❸ ꔴ 𝙄 𝙝𝙖𝙩𝙚 𝙮𝙤𝙪! ꔑ

~ Quando ti senti incompreso.
Quando ti senti in conflitto.
Quando credi che non ci sia una soluzione a nulla.
Quando nemmeno nella speranza, trovi la luce.
Dentro di te hai solo oscurità. ~

«Sappi, che non c'è peggior modo di negare l'evidenza con le bugie.»

{ Arial Black }

***

Non posso sopportare quel ragazzo dispotico... Che razza di problemi ha!?
Vorrei spaccargli la faccia e mandarlo direttamente al pronto soccorso, se necessario, ma non ci riuscirei neanche volendo.
Troppo alto.

Sembra un buttafuori delle discoteche.
Di quelli che ti sbattono metri più in là se vuoi entrare lo stesso, nonostante ti dicano di no più e più volte.
Non può che portare solo casini nella mia vita, quindi prima finisco questa scuola, meglio è per me.

Oggi è stata davvero un'impresa resistere a lui.
Tra le sue battute e le sue risposte perfette, mi ha fatto venire un nervoso che non immagina neanche un uomo che soffre d'ansia.

Mi stava mettendo alla prova, e la mia pazienza ha avuto la meglio.
Inutile dire che a lui di me non importa un'accidenti, eppure è una spina nel fianco.
La ringrazio tanto prof!

Sto andando in biblioteca, come da accordo stabilito ieri.

In verità è un obbligo, ma preferisco non menzionarlo per non rovinare la mia dignità.
Cammino a passo svelto sulle mattonelle di granito.
Appena apro la porta, sento il profumo dei libri, che sono tutto il mio mondo.
Solo con quelli riuscivo a scappare dalla mia vita, e a concedermi felicità e tranquillità...

«Ehi Chris!»
Il ragazzo dai capelli biondo cenere si gira e mi saluta.

I suoi occhi vispi e azzurri spuntano subito.
È alto piu o meno uno e settanta, ed ha un fisico slanciato, degno di un ragazzo così carino.
«Abby, che bello rivederti!
Hai bisogno di qualcosa?»

Chris è il mio amico d'infanzia.
La prima volta che ci siamo visti, mi ha difesa all'asilo, quando un gruppetto di bambini mi stava importunando e tirando il fango addosso.
Da lì abbiamo sempre fatto squadra, siamo stati come fratello e sorella.

Vi starete chiedendo perché non sapete nulla di lui quando ho detto che nessuno mi ha aiutato.
Beh, per me è stato difficile volerlo fuori dalla mia vita.
Non accettavo il fatto che sopportasse un peso estremamente grosso, e ho deciso di ferirlo per tagliarlo via dalla questione.

Abbiamo ripreso i rapporti più o meno un anno fa, ma è come se non ci fossimo mai separati davvero.
Lui lavora in questo mondo di parole, e dato il suo ictus avuto da bambino, che gli ha lasciato come fortuna nella sfortuna solo la gamba zoppa, la sua dedizione alla lettura e alla scrittura, crede fermamente che è il suo lavoro perfetto.

«Si, cerco una persona.
È il nuovo studente.»
Mi guarda confuso.
«C'è un nuovo studente?»
Sembra non averlo ancora visto... Vabbè.
Descriverglielo non sarà un crimine, vero?
«Ha i capelli tutti spettinati e neri come il carbone, alto quasi due metri, e molto muscoloso, con dei tatuaggi.»
Gesticolo per fargli degli esempi.
«Chris, sembra uno di quei ragazzi che fanno i modelli...»

Un brivido passa, quando sento un fruscio dietro di me e una voce che mi bisbiglia nell'orecchio.
«Ah sì?
Sarei come un bambolotto tutto perfetto per te?
Da quello che mi hai detto ieri non sembrava per niente così.»

Che sia di terrore o di eccitazione, è irrilevante.
Mi giro e il suo sguardo cattura il mio.
«Avvicinati ancora così e giuro che ti faccio diventare donna.»
Si mette a ridere, ma la sua risata è tutt'altro che positiva.
È amara, acida, piena di risentimento...

«Se mi definisci in questo modo, non penso tu resista molto dal chiedermi di "studiare" a casa mia, non è così?»
Enfatizza la parola studiare, per fare capire che in verità non è quello il concetto a cui vuole arrivare.
E io ho capito benissimo che intende fare.
Mi fa venire la nausea.
Ma questo ragazzo è senza pudore?
Un po' di decenza gli è rimasta?
«Sei rivoltante, Blake
Gli ricambio il modo in cui mi ha chiamata ieri.
Sembra una cosa da bambini, ma ormai, se devo per forza lavorarci assieme, tenergli testa è l'unica soluzione.

Chris inizia a notare il mio nervosismo.
«Ragazzi se volete studiare per fare una ricerca di gruppo il lato ovest è il migliore, ci sono volumi ricchi di illustrazioni e tablet per le ricerche più svelte.
Buon lavoro!»
Blake si gira e lo squadra dall'alto in basso.
Lo supera di venti centimetri, forse qualcosa in più.
Mimo un grazie a lui e mi fa l'occhiolino.

Blake lo guarda male come se lo volesse picchiare senza pensarci due volte, ma sbuffa in modo ridicolo.
«Grazie mille, topo di biblioteca.»
E gli dà una pacca sulla spalla, forse un po' troppo forte.
Infatti per poco non perde l'equilibrio.
Questo idiota non sa regolare le modalità di dialogo come con quelle della forza fisica.

