, e faceva cose molto strane e brutte.
Ad esempio, da bambini, quando ha preso un coltello e ha fatto fuori il cane del loro vicino, Bumblebee.

Alla domanda del come mai lo avesse fatto, ha risposto con noncuranza e perfetta tranquillità, come se nulla fosse.
«Abbaiava troppo, e non riuscivo nemmeno a riposare.»
Non ha mai fatto nulla, quel povero cagnolino...

Dopo questa, ha fatto molte altre cose, per cui non è bastato un solo mese di lavori socialmente utili o stare ai domiciliari, perché rinsavisse e gli tornasse un po' di sale in zucca.

Stringo i pugni.
«Che cosa ti ha fatto, Ludivine?
Dimmi cosa è successo!»
La sua bocca trema.
«Mi ha picchiata.
Calci, pugni... Andando avanti così per mezz'ora, penso.
Prima di andarsene, sulla soglia della porta, mi ha detto una cosa che nemmeno io al mio peggior nemico direi...»

Aspetto che possa trovare la forza di dirlo, ma ormai sono furiosa.
«"Arriverà quel giorno, e sarà finalmente l'ultimo in cui mi vedrai.
Quello in cui ti ucciderò con le mie stesse mani."
E poi se ne è andato, svanendo nel nulla.
Le mie gambe hanno ceduto dal dolore e ho iniziato a piangere.
Volevo urlare, volevo credere che nulla fosse capitato.
Ma non sono io quella che decide.»

Lo shock che mi sta attraversando mi fa girare la testa.

«Non glielo permetterò!
So benissimo che non si fa problemi di chi debba ferire, o fare di peggio.
Verrò a casa tua, e mi porterò qualcosa di utile.»

«No, ti prego!
Non mettere la tua vita a rischio per colpa di un bastardo del genere.»

Il mio dissenso si può sentire nell'aria.

«Ho lo spray al peperoncino e un coltellino, nel caso provasse a ferirci.
Andrà tutto bene, te lo prometto!»
Le accarezzo la schiena per rassicurarla.
Anche se in realtà non so se questo conforto sia per lei, o per convincere me stessa che sarà così.
Lentamente, provo a far svanire tutta la tensione che si è creata, riuscendoci.

Arriviamo a scuola.
È molto grande, con una particolare forma a elle.
L'hanno ristrutturata più o meno un annetto fa, ma tutto il fascino degli anni passati risveglia le mitologie antiche, senza stonarle, dandogli quell'aura mistica, che solo uno studente della Nocturne High School può notare.

Quando sono entrata qui per la prima volta, il cortile era pieno zeppo di ragazzini al primo anno, che dovevano essere smistati nei corsi.
Mi sentivo smarrita, del resto come tutti gli altri.
Il preside Withmoore ha elogiato la scuola sul fatto della sua nascita, secoli orsono.

Non ci avrei creduto fino in fondo, visto che si pensava che gli attestati di costruzione fossero falsi, ma in realtà sono autentici, consumati dal tempo e dalla calligrafia sbiadita e sbavata.

Vorrei poter dire che amo questa scuola, se solo non fosse per le teste di minchia che la occupano e rompono le scatole agli altri, più fragili e indifesi.
A ogni casino, vengono rifilati al dirigente e ai professori in questione diversi bigliettoni da cento dollari, per fare finta che non sia successo assolutamente nulla.
E la corruzione, qua, è ormai la normalità più assoluta.

Ludivine parcheggia la sua auto al solito posto.

Mi slaccio la cintura e la guardo.
«Stai meglio?»
Mi sorride, per fortuna sinceramente.
«Si Abby.
Grazie per avermi supportata.»
Le rispondo.
«Sempre, lo sai Ludivine.»

Noto una nuova macchina, quando scendo.
Una bellissima Ford Mustang, una delle Muscle Car più famose nel corso di tutti questi anni.
Mi sorgono vari dubbi che mi fanno accigliare.

«Qualcuno ha cambiato l'auto?»
«No, nessuno... Dici che è un nuovo studente?»

Ci penso un attimo, in fondo potrebbe esserlo...
«Non lo so, sembra così allettante solo a vederla, mi crea una tentazione che non immagini con il mio colore preferito... Sulla mia macchina preferita...»
Mi fermo a contemplare questa bellezza.

