ɪ ꜱᴇᴇ ɪᴛ, ɪ ʟɪᴋᴇ ɪᴛ.
ATTENZIONE:
In Corea del Sud si può bere e entrare nei club solo dopo essere diventati maggiorenni, cioè a vent'anni!
⚫️ Le scene di sesso che vedrete per tutta la serie saranno sempre e solo consensuali. Mi trovo obbligata a ricordarvi che i personaggi sono frutto di fantasia e non verranno associati alla realtà in vista di comportamenti tossici o quant'altro, ma solo come presta volto.
⚫️ Ovviamente non accetterò le offese gratuite verso i miei personaggi: un conto è esprimere un parere e un altro esternare cose fuori luogo su comportamenti umani. Ciò che dico non vuol dire che promuovo scelte o stili di vita che metterò su carta e penna (anzi, sono del pensiero che ognuno fa letteralmente il cavolo che vuole) perciò, lo ripeto, se non vi piace il genere, il linguaggio, le scelte che farà una ragazzina di diciannove anni con un uomo di quasi trent'anni, allora saltate e leggete altro. Grazie🌸
Detto questo: Buona lettura!
𝐒𝐄𝐑𝐈𝐄𝐒:
𝐈 𝐠𝐨𝐭 𝐢𝐭 𝐟𝐫𝐨𝐦 𝐦𝐲 𝐬𝐮𝐠𝐚𝐫 𝐝𝐚𝐝𝐝𝐲
🥀
ᵀᴴᴬᵀ ᴺᴵᴳᴴᵀ
ʜᴏᴡ ᴀʙᴏᴜᴛ ᴍᴇ ʟᴇᴀᴠᴇ ᴛʜɪꜱ ᴘᴀʀᴛʏ?
'ᴄᴀᴜꜱᴇ ᴀʟʟ ɪ ᴡᴀɴᴛ ɪꜱ ɴᴏᴡ ᴜᴘ
«Non mi piace questo posto, Jun. Per niente»
«Siamo solo all'entrata, non fare la bambina e rilassati per una sera»
Più gli occhi di Koo Moon vagavano fra il buio e le luci stroboscopiche di quel club notturno, in lei, cresceva la voglia di uscire e tornarsene a casa. L'odore acre di sudore, gli aliti di alcol e di vaselina gel dei preservativi, si attaccarono immediatamente alla gonna e al corpetto rosa gold stretti sul suo corpo. Erano capi morbidi e lisci, comprati a un prezzo vincente su Shein dopo aver visionato mille codici per abbinarci un paio di stivali alti, col tacco a spillo, altrettanto rosa comprati un anno fa.
Dopo un mese dalla consegna i vestiti erano stati abbandonati dentro il suo armadio, fino al giorno in cui non arrivò il messaggio da parte di Jun con l'ordine di vestirsi da zoccola per la sera stessa. Perciò, costretta in malo modo dalla sua migliore amica, si era ritrovata a dondolare sopra al marciapiede pieno di sigarette del What a F**k!?, in preda ai brividi della notte che attaccavano la sua pelle delicata.
Mancava mezz'ora a mezzanotte e finalmente il buttafuori, dallo sguardo maniaco, la fece entrare dentro la tana del peccato. Afferrò il suo documento falso e lo cacciò dietro la cover del telefono. Visionò la bionda tinta al suo fianco, che con occhi felini e incantati si lasciava mano a mano abbindolare dalla musica.
Min Jun aveva avuto la brillante idea di riunire il quartetto del corso umanistico della Yonsei University per introdursi — illegalmente, perché nessuno di loro aveva ancora compiuto vent'anni — nei tanti club di Itaewon sotto falso nome. E se non fosse stato per suo fratello Yoongi e la sua mente da Hacker criminale, a quest'ora Jun si sarebbe ritrovava a casa a infiocchettarsi i capelli con forcine e bigodini. Sognando lontanamente i documenti falsi con l'anno del 1999 stampato sopra, sviluppati da suo fratello, per sessantamila won a persona.
«Andiamo a prendere qualcosa da bere? Forse ho visto un posto libero laggiù», una volta entrate, Minhee allungò il braccio e alzò la voce per farsi sentire da tutte e quattro; le altre annuirono mentre Moon, presa troppo dai suoi pensieri e, impegnata a sgusciare come un'anguilla oleosa dai corpi sudici del locale, prestò poca attenzione a dove metteva i piedi.
Per poco non cascò per terra: Che schifo! — chiuse gli occhi respirando, si accorse in quel momento di avere sotto il plateau rosa del liquido grumoso e giallognolo — se è del vomito giuro su Dio che Yoongi si ritroverà figlio unico.
«Muoviti Moon! Le altre ci stanno lasciando indietro», da dietro la sua lunga e alta coda castana, Moon non poté che sentire le urla di Kim Lee. Non sopportava la sua stridula voce; a mala pena tollerava le frecciatine che spacciava per battutine ironiche sul suo conto. Non erano neanche così amiche fra loro.
Quell'assurda rivalità mai esposta alla luce del Sole era iniziata per uno screzio inesistente. La ragazza, dalla voce acidula, si era legata al dito la volta in cui il suo ex ragazzo lasciò il suo numero di cellulare a Moon. Lo mise dentro l'armadietto delle calzature, vicino all'atrio. Era una stupida griglia di ferro e serrature, creata appositamente per il cambio scarpe nel plesso scolastico e Moon, quel giorno, aveva avuto l'amara sfiga di trovarsi vicino a Lee mentre si infilava il suo paio di converse.
Lee le strappò dalle mani il biglietto dopo che glielo mostrò con confusione, scorgendo immediatamente la pessima calligrafia del suo ex ragazzo e questo la fece dare di matto. L'altra — con tutta la tranquillità del mondo — le disse che non c'era bisogno di prendersela così tanto: lui era un emerito disperato in cerca di qualche buco per svuotare le palle e lei — indicando se stessa — spiegò che non c'entrava nulla in quella storia e che non avrebbe accettato nessuna avance.
Ma Lee sembrava vivere in un altro mondo — irritante quanto lo era il suo cervello —, iniziando a credere, per colpa delle malelingue, alle presunte cospirazioni da parte di Moon. Finì per sbraitarle addosso una serie di insicurezze che affliggevano Lee solamente con lo sguardo. Tutti erano a conoscenza della particolare bellezza che sprigionava Koo Moon, anche sotto le rigide costrizione sull'abbigliamento scolastico. Teneva come tutte quante i capelli lisci e corvini, il viso senza tracce di trucco e la biancheria appositamente bianca.
Bella nel suo corpo proporzionato e minuto, con il viso ovale dai lineamenti anni 50' e una voce unica. Bassa e liscia, il contrario di quello che si poteva aspettare da una bambolina che cammina come lei.
Ma l'idea che fosse così bella persino in un contesto normale come quello scolastico, a soli sedici anni, non piaceva. Jun le restò sempre accanto quando le ragazze dell'istituto iniziarono a inventarsi storie di sesso, gravidanze interrotte o atteggiamenti pessimi sul suo conto. Era tutto finto e lo sapevano, ma era più comodo e soddisfacente, per l'insicuro invidioso, creare degli aspetti negativi che fossero più grandi dei loro problemi.
Soffrì per il primo anno, dopodiché mise da parte quel carattere sensibile e controllato che le ostacolava la strada. Quel giorno si svegliò al mattino più sicura e arrivò prima di tutti a lezione, solamente per sfoderare le sue doti artistiche.
Scrisse sopra a ogni banco delle ragazze della sua classe che si divertivano a sparlare di lei e, in ognuno di essi, incise con il rossetto la frase che più sentiva uscire dalle loro fogne di bocche: "stronzetta dal grilletto facile."
Udiva i bisbìgli delle compagne dopo quell'episodio, eppure, nonostante il cuore sanguinante, preferiva mostrarsi esattamente per come la etichettavano. Godendosi davvero le avance dei ragazzi che più le piacevano, il sesso sicuro se ne aveva voglia e le sue immancabili sigarette nei bagni abbandonati dell'ultimo piano. Camminando poi davanti ai loro banchi imbrattati di rosso con uno splendido sorriso struccato, i vestiti sempre composti e il culo che ancheggiava davanti ai loro astucci.
Ordinando a se stessa di nascondere la vera lei a tutto il mondo, mostrando le sue reali debolezze a chi invece l'amava davvero per come era.
Tornò alla realtà e si mise di lato per guardare Lee.«Prego», finse un sorriso, nascondendo in modo pessimo la sua irritazione, «Vai prima tu così non restiamo indietro» allungò la mano per farle posto e Lee, con le braccia conserte e un grugno sul viso, la sorpassò calpestando — ignara — il vomito giallognolo.
«Ben ti sta, stronza» sibilò a bassa voce, sciogliendo quel sorriso finto con un disperato bisogno di un Long Island. O di scopare.
Jun alzò la mano per richiamarle e finalmente, dopo spinte e momenti di buio totale, arrivarono al tavolino stranamente asciutto e pulito. Prese posto vicino a Minhee, accantonando poi la borsetta sulle cosce. «Quindi? Ora che si fa?» chiese in soggezione. Minhee e Lee condividevano una grande affinità chimica con Jun, ma con Moon...era un miracolo condividere lo stesso corso universitario.