Mi supera svelto e brusco.
Si siede di fronte a me, e appoggiando svogliato i suoi gomiti sul tavolo in legno di Acacia.

Questa biblioteca sembra un enorme cottage rustico, come quelli in montagna, ricoperti di neve in inverno e con il camino acceso.

Sembra di ritornare nelle vecchie case dove non c'era nulla di tutta questa tecnologia e comodità, eppure si viveva felici.
Quando non si aveva niente si viveva davvero.
È invece quando si ha tutto che ci sentiamo sempre insoddisfatti.

«Allora, vuoi iniziare o no?»

Si irrita subito e cerca di non fissarmi.
«Sei la più brava della scuola, dovresti smetterla di perderti nei tuoi pensieri con quello sguardo perso e malinconico»
Ora mi osserva.
Non lo fa malignamente, e questo mi fa pensare che abbia solo voglia di farmi passare tutti i gironi dell'Inferno.

Questa ragazzina sembra all'apparenza facile da manipolare, ma i suoi movimenti dicono tutt'altro.
Le è successo qualcosa, e ne ho la prova da ieri.

Il pianto era silenzioso, come la sua sofferenza.
Non la comprendo e mi sta davvero mettendo a dura prova, sia nella sfida che nella resistenza.
Ha quasi toccato l'auto che i miei amici mi hanno regalato.
Quella Mustang è l'unico ricordo che mi hanno chiesto di conservare fino a che non si fermerà da sola al limite dei suoi gloriosi anni di splendore, fino al suo declino.
Una settimana dopo eravamo andati ad una festa e avevamo bevuto tutti.
Forse decisamente troppo.

Tutto è successo in un secondo.
Lo schianto dannatamente cruento e l'impatto della collisione contro la macchina di quel vandalo che andava contromano.
Il mio stordimento.
Vedevo sfocato e sentivo tutto ovattato, ero pieno di graffi, lividi e avevo il sopracciglio tagliato, di cui mi è rimasta la cicatrice.
La Mercedes AMG turbo di Dan, che però stava guidando Axel, è rimasta distrutta.
Ma non distrutta, con il cofano un po' scentrato e le sfasciature ai lati e le ammaccature.

No.
Era diventata una lattina schiacciata e rotta.
Le portiere erano tutte tagliate ed erano diventate delle lame.
I miei amici sono morti sul colpo.
Dan era rimasto trafitto al petto da un pezzo di metallo che si era staccato dalla lamiera e io lo avevo, stranamente, evitato per un pelo.
Axel invece si era schiantato contro il cruscotto pesante ed estremamente duro con il cranio.
L'impatto era stato così forte, che la sua testa era completamente spaccata.
Quando ho ripreso lucidità e me ne sono accorto, ho pianto.
Non riuscivo a smettere, ero in preda alla disperazione e volevo che tutto questo fosse soltanto un incubo.
Ma non lo era.
E io ero l'unico sopravvissuto.

«Pronto!
Blake ci sei?!
Devo farti vedere la copertina di una rivista di Playboy per farti tornare nel mondo reale?»
Faccio il finto pensatore.
«Mhhh, sai secondo me funziona, ma è meglio dal vivo mentre una ragazza si spoglia fino a rimanere nuda davanti a me.»
Allungo le gambe sopra al tavolo e incrocio le braccia dietro la testa.
Appiccico sul viso il mio sorriso preferito :
Quello innocente e perverso.
«Così la visuale è perfetta, credimi piccola.»
Si incazza avvicinandosi al mio viso, mettendo le mani sul banco.

«Piccola un corno, non usare nomignoli con me.
Non sono una delle tantissime ragazze che aprono le gambe con un tuo schiocco di dita.
Tira giù i tuoi piedi, cafone.
Vedi di finirla, hai rotto veramente troppo le palle!»

Quanto mi piace vederla irritata.
È una bella peperina... Lo ammetto.
La differenza tra tutte quelle che vengono a letto con me, e lei, è che ha il carattere adatto a qualsiasi tipo di contesto e situazione.
Si ricompone diventando rossa in viso, e ritorna calma e impassibile come prima.
«Allora iniziamo, non perdiamo altro tempo.»

Mi alzo e prendo un libro dalla sezione "la storia della poetica e le sue mutazioni."

Poi mi risiedo e vedo un altro tablet, che uso per scrivere due pagine e mezzo sul quaderno di bozze e idee per lo sviluppo.

Lei cerca i suoi brani e la sua corrente di pensiero, e poi unendo le ricerche, scriviamo la nostra opinione, confrontandoci prima, e stranamente, sembra che siano molto simili tra loro.

Finiamo il lavoro in poco tempo, e mi stupisco di come due persone del genere, così opposte, ci siano riuscite.
Chiude il tablet dopo aver trasferito il compito sul suo telefono.
«Dammi il tuo numero.»
Non mi guarda nemmeno, ha gli occhi incollati allo schermo del suo cellulare.

«Vuoi farmi visita di notte per caso?»
Sbatte il telefono sul tavolo.
Il suo viso non nasconde irritazione ed esasperazione.
«No, scemo che non sei altro!
Devo mandarti il lavoro, lo dobbiamo avere entrambi.»
Glielo scrivo su un pezzo di carta, che arrotolo, poi glielo ficco in mano.
Lo mette in tasca.