È Blu Navy, la piu scura tonalità del colore.
Ha un alettone reclinabile e due strisce bianche sportive centrali.
È letteralmente l'auto che ho sempre sognato, insomma, chi non la vorrebbe?

Sto per toccarla, quando qualcuno mi afferra i polsi e mi sbatte contro la portiera di Lulu.

È un ragazzo dai capelli neri, tutti spettinati, occhi verdi come lo Smeraldo, e soprattutto, molto alto e muscoloso, perché sta spingendo il mio corpo contro il veicolo ed è impossibile non sentirli.

Ha diversi tatuaggi neri sulle braccia, uno sul collo, e probabilmente anche sul resto del corpo.
Lo guardo come se fosse uno di quei cantanti famosi per cui molte groupie calerebbero le loro mutandine, eppure lui non ha il solito sguardo provocante di una Rockstar di fama internazionale.

No.
Ha uno sguardo glaciale, impenetrabile.
Sembra di stare faccia a faccia con una statua.
Urla, ma non a voce alta.

Il tono che usa mi terrorizza, e con la coda dell'occhio vedo Ludivine avvicinarsi alla sua auto, cercando di non farsi notare, anche se questo mostro la sta guardando, ma non le dà la minima importanza.
Io sono il suo obiettivo e niente lo distrae.

«Che cazzo!
Nessuno ti ha insegnato a non toccare le cose degli sconosciuti?
Stai alla larga dalla mia auto, o la prossima volta ti spezzo i polsi.»

«Mollami, idiota!»
Non risponde.
Continua a stringerli sempre più forte fino a farmi male, ma lo guardo in modo torvo e minaccioso.
«Pensi di farmi paura con i tuoi occhi da cerbiatta, ragazzina?
Ti sbagli di grosso.»

Il limite del dolore cede alla rabbia e decido di tirargli un calcio sul polpaccio, con evidente effetto, perché si allontana da me all'istante.
La mia amica viene a sostenermi, prima che io possa cadere per il male alla schiena, dovuto alla collisione contro la sua macchina.
Cerco di riprendere il battito cardiaco normale e mi rimetto in piedi, come ho sempre fatto.

Gli urlo con tutta la mia voce nel petto.
«Vaffanculo!
Che cosa vuoi dalla mia vita?
Vai a farti curare prima di ferire una ragazza, solo per aver quasi toccato la tua macchina!»

Mi alza il dito medio mentre si sta ancora toccando dove l'ho colpito.
I lineamenti del suo viso sono sofferenti.
«Ora ho capito che sei una vera stronza.»
Non nasconde il palese modo di fare da pezzo di merda.

«E io ho capito che sei un manesco psicotico... Andiamo, non voglio stare un minuto di più.»

sospiro, tremando.
Iniziamo ad avviarci verso l'entrata.
Non solo Jonas sta torturando e stalkerando sua sorella, ma anche questo ragazzo mi fa andare in tilt.

Sono rimasta molto scossa.
Mi tocco i polsi, che mi fanno ancora male, e sono diventati rossi per quanto me li ha stretti, ma non verso gocce di tristezza.

Non voglio cedere di nuovo ed essere mandata in pasto ai segugi infernali di questo liceo.
«Stai bene Abby?
Sei molto pallida... Vuoi andare in infermeria per sicurezza?»
Scuoto la testa.
«No, voglio solo andare a lezione.»

Ci fermiamo sotto il portico un po' nascosto.
Mi giro per vedere quel ragazzo, ma di lui non rimane traccia.
«Aspetta, fatti mettere almeno una pomata per farti attenuare il dolore.»
Alzo i polsi, capendo che è la cosa giusta da fare.

Dalla tasca interna del suo zaino tira fuori un tubetto e ne rilascia il contenuto su entrambi, per poi massaggiare con delicatezza questi segni.
«Anche il rossore sparirà, non preoccuparti.»
Dopo aver preso un fazzoletto ed essersi ripulita le mani, richiude lo zaino e io la abbraccio.
«Vorrei averti conosciuta prima.»
Il profumo che utilizza, il Samsara di Guerlain, mi fa impazzire ogni volta che lo sento.

«Anche io.»
Le rispondo.

Entriamo e io cerco di fare del mio meglio per evitare di farmi importunare.
Percorriamo i corridoi della scuola, e fortunatamente, mi faccio notare appena.
Menomale... Almeno questo problema si è finalmente risolto.
Oggi non è giornata.