«Si beve» rispose Jun, con gli occhi accalappiati ai drink fluo del tavolo affianco. «Lo sapevo che questo era il posto giusto!» complimentò se stessa per la scelta. Minhee ridacchiò, sistemandosi il caschetto corto dai toni rosso mogano, «È un miracolo se hanno abboccato ai documenti di Yoongi, perciò vedi di non farci finire in ospedale per un coma etilico o saremo costrette a passare la notte in questura»
«Non dire neanche per scherzo! Yoongi non sa neanche che siamo qui e se lo scoprisse ci fa fuori, perciò non dubitiamo della sua laurea in informatica»
«Affatto. Quel che dubito sono le tue capacità di rimanere sobria. Per aver speso tutti quei soldi per i tesserini non toccherei neanche un goccio se fossi in te»
Al ricordo Jun si lagnò: «Vi rendete conto che quello spilorcio ha chiesto sessantamila won per un cazzo di tesserino falsificato!? Sono sua sorella! Per quello di Moon l'ha praticamente fatto gratis» sbraitò, inveendo contro l'infinita cotta che aveva Yoongi per la sua migliore amica. Quest'ultima ridacchiò, ruotando gli occhi al soffitto.
Yoongi non era cotto di lei, ma le voleva bene come una seconda sorellina minore e quando Jun combinava qualche guaio le strigliate non mancavano per entrambe. Ma lo apprezzava quando non esagerava o minacciava di chiamare il padre di Moon.
«Recuperi sempre i liquidi persi con le skin card rubate dal mio beauty-case» le ricordò Moon.
«Se siamo migliori amiche un motivo c'è» esordì Jun dandole regione.
Annuì sarcastica: «Certo. Solamente perché mio cugino mi lascia quaranta prodotti di un modello ogni fine settimana» rispose, menzionando le mille creme che rubava da camera sua ad ogni nuovo carico di spaccio.
«Io i documenti. Tu le creme, così il mondo è equo» dichiarò furbamente e al che, Moon, si resse il mento con la mano dopo aver sfoggiato una rauca risata, mentre il gomito faceva leva sul tavolino di legno.
A differenza di Moon, Jun era carica e eccitata per l'entrata del club più osannato di Itaewon. Sembrava godersi la musica, aspettando il tanto atteso alcol che aveva già ordinato appena arrivata al tavolo, così come Minhee e Lee alle sue estremità; l'unica che guardava restia e assonnata quella cappa di sudiciume, era la meravigliosa castana vestita in rosa.
«Tesoro fammi un sorriso, cazzo! Hai dato un esame stamattina» la risvegliò Jun, la castana fece una smorfia.
«Ho poco da festeggiare se ne ho altri due da dare in una sola settimana. Non so se riuscirò a farcela» ribatté annoiata. Jun provò a spronarla. «Ce l'hai sempre fatta, fidati che anche questa volta andrà bene»
«Ne dubito...» disse aspra Moon.
«Potevi studiare prima»
Smise di guardarsi in tornò dopo quella frase. Vide il neo finto e definito di Lee fare su e giù vicino alle labbra, mostrando chiaramente un pessimo camuffamento di un ghigno.
Sei carica questa sera, troietta — pensò, leccandosi le labbra.
«Come prego?» finse di non aver sentito. L'altra incrociò le braccia sul seno. «Ho detto: potevi studiare prima. Non siamo più al liceo, Moon»
E io che pensavo che fossimo all'asilo guardandoti.
«Davvero? Chissà come diavolo ho fatto per quasi quattro mesi senza il tuo consiglio! Non lo avevo capito» allargò le guance lisce in un sorriso finto. Lee la fulminò. «Ora che lo sai, potresti iniziare a studiare per davvero e magari i soldi dei tuoi genitori avranno finalmente un senso per le tue spese»
Lo screzio del liceo non finì solamente con l'odissea distopica creata da Lee sul suo ex fidanzato. L'invidia che covava dietro ai suoi successi, ai capelli perfettamente lunghi e leggeri, alle occhiate dei ragazzi sulle gambe scoperte, crebbe giorno dopo giorno, rendendo l'aria pesante persino per chi era estraneo al gruppo. Credeva che con l'università il cervellino di Lee cambiasse e maturasse, invece sembrava essere regredita come la sensibilità evolutiva della specie umana.
«Dimmi un po' Lee. Cos'è che ti scoccia così tanto? Il fatto che io prenda comunque dei voti più alti dei tuoi nonostante passi meno tempo sui libri, oppure sei frustrata perché il barman di giovedì sera non abbia voluto assaggiare la tua passera?» i drink arrivarono proprio in quel momento.
Il cameriere assistette alle facce sbiancate e cadaveriche delle tre ragazze, finse di non aver sentito il commento della ragazza in rosa e, con una tosse finta e secca, si dileguò immediatamente.
La faccia di Lee era immobile. Un gesso bianco del classicismo europeo e Moon poté percepire l'aria mancarle sempre di più. Era stanca; non mangiava da ore e aveva una incredibile voglia di bere e spiattellare il suo nervosismo sopra la faccia di quella stronza con il suo tacco a spillo. Così le avrebbe dato un reale motivo per odiarla.
Sentì la scarpa di Jun colpirle le caviglie in modo ossessivo e — dettaglio che però ignorò immediatamente — si alzò dal tavolo con il suo Long Island in mano. Guardò negli occhi le sue amiche, afferrò la borsa e brindò davanti agli occhi di Lee.
«Ma con il barman, a differenza dello studio, ti è andata bene, Lee: è più portato a fare cocktail che a leccarla. E detto questo —» chiamò l'attenzione della sua unica e vera amica con il capo dicendole con gli occhi che sarebbe uscita a prendere una boccata d'aria o avrebbe ammazzato qualcuno. Portò il drink alle labbra e bevve tutto il contenuto in un secondo.
Lasciando che, man mano, l'alcol le bruciasse tutto: l'anima e il cuore.
«Ho bisogno di una sigaretta, cazzo!»
«Minho sta facendo entrare più bambini del solito» con i gomiti appoggiati alla ringhiera, un uomo, con un americano mezzo pieno incollato alle dita, visionava le facce fra le viscere del club. Attento e inespressivo, scannerizzando senza alcun interesse i brufoli delle matricole.
Al lato, dei suoi gomiti ricurvi, si affacciarono due compagni in tiro; uno di essi teneva per il collo un Dom Pérignon col vetro bagnato dal ghiaccio, mentre l'altro si accese, con tranquillità, una sigaretta nel privè.
«Pagano di più» biascicò quello con il mozzicone rigirato fra le labbra inspessite in un grugno. Inspirò. «Siamo noi che stiamo invecchiando e paghiamo di meno»
Il tappo del Dom Pérignon venne stappato e il suo possessore ridacchiò, passando i calici. «Parla per te Namjoon, anche la figa paga di meno ormai» si girò a guardare il moro inespressivo appoggiato alla ringhiera, «Jimin sembri invischiato in una crisi di mezza età, cazzo è il tuo compleanno!» fiondò la mano aperta sul colletto dell'uomo appigliato alla sbarra del privé. «Goditi questi merdosi ventotto anni prima di risvegliarti in un letto d'ospedale, a ottant'anni e con un catetere infilato su per l'uccello»
Jungkook storse la bocca e mugugnò, toccandosi immediatamente le parti intime di riflesso, declinando poi il calice offerto da Seokjin con l'immagine del suo cazzo infilzato.
«Molto delicato, Jin» mormorò ironico Yoongi, in proposito alle esternazioni fuori luogo del più grande.
Ma pensò che fino a quando — Kim Seokjin —avrebbe continuato a tirare fuori argomenti privi di qualunque spessore, senza importunare il temperamento solitario del festeggiato, tutto sarebbe stato perfetto. Avrebbero prolungato il festeggiamento fino alle quattro e mezzo del mattino, con una ritirata per schimica in qualche bar automatico e, dopodiché, sarebbero morti ognuno a casa sua fino alla sera.
Tutto il piano sembrava banale e un po' surreale per un gruppo di quasi trentenni sud coreani ma in mente avevano solamente il compito di far passare, a quel burbero di Jimin, una bella serata. Allo scoccare della mezzanotte, Namjoon avrebbe fatto cenno a Taehyung di bendare il festeggiato per trascinarlo nelle finte dark room del piano terra. E una volta seduti, in mezzo alla stanza, si sarebbero goduti lo spettacolo di tette e culi semi svestiti.
Taehyung guardò di sfuggita il profilo sottile e perfetto del suo migliore amico; si era rasato leggermente i capelli ai lati delle orecchie e, ancora fresco di trucco e parrucco, aveva deciso di adottare uno stile total black. Un nero corvino che si diramava, piano piano, lungo il retro della nuca in un finto mullet appena accennato. Non deliziava in modo eccelso lo stile retrò degli anni 80' in mezzo ai suoi capelli, ma il suo parrucchiere aveva fatto un lavoro degno di nota. Tant'è che si lasciò separare alcuni ciuffi dalla fronte — ma mai quanto Jungkook, il quale, un mese prima, se li fece fare uguale a Eren Jaeger, solamente per potersi svegliarsi al mattino e sussurrare "Tatakae" davanti allo specchio in mutande.