Almeno adesso un numero ce l'ho.
«Sai, non mi aspettavo che un ragazzo come te, fosse così interessato e bravo in queste cose.
Sei molto più grande di tutti, e la domanda che si sono posti è proprio perché tu ti possa trovare ancora all'ultimo anno...»
Dice tutto senza guardarmi, ma ogni tanto butta l'occhio sul mio viso per vedere come reagisco a ogni sua parola.
Mento spudoratamente.

«Ho perso tanti anni perché non studiavo, semplicemente non volevo un futuro.
Ci ho rimesso la faccia perché sono stato obbligato a tornare per ottenere il diploma.
E credimi, è solo fortuna, il fatto che sia "bravo" come dici tu.»

Lei è un piccolo genio, e non ci metterà molto a capire che questo è solo una bugia bella grossa.
Anche se qualcosa di vero, alla fine, c'è ogni volta.

L'ho visto molto pensieroso.
Il suo viso sembra decisamente molto bello quando è così rilassato, adornato da lineamenti così marcati, ma allo stesso tempo perfetti su di lui.
Mi sembrava l'espressione di un ragazzo che si sente inerme, ma penso sia stata solo la mia immaginazione a trarre questa ridicola conclusione.
Gli riferisco un messaggio che ha detto a me la prof Mulligan.
«La prof di Letteratura vuole che diventiamo vicini di banco.
Per tutte le ore, fino al diploma.»

Vado subito al sodo, detesto tergiversare.
Spalanca gli occhi e scoppia in una risata piacevole.
Mi fa sorridere, seppur controvoglia.

«Spero sia uno scherzo.
Con te non ci sto manco morto.»

«Oh, l'ho pregata di non darci questo fardello, ma lei non tollera obiezioni.
Lo fai e basta.»
Chiudo la borsa e mi alzo.
Guardo l'orario.
Sono le diciotto.
Mi viene un quesito da porgli, e potrebbe farlo arrabbiare, ma devo per forza, non posso tornare a casa a piedi...

«Senti... Avrei una domanda da farti...»
Si è seduto come prima, ma ha gli occhi chiusi.
Ne apre uno.
«Sarebbe?»
Sospiro, ripetendomi mentalmente che ce la posso fare.
«Ho... Bisogno di un passaggio...»
Rimango a fissare la mia maglia come se fosse la cosa più bella del mondo, attendendo con agitazione la sua risposta.

«No.»

La sua risposta è secca, come lui d'altronde.
«Ti prego... Io non posso tornare da sola.»
Rimane perplesso.
«E perché non potresti?
Hai paura del buio?»
Inizio a diventare molto preoccupata, per la paura di non riuscire a convincerlo.
«Non è quello... È un'altra cosa...»
Dio, perché non posso avere un attimo di riposo da tutto questo schifo di mondo?
«Non se ne parla, ragazzina.»

No no no.... Non ora!
Se lui va via non posso tornare a casa!

Se ne sta andando a passo svelto, ma gli corro dietro, e, non essendo pronto allo scontro, cade con me rovinosamente a terra.
Mi trovo sopra di lui, a pochi centimetri dal suo viso.
«Sei molto goffa, a quanto vedo.»
Istintivamente mi tiene salda per la vita, e trasalisco per il suo tocco inaspettato e molto agile.
Le sue dita sono affusolate e allo stesso tempo forti.
Capovolge la situazione, mettendosi sopra di me.

Ho un sussulto.
«Perché dovrei darti un passaggio a casa?
Dimmi solo il motivo...»
La sua voce sembra sincera.
Abbasso gli occhi, presa dalla vergogna e dalla paura della reazione che potrebbe avere.

Non voglio dirgli il perché.
«Anche se te lo dicessi, non vorresti comunque... Ho già capito che ti dò solo fastidio.
Rifilami ogni cosa più brutta che ti viene in mente, avanti!»

Rimane in silenzio, come per assimilare tutto quello che gli ho detto, quasi sbottando.
«No.»

«Ah, immaginavo che avresti rifiut-»

«No, non quello.
Non ti farei mai niente, queste cazzate sono tutte diffamazioni, e io non mi abbasso a questi livelli.»

Almeno la franchezza ce l'ha.
Sono stufa di questo blocco che non mi permette di parlare senza andare in uno stato di ansia.
«Ti porterò a scuola e a casa tutti i giorni, anche quando faremo altri progetti insieme.»

Sto per rispondergli, ma mi zittisce subito.
«Non ho ancora finito.
Lo farò, ma ad una condizione.»
Deglutisco.
«E quale sarebbe?»

«Non azzardarti a toccare la mia auto né dentro, né fuori.
Dovrai appoggiarti piano al sedile.
Ci siamo intesi?»
In tutto questo mi ha talmente stregato la sua voce, che non mi sono accorta del suo corpo talmente vicino al mio, da farmi venire pulsazioni e scosse in tutto il mio sistema nervoso.
«Sembri persa, Abigail.
Se non rispetterai questo patto, ti farò qualsiasi cosa mi venga in mente in quel preciso momento.»
La mia voce vacilla.
Mi sta facendo un po' paura...
«Lo prometto... Non la toccherò mai.
Croce sul cuore.»

Si stacca da me, mettendosi in piedi, per poi prendermi in braccio.
«Ehi!
ma che cosa fai!?
Non sono una bambola di porcellana io!»
Mi tiene senza sforzo nonostante io continui a cercare di scendere, invano, come una bimba di cinque anni.
«Si vede lontano un chilometro che non ti saresti aspettata una mia reazione così esplicita, e che non ti senti molto bene da ieri.
Non saresti riuscita a camminare nemmeno con il mio aiuto.»