Ma appena entriamo in aula per seguire il nostro corso di letteratura, ritrovo dei capelli scuri come la pece.

Questo maledetto stronzo è pure qui!?
Gli passo di fianco.
«Troia.»
Sussurra.

Appena sento quella parola non aspetto un secondo di più.
«Mai quanto quelle che ti fanno la fila.»
gli indico i banchi di fianco a lui, composti da sole ragazze, pronte a togliersi i vestiti per ogni cosa che direbbe o farebbe quest'idiota patentato, e mi metto a sedere nei banchi due file più indietro.

Ludivine si avvicina al mio orecchio.
«Abby, secondo te questo scemo attira le ragazze?
Non so, sembra che abbia un modo di fare egoistico, pensando di essere superiore alla massa.
E chi si crede?
Il superuomo della teoria di Nietzsche in così parlò Zarathustra

Sbadiglio, assonnata.
«Scusami, ma di questo scemo non me ne frega assolutamente niente.»
Eppure, non posso negare che ha un qualcosa di attraente.

La prof batte le mani, facendomi cadere dalle nuvole.
«Ok ragazzi!
Oggi c'è un nuovo studente qui con noi...»

Si rivolge a lui e lo guarda con un sorriso incoraggiante.
«Vuoi presentarti?»
Si gira, e quando i nostri occhi si scontrano, noto che è carico di odio.
Passa poi al suo sguardo indecifrabile, mentre osserva gli altri con diffidenza.

Si alza di scatto, tirando indietro la sedia con più rumore e forza del dovuto.
Per poco non mi prendo un colpo dallo spavento.
Il suo tono di voce si fa più deciso, ma senza lasciar trasparire alcuna emozione, come in un colloquio di lavoro molto formale.
«Mi chiamo Blake Deveson, arrivo da Chicago e ho ventitré anni.»
Un modo di fare stoico, a quanto vedo.
Detto questo chiude la bocca e non dice una sola parola, tornando a sedersi.

Tutti lo stanno fissando :
chi sorridendogli, chi con curiosità e chi invece con rabbia, come me e Ludivine.
La sua irritazione è fendibile con una Katana.

Lulu è troppo curiosa, se posso definirla una regina dei gossip.
«Ma quante volte ha ripetuto quest'anno scolastico!?»
Alzo le mani in segno di resa.
«Saranno affaracci suoi.»

Ma, secondo me, qualcosa non sta quadrando per il verso giusto.

Sbotta all'improvviso.
«Che c'è?
Per caso sono il nuovo animaletto dello zoo?
Che cosa avete da guardare?»

Tutti azzerano il contatto visivo, chi imbarazzato, chi deluso.
Che prepotente.
Vorrei solo far abbassare la cresta a questo gallo pieno di sé.

Il silenzio dopo un po' diventa imbarazzante e la prof inizia a spiegare il prossimo argomento, e dopo circa quarantacinque minuti decide di farci lavorare a coppie.
«Ora dividetevi e cercate un compagno per il vostro lavoro sulla tesi della poetica di Sigmund Freud!»

Sto per chiederlo a Lulu, ma la prof mi chiama.
Merda.
«Abby, sai che sei la migliore studentessa della scuola... Potresti far ambientare Blake qui e fare il lavoro con lui?»
La sua voce, calma e composta, mi fa l'effetto opposto del risultato che dovrebbe ottenere.

Rimango allibita e per poco non dico un "no" secco.
Che nervi.
Perché devo sempre caderci in mezzo io a questa situazione?
Mi ricompongo.
«Prof, la ringrazio per i suoi complimenti, ma non può scegliere qualcun'altra?»
Le indico le pettegole dietro di me con il pollice, senza nemmeno girarmi.
«No, signorina Asher, stavolta lo guiderai tu.
Prendilo come un lavoro scolastico.»

Viene vicino a me.
«Potresti anche farci amicizia.»
Si, come no.
Magari ci mettiamo pure a parlare di cose inutili tanto per evitare di litigare.
Dopo un occhiolino fugace, ci liquida con la mano, e se ne va dagli altri che si sono già divisi.

Rimango in piedi, combattuta dalla voglia di urlare e maledire questo strafottente così bello, o di sedermi e fare la ragazza adulta, che sa autogestirsi e controllarsi.