Per i vestiti non badò a spese e mollo la carta di credito alla commessa alla maison di Bvlgari a Caroskill. Era il co-CEO di una multinazionale di apparecchi elettronici e sopra al suo capo — lavoristicamente parlando — c'era solo il suo stesso padre (il CEO). Sebbene la sua fosse una linea famigliare, con una produttività di incassi stellare, Jimin si era ugualmente prodigato per la tempestosa strada dell'amministrazione e gestioni d'impresa. Non riuscì a giostrarsi al meglio i primi mesi dopo la laurea per colpa del fancazzismo e l'ostilità nei confronti del padre. Ma bastarono qualche rigida direttiva, responsabilità e un paio di calci nel culo da parte del signor Park, per riuscite a plasmare il perfetto successore dell'azienda.
Affiancava suo padre da quasi sei anni e mezzo, non si era pentito della scelta e da un lato lo ringraziava per non averlo abbandonato dopo i primi screzi fallimentari. Ed era grazie a lui se ora si gustava il profumo di lavanderia fresca del nuovo completo di Bvlgari, così come il ticchettio del Rolex blu sul polso e il Dom Pérignon fresco per i suoi ventotto anni. Ma quella sera, così come da un anno a questa parte, si ritrovava a guardare quella marmaglia di gente con sguardo annoiato. Avrebbe continuato a parlare e ad illustrare i vari motivi sul perché le cose nella sua vita sembravano star generando giorno dopo giorno, se solo Taehyung e i suoi neuroni intrisi di alcol non avessero istigato Min Yoongi.
«Yoongi ma quella non è tua sorella?»
Gli occhi dei ragazzi si rizzarono dinanzi alla voce calda e impertinente di Kim Taehyung, mentre il diretto interessato non diede alcun peso alla domanda del riccio. «Impossibile» rispose, per nulla preoccupato, «Sarà solo una che le assomiglia. Usciva al Mitros Pub con delle sue amiche di Università, lo so perché quella piattola voleva altri documenti falsi»
Taehyung ridacchio consapevole. Conosceva bene Min Jun dal profilo Instagram — le storie dei festini e le foto allo specchio con l'aria di chi saprebbe farti un pompino stupendo nei bagni di qualche locale — e poteva scommettere tutti i soldi del suo conto in banca che, la ragazza seduta al tavolo ai lati della pista, era la sorella del suo amico.
«Con delle amiche hai detto?» chiese ancora. Yoongi sbuffò e annuì ripetitivo. «Si Taehyung, a quest'ora saranno già tornate a casa»
«Peccato!» esordì vicino al corpo ricurvo di Jimin. «Sembrava proprio lei. Il Mitros dove si trova?» domandò retorico e l'unico che colse le vere intenzioni di Taehyung fu Seokjin. Il quale, con un finto sbadiglio pieno zeppo di nonchalance, ripose:
«Dongdaemun?»
«Ritenta» fece Namjoon, capendo il gioco. Si avvicinò alla sbarra e guardò in basso oltre il dito nascosto di Taehyung, indicandogli la direzione del tavolo. Riconobbe la chioma bionda e gli occhi sottili tipici della famiglia Min, trattenendo immediatamente una risata alle spalle di Yoongi.
«A un isolato da Apgujeong-dong?» menzionò il quartiere modaiolo, gremito dai pecoroni di Gangnam. Ma negò ancora.
«Acqua»
Seokjin si pizzicò le labbra carnose con il pollice. «Allora deve trovarsi dall'altra parte del Banpo Bridge» ritentò e Namjoon annuì, guardando sottecchi l'amico che faceva finta di non ascoltarli.
Eppure iniziava a vedere i primi cenni di nervosismo da parte di Yoongi, tant'è che egli lanciò il pacco di sigarette sul tavolo davanti a lui per non mirare alla fronte di Seokjin.
«Fuochino»
«Ora ho capito! Il Mitros si trova a Dongbinggo-Dong!» sparò, sbagliando apposta. Yoongi chiuse gli occhi, mormorando un razza di deficiente patentato verso il suo Hyung e si tirò i ciuffi che cascavano giù dalla fronte.
«Come se in tutti i tuoi trent'anni non ti fossi passato ogni cazzo di locale per tutta Seoul, vecchio imbecille! Il Mitros club è a Itaewon, a due passi da qui—» la voce smise di proseguire e un enorme macigno, con su scritto sulla pietra la parola idiota, gli cascò dritto sopra la testa.
«Porca puttana!» imprecò alzandosi dal divanetto e raggiunse i corvacci dei suoi amici appollaiati sulla ringhiera. Tutti quanti risero, tranne Jimin che nel frattempo fece spazio al suo amico per cercare con gli occhi la sua dolce sorellina minorenne.
«Cosa pretendevi che facesse? Gli hai mollato fra le mani la chiave per il santo Graal: andare in un pub visto e stravisto come il Mitros sarebbe stato da emeriti coglioni» sentenziò il festeggiato. L'altro non tolse neanche per un secondo gli occhi dalle teste smussate che ballavano in pista.
Non riusciva a vederla e la cosa lo mandò ancora di più su tutte le furie. Strinse le mani sul metallo e dondolò nel panico a destra e sinistra.
«Fuochino» lo prese in giro Taheyung. L'altro si innervosì ancora di più e diede uno strattone alla ringhiera premuta sul suo addome.
«Fai meno il coglione Taheyung e dimmi dove cazzo hai visto mia sorella!»
Il festeggiato iniziò a cercarla con gli occhi incuriosito. Conosceva Yoongi da qualche anno e nonostante ciò aveva visto Min Jun soltanto un paio di volte a casa loro di sfuggita. Niente di troppo strano; avevano età e compagnie totalmente diverse.
All'angolo, vicino al bancone pieno, scorse un tavolo piccolo e stretto. Quattro ragazze, dall'aria indubbiamente fresca e minorile, attirarono la sua attenzione; si chiese se la sorella del suo amico fosse davvero lì in mezzo.
Il What a F**k!? era una locale over venticinque e persino un buttafuori inesperto come Minho si sarebbe accorto della gioventù che trasmettevano quelle quattro matricole. Ma sapeva che per soldi avrebbe fatto entrare anche sua nipote di quattro anni.
«Ore dodici. Capelli biondi con frangia e vestito rosso» elencò, mostrando finalmente a Yoongi il punto preciso. Yoongi serrò gli occhi in due fessure.«Vedo che l'hai memorizzata proprio bene» commentò ironico. La scorse immediatamente in compagnia di Koo Moon.
Le avrebbe ammazzate entrambe.
«Una come lei non passa di certo inosservata» affermò senza paura.
Jungkook rischiò di strozzarsi con lo champagne e se non fosse stato per le pacche, non troppo amichevoli di Namjoon, si sarebbe stravaccato per asfissia sul pavimento. Yoongi era il più giovane del gruppo insieme a Jungkook, ma nonostante i due anni di differenza che vi erano fra lui e Taheyung — il più giovane — non si sarebbe di certo fermato dal pestare a sangue il suo amico.
Si avvicinò pericolosamente al colletto aperto di Taheyung e sentenziò: «Quando parli di mia sorella rimettiti il cazzo nei pantaloni, se non vuoi ritrovarti senza testicoli» e fra i due iniziò una infinita discussione su quanto sua sorella in realtà fosse indipendente e non più una poppante con la babysitter. Ma Yoongi non volle sentire ragione.
«Me ne sbatto i coglioni! Ha ancora diciannove anni e non starò qui a guardare la tua bava colare come uno scemo. Gira a largo da lei e dalle sue amiche!»
«Tsk, certo. Addirittura le sue amiche? Yoongi ma stai scherzando!?»
«No non sto scherzando. Non sono il genere di ragazze che ti scopi, quindi lasciale stare»
Ghignò. «Ohh quindi le conosci? Guarda che non sei tanto più piccolo di me, dongseng, ti fai per caso le sue amichette di nascosto?» lo provò.
Ma Yoongi, con prontezza, sfatò gli assurdi viaggi di Taheyung.
«No. razza di idiota. Ma so che sono le sue compagne; frequentano gli stessi posti di mia sorella e una di loro la conosco da quando andava alle elementari» spiegò stanco, girandosi per assicurarsi di trovarla nel posto di qualche secondo fa. Aprì la bocca quando trovò il posto di Koo Moon vuoto e il volto di Jun stravolto.
Cosa diavolo stava succedendo?
«Chi? La ragazza in ros-»
Jimin si schiarì la voce; una volta che si tolse dalla ringhiera raggiunse immediatamente il pacchetto di sigarette abbandonato sul divano. Lanciò una rapida occhiata generale al mood serale e vide tutti quanti impegnati a interagire fra loro sulla questione di Min Jun. Più stanco che mai si mise le mani in tasca e disse: «Vado a farmi una sigaretta. Con le vostre stronzate mi sta scoppiando la testa»
Taehyung si affacciò, scansando di lato Yoongi, per ricordargli di rientrare o si sarebbe perso la mezzanotte. Il moro era già per le scale d'uscita della zona privé, mormorando un secco sì sì, certo come no.