Dalla rigidità di prima mi rilasso e appoggio la testa al suo petto senza volerlo.
Effettivamente non sono tanto in forma... Sento il suo battito cardiaco irregolare, per diversi secondi non batte, per riprendere con pochi battiti e poi ritornare silenzioso e immobile.
Forse è solo una mia impressione.
Per quanto odio doverlo ammettere, apprezzo comunque il suo gesto.

Non parla fino a quando non ha raggiunto la sua auto.
Mi sento attratta da questa macchina e mi è difficile non perdermi nella sua bellissima silhouette, delicata e aggraziata, ma allo stesso tempo così aggressiva...
«Sali, ti porto a casa.»

Apro la portiera e mi siedo con molta cautela sul sedile in pelle nera opaca, e mi allaccio la cintura.
Lui fa lo stesso, ma ci sale con più grinta.
Accende il motore, ma aspetta a partire, perché sta sistemando il display al centro.
Mi sento come di aver appena vinto alla lotteria.

Mi vibra il cellulare.
È mia madre.
Rispondo e metto il vivavoce.
«Ciao mamma, tutto bene?»
Dall'altro lato della linea risponde una voce maschile, pesante e rude.
«Oh, tesoro, tua madre in questo momento non può parlare.»
Risate di diversi uomini riecheggiano nella macchina a causa del volume amplificato.

Io e Blake ci guardiamo allibiti.
Una scarica di adrenalina mi colpisce.
«Chi diavolo sei!?»

«Calma, bambina.
Tu hai qualcosa che ci appartiene, e noi lo rivogliamo indietro.
Se ce lo vieni a dare di tua spontanea volontà, la lasceremo vivere, ma se opporrai resistenza, tu verrai catturata dai cacciatori di taglie, mentre a lei verrà tolta la vita senza alcuna pietà in questo momento.»

Una crisi isterica non fa altro che peggiorare il tutto.
«Io non ho nulla che vi appartiene, assassini bastardi!
Non so a che gioco state giocando, ma sappiate che non torcerete un capello a mia madre!»

Sento il rumore dello scotch strappato.

«Abby, non ascoltarli!
Loro non sono solo assassini, sono mafiosi!»
Inizio a piangere.
«No mamma!
Ma perché proprio a noi?
Non potevate andare a corrompere qualche politico!?»

«Abby no, non dargli ciò che in verità appartiene a te!
Loro poi ti uccideranno e-»

Sento che ha la forza di parlare ancora, ma le viene negata la possibilità.
«Ora che lo scherzo non c'è più, vieni a casa da sola e non azzardarti a farlo con qualche tuo amico o sbirro del cazzo!
Hai mezz'ora di tempo.
Un secondo di più e a tua madre salterà il cervello, vero ragazzi?»
Un coro di assensi e risate malefiche mi fa stare male.

La telefonata si conclude, e il quesito urgente si insinua nella mia testa.

Che cosa sta succedendo, Abigail?

Chiamo Lulu, ma non risponde.

Deve sapere che cosa ho appena sentito!
Oggi non si è nemmeno presentata, e sono dovuta andare in autobus.
Anche a scuola non ha risposto al buongiorno che gli ho mandato.
Gli mando altri messaggi... Ma lei non li riceve.
Cazzo.
Vorrei solo sapere come sta.
Chiudo gli occhi e spero sia solo una connessione internet assente.

Urlo in preda alla follia.
«Ma porca troia, una vita normale manco a pagare!?»

Mi copro il viso con le mani.

Inizia a partire con un rombo elettrizzante.

«Non c'è tempo da perdere!
Dimmi la tua via, Abigail!»
In lui sento impulso di rabbia e... Paura?
«Wenthwort Wall 218, Manhattan.»
Lo dico con voce tremolante.

I semafori che passa erano praticamente tutti rossi, senza contare quanta adrenalina si è creata in me solo grazie a questo motore, e poi un blocco per colpa di un incidente con una moto mi fa guardare costantemente l'orologio per vedere quanto resta ancora.
Blake abbassa il finestrino e si rivolge al poliziotto.
«Mi scusi agente, noi dobbiamo passare, è una cosa di vitale importanza.»

Sa che non riesco a parlare, ma in realtà a non fare proprio niente, con questa agitazione addosso.
«Mi dispiace, ma dovrete aspettare.»

Tira per la manica la divisa del ragazzo che lavora come giustiziere.
«Forse lei non ha capito che è una questione più che urgente, non di cazzate.»
Ma guarda Blake con sdegno e circospezione.
«Non mi importa, se le regole sono regole allora vanno rispettate.
Di certo voi non siete l'eccezione.»
Se ne va così, senza darci ulteriori spiegazioni.
Affondo nel sedile e inizio a spaventarmi.
Quanto ci resta?

Arriviamo a casa mia, dopo un bel po'.
Scendiamo di corsa e andiamo davanti alla porta.
La speranza è l'ultima a morire, giusto?
Appoggio l'orecchio alla porta, ma non c'è rumore.

Vengo direttamente spostata con irruenza, e Blake le da' un calcio.
Quella, che pesava quasi 100 kg, cade come un domino.
E ciò che mi si para davanti agli occhi mi fa morire all'istante.

È distrutta da cima a fondo.
Non c'è nessuno all'interno.

Vedo una foto di me e mamma incorniciata, di qualche anno fa.
Avevamo delle facce buffe ed eravamo andate a visitare il museo di storia naturale di Brooklyn.
È stata strappata, come il resto delle altre, senza lasciarne nemmeno una per sbaglio ancora intera, mentre il vetro frantumato risuona sotto le suole delle nostre scarpe.
Mia madre mi ha lasciato un biglietto sul tavolo di casa.
Mi affretto a raggiungerlo, e Blake mi segue a ruota.
Il suo fiato freddo sul collo mi mette i brividi.

