Capitolo 12
Appoggio distrattamente la mia borsa, la scatola e il giubbotto per terra all'ingresso. Sono appena rientrata a casa dalla mia prima giornata di lavoro e nonostante le mie continue incertezze posso ritenermi soddisfatta. Il letto è ancora disfatto così decido di mettermi il pigiama e coricarmi immediatamente. Una volta sdraiata guardo il soffitto ripensando a tutto quello che è successo oggi, le emozioni che ancora albergano la mia anima, le soddisfazioni e le scoperte, mi lascio andare a un sorriso stanco per poi abbandonarmi al calore delle coperte addormentandomi. Mi sveglio prima del suono della sveglia e, a giudicare dalle lancette della sveglia, capisco che è vero. Sono le 05:30 del mattino e iniziano a vedersi le prime luci dell'alba. Mi metto seduta sul letto e un calcetto mi fa abbassare la testa verso la mia pancia, ho un sorriso a trentadue denti mentre accarezzo il mio ventre.
- Buongiorno anche a te amore mio - dico in sussurro.
Tolgo le coperte dalle gambe e decido di iniziarmi a preparare con calma. Lego i capelli con una coda alta e, dopo essermi fatta una bella doccia bianca, indosso un maglioncino bianco, un pantalone elasticizzato e un paio di scarpe da ginnastica anch'esse bianche. Metto un po' di mascara sulle ciglia e mi sciolgo i capelli, inizio a pettinarli ma il segno della coda persiste, provo anche a spazzolarli a testa in giù ma non cambia niente così li rilego in maniera più ordinata. Lascio il bagno e con lentezza raggiungo la cucina per prepararmi la colazione, metto un po' di latte sul fuoco e recupero gli ultimi biscotti al cioccolato che sono rimasti. Una volta tutto pronto poggio un telo sul tavolo mettendo sopra sia la tazza con il latte sia i biscotti. Inizio a mangiare lentamente e non curante del tempo che passava, il mio sguardo è rivolto verso la finestra mentre osservo le prime luci del mattino sostituirsi alla notte appena passata. Un bussare alla porta mi riporta alla realtà, l'orologio sul muro segna le 6:17 e mi domando chi possa essere a quest'ora. Con calma mi alzo dalla sedia e un altro bussare mi fa correre verso la porta d'ingresso.
- Arrivo! - urlo sperando che chiunque sia dall'altra parte mi abbia sentito.
Finalmente raggiungo l'ingresso e apro velocemente la porta, il mio sorriso cordiale si trasforma in una smorfia quando riconosco le due persone davanti a me.
- Leonard! Brandon! - dico senza essere del tutto sorpresa.
Leonard si toglie il cappuccio della sua felpa mimetica e mi guarda come se avesse visto il suo idolo, la sua bocca è spalancata e fa un passo avanti titubante. Io continuo a rimanere sulla soglia di casa con la porta non del tutto aperta mentre studio i movimenti del ragazzo che mi si sta avvicinando lentamente. Con uno slancio mi abbraccia, la sua stretta è poderosa mentre nasconde il viso sulla mia spalla respirando profondamente. Non riesco a ricambiare il suo gesto e mi impongo di mantenere le braccia lungo il mio corpo.
- Madeleine - sussurra con un filo di voce il ragazzo che continua a stringermi.
Gli do una pacca sulla spalla capendo che si deve allontanare e così fa, mi guarda con un sorriso dolce sul volto mentre si asciuga gli angoli degli occhi. Non mostro alcun tipo di emozione a quel gesto, non riesco a provare nulla o forse sto provando talmente di quelle emozioni contrastanti che non riesco ad esprimerne manco una. Brandon si avvicina e mi abbraccia a sua volta, lui ci sta molto meno e quando anche lui si allontana vengo fissata da entrambi con insistenza.
- Pensavamo di non trovarti! - esclama Leonard in preda ad una strana euforia.