Vedo Ludivine con Jordan Mitchell, capitano delle cheerleader per la nostra squadra di football, i Manticore, nonché zoccola di primo grado.
Si, ha già adocchiato l'idiota.
E si, penso che voglia portarselo a letto.

Scuoto la testa e cerco di non autocommiserarmi.
Tutti ormai danno per scontato che lei pensa solo ad abbindolare i nuovi arrivati.

Il simbolo della nostra squadra è una Manticora, la stessa creatura della mitologia greca.
Indica quanto possiamo essere forti, e al tempo stesso, fragili e sul punto di poter essere sconfitti, per la debolezza di questa creatura mitologica :
Il pungiglione che ha sulla coda.
Può uccidere avvelenando la vittima, o essere reciso da un taglio netto, trasformandola in pietra, che diventa solo polvere.

Appena sento una notifica sul cellulare, lo apro e vedo un messaggio.

Lulu : Penso che sia spaventoso il fatto che tu debba seguire uno come lui, la prof non sa che cosa è in grado di fare... È inaffidabile e ti ha aggredita solo poco fa!

Abby : E tu che invece sei con la più popolare che non sa fare altro che farselo mettere dentro?

Lulu : 🤷🏻

Abby: Dovrebbe essere rimessa al suo posto, lei fa cose brutte a ragazze innocenti... Non cadere in uno dei suoi giochetti.

Lulu : Non ti preoccupare... Speriamo invece che LUI non ti ferisca ancora, o lo disintegro, Abby... è una promessa.


Mi sento meglio al suo giuramento così fervido e audace.

Abby : Grazie... Anche se preferirei lavorare con i topi e gli scarafaggi che stare con uno del genere.


Sospiro, spegnendo il cellulare.
Mi siedo accanto a Blake.

Appena mi sente si irrigidisce.
Con la coda dell'occhio mi rifila un'occhiataccia.
«Fuori dai coglioni.»
sibila.
«Mi spiace, ordini della prof Mulligan.»
Gli dico, aggiungendo un sorriso falso e maledetto quanto lui.
Sospira.

«Tu non sai cosa darei per avere la solitudine ora.»
lo dice talmente basso che lo sento a malapena...
E a quel punto mi viene un'idea.
«Facciamo una sfida.»
speriamo che abbocchi...
Si gira.
La sua voce è stanca.
«Del tipo?»

Formulo una frase in poco tempo.
«La sfida di provare ad approcciarsi in modo più corretto con gli altri, valida per entrambi.»
Gli faccio un piccolo cenno di positività.
Mi alza il mento con due dita.
Il suo sguardo diventa attraente e decisamente molto volgare, alzando il sopracciglio e con un maledetto sorriso.

Si avvicina al mio orecchio.
«Vorresti andare nel bagno della scuola per decidere le regole?
Ci sono molte cose che potremo fare là dentro, te lo assicuro.»
E nel mentre, accarezza la mia gamba, in un costante movimento che mi fa provare uno strano formicolio.
Il suo respiro sul collo mi fa rabbrividire, come il suo palmo che sale sempre più su e le frasi che mi pronuncia.

Mi fa tornare in mente brutti ricordi, che pensavo di aver archiviato per il mio bene, tant'è che mi giro di scatto e gli tiro un pugno nella pancia.
Non se lo aspettava e non poteva evitarlo.
Si piega un po'.
Lo sento imprecare.
«Che cosa ti passa per la testa?
Per caso sei scema!?»
Guardo dritto davanti a me, mentre continuo a sentire i suoi lamenti che cerca di sopire.
«Sei solo un deficiente senza pari!»

«Hai cercato di toccare la mia auto.
Non farlo mai più maledizione.»
Alzo gli occhi al cielo.
«È una macchina, santo Dio!
Non ha vita, non trasmette amore.
È solo un oggetto, te l'hanno mai detto?»

Tossisce e cerca di appoggiare un braccio sul banco.

Ci guardiamo in cagnesco, e capisco che sarà una guerra, nonostante io voglia essere da qualsiasi altra parte, piuttosto che con questo coglione.

Alla fine cede alla tentazione di rompermi le palle in modo malizioso.
«Sarai tu a dovermi pregare di smetterla, da quanto ti farò perdere il senno, Abigail

«Non pronunciare il mio nome con quel tono civettuolo.
Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.»