Anche se tremo, lo apro lentamente, e leggo ad alta voce.

Abby, se hai in mano questa lettera, vuol dire che tu sei sana e salva.
Purtroppo io non ci sono più.
Qualcuno voleva uccidermi già da diverso tempo, e io ti ho nascosto tutto, per evitare di farti preoccupare di una cosa che doveva succedere e basta.
A quanto pare sorridere è un buon modo per nascondere dentro quando si urla e si soffre dentro la propria anima.
Non piangere per me, io ti sto guardando da lassù, e voglio che sorridi.
Sta' attenta e non farti trovare da loro.
È una famiglia di mafiosi, forse una delle concorrenti di quella ai piani alti.
Qualunque cosa accada, stai vicina sempre al tuo nuovo compagno di classe.
Ho voluto chiedere io alla tua professoressa di farti stare con lui il più possibile.
Ti capisce più di quanto immagini.
Ti ho amata dal primo giorno che ti ho vista, e voglio che tu viva la tua vita senza rimorsi e rimpianti."

Trovo anche un pezzo di carta aggiunto, nascosto abbastanza bene.

"Blake, se ti trovi lì con lei, voglio che tu protegga Abigail, sempre.
Mi fiderei ad occhi chiusi di te.
Bambina mia... Questi mostri mi hanno obbligato a dirti ciò che volevo non sapessi mai.
Omnia nostra latent ubi vita nostra renatus est. Recede de hac domo, et noli esse cum aliquo nisi cum illo.
Questo non è un'addio, ma un arrivederci.
Con amore, la tua mamma.


Sotto ci trovo anche una strana firma, in corsivo.

Il foglio scivola dalle mani e mi cedono le ginocchia, che emettono un tonfo sul parquet.
Inizio a piangere singhiozzando rumorosamente.
Non riesco a ragionare come al solito, e questo significa solo una cosa :
Una crisi epilettica si sta insinuando dentro di me.


Mi fiondo da lei.
«Abby, guardami.
Ascolta la mia voce.»
Non vuole aprire gli occhi.
Sembra non essere qui non la mente
Parla senza senso.
«Rinasce... Luna... Eclissi...»
Lo ripete per sei volte.
Cazzo.
Ti prego, non dirmi che è una crisi epilettica.
La metto sdraiata nella posizione di sicurezza.
Ha delle leggere convulsioni, ma torna in sé.
«Tutto... È... Diventato... Polvere...»

Mi siedo velocemente sul divano ancora intatto, e la metto a cavalcioni su di me.

È il mio modo per poter aiutare le persone, seppur raramente usato.
La abbraccio, cercando di confortarla.

«Shhh, calma... Va tutto bene.
Tua madre non vorrebbe vederti soffrire così, lo ha scritto lei stessa.
Voglio aiutarti, ma ora devi cercare di eliminare questa rabbia.
Buttala via, falla sparire, perché non deve distruggerti.
Tutto questo casino non sarebbe dovuto succedere.»

Il suo respiro torna in poco tempo normale.

Averla qui mi fa stare bene.
Come se mi ha fatto persino dimenticare tutti quegli incubi e ricordi che vorrei cancellare, solo tenendola tra le mie braccia.
Sembra che stia dormendo, quando alza la sua piccola testa, mezza intontita.

«Perché non mi hai detto che soffri di epilessia!?
Sei diventata stupida per caso!?»
Mi risponde.
«Lo fai solo perché ti sei sentito in dovere.»
Fa male sentirselo dire, ma bisogna sopportare ogni cosa.
Se dovessi perdere anche lei, non riuscirei a perdonare nemmeno me stesso.
«Mi faceva pena vederti così.
Ognuno cerca di fare quel che può.»

Mi alzo dal divano, e la rimetto in piedi.
E poi, si china a raccogliere un oggetto.

«Era la collana di mia madre.
La teneva sempre, anche di notte.»
È una catenina delicata, con un ciondolo di una forma irregolare, simile a un fiore di Loto.
Sembra un piccolo contenitore di oro bianco, con dei disegni particolari, che le donano un tocco dei primi anni del novecento,
La stringe a sé e poi la mette in una tasca.

Qualche minuto dopo, seppur barcollando, si trascina su per le scale, camminando fino ad una porta.

Di mia spontanea volontà, dico una frase.
«Tutte le nostre cose sono nascoste dove rinasce la nostra vita.
Lascia questa casa e non stare con nessuno se non con Lui.»
Si gira, sorpresa.

«Come hai fatto a tradurre tutto?
Il latino è una delle lingue più difficili da tradurre!»

«Forse ho studiato questa lingua arcaica a scuola...»

Sembra alquanto sospettosa, ma è molto stanca.
«Se lo dici tu...»

Si ferma in camera sua, e apre una piccola cassaforte mimetizzata con il muro.

«Questo era il nostro nascondiglio degli oggetti, scoperto il primo giorno in questa casa.
Era la nostra piccola cassaforte, ma contiene oggetti di valore affettivo e non di denaro.
Con gli anni abbiamo messo piccoli strumenti con tanti significati per riuscire a trovare un po' di felicità.»

Apre i cassetti mezzi rotti e recupera i vestiti ancora intatti, con altri oggetti nascosti e alcuni libri che si sono salvati.