Come se già non sapesse delle ballerine ingaggiate da Minho per la mezzanotte. Avrebbe tardato apposta e evitato le battute di Seokjin sul suo comportamento da asessuale.
Finalmente respirò aria nuova dopo che aprì la porta nera; la cappa di chiuso si disperse dietro le sue larghe spalle e camminò lentamente fra i gruppetti di ragazzi, impegnati a rollare spinelli lontani dalle telecamere e, trovato un posto libero vicino all'entrata, si appiccicò al muro. Giusto il tempo di godersi una raggiata di vomito e conati da parte di una ragazza che non camminava neanche all'avanti.
Era sensibile alla vista del vomito perciò chiuse immediata gli occhi. «Bel cazzo di compleanno, Jimin. Complimenti» si complimentò, mentre i conati continuavano a occupare metà sottofondo del suo piccolo monologo.
Storse il naso e la bocca in una espressione schifata, tirò fuori l'accendino e finalmente odorò il triste odore dell'ammoniaca bruciata alla nicotina. Rimase a guardare il cielo privo di stelle, con una malinconica consapevolezza che l'inquinamento di Seoul le avrebbe oscurate per sempre.
Fece per tirare un'altra boccata malsana quando, pochi secondi dopo, udì delle scarpe con tacco avvicinarsi dal lato sinistro del plesso.
«Scusa hai da accendere?»
Jimin non distolse lo sguardo dall'alto ma in compenso alzò l'angolo della bocca per reprimere un ghigno.
«Quella che sento da parte tua è maleducazione o ignoranza per non avere usato il titolo onorifico con uno sconosciuto, per giunta, più grande?»
«Vedila come ti pare: volevo solo l'accendino»
L'uomo abbassò lo sguardo ai piedi sogghignando e tirò fuori l'oggetto per porgerlo verso il soggetto maleducato. Continuò a non guardare il volto dell'incognita e aspettò si sentire il click della fiamma, notando con l'occhio di lince una sigaretta lunga e sottile sporca di rossetto.
Uscì del fumo intorno a loro e il tabacco si accese nuovamente. «Grazie» disse, porgendo l'oggetto per ridarglielo. L'altro alzò le spalle e fece di no con il capo. «Puoi tenerlo, se riesci ad azzeccare almeno un onorifico» la prese in giro, ma la figura a lato lo guardò di sbiecò.
«Mi crede così piccola?» domandò accontentandolo. Jimin rilassò le spalle e girò per la prima volta lo sguardo sulla sua incognita.
Ruotò la mascella affilata e definita, invogliato dalla curiosità per scorgere il viso tondo e angelico di una donna. Una ragazza, dai lunghi capelli castani legati in una coda alta, con grandi occhi scuri, le ciglia lunghe come le diramazioni di una palma tropicale e la bocca piccola e carnosa. Rossa come rose, letali come il corpo del fiore stesso.
Andò giù, oltre il collo sottile e le clavicole scoperte da un topo rosa senza spalline, ampio fin sotto il seno e separato da una striscia di pelle perlacea, il mare che divideva la gonna ugualmente rosa a vita alta. Scopriva le cosce nude e l'accenno di pelle d'oca sopra di esse lo intenerirono, portandolo poi in una lussuriosa serietà alla vista di un paio di stivali alti col tacco.
Altrettanto rosa.
Sfortunatamente per me sì, ragazza in rosa, sei troppo piccola — pensò con un groppo di saliva alla gola, riempendo il pomo d'Adamo fino a scoppiare. Cercò di reprimere, in modo più consono possibile, ogni fantasia spinta e sessuale sfociata per colpa di quella bambina in rosa.
«Quello che hai al polso è un Rolex Submariner?»
Cascò dalle nuvole e si ritrovò il faccino corrucciato di quella rosa, piena di spine, davanti alla sua non riposta del suo nuovo regalo di compleanno da parte dei suoi genitori. Si guardò il polso e glielo mostrò.
Annuì. «Ti interessano i Rolex?»
Fece di sì con la testa.
«Piacciono molto a mio padre e dopo che ascolti una persona parlare per ore e ore della stessa cosa... finisci per capirne qualcosa» spiegò lentamente. La sua voce sembrava una soffice culla di petali e piume, arrochita, in modo mellifluo, da un accenno sexy.
Jimin si fece tacito e percepì mano mano un calore ignoto diramarsi dal petto alla vita.
«E comunque...» continuò il discorso appoggiandosi al muro ruvido del locale. Ignorando il freddo della notte. «Non hai ancora risposto alla mia domanda...» ruotò l'accendino fra le mani e Jimin, finalmente, capì di che cosa stava parlando.
«Sei così vecchio?»
«No. Ma per te sì»
Contrariamente alle aspettative dell'uomo, la ragazzina in rosa sorrise dinanzi a quella sfacciataggine. Le ricordava molto il suo carattere promiscuo con cui si rivolgeva a quelle stronze che vedevano di malocchio ogni cosa. Si morse le labbra inferiori e, con una sicurezza spiccata dal Long Island, si lanciò a capofitto su un terreno bruciante e arso dal Sole.
«Il mio nome è Moon» si presentò con un altro tiro di sigaretta, «Il suo?» lo prese giro. Jimin si sforzò di non ridere: aveva una bella faccia tosta. «Moon? È il tuo vero nome oppure vuoi mantenere l'anonimato con uno finto?» la provocò, prendendola in giro.
Alzò gli occhi al cielo borbottando.
«La cosa ti fa ridere perché ti ricorda Sailor Moon nei lontani anni 90'?» disse sfrontata, smettendo di usare gli onorifici coreani per dargli ancora più fastidio. Accusò il colpo con un sogghigno. «Uh, questa ha fatto male»
«Lo so. Allora? Posso sapere il tuo nome oppure vuoi mantenere l'anonimato perché così ti sentiresti meno in colpa a stare con una ragazzina?»
«E chi ti dice che io voglia stare con te, Moon?» domandò con le braccia conserte e uno sguardo furbo stampato sul viso. Moon si staccò da muro e si rimise in piedi, godendosi la splendida differenza d'altezza fra il suo metro e sessanta sette raggiunto con gli stivali.
«I no bisogna saperli accettare, non mi farò problemi a rientrare nel club senza di te, vecchiaccio»
Quello fu il perfetto esempio di come in realtà Moon non sapesse accettare i no dalle cose che le provocavano vero interesse. Non capitava mai con i ragazzi: erano loro a farsi avanti per primi, ma dopo che era uscita dal locale, scaricando il nervoso per colpa di Lee, si ritrovò presto a inveire contro la sua testaccia vuota. Dimenticandosi, per la millesima volta, l'accendino nella cartella dell'Università.
Fanculo!, sbraitò allargando le braccia, accaparrandosi solamente più freddo sulla pelle nuda, Che serata di merda!
Una ragazza, con la testa piena di codini e glitter, si ribaltò a pochi metri dai suoi stivali e si curvò, sul marciapiede pedonale, vomitando l'anima. Intorno a lei si levarono dei lamenti di schifo e fu solo in quel momento, fra la calca smaltita nella fretta, che vide una sagoma scura illuminata dalla luce di una sigaretta.
Almeno non può rifilarmi la scusa del no!
E ad ogni passo che faceva più la sagoma prendeva la forma di un uomo; le spalle rilassate e lasciate in balia del muro del What a F**k!?, i ciuffi neri e lucidi che cascavano sulla fronte rivolta verso il cielo e infine le labbra chiuse nel filtro. Gonfie e perfettamente disegnate da linee rosse e rosee.
Notò l'accenno di un trucco nero e leggero ai lati delle palpebre per affilare lo sguardo già molto allungato. Il petto si alzava e abbassava lentamente nonostante il freddo pungente di quella notte, risaldando la sua ampiezza, allineata al busto e alle gambe perfettamente proporzionate. Cogliendo la contrazione non forzata dei quadricipiti stretti nei pantaloni.
Conosceva quella linea d'abbigliamento a memoria; vista e contemplata fra i cartelloni pubblicitari della maison di Bvlgari a Caroskill. La goccia che fece travasare la serratura del suo interesse fu lo scintillio di un orologio legato al polso sinistro, la stessa mano che usava per fumare e spostarsi le ciocche dagli occhi.
Sapeva di trovarsi davanti a un uomo più grande di lei — ricco e facoltoso — eppure continuò lo stesso a camminare lungo il retro oscuro.
Ora si ritrovava a un metro dall'entrata del club con in mano uno zippo in argento e un broncio sul viso. Era troppo grande per lei ma sarebbe stata solamente la fantasia di una sera; uno sciocco divertimento fra balli appiccicati, un pensiero illusorio nel sentirsi davvero una finta bambina, stretta e accarezzata da un paio di mani anellate dell'argento.