Il mio sguardo è impassibile, quasi non mi riconosco.
- Cosa siete venuti a fare qui? - domando semplicemente.
I due si guardano per un istante e stavolta è Brandon a prendere la parola.
- Abbiamo bisogno di parlare - dice tranquillamente.
Io faccio un sospiro spalancando la porta per poi mettermi di lato per lasciargli lo spazio per passare.
- Avanti, non ho molto tempo -
Loro annuiscono e varcano la soglia di casa mia, Leonard per poco inciampa sul casco del mio motorino ma fa finta di niente continuando a camminare. Chiudo la porta e li raggiungo in cucina dove loro si sono appena accomodati.
- Posso offrirvi qualcosa? - chiedo senza nemmeno guardarli.
- Per me un bicchiere d'acqua - dice Brandon.
- Per me una Coca-Cola! - esclama invece Leonard.
- Non ho Coca-Cola, ho solo Pepsi, va bene lo stesso? - affermo mentre controllo il frigo.
Sento Leonard sbuffare e cerco di mantenere la calma.
- Si va bene lo stesso -
Io prendo la bottiglia di Pepsi e l'acqua dal frigo per poi richiuderlo con il gomito. Appoggio tutto sul piano cottura e, dopo aver preso due bicchieri e aver versato le due bevande all'interno di essi, porto tutto a tavola. Loro bevono le loro bevande e mi siedo tra i due rivolgendomi verso Brandon.
- Allora di cosa dovete parlarmi? - chiedo al mio fratello maggiore.
Quest'ultimo prende un altro sorso d'acqua per poi appoggiare il bicchiere sul tavolo.
- Volevamo sapere come stai -
- No, se volevate sapere come stavo mi facevate una telefonata, che cosa volete da me? - domando nuovamente iniziando ad innervosirmi.
- Vogliamo che torni a casa - dice semplicemente Brandon guardandomi finalmente negli occhi.
Mi alzo con uno scatto dalla sedia iniziando a ridacchiare nervosamente.
- Voi non potete venire qui dopo sei mesi e chiedermi di ritornare! Non potete! - quasi urlo.
- Non ne avete più il diritto! Sto cercando di gestirmi la mia vita! - continuo.
- Certo! Si è visto quanto ti sai gestire la tua vita, ti sei fatta mettere incinta dal primo che passa! - controbatte Brandon alzandosi anche lui dalla sedia.
Quelle parole mi fanno gelare sul posto, posso sentire che qualcosa dentro di me si è rotto. Il mio fratellone, capendo probabilmente di aver esagerato, addolcisce lo sguardo e quando alzo una mano avvicinandosi mi allontano e con un colpo brusco scanso la sua mano.
- Non toccarmi! Non azzardarti ad avvicinarti! - sussurro.
Lui abbassa la mano e rimane lì dov'è, Leonard ancora seduto tiene lo sguardo puntato sul mio ventre gonfio.
- L'hai tenuto! - esclama il mio fratello minore mostrando un leggero sorriso.
- Cosa volevi che facessi? L'avrei dovuto uccidere? - rispondo un po' scocciata.
Lui si ammutolisce alzandosi in piedi.
- Ci sei mancata tanto sorellona - dice guardandomi negli occhi.
Io ricambio lo sguardo anche se, al contrario suo, il mio è senza emozioni. Un velo di lacrime mi appanna leggermente gli occhi ma non piangerò, non questa volta.
- Vogliamo che torni a casa con noi, la mamma si è pentita - racconta Brandon.
- Ah si certo come no! Ora si ricorda che è mia mamma? Dopo che mi ha ripudiato dicendomi che non sono più sua figlia? Dopo che, senza esitazioni, mi ha sbattuto in mezzo alla strada? - parlo a raffica mentre, contro il mio volere, le prime lacrime lasciano i miei occhi.
I due si zittiscono immediatamente senza sapere come ribattere capendo che ho solo detto cose vere.