«Oh, la povera principessina ha perso la spavalderia?»

Gli rifilo anche io il dito medio.
«Fottiti.»
Mima la mia voce per farmi una domanda.
«Allora, che cosa bisogna fare per sto lavoro?
Ci dobbiamo vedere in biblioteca e parlare di gossip?»
La mia risposta è fredda.

«Dobbiamo concentrare il lavoro principale sullo studio della sua poetica, come è nata, da cosa, poi confrontarci su una sua opera a scelta e creare un nostro pensiero finale, ti è chiaro?
O in quella testa bacata ci entrano solo il tuo ego e la tua auto?»

Sembra che tocco il tasto dolente, perché mi risponde sulla difensiva.
«Chi sei tu per dire queste cose?
Non ti hanno mai insegnato che non si giudica un libro dalla copertina?»

Un colpo basso.
So benissimo che cosa significa.
La mia maschera di ferro cede, e smetto di parlare.
L'orgoglio mi fa cadere una lacrima sul quaderno e lui se ne accorge.

«Perché piangi?»
Chiede, leggermente confuso.
Mi giro verso di lui e mi asciugo in fretta, come per eliminare ogni traccia.
«sette anni fa.»

«Che cosa significa?»

«Lasciami in pace, cazzo.
Tu non dovresti nemmeno essere qui!»

«A volte le scelte non sono di tua volontà.
Sono obbligatorie.»

«Se la pensi come me, allora su una cosa siamo d'accordo.»

Fa scena muta.
Come da perfetto copione di un regista.

Mando un messaggio alla mia amica, per dirle di questo tizio.

Abby : Ma da dove è uscito questo!?
Dalle riviste fantasy?

Mi risponde subito.

Lulu : Tu non ascoltarlo, vedrai che si stuferà.
Qui Jordan sta dicendo cose molto sconce.
Mi sale la nausea!

Scuoto la testa.

Quella serpe resterà sempre una poco di buono, c'era da aspettarselo.

Abby : Chiedo di andare in bagno, almeno mi accompagni.

Mi giro a guardarla, e mi fa l'ok con la mano.
Chiedo alla prof di poter andare in bagno e usciamo entrambe.

Appena fuori, tira un lungo sospiro di sollievo.
«Finalmente una boccata d'aria!
Mi sembrava di stare in un buco opprimente...»
I suoi grandi respiri la stanno facendo calmare, ma io, no, non ci riesco a buttare nel cestino mentale la faccia di questo qui.
«Almeno hai iniziato il lavoro?»
Ci guardiamo, e i suoi occhi, di un colore della corteccia d'Ebano, si scontrano con i miei Blu Oceano.
Si siede sulla panchina del bagno e si mette le mani nei capelli.

«Cazzo, no!
Quella sta raccontando di tutto e di più e quelli che la ascoltano come degli asini mi fanno perdere la concentrazione anche se volessi farlo per conto mio!
Devo sopportare anche questa zoticona?»

Mi metto vicino a lei e le circondo le spalle con un braccio.
«Ricordi cosa ci siamo promesse quattro anni fa?»
Aspetto la sua risposta mentre le accarezzo i capelli.
«Qualunque cosa accada, niente ci può separare.»

«Esatto, ed è per questo che non ti devi agitare per niente.»
Sbuffa, più sollevata.
«E tu invece?
Ho visto che lui si è avvicinato a te... Che cosa ti ha detto e cosa ti ha fatto?»
Rimango in silenzio.
«Sei un libro aperto con me Abby, so che non ti è piaciuto quello che ti ha procurato.»
Cedo alla sua richiesta.
«Mi ha detto che per dettare le regole di una mia idea, quella di andare d'accordo, potevamo andare nel bagno della scuola.
Mi ha toccato la coscia e il suo respiro mi faceva venire in mente quello che ho passato...»

«Oh, Abby... Non calcolarlo più per oggi, promettilo!»
Gli faccio un'occhiolino.

«Promesso.»

«Non vedo l'ora che finisca questa giornata, se no sclero di brutto.»
Scoppio in una fragorosa risata.
«La penso come te!»

Passano le ore, così come le materie, e nessun professore mi ha fatta tornare al mio banco.
«Devi stare qui, e lo sai bene.»
Che risposta assurda.
Prendo il mio specchietto dallo zaino, e poi, senza farmi notare, lo uso per vedere il riflesso di Blake.