Prende tutte le sue medicine e i fogli con le ricette mediche per ordinarle.
Apre un flaconcino, e beve qualche goccia di quel liquido con un odore pungente.
«Le devo bere dopo aver avuto una crisi.
È la mia prassi.»

Prendo tutto io, tranne la sua borsa.

Fuori dalla sua casa, la sento pronunciare un'altra frase in latino.
«Carpe Diem.»

Abby, mi dispiace troppo.
Ma so che non accetteresti le mie scuse.

«Ho qualcosa che voglio mostrarti... Ti fidi di me?»
Lei mi guarda, riluttante, ma si fa accompagnare.

Entriamo in macchina, silenziosi.

Accende la radio e trasmettono una delle mie canzoni preferite:
Moth to a flame, di Swedish House Mafia e The Weeknd.
Inizia a cantarla, ma a voce molto bassa.
Che disastro abominevole.
Sarà giusto offrirle di vivere a casa mia?

"But does he know you call me when he sleeps?
Or does he know the pictures that you keep?
But does he know the reasons that you cry?

Or tell me, does he know where your heart lies?
Were It truly lies?"

Il ritornello mi ha fatto riflettere molto, dalla prima volta che l'ho ascoltata.

«Perché parli, invece di cantare?»
Esita, ma poi cede.
«Perché preferisco nascondermi nell'ombra di qualcun'altro, anziché mostrarmi.»
Al primo semaforo rosso, mi giro, guardando il suo viso neutro.

«Tu canta, sbattiti del giudizio degli altri, perché non deve nemmeno scalfirti.
Anche se non ti sopporto, non voglio vederti fare il mio stesso errore.»
Questa è tutta una messa in scena?
Si, penso proprio di sì.
Nessuno direbbe robe del genere di propria volontà, tantomeno un tipo come me... Scaccio via il pensiero all'istante.

Ora canta, come ha sempre desiderato fare, come se non ci fosse un domani, e sulle mie labbra spunta un piccolo sorriso di trionfo.

Vorrei scoprire come può sua madre aver scelto uno come me per proteggerla.
Come fa a conoscermi?
Come sapeva del mio arrivo?

Presto smette di cantare e non parliamo finché non arriviamo a casa mia.

Con tutto quello che siamo riusciti a recuperare di ancora intatto, la porto nel mio attico.
Non ve lo aspettavate, o sbaglio?
Il vantaggio di essere qualcuno di importante, anche se in modo negativo.
E se hai una vita di merda, piena di ogni genere di feccia, perché non viverla in un enorme e lussuosissimo appartamento?

«Benvenuta, Abigail.»
La vedo con uno stupore che la lascia senza fiato.
Penso che le finestre stile Skyline l'abbiano colpita molto.
La vista della città intera al ventesimo piano dà i suoi frutti.
Si appoggia al tavolo e prende delle pastiglie.
Nota che la sto tenendo d'occhio.

«Sono le mie medicine.
Fanno davvero vomitare.»
Le ingurgita, seppur schifata dal sapore.
Strizza gli occhi e caccia fuori la lingua.
«Bleah, che nausea!»
Mette via la scatolina e continua a guardare, e apre la bocca, quando le rifiniture di marmo nere sono al centro della sua attenzione.
Direi che se ne intende di tutti questi argomenti.

«Se non chiudi quella bocca potrebbe entrarci qualcosa.»
Si riconnette alla realtà.
«Le mosche?»
Inizio a salire le scale bianche divise.
Tipo quelle di un castello.
Ho fatto costruire tutta questa casa sulla mia idea e come piaceva a me.

«No.
La mia lingua in gola.»

Oddio, ma che cosa ho appena detto!?

Mentre saliamo le scale, mi tira un ceffone sul collo.

"Smettila!"
In realtà non mi ha fatto per niente male.

Non ha la forza di rispondermi.
Beh, direi che me lo merito, per la volgarità che ho usato con lei qui con me.

La porto in camera mia.
Nera anch'essa, ha intagli dorati e bianchi.
Alcuni disegni rappresentano tutte le culture antiche... A me piacciono molto, è vero.
Ma mi vergogno ad ammetterlo.
«sistemati in bagno.»
Le dico.
Nega subito.
«Perché dovrei andare in bagno?»

«Non lo hai capito?
Ora vivrai da me.
Ma ci saranno delle regole da rispettare.»

«E quali sono?»

«Non disubbidirmi, non fare nulla di stupido, e cosa piu importante, non ficcare il naso in posti proibiti.»

«Io qui con te non ci vivo.
Ti pare che uno mi deve dire pure la lista di quello che devo fare?»

Che razza di esistenza vuole allora?
Quella per strada come me anni fa?

«Ti ho anche aiutata, e tu mi ripaghi così?»

«Se mi avessi dato scel-»
Ma non finisce nemmeno di parlare, perché gli urlo addosso.

«Allora vai fuori dal cazzo!»
La spingo con le mani sulla schiena, ma lei si gira, e ci ritroviamo a pochi centimetri dai nostri volti.
Di nuovo.
Le sue nocche sono istintivamente appoggiate al mio petto.
«No, ti prego... Scusami, sono stata stronza... Ma non voglio rimanere sola.
Non di nuovo.»

Di nuovo?
Che cosa intende?

Le sue guance ora sono rosate, e i suoi grandi occhi mi fanno tenerezza.

Cancello questo fatto accaduto dalla mia testa, come se non fosse mai successo.

«Andiamo, devi mangiare.»
Scendo le scale, ma la sua voce mi ferma.
«Non ho fame.»