Il finto vecchiaccio gli aveva dato un due di picche grosso quanto l'insegna del Club — con una siluotte di una donna nuda in neon — ancorata vicino al tetto piano. Sarebbe rientrata lì dentro per un'altra ora soltanto e se Jun non fosse andata via insieme a lei, avrebbe chiamato da sola un taxi, nonostante la pessima posizione del posto. Rientrò, sgusciando fra le persone sudate riavvertendo su di sé quell'orrido sudiciume, che circolava nella poca aria presente della sala, e cercò annoiata il suo gruppo.
Si bloccò immediatamente; aveva rintracciato subito il tavolo delle ragazze ma la cosa che l'aveva lasciata di sasso era la testa di Min Yoongi. Rimaneva lo stesso che faceva i documenti falsi per l'alcol ma ogni volta rammentava a sua sorella di girare a largo dai club notturni di Itaewon. Giravano un sacco di stranieri occidentali sprovvisti di rispetto fisico che vigeva in Corea, così come un sacco di sud coreani viscidoni che provavano ad allungare le mani sotto la gonna dopo averti fatto ubriacare. Non c'era una via di mezzo e Yoongi lo sapeva bene; aveva frequentato centinaia di posti come quelli ed erano tutti uguali.
Morale della favola: Moon e Jun dovevano rimanere alla larga o avrebbero scatenato l'ira funesta e protettiva di Min Yoongi. Raggiungere il Mitros sembrava già un'impresa impossibile, figuriamoci un club over.
Vedeva Jun, impegnata a sbraitare come il fratello, mentre Lee e Minhee sembravano avere gli sguardi completamente andati e annacquati. Avevano bevuto troppo e forse anche Jun, però fu abbastanza scaltra da agguantare Moon con lo sguardo da lontano, facendole di nascosto un segno con la mano. Doveva allontanarsi, forse Yoongi sapeva che c'era anche Moon e Jun l'aveva capito: la stava proteggendo.
Se Yoongi si fosse azzardato a dirlo ai suoi per lei sarebbe stata la fine.
Fece retro front e sgusciò ancora fra le persone, infilandosi in mezzo alla pista in preda al panico. Si stava chiedendo come avesse fatto quell'idiota a trovarle; doveva avere un compleanno quella sera, in un noioso ristorante in centro. Invece ora...si trovava lì.
Non aveva calcolato una cosa: Lee.
Quella stronza, nonostante sembrasse un pesce morto sprovvisto d'acqua dolce, aveva i neuroni che funzionavo come un camioncino Diesel. Si spegnevano e accendevano a cazzo, così quando sentì il nome di Moon, uscire dalla bocca di Yoongi più volte, sembrò riprendersi e dare cenni di vita.
«Ma Moon è uscita per fumare, Yoongi. Non la troverai mai qui! A meno che non spunti da sotto il tavolo, aspetta fammi guardar-» tentò di abbassarsi sotto il tavolino ma Minhee la riafferrò velocemente, prima che cascasse all'avanti con la testa. Yoongi si fermò, con le mani ai lati dei fianchi, mentre Jun si gelò immediatamente.
Quando diceva a Moon che suo fratello aveva una cotta colossale per lei...non scherzava. Affatto. Camuffava il suo sporadico interesse in questo finto affetto da fratellone protettivo, risultando al di fuori tenero e scemo. O maniaco.
«Vedi che avevo visto bene Jun! Smettila di continuare a propinarmi queste cazzate e dimmi immediatamente dove si trova Moon. Vi riporto immediatamente a casa»
«Non so di che cosa tu stia parlando» incrociò le braccia al seno, mentendogli.
«Hai il coraggio di mentirmi ancora!? Dopo che la tua amica ha detto che Moon è qui!?» domandò ironico. L'altra si offese, «Se dai più peso alle dicerie di un'ubriaca che a tua sorella beh, allora non abbiamo più niente di cui discutere!»
«Mi spingi a farlo visto che a quest'ora dovevate già essere a casa! Immagino che sia stato bello andare al Mitros Club, vero Jun?» continuò alterato.
Jun arrossì fino alla punta delle orecchie. «Tu! Dovevi essere ad un fottuto compleanno in un fottuto ristorante questa sera, Yoongi! Osi fare la predica a me mentre sei venuto qui per scopare!?» gli puntò il dito contro il petto. Il fratello maggiore si ritrovò a boccheggiare dalla volgarità di sua sorella.
«Non devo dare conto a te di quello che faccio o non faccio!»
«Ah no!? Tu puoi permetterti di non dare conto a me ma io sono obbligata a farlo con te!? Ma ti senti quando parli Yoongi!?» si stava arrabbiando. Se non fosse stata bloccata sui tacchi a spillo, un vestito corto quanto l'involucro di una barretta ai cereali, lo avrebbe sicuramente atterrato con un calcio sullo sterno.
«È diverso cazzo! Tu sei minorenne e io il tuo tutore ufficiale quando nostra madre va a Busan per mesi, devo sapere cosa fai e cercare di tenerti fuori dai guai! Se vengono a fare un controllo ti arrestano Jun!» menzionò le sue molteplici responsabilità che aveva sulle spalle da quando la loro madre viaggiava a Busan per lavoro. Condivideva l'appartamento con sua sorella da anni.
«Ancora per pochi mesi Yoongi» lo avvisò arrabbiata, «Dopo potrò fare il cazzo che mi pare senza che tu mi tenga al guinzaglio come una fottuta bambina dell'asilo. La stessa cosa vale per Moon, non hai nessun potere su di lei e smettila una volta per tutte di fare il fidanzatino geloso nei suoi confronti!» il fratello si avvicinò ancora di più farla calmare. Le afferrò i polsi, guardandola in modo autoritario e incazzato.
«Non mettere in mezzo persone che non c'entrano Min Jun»
«Invece mi pare che Moon c'entri abbastanza» sussurrò in tono provocatorio, ridacchiando alla vista delle spalle tese e contratte del fratello.
«Smettila!»
«E invece non la smetto-» Lee si alzò dal tavolino e urlò euforica. «HO TROVATO MOON! È LAGGIÙ! Voglio un preeemio!!!» strillò così forte che persino le persone intorno a lei si girarono a guardarla infastiditi. Minhee, impaurita dalla faccia corrucciata e macabra di Jun, tappò la bocca a Lee mentre quest'altra continuava a scalciare in balia della tequila.
«Non ci credo» si sbatté la mano in fronte la bionda, Yoongi dal suo canto si girò nell'esatto punto indicato dall'amica ubriaca e fu in quel momento che scorse gli occhi — grossi come quelli di un cervo illuminato in mezzo alla strada da un pick-up — di Koo Moon.
Truccati in modo impeccabile, con le ciglia folte e volte verso l'alto, illuminate dai glitter argento e viola.
Moon vide l'intera scena e, codardamente beccata, scappò come se quella soluzione potesse eliminare dai ricordi di Yoongi il suo ricordo. Persino Jun le fece cenno di correre o nascondersi da qualche parte. Scorse Yoongi mentre si faceva largo fra la marmaglia di gente e vide che si era messo a seguirla come un dannato cane da caccia. Imprecò. Cercò il telefono nella pochette e fece partire la chiamata con la sua migliore amica.
«Jun! Cazzo!» esclamò con il fiatone.
«Moon mi senti-»
«PERCHÉ TUO FRATELLO MI STA INSEGUENDO!?» urlò sullo schermo del cellulare.
«Perché è un idiota! Sicuramente avrà alzato il gomito e abbiamo finito per litigare appena mi ha scoperta qua dentro. Scappa Moon, ha iniziato a blaterare cose assurde! È impazzito»
La castana ruotò gli occhi al cielo, «L'avevo intuito, ma la cosa che mi sfugge è il perché!», studiò l'uscita del locale e la trovò — secondo la sua solita fortuna — bloccata dalle persone che volevano fare la fila per il cappotto.
Jun esitò: non poteva dirle, in modo così schietto, che suo fratello era ossessionato da lei da ancora prima che gli crescessero i peli sul cazzo.
«Ha avuto una brutta giornata a lavoro. Sicuramente è per questo» mentì la bionda, «Ma una cosa è certa. Esci da qui e chiama un fottuto taxi per andare a casa prima che avvisi tuo padre. Io sono già fottuta, ma potrei sempre ricattarlo con i documenti falsi»
Gli occhi continuavano a posarsi su quella dannata porta e sbuffò, fece un veloce scatto con il volto e sussurrò: «Bingo!»
«Jun. Devi convivere Yoongi a tenere la bocca chiusa con mio padre, nel frattempo farò in modo di andare a casa senza che questo mi chiami. È tardi, a quest'ora starà già dormendo» le spiegò ogni cosa.
Nel frattempo approfittò della disattenzione del buttafuori del privé — per colpa di un molestatore che aveva palpato una donna — e salì le scale come una velocista. Per colpa dei tacchi inciampò più volte ma si tenne immediatamente al corrimano cromato.
«Ricevuto. Io provo a tenerlo occupato ma mi raccomando Moon: sbrigati a tornare a casa»
«Ci puoi giurare. Sarà la prima cosa che faccio appena uscirò da questo club di merda» finse di non vedere i copri capezzoli glitterati di alcune ballerine e proseguì lungo il corridoio.