- Se veramente fosse pentita ci sarebbe stata lei qui a chiedermi scusa e non voi a farle da portavoce solo per il semplice fatto che non vuole ammettere di aver sbagliato - continuo abbassando notevolmente il tono della voce.
Brandon si lascia andare a un sospiro.
- Hai ragione ma lo sai com'è fatta mamma -
- Questo non mi riguarda più - affermo.
- Per non parlare di voi due! - continuo indicandoli.
I miei fratelli si riportano immediatamente sull'attenti.
- Voi non avete pensato nemmeno di difendervi, avete preferito godervi lo spettacolino in silenzio -
- Se fossimo intervenuti ci avremmo rimesso pure noi e tu questo lo sai bene - interviene Leonard.
Mi volto verso di lui e, con uno sguardo disgustato, faccio un applauso.
- Ah ecco, bravo! Questo è quanto vuoi bene a tua sorella! - dico continuando ad applaudire.
Leonard, mortificato, abbassa lo sguardo sui suoi piedi irrigidendosi.
- Non prendertela con lui - parte in soccorso l'altro.
- Allora devo dire che avete fatto bene? E' questo che ti vuoi sentirti dire? - ribatto mentre mi asciugo velocemente gli occhi con una mano.
Brandon si ammutolisce all'istante e, quando guardo l'orologio noto che sono le 07:01.
- Devo andare a lavoro quindi vi pregherei di andarvene - dico dirigendomi verso la porta per poi aprirla.
I due, senza dire una parola e a testa china, escono e io subito dopo aver preso il casco chiudo a chiave la porta. Salgo sul mio motorino e parto, sento le loro voci chiamarmi ma il rumore del mio mezzo copre il tutto. Circa trenta minuti dopo arrivo davanti al cancello in ferro battuto di casa Jackson, senza nemmeno telefonare esso si apre e io mi appresto ad entrare parcheggiando nello stesso posto dell'altra volta. Non c'è il signor Whitfield ad accogliermi come ieri, probabilmente mi ha visto dalle telecamere di sorveglianza. Entro dalla porta e mi dirigo velocemente in cucina e con mia enorme sorpresa trovo il signor Jackson seduto sull'isolotto. Faccio un balzo per lo spavento lasciandomi uscire un suono indefinito. L'uomo si accorge di me e mi rivolge un sorriso cordiale.
- Buongiorno Madeleine - mi saluta.
- Buongiorno signor Jackson - ricambio mentre mi infilo velocemente il grembiule e la bandana.
L'uomo osserva i miei movimenti e si alza in piedi venendomi incontro.
- Sembri molto iperattiva stamattina - può constatare mentre non facevo altro che fare avanti e indietro per la cucina.
Io mi volto verso di lui guardandolo come se avesse detto la cosa più assurda al mondo.
- Io? Ma no signore non è.. - stavo per finire la frase ma un improvviso giramento di testa mi fa appoggiare al ripiano in marmo.
Il mio capo si precipita di fronte a me.
- Cosa succede? Stai bene? - domanda apprensivo sorreggendomi per le spalle.
Prendo un respiro profondo e cerco di rivolgere un sorriso rassicurante al signor Jackson.
- Si si non si preoccupi sto bene -
Manco il tempo di finire la frase che un giramento di testa più forte di quello precedente mi fa perdere i sensi.
Improvvisamente la giovane cade tra le sue braccia e cerca di sorreggerla per quanto sia possibile. Delicatamente la appoggia per terra e dalla tasca dei pantaloni tira fuori il cellulare componendo rapidamente un numero di telefono.
- Bill! - esclama.
- Si signore? -
- Chiama immediatamente un medico! - dice in preda al panico Michael mentre appoggia la testa della ragazza sulle sue gambe.
- Che cosa è successo signore? - domanda altrettanto preoccupato Bill.
- Madeleine è svenuta - spiega semplicemente il signor Jackson mentre osserva la giovane in stato incoscienza.
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