Il suo viso è pieno di contrazioni, il che significa solo molta pressione e disagio che sta sentendo in questo momento.
A quanto pare odia davvero le altre persone, come ha detto in quella sua affermazione che ho percepito, seppur appena udibile.

Siamo nell'ora di biologia e scrive il minimo indispensabile.
Se vuole prendersi un due va sulla retta via.
«Chi sa dirmi la celebre frase di Charles Darwin sulla sua stessa teoria?»
Nessuno risponde.

Ma lui si.
«Non è il piu forte o il più intelligente a sopravvivere, ma quello che sa adattarsi.»
Rimango esterrefatta.

Il prof si gira verso di lui, meravigliato.
«Risposta eccellente, signor Deveson!»
Tutti mormorano come se fossero piccoli brusii, un po' come il ronzare delle api tutte insieme.
Difficile da sopportare, ma facile da creare.
Nonostante ciò, il prof continua a spiegare.

«Non mi aspettavo una risposta così scattante dal nuovo arrivato.»
Una voce simile ad uno squittio, che può trasformarsi tranquillamente in uno stridio di un rapace, arriva da dietro.

Si volta per vedere chi è, ma sembra persino annoiato quando lei si presenta.
«Io sono Jordan, piacere di conoscerti!»
Che falsa primordiale.
Sarebbe più credibile se nella frase includesse anche i prezzi per i servizi che offre.

Peccato che lui non le risponde, e si rigira come se nulla fosse successo.

Un ghigno è ciò che emette Jordan.
«Probabilmente non conosce le buone maniere.»
Lo dice alla sua amica Ashley, con sgarbo e malignità.
Passano pochi secondi, prima che una risposta secca la faccia rimanere di stucco.

«Probabilmente le conosco, sai?
Ma non ho voglia di stare a rispondere a una gallina come te.
È molto differente, non trovi?»
Diventa rossa come un peperone, mentre io preparo lo zaino prima che suoni la campanella dell'ultima ora.
Scappa via e tutti le ridono dietro.

Blake si gira verso di me.

«Allora ci vediamo domani alle quindici e trenta, in biblioteca.»
Mi volto e lo osservo.
«E se non posso?»
Risponde duramente.
«Non era una domanda.
È un obbligo, ragazzina.»

Sto per rispondergli, quando se ne va di fretta.

Ludivine mi riporta a casa, stanca, ma comunque piu tranquilla di prima.
«Sarà anche uno stronzo, ma non immagini la faccia di quella stronza appena ha finito la frase!»
Guardo fuori dal finestrino tutte le villette a schiera e gli alberi allineati.
Cerco di connettere il cervello.
«Mh-mh...»
Il suo sguardo si addolcisce.
«Non sembri stare molto bene, sei pallida come stamattina...»
Cerca di toccarmi la fronte, ma mi scanso appena in tempo.
«Sto bene, davvero.
Smettila di trattarmi come una bambina.»
Ci resta male.
«Non ti voglio trattare come una bambina, ma io sono preoccupata per te.»

Rimaniamo mute per tutta la durata del tragitto, con solo la radio che ci accompagna.
Penso che ormai con una come me sia arrivata all'esaurimento nervoso.
Gira a destra, nella mia via.
Poi spegne la sua auto.
«Sai che per te non direi mai di no, vero?»

«Si, Lulu.
Grazie di tutto.
Allora ci vediamo domani!»
Sbadiglio di nuovo, sentendomi stanca.
«Ci puoi contare!
Riposati, Abby.
Anche le migliori devono rilassarsi un po'.»

Dopo un saluto fugace, apro la porta e la richiudo con la chiave che appoggio sul bancone.
Entrata in casa, trovo un post-it di mia madre.
"Tesoro, stasera c'è una riunione a cui partecipo anche io, finirà tardi e mangeremo qualcosa tutti assieme al Wolf's Den.
Mi dispiace che non ci vediamo più come prima, ma non posso saltarli, o rischio di essere licenziata, e questo non posso permetterlo.
Ti voglio bene.
Margareth."

Ci rimango un po' male, ma so che questi sforzi li fa per darmi un futuro.
Mi prendo del tempo per fare i compiti, poi provo a dormire, girandomi e rigirandomi nel letto senza successo.
Mi sento bloccata, non riesco.