Chiuse la chiamata e sentì la voce di Yoongi in fondo alla scala. La stava raggiungendo e in qualche modo aveva superato il buttafuori. Senza sapere che in realtà aveva fra le tasche il pass speciale consegnato da Taehyung.
Fece appena in tempo a schivare un cameriere, pieno di vassoi e bicchieri, che sbucò nell'ultima area della zona VIP. Si ritrovò addosso un sacco di occhi curiosi e divertiti.
«Sapreste indicarmi l'uscita?» domandò frettolosamente e, quello che si rivelò essere Kim Taehyung, le fece un occhiolino malizioso. Portò il pollice sulla sinistra. «Laggiù bambolina. Prendi le scale e sarai fuori» le indicò.
Yoongi colpì in pieno il cameriere nella foga e ribaltò tutto a terra.
«Ma che cazzo-» sussurrò sbalordito Seokjin, senza capire. Il ragazzo spalmato a terra fece leva sulla braccia per guardarla infuriato.
«Koo Moon! TORNA IMMEDIATAMENTE QUI!»
Tutti tornarono a guardare la ragazza in rosa e lei, con un sorriso nervoso e le ginocchia tremanti, si scusò con i presenti. «Mi dispiace ma devo scappare!»
«Fermati Moon!» ripeté Yoongi.
Namjoon le aprì la porta d'emergenza facendola finalmente uscire dalle grinfie di quel club maledetto.
La porta si chiuse e il ragazzo emise un rantolo di fastidio; Taehyung si avvicinò alla sua testa — premuta con forza sul pavimento — e si chinò con un sorrisino divertito: «Yoongi, quante volte ti ho detto che così le ragazze non le rimorchi?»
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Si reggeva a malapena sul ferro della scala antincendio per via del freddo. Tremava ancora dalla paura, ma l'ultima cosa non l'avrebbe mai ammessa. Aveva seriamente il timore che Yoongi la facesse finire nei guai con suo padre o peggio, che facesse intervenire suo fratello maggiore dall'altra parte di Seoul.
Non viveva più con i suoi, aveva da poco compiuto i trent'anni e fra i due c'era un rapporto troppo statico e formale per essere fraterno. La cosa derivava dai seri problemi che aveva avuto — Koo Han — con la loro severa matrigna dopo la morte della madre. Questo scatenò dei grossi conflitti interni fra la famiglia, portando Han alla totale esasperazione trovandosi ai ferri corti con suo padre. Arrivando a esorcizzare il suo dolore con una nuova vita, in modo da poter superare quel traumatico lutto materno e il rigetto di una donna maligna, lasciando Moon da sola.
Moon però lo capiva e non ce l'aveva con lui, ma Han rimaneva una persona particolare e inquietante: specialmente se si trattava delle regole che infrangeva sua sorella minore anche a chilometri di distanza.
Con il cuore in gola evitò di girarsi verso l'uscita illuminata dal neon verde in cima alle scale e, infreddolita e taciturna, percorse quella via sconosciuta. Sembrava ricollegarsi alla strada principale ma i lugubri cassonetti — tipici dei film polizieschi — e le risate inquietanti dei ragazzi strafatti le misero timore. Si sentì nuda e sprovveduta in mezzo a quella notte buia; le risate si fecero più ampie, così come gli schiamazzi.
La prima cosa che fece fu quella di raccattare il telefono e chiamare Jun. Ma lei non rispose; forse era troppo occupata a subire la sfuriata del fratello maggiore o già assonnata per la strada del ritorno. Gli occhi si fecero umidi e trattenne un sussulto quando le voci, biascicanti di esternazioni volgari dei gruppetti affianco, sembravano seguirla.
Si stava facendo solo troppe paranoie. Erano la paura e il freddo ad annebbiarle i sensi.
Forse—
«Ma quanto è carina? Sembra una bambolina rosa»
Stringeva il telefono contro l'orecchio e fece finta di attivare una chiamata. Pronta, in caso di vero pericolo, a premere il numero d'emergenza del 112 per la polizia della Corea del Sud. Il pollice era fisso a pochi centimetri dallo schermo ma iniziò a traballare in modo agitato.
Ti prego. Ti prego. Ti prego—
«Sei stupenda ragazzina» un'ombra le alitò sul fianco destro. Singhiozzò nel panico, incapace di alzare lo sguardo verso quelle mani viscide che osavano toccarle i capelli. «Profumi. Hai un buon odore»
«Cazzo sembri un malato di mente» scoppiò a ridere uno dei compagni vicino a lui, «Non vedi che così la spaventi? Non ci sai proprio fare con le donne, lascia fare a me» le mise un braccio dietro le spalle costringendola a fermarsi. Si dimenò immediatamente e finalmente li guardò in faccia uno per uno.
Alzò il cellulare all'orecchio e li minacciò nonostante il trucco già umido ai lati degli occhi.
«Provate ad avvicinarvi un'altra volta o anche solo a toccarmi e giuro sul mio cazzo di nome che vi faccio andare in galera» mostrò il numero sul display e molti alzarono le mani. Alcuni di loro socchiusero gli occhi irritati e la beffeggiarono.
«Non avresti nessuna prova in merito. Ci siamo solo noi piccolina, nessun testimone. Solo noi e tu» iniziò a tormentarla psicologicamente e nel mentre avanzò in modo furbo. Moon sembrava trovarsi in un abisso confuso, incapace di pensare per colpa della paura e l'ombra sembrava averlo capito.
Provarono ad accerchiarla. «Forza tesoro, chiama pure. Ci metteranno quindici minuti per arrivare a Itaewon e nel frattempo saremo già a sbronzarci in un altro posto, mentre tu patirai il freddo qui da sola. Senza nessuno che ti potrà realmente aiutare»
Mancavano pochi passi, le avrebbero rubato il cellulare da dietro le spalle se solo un forte rumore di scarpe non fermò il tutto. Il viscido tizio si imbatté in un paio di occhi freddi, travisanti di lampi rabbiosi e iracondi.
«Penso che una persona possa bastare come testimone, non credi anche tu? Lurido pezzo di merda»
Le ombre ai lati di Moon sparirono e Jimin le fu immediatamente dietro, tant'è che la ragazza riconobbe senza fatica la voce del vecchiaccio del club e, senza alcuna coscienza, si lasciò andare contro il petto dell'uomo. La schiena scivolò su di esso e lui fu immediatamente scaltro e circondarle la vita con un braccio, sfiorandole la tempia con le labbra.
«Credevamo fosse sola, amico» mentì con voce innocente, «Ci stavamo divertendo tutti quanti, anche lei. Vero tesoro?» Moon rabbrividì, fissandosi la punta rosa degli stivali. Da dietro le spalle, all'altezza della testa, Jimin le scoccò un'occhiata preoccupata per poi riportare l'attenzione sul tizio.
Uccidendolo con lo sguardo.
«Certo. Lo vedo» asserì ironico. «Vi conviene sparire prima che chiami seriamente la polizia e il proprietario del club, con le telecamere già pronte da portare davanti a un giudice» li avvisò.
Si levarono lamenti e imprecazioni contro il ragazzo, ma per non avere altre beghe con la polizia gli diedero ascolto. Mentre l'ultima ombra, rimasta a fissare con uno sguardo inquietante quei due, se ne andò per ultima. Con lentezza e una risata bassa e malata che riecheggiò fra i muri.
Dopo che furono spariti, Jimin cacciò fuori tutta l'aria che aveva trattenuto nel corpo e Moon, silenziosamente, si aggrappò ancora di più al braccio stretto in vita con le sue mani. Stringendole fortemente.
Jimin le fece la solita domanda di circostanza: Stai bene?
Alla quale Moon annuì un po' più tranquillità.
«Grazie» disse, staccandosi dal suo braccio per guardarlo. Jimin si passò una mano sul volto sfinito e si guardò l'orologio sul polso. Mancava mezz'ora e sarebbe stato il suo compleanno ma poco gli importava; aveva davanti a sé una minorenne che sembrava essere uscita da un MV di Ariana Grande e sprovveduta di qualsiasi morale.
Ma intercettò i suoi occhi semi lucici e stremati, credendola ancora più bella con i glitter argento e viola leggermente sciolti ai lati, e in qualche modo assurdo, si fece passare l'arrabbiatura.
«Seguimi, usciamo da questo posto» le ordinò con un cenno di capo. Moon annuì e iniziò a seguirlo standogli a fianco.
«Hai il numero di qualcuno?» le domandò. Scosse la testa. «Ho provato a chiamare la mia amica ma... non ha mai risposto perciò credo che sia occupata» gli spiegò. «Nessun altro?» chiese ancora.
Moon ripensò a Yoongi; ma era meglio lasciare perdere.
Negò ancora e Jimin si passò la mano dietro il collo, facendo tintinnare la collana di Chanel con gli anelli.
«Io... posso chiamare un taxi per tornare a casa» propose, per niente convinta. Jimin la guardò in altrettanto modo e disse: «Sai quanto è lontana la prima postazione dei taxi in questo quartiere?»
«Quindi dovrei tornare a casa a piedi?»