«Non dire puttanate, non mangi da stamattina.»

Mi ignora, andando verso la valigia per prendere il necessario.

Si va a lavare e si mette il suo pigiama Blu Oceano.
Appena uscita dal bagno sembra stare meglio.
È davvero carina così.

L'unica cosa che mi preoccupa sono i miei uomini.
Adam e Seth si trovano nelle stanze degli ospiti, e lei non lo sa.
Non voglio che guardino una persona che non dovrebbe nemmeno interessargli.

Eppure, sotto questa simpatia - odio, sono geloso.
Forse è perché quello che ho qui io è solo mio, e non lo condivido con nessun altro.

Sbadiglio e vado a cambiarmi nella toilette adiacente alla cucina.
Porto il mio telefono e mando a Molotov il fascicolo che deve stampare.

Molotov : Grazie, boss.
Mi hai tirato fuori da questo casino.

Torno dopo pochi minuti.
Vedo subito la piccola Abby.
Non è sul letto.
Ma ancora sveglia, che fissa il soffitto che richiama le stelle.
«Devi dormire.»

Mi incenerisce con uno sguardo omicida e mi risponde a tono.
«Io su li non ci dormo, per di più vicino a te!
Chi credi di essere, tu?
Mia madre è morta, sono ancora traumatizzata da ciò che è successo, e tutto il mio mondo è andato in frantumi!
Lasciami autocommiserarmi per una fottuta volta.»

Sbuffo pesantemente.
«Sei proprio una testa di cazzo.»
«E tu un idiota senza pari.»
Ci fissiamo tutti e due arrabbiati.

«Ti odio!»
Lo diciamo all'unisono.

Ride amaramente.
«Questa è la nostra meravigliosa buonanotte.»
Applaude in modo drammatico.
«Non fare la cogliona e vieni sul letto, sei esausta.»
Incrocia le braccia.
«Forse non hai capito bene.
IO - LÌ - NON - CI - SALGO!
Non sto vicino ad uno che fa e dice solo cose perverse.
ti è chiaro o devo scrivertelo alla lavagna come alle elementari?»

Cerco di trattenermi.
«Puoi stare tranquilla... Non ti scopo.
Anzi, saresti l'ultima della lista, se vuoi la verità.»
E invece sarebbe la prima che sceglierei.
Una volta sono arrabbiato, l'altra sono perverso e stronzo, e quella dopo ancora sembra che mi interessa davvero.

Si, le farei ogni cosa che chiede perché la tratterei come è giusto che meriti, a differenza di tutte le sue compagne, che la danno via ai giocatori di football.
Non ci vuole una vita per capirlo, da come si comportavano tutte, tranne lei e la sua amica Ludivine.

Ma so che il mio modo di vivere e il mio carattere del cazzo la porterebbe solo alla rovina.
Mi guarda con disgusto e delusione.
D'altronde la capisco.
Un tempo mi sarei fatto la stessa scena allo specchio.

Le impongo delle cose, e lei riesce ad evitarle, a schivarle tranquillamente... Non riesco a capire come possa farmi cambiare umore così tanto.
Scuoto la testa e le rivolgo uno sguardo di compatimento, con tanto di risata.
«Fai come ti pare, puoi dormire anche per terra, se fosse solo per me.»
Sento le sue parolacce sussurrate, come se fossero dette quasi urlando.
Mi rimbombano nella testa e mi creano confusione.

«E va bene, santo Dio!»
Si mette sul letto, a debita distanza dal mio corpo.
«Mi chiedo perché tutto questo è successo a me...»
La schernisco.
«Solo a te?
non l'ho voluta io, la responsabilità di stare vicino alla sua amata figlia.
Se avevo una via d'uscita, credimi, ti avrei abbandonata in qualunque posto possibile.
Ma questa fottuta vita non fa altro che tapparsi le orecchie con me e non mi ascolta.»

Adesso che vivremo insieme, le farò vedere che razza di persona sono, e di quanto sua madre si è sbagliata sul mio conto.

Mi sveglio nel cuore della notte.
Lei continua a dimenarsi.
Pronuncia parole in una lingua sconosciuta e sembra sofferente.
La ammonisco.
«Smettila, maledizione!
Voglio dormire cazzo!
Tra poche ore abbiamo scuola e non voglio arrivare sembrando uno zombie.»
Come se già io non fossi un morto non morto, da qualche parte dentro di me.
Si sveglia di soprassalto.
Il suo respiro è pesante e sussulta.

«Mi stavi sognando?»
Faccio un sorriso soddisfatto.
«Muori male.
Un sogno come il tuo mi farebbe solo ricordare le atrocità di tutto quanto.»
La colpa mi fa sentire nel torto.
«Che cosa hai sognato?»

«Ricordi della mia infanzia che tornano a galla.»
E non dice nient'altro.

Rimaniamo svegli entrambi e siamo muti come delle tombe.
Rompe il silenzio con una domanda.
«Perché tutto questo così all'improvviso?»
Ci penso un po' più a lungo del dovuto.
«Non lo so.»

Le nostre menti sono ancora ignote, per quanto la gente pensa di saperne.
I nostri lati negativi affiorano, quando in realtà non vorremmo fosse così.
«Mi dispiace davvero tanto, ma devi essere forte, e per quanto tu mi stia sul cazzo, non voglio vederti così apatica e sull'orlo di piangere di nuovo.»

Si gira a guardarmi.
I suoi dolci occhi sono carichi di rimorso e velati dalla paura.
«Non avrei mai voluto farti portare tutto questo peso.
Non ci saremmo mai dovuti incontrare.
Ma è tutto a causa mia, e questo mi fa sentire male.»