Scendo in cucina.
Un po' di compagnia mi farebbe bene.

Chiamo Lulu.
«Alla fine hai riposato?»
È la sua prima domanda appena risponde alla chiamata.
Si preoccupa troppo.
«Non riuscivo, mi dispiace.»
Sento una risatina di sconfitta.
«Quindici minuti e sono da te.
Non dirmi di no, hai bisogno della tua psicoterapeuta personale stasera.»
E riattacca senza darmi il tempo di dirgli una sola parola.

Arriva in tempo record e mi sento felice.
Ora non sono più sola.
Appena le apro va subito a controllare in frigo e in dispensa.
«Ordiniamo una pizza?
Qui non c'è nemmeno qualche ingrediente per fare qualcosa!»

Uno dei suoi difetti è il cibo.
Non si accontenta di roba al sacco.
Per lei i piatti devono essere sempre da ristoranti gourmet.

Digita sul telefono.
«Che gusto vuoi?
Impasto normale o integrale?
Vuoi aggiungere un ingrediente?
Oh!
Qui fanno anche il gelato!»

Sembra tornata bambina.
In effetti, mi sa che ci siamo scambiate i ruoli delle nostre prime impressioni.

«Una diavola, con impasto normale.
Non voglio altri ingredienti.
Se c'è il gelato, direi di prenderci una confezione da mezzo chilo al gusto di cocco.
Ti piace l'idea?»
I suoi occhi diventano delle lampadine al neon.
«Mi sembra una splendida idea, come sempre.
Io prendo una Afrodite!»

Sono spaesata dalla sua affermazione.
«Una Afrodite?»
Alza gli occhi dallo schermo.
I suoi sembrano quelli di una Civetta.
«Salame, Gorgonzola, funghi porcini e noci.
Impasto integrale, con aggiunta di prezzemolo.»

«Ordine fatto!
Dovrebbe arrivare tra venti minuti.»

Penso ai suoi gusti.
«I tuoi standard sono...»
Ci penso un attimo, non trovando però una risposta.
Lei viene in mio aiuto.
«... Raffinati, di classe e ai limiti della sfarzosità?
Si, è ovvio.
Mangiare per me è un'arte vera e propria.
Immagina le poesie di Giovanni Pascoli.
Era uno scrittore che faceva la bella vita, con tutto quel risotto che si mangiava al ragù di Cinghiale!»

La sua faccia invidiosa e imbronciata è talmente divertente, che rido così tanto da piegarmi a metà sul divano.

Rimane offesa.
«Scusa, ma con quell'espressione maligna, anzi, direi troppo buffa, è impossibile non essere contagiati dalle risate!»
Mi fa una linguaccia.
«Allora un lato positivo c'è.
Ti ho fatta sentire felice ora!»
Batte le mani.
«Ora, raccontami perché non sei riuscita a riposare oggi.»
Sta di fronte a me, pronta ad ascoltarmi.
«Blake... Tutto in lui mi dà fastidio, sai che ho proprio voglia di picchiarlo?»

«L'ho notato!
Il calcio di stamattina e il pugno allo stomaco sono stati molto azzeccati. secondo me se li è meritati!»
Che bello sentirsi comprese.

«E anche se ci provo, non me lo levo dalla testa!
E non per l'odio che provo nei suoi confronti.»

«E per che cosa?»
Iniziano a riversarsi delle farfalle nel mio stomaco, e sento le mie guance riscaldarsi.

«Non lo capisco nemmeno io, credimi.
Non so se è bipolare o fa apposta ad avere quegli sbalzi d'umore così insopportabili.
Oggi ha sussurrato, pensando che non lo avessi sentito, che darebbe qualsiasi cosa pur di avere la solitudine.
Che cosa lo sta tormentando così tanto da farlo entrare in questi estremi?»
Rimane un po' sorpresa.

«Secondo me, è perché sta sopportando tante cose, magari un passato orrendo, una responsabilità che mantiene molto bene, o un segreto oscuro...
Non so darti una risposta, alla fine non sono una psicologa!»

Ci mettiamo a ridere entrambe, parlando di cavolate varie e aneddoti divertenti.
Suona il campanello e il corriere della pizza è arrivato.
Indossa un cappellino con il nome della pizzeria :
"Pizza at sea."
Percorre la via illuminata che conduce fino al portone.
«Salve, ecco il vostro ordine!»
Ci porge i cartoni fumanti di un delizioso profumo e il gelato al cocco.
Gli diamo una mancia di quindici dollari.
Li infila nella tasca dei suoi pantaloni.

«Bon appétit, mes dames!»
Ci fa un inchino in stile francese, e se ne va, camminando fino alla moto che ha lasciato in fondo alla via.

Lei ride in modo stridulo.

Rientriamo in casa e una decina di minuti dopo abbiamo già finito le nostre prelibatezze.

Forse è la fame troppo forte che mi fa mangiare come una forsennata.

O la paura che Ludivine scopra che non mangio come dovrei.

«Devo ordinare più spesso, la pizza.
Almeno ho più possibilità di godermi il bello spettacolo di chi mi consegna il cibo a domicilio!»

Mi pulisco con il tovagliolo
«Tu sei molto arrapata.»
Ammetto con visibile sincerità.

Lei fa lo stesso.
«E tu sei troppo attratta.»
Eh?
«Da chi, scusa?»
Gesticola a caso.

«Oh ma dai!
Tutte le volte che stavi attenta a lezione, lui ti guardava.
Ogni volta che ti giravi, lui faceva finta di niente.
E poi, quando parlavi con lui, sembravi ammaliata da quello che diceva, come se ti stesse ipnotizzando!»

«Tu sei fuori di testa!
Io non avrei nemmeno come primo pensiero la mattina, il fatto di provare attrazione per un ragazzo così perverso, manesco e idiota come lui!»

Basta con queste domande scomode.

Decidiamo di guardarci due puntate di Pretty Little Liars e di scofanarci il dolce, che finiamo poco dopo.
Poi mi trascino a letto.
Dò un pigiama anche a lei, che ha deciso di rimanere con me a dormire.
Il gelato la assopisce molto e il fatto di aver bevuto sei bicchierini di Rum la fa barcollare, un po' brilla.
«Buonanotteee...»
E appena tocca il cuscino, inizia a russare.
Domani sarà come nuova, alla fine si riprende molto bene dalle leggere sbronze.

Anche se non ammette il dolore dei lividi che ha quando e dove non è riuscita a proteggersi in tempo, li riconosco i segnali che il suo viso non cela.

Mi metto il pigiama e torno in camera silenziosamente.
Vado incontro però ad un incubo.

Sono in un bosco, e cerco di scappare.
Mi nascondo dietro un albero abbastanza grande, e riprendo fiato.
Sento i suoi passi avvicinarsi, grazie al rumore delle foglie secche che si frantumano sotto i suoi piedi.

«Non scapperai da me, io non la smetterò di cercarti, fosse per tutta la mia vita!»
La sua voce è pesante, e dalla marcatura ben definita si può dedurre che sia un uomo oltre i quarant'anni.

Tremo, al solo pensiero che quell'essere riesca a stanarmi e a violentarmi, ma quando sembra tutto perso, un tonfo al piano di sotto mi salva dalla fine tragica che avrei potuto fare.

Mi stropiccio gli occhi, e mi siedo.
Guardo l'orario :
Tre e trentatre di mattina.
Sento delle parole.
È mia madre.
«Perché?
Perché vuole farlo a me?»
Alcune frasi non le riesco a sentire e poco e niente è quello che ricavo dalla chiamata che sta facendo.
«Sono io... Si... Ho bisogno che tu faccia qualcosa, è urgente... La fine.»

Probabilmente sto delirando anche io mezza rincoglionita dal sonno arretrato.
Mi sdraio di nuovo e rimango a guardare il soffitto.
Mi giro e vedo Ludivine che dorme beatamente.
Sono felice che lei non fa fatica ad addormentarsi e che riposa in modo regolare.
Incrocio le braccia dietro la testa.

«E pensare che tra qualche ora ho un incontro con lui, in biblioteca.
L'idea un po' mi agita.»

E poco dopo, tutto ciò che vedo è di nuovo il buio che mi riavvolge nel sonno irrequieto.

***

Spazio autrice

Ciao ragazzi, questo è il primo capitolo della mia storia... Abby è una ragazza determinata, ma quanto lo sarà alla fine?

Buona immersione nella lettura, mie piccole Eclissi..

⚜️🪷

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