«Non sono io lo sprovveduto qui, quindi il sarcasmo non te lo puoi permettere»
Moon incrociò le braccia al petto e mise il broncio. «Allora, visto che fra i due la sprovveduta sono io, potresti accompagnarmi tu a casa, no?» Per poco Jimin non si strozzò con la propria saliva. «Io!? Ma se neanche mi conosci! Potrei essere come uno di quei maniaci che voleva adescarti, sciocca ragazzina!» la voce si acutizzò.
Non le avrebbe mai fatto del male. Il suo problema più grande — per assurdo — sarebbe stato quello di mascherare una dolorosa erezione ogni volta che quella piccola stronzetta pericolosa l'avrebbe guardato con l'assurda voglia di mangiarlo.
Non era il momento, cazzo.
«Non mi hai dato l'impressione di essere un maniaco quando prima hai declinato la mia offerta» gli ricordò mettendolo con le spalle al muro. «È solo un passaggio, vecchiaccio. Cosa vuoi che accada?»
Meglio che tu non lo sappia — pensò Jimin, trovandosi la ragazza in rosa appicciata al suo fianco.
«Va bene! Ti riporto a casa ma vedi di muoverti e specialmente,» le raccomandò, «cerca di stare zitta fino a destinazione, pensi di riuscirci o per te è troppo difficile?»
«Stupido vecchiaccio» sibilò irritata, dalle sue prese in giro. Credeva che gli adulti fossero più melliflui e accondiscendenti con le ragazzine (sottintendendo l'essere viscidi) ma quell'uomo sembrava provare solamente del sarcasmo.
Tacque mentre lo seguiva lungo le discese di Itaewon fino al raggiungimento di un parcheggio sotterraneo. Vide il moro tastarsi le tasche anteriori ed estrarre le chiavi dell'auto; fecero qualche passo e il suono della sicura sbloccata risuonò. Moon aprì la bocca e boccheggiò come un pesce fuor d'acqua davanti alla vernice lucida, nera con pigmentazioni violacee, che copriva una Tesla sportiva. Ricordò di aver visto un auto simile in un nuovo drama thailandese, chiedendosi se il vento fra i capelli e rimbombo sotto i lombi provocassero davvero così tanto piacere come nei film.
«Stai scherzando vero?»
«Mmh?» la guardò confuso mentre Moon indicò l'auto.
«Questa è tua?»
Jimin ruotò gli occhi al cielo e alzò le chiavi. «Macché. Ho trovato queste chiavi nel cesso del club e sono andato in un parcheggio a caso, trovando magicamente l'auto»
«Tu non devi avere molti amici vero?»
«Sbrigati e sali» ordinò, ancora più nervoso per essere stato punto dritto nell'orgoglio da una ragazzina. Lei scorse il fastidio sul viso e ghignò soddisfatta, aprì la portiera dell'auto mal calcolando l'altezza del sedile — più basso del solito. Ignorò completamente l'ultimo dettaglio e incollò il culo al sedile, senza badare alla gonna, di finta pelle rosa, che mano mano saliva lungo i fianchi.
Le mani del ragazzo strinsero il volante in modo meccanico, così come la cintura di sicurezza e lo specchietto retrovisore fisso da mesi. Lo mosse ugualmente per cercare una scusa, un qualsiasi pretesto possibile per non guardare le gambe della ragazzina o la piega del top leggermente abbassato sul cinturino in vita.
Moon era dannatamente bella, persino per la sua morale. Si diede dello stupido: sembrava seriamente un depravato mentale che non scopava dal Medioevo.
«Dove ti porto?» domandò, mise in moto e dei led offuscati, viola e blu — incisi fra i separatori nel quadro del veicolo e ai lati delle portiere —, illuminarono l'abitacolo. Il rumore. La potenza del suono e del carburante furono eccelsi da trecento sei Cavalli e un rischio scatto di 0-100 km/h in pochi secondi.
Moon si incantò davanti a quella magnificenza.
Uscirono dal parcheggio privato; Jimin chinò appena lo sguardo sulla telecamera frontale, installata sulla sbarra d'uscita all'entrata, e mostrò il viso in modo da farsi riconoscere. La sbarra si alzò senza che lui dovesse mostrare tessere o quant'altro. Scioccò il collo in modo del tutto illegale, risaltando ancor di più l'affilata mandibola simile a una tagliola. Lei si ritrovò a osservare quel profilo come un pezzo di carne e per pure coincidenza divina, la voce Dua Lipa si sollevò in mezzo a loro.
Il moro rifece la domanda: «Allora?»
Di getto, e senza pensare, Moon si risvegliò: «How about we leave this party? 'Cause all I want is you up on me»
L'auto sbandò. «Cosa hai detto?» sbarrò gli occhi il moro e Moon squittì imbarazzata. Indicò frettolosamente il mega display della Tesla, come a giustificare la coincidenza, sorvolando i desideri della sua vag—
«Il testo! Amo questa canzone»
Corrucciò lo sguardo e capì solo adesso che la radio fosse accesa con la playlist attivata. Mandò a cagare Dua Lipa e ingoiò un groppo di saliva rimasto attaccato alla gola dopo un "cause all I want is you up on me" esordito in modo mellifluo e sfacciato.
«Ah si, non me n'ero accorto» borbottò.
Dopo aver attivato il navigatore, con la via inserita sullo schermo, tutto sprofondò in un noioso silenzio. La ragazza stava mantenendo la parola data togliendo la soddisfazione al vecchiaccio riccone ma dovette prostrarsi con tutte le forze per non addormentarsi sul finestrino.
L'ansia di una stupida email spam la fece andare nel panico, credendo che suo padre o suo fratello la stessero cercando. Diavolo, sibilò con una mano sul viso.
«Qualcosa non va?» chiese incuriosito, senza staccare gli occhi dal Banpo Bridge. Moon si abbracciò per darsi sicurezza. «No. Va tutto bene, pensavo fosse mio padre o mio fratello. Pronti a scagliare la loro ira su di me» spiegò con un po' di imbarazzo. Jimin alzò le labbra in un sogghigno.
«Il motivo?» azzardò. Lei diventò ancora più rossa. «Potrebbero... non essere al corrente di questa serata fra ragazze» ridacchiò nervosa.
Scoppiò a ridere, avendosi fatto prima le sue conclusioni. «Seriamente ragazzina: quanti anni hai?»
«Perché dare risposta ad un vecchiaccio flaccido, antipatico e scorbutico senza nome?»
«Te la sei proprio legata al dito»
«Si chiama educazione» ribatté rapida. Ma l'altro fu più sveglio. «La stessa educazione che hai tralasciato quando ti sei posta a me prima onorifico, giusto? Stai parlando di quella?»
La castana tacque immediatamente, costretta a sentire la sguainata risata di quell'assurdo uomo, bello quanto idiota. Non poteva negare di esserci rimasta male quando prima, al What, l'aveva snobbata e rimessa a cuccia come una malata di sesso o peggio, con la scusa della sindrome dell'uomo maturo. Non si era mai fatta problemi a flirtare davanti a un piacere, medesima cosa per del sesso occasionale per ingannare la noia. Però doveva essere sincera con sé stessa: non sapeva ancora i suoi anni ma non si era mai spinta, con l'interesse, verso un uomo più grande di lei.
Le sue erano state frequentazioni mediocre; ragazzi della medesima età senza alcun cenno di maturità in testa. Credeva che il periodo dell'adolescenza, incastrata negli anni del liceo, mutasse una volta per tutte con la fine della pubertà. Mentre in realtà, ai corsi della Yonsei, si ritrovò davanti al secondo volume delle teorie neurologiche nel quale vi era un capitolo dedicato alla maturità. Esso sottilizzava in grassetto che in realtà — con grosse ripetizioni ortografiche per il povero quieto vivere delle vittime dei casi umani —, neurologicamente parlando, nessuno poteva considerarsi realmente maturo fino ai venticinque anni. Sbatté la testa sul volume, alto almeno tre dita, dopo la spiegazione sulla corteccia prefrontale ancora non del tutto sviluppata e sui suoi processi decisionali inadempiuti, spingendoci incontrollatamente — in parole povere — a fare cazzate imprudenti.
Specialmente i maschi.
Perciò il fatto che provasse un'attrazione fisica per un uomo ricco, senza rughe e zero capelli bianchi, o non bambinesco e deficiente, le creava una sorta di euforia. Troppa euforia, notando quanto le bruciasse il distacco del possessore della Tesla. In più, per colpa di Yoongi e di quella quasi aggressione da parte della gang, sentiva seriamente il bisogno di staccare la testa o avrebbe vomitato per concitazione.
Quindi, per non pensare alla sfilza di problemi che arriveranno dopo, dovuti alla tua negligenza, credi che scopandoti uno sconosciuto possa farti sentire meglio? Ah giusto. Di cui non sai neppure il nome e con una età presumibilmente discutibile.
«Puoi—Puoi fermati per favore?» la sua richiesta fu arricchita da una dose di sofferta implorazione. Sentì la gola pizzicarle e le palline di bile bussarle oltre la lingua. Lo sguardo di Jimin mutò drasticamente e la guardò preoccupato. «Non posso fermarmi qui, se aspetti un secondo imbocco l'uscita e—»
«Sto per vomitare»
Il piede forò pericolosamente l'acceleratore e con un sorpasso multiplo, oltre la linea continua, superò quattro macchine in meno di sei secondi rischiando seriamente il ritiro della patente. Moon si aggrappò instabilmente alla portiera e urlò per tutto il tempo.
Sorpassata la coda e schivato un camion nella corsia opposta, Jimin uscì dal ponte per imboccare una strada nel pressi del Banpo Bridge. Neppure la fermata fu una delle migliori, tant'è che Moon ringraziò la cintura di sicurezza avviluppatosi al busto.
Lo fulminò, voltando violentemente la testa verso di lui. «Ti ha dato di volta il cervello!? Sei impazzito!?Potevamo schiantarci contro una macchina o peggio! Spalmati sul guard rail d'uscita!»
Jimin staccò la cintura e staccò gli occhi dal fiume. Valutando quanto fosse sicura quella strada in mezzo al nulla e al buio. «Impazzito!? Stavi per vomitarmi in macchina!»
«Esistevano altri modi per risolvere la cosa! Invece abbiamo giocato a fare fast and furious a due metri da un camion!»
Jimin ribatté con durezza. «Certo. Come vomitarmi in macchina!? Non solo non avrei accettato l'idea della mia auto imbrattata del rigurgito di una bambina insolente» continuò alterandosi al pensiero, «Ma avrei rischiato di fare altrettanto perché sono sensibile a quello schifo e forse sì, stupida ragazzina, allora avremmo seriamente rischiato di spalmarci contro la coda di macchine!»
Moon si ritrovò improvvisamente con lo stomaco sigillato e la gola secca; persino la bile era stata risucchiata davanti a tanta aridità. Abbassò lo sguardo spaurita e gli occhi divennero inevitabilmente lucidi, ma non scese una lacrima perché non voleva mostrarsi ancora più ridicola di quanto già non sembrasse dall'esterno. Sapeva che in mezzo alla ferocia di quelle parole c'era della verità. Il Banpo Bridge era stato ristretto ai lati della carreggiata per nuovi lavori di manutenzione e ogni fermata e sosta — tranne per motivi seriamente urgenti con addetti specializzati — era severamente vietata.
Jimin avrebbe rischiato di sentirsi male alla vista, essendo di stomaco sensibile, e allora avrebbero veramente corso dei grossi rischi. Ma la velocità, così come un sorpasso del genere, non era stata ugualmente la scelta migliore. Si era spaventata e il nervosismo aveva straripato dalla sua bocca, parlando a sproposito.
La ragione le suggeriva di chiamare ugualmente un taxi e andarsene definitivamente, dimenticando quella orrenda serata e quell'uomo senza nome. Moon, però, era testarda e per amore dell'orgoglio crepato, come un affresco, decise di togliersi la cintura e scendere dall'auto. Si sarebbe arresa chiamando Jun e Yoongi.
Il moro non era cieco; gli occhi lucidi lo colpirono fin troppo e si sentì un vero pezzo di merda. Aveva continuato a prenderla in giro, chiamandola addirittura stupida ragazzina dopo uno spavento del genere e reduce, tra l'altro, da una semi aggressione di gruppo. La vide chinare lo sguardo e mordersi le labbra carnose, si levò la sicura e aprì lo sportello senza parlare. Forse aveva bisogno di aria, pensava, ma si ricredette quando la vide camminare in direzione dei lugubri piloni del ponte.
Scese immediatamente e si mise a seguirla. «Ohi! Cosa stai facendo!?»
Non rispondeva. La vide tremare dal freddo.
«Ragazzina fermati, non scherzare!» ordinò imperativo ma vide quel tenero bagliore rosa affievolirsi nel buio.
Jimin rinunciò all'orgoglio, avvicinandosi felino al suo corpo per afferrale un braccio. Prima che Moon potesse ribellarsi dalla presa sentì la sua voce, bassa e non più arrabbiata, pregarla.
«Scusami»
Rimase ferma. Non si girò.
Vide che aveva la sua attenzione e ne approfittò per scusarsi. «Io— Ho sbagliato il modo e il tono», il pomo d'Adamo tremò, «Dovevo capire che ti eri spaventata e che sei stanca, per questo ti chiedo di non fare pazzie per colpa di uno stupido con la luna storta. È vero, non ci conosciamo e non avrebbe senso fidarsi di uno sconosciuto, ma non lascerei mai una ragazza da sola, al freddo, a quest'ora della notte e in una zona come questa»
Parlò con voce dolce e pulita. «Moon» Non l'aveva più chiamata ragazzina e la stava pregando di tornare in macchina con lui. «Vieni, andiamo—» chiese ma venne interrotto.
«Vengo con te... Solamente se mi dici il tuo nome» a quel punto, Moom, si girò a guardarlo; aveva ancora gli occhi un po' lucidi, insieme ad un sorriso sbarazzino. Jimin la guardò scioccata e le lasciò il braccio per stringersi i capelli sulla cute. Scosse la testa e provò a nascondere un sorrisino divertito.
Era incredibile.
«Jimin. Mi chiamo Jimin»
«Jimin, eh?» ripeté avvicinandosi al corpo del maschio, «È sicuramente meglio di vecchiaccio»
Il moro arretrò lentamente, senza smettere di guardarla e infilò le mani nelle tasche.
«Come se fossi così vecchio... Ho solo ventotto anni» ammise, contento di vedere il dispiacere affievolirsi e sparire dalle perfette linee del viso di Moon. Lei incrociò le braccia e iniziò ad avanzare verso la macchina con intrepidazione. Mettendo da parte il dispiacere come faceva ogni volta.
«Ventotto? Da come ti sei descritto sembrava che fossi sposato con tre figli, Jimin» lo schernì, sentendosi comunque un po' in soggezione davanti ai suoi anni. Avevano quasi nove anni di differenza e il periodo peggiore, dove tale divergenza poteva tramutare in un problema, era proprio la sua, quella di Moon.
Attratta dal fascino maturo, gli anni sulle spalle e... l'esperienza.
«Se mi permetti» la conversazione continuò non appena entrarono in macchina, «Credo che sia naturale sentirsi un po' fuori luogo in compagnia di una ragazzina minorenne. Non mi hai ancora detto quanti anni hai» chinò il capo all'indietro, sul sedile e riposò la testa.
Il display segnava la mezzanotte passata ed era ufficialmente il suo compleanno, ma non voleva che nessuno interrompesse, per nulla la mondo, quel momento ultraterreno. Erano alle appendici di un fiume al buio e nel silenzio, riscaldati da un filo di riscaldamento per la pelle nuda di Moon e con le membra assopite.
Tante erano le cose successe in una sola notte. Una notte lunga, infinita e unica. Erano arrivati a discutere, per poi pentirsi e mostrare lati di un carattere nascosto.
«Ne ho diciannove» sussurrò, anch'ella si accoccolò al sedile su un fianco, «Fra qualche mese farò vent'anni. Non potrai più chiamarmi ragazzina»
Jimin chiuse gli occhi, sentendola ridacchiare con la sua voce bassa e liscia. Sembrava che avessero unito la voce di Scarlett Johansson e quella di Seo Ye-Ji, per poi averle fuse in una unica e impiantarla nelle corde vocali di Koo Moon. Era così letale...
La giovane si perse e guardare il volto rilassato di Jimin, con le guance calde si concentrò ad accarezzare con lo sguardo le labbra umide e lucide del moro, schiuse appena ad ogni singulto della prominenza sul collo. La mandibola era tirata e flessa contro le ossa del viso, a tal punto che le ombre sembravano fare l'amore con le macchie di luce lunare, mischiate al viola soffice dei neon della Tesla.
L'aveva visto. Gli era piaciuto subito.
Azzardò. Allungò un dito e si fermò a qualche centimetro dalle sua labbra, così soffici e invitanti al tatto. Tremava; vide la falange esitare e con essa il suo coraggio, troppo innamorata di quella vita e la perfezione di ciò che non aveva mai avuto per non farlo; troppo innamorata di quella macchina; troppo innamorata dei suoi occhi e le sue labbra; troppo innamorata dell'illusione che stava creando nella sua testa.
Troppo innamorata di qualcosa che non esisteva.
E lo fece: allungò la falange e toccò la morbida pelle turgida delle labbra. Jimin sbarrò gli occhi e trattenne il respiro senza muoversi, forse Moon si sarebbe aspettata che lui la cacciasse via per avere oltrepassato il suo spazio, invece non disse nulla. Né fece niente per farla smettere. Moon aprì meglio la mano e iniziò ad accarezzare tutto il perimetro, dai capelli, alla fronte, fino al naso perfetto.
«Anche se farai vent'anni rimarrai sempre e comunque una ragazzina vestita in rosa» sussurrò sopra la sua pelle, divenendo moribondo quando le dita si allontanavano. Moon si morse le labbra piene di rossetto e disse: «E tu rimarrai lo stesso un vecchiaccio a ventotto anni»
«Sono ventotto da pochi minuti, è ora il mio compleanno»
«E volevi festeggiarlo con i tuoi amici al club? Vuoi tornare da loro?»
Scosse la testa, senza smetterla di guardarla negli