Guardo il soffitto.
«Se non ci fossimo mai incontrati, tu saresti morta con lei.
Le cose succedono e basta, è per questo che vengono da sé.
Anche se dovessi provare a cambiarle, non ci riusciresti comunque.
Nessuno ci riuscirebbe.»

Suona la sveglia.
I see you di Leona Lewis si diffonde come una dolce melodia dal suo telefono.
Oggi è venerdì, e non so se riuscirò ad affrontare anche solo una giornata...
Senza contare che ci sarà il weekend.
Dopo tutto questo, in me si è creata la reazione al minimo turbamento, con una bomba atomica pronta ad esplodere, come a Hiroshima e Nagasaki sul finale.

Ci prepariamo per andare a scuola, in silenzio assoluto, senza rivolgerci la parola o un semplice sguardo.

Arrivati alla Nocturne, le lezioni mi fanno solo pensare a cose inutili.
Stra sentite e risentite.
Che palle oh.

«Se continui a limarti la tua coscienza rimani senza parole.»

«Vuoi farmi un favore?
Non rompermi i cosiddetti.»

Non risponde.
Guarda fisso davanti a sé, il che fa pensare che non segue la lezione nemmeno lei.

Suona la campanella e mi alzo subito dal banco, uscendo in corridoio.
«Ciao, splendore.»
Appena sento la sua voce, mi accorgo che è quella bionda del primo giorno.
«Jordan, giusto?»
Mentre mi dirigo al mio armadietto, lei mi segue con audacia.
«In carne ed ossa.
Sai, non voglio essere sfacciata, ma volevo chiederti se ti andrebbe di fare qualcosa.
Mi attiri molto.»
Mi giro e la osservo.

Sfoggia il sorriso più sensuale.
Le rivolgo un sorriso sdegnoso a mia volta.
«Scusa, ma delle ignoranti come te non me ne frega nulla.
Fammi indovinare.
Vuoi fare sesso?»
Si avvicina a me, e con la sua unghia, fresca di manicure, traccia una linea che contorna il mio petto.
«Esattamente.
Penso tu sia estremamente bravo in questo.
Domani può andare bene?
Magari a casa tua, tarda notte?»

Qua sotto sta tramando qualcosa, ne sono certo.
«Perché dovrei darti retta?»
Ride come un'oca giuliva.
«Oddio, quella poveretta di Abigail non sa nemmeno cosa hai tu qui sotto.»
Me lo tocca senza farsi notare.
L'impulso di toccargli il seno mi fa scappare un gemito.
«Credimi, sarebbe inutile fare cose del genere con lei.»

Questa sua risposta mi irrita molto.
Alla fine cedo.

«Va bene, ma sia chiaro.
Io non faccio sesso.
Io fotto fino all'ultimo respiro.»
Ride di gusto.
«Pienamente d'accordo.
Allora ci vediamo.»
Torna direttamente in classe, come se non fosse successo niente.
Ho l'impressione che questa settimana sarà molto... Movimentata.

Torno in classe anche io, e vedo la mia compagna di banco china sui libri.
Cazzo, è devota allo studio manco fosse Arthur Schopenhauer...
«Sei noiosa quanto una ghianda, te l'hanno mai detto?»
Chiude il libro molto forte.
Il suo sguardo si incatena con il mio.
«Ho sentito robe ben peggiori, di questo tuo fallimentare modo di offendermi.»

Le ore passano e vorrei soltanto tornare il più velocemente a casa.
Le idee sono confuse e ho bisogno di fare mente locale.
«Credo fermamente che tu ti faccia qualcosa.»
La guardo stranito.
«So per certo che mi faccio spesso qualcuna.
Ti interessa?»
Non mi risponde nemmeno, fa solo il classico gesto di sbocco con le dita.
Gli prendo la mano.
«Non farlo più.»

«Altrimenti?»

«Altrimenti mi faresti venire voglia di avere le mie dita sulle tue labbra.
E non intendo quelle lì.»
Gli indico la sua bocca.
«Anzi, le affonderei anche fino al limite.»

Reprime un finto conato di vomito.
«Fatti fare un bel lavoretto da qualsiasi tipa, dato che non parli altro di queste porcherie oggi.»

«Mhh... Sai ho già trovato una persona...»
«Allora buon per te, puttaniere »

Il suo istinto del cazzo di rispondermi così mi fa alterare.
Suona la campanella e torniamo a casa.
«Io mi sto facendo un toast, lo vuoi?»
Non ci penso minimamente.
«Non ho fame.»
Bugia del giorno.
Vado in camera, e l'ultima cosa che sento è la sua voce piena di tristezza.
«Io cerco di fare il possibile per non essere un peso, magari convivere decentemente.
Ma ad ogni passo che fa in avanti, ne fa altri dieci indietro, e io mi sento così tanto dispiaciuta per lui.
Deve aver passato una vita travagliata.»

Cara Abigail, io non ho nemmeno vissuto davvero.

Quando lei torna di sopra, io invece vado di sotto.
Devo mangiare, ho troppa fame.

***

Spazio autrice
Ragazzi scusate per il tempo che avete dovuto aspettare, ma ho avuto dei piccoli problemi e non potevo scrivere tutto in una volta sola.
Ne ho messo uno molto più lungo di capitolo.....spero vi lasci con il fiato sospeso.
Goodnight my Little Eclipse...
🌑⚜️🪷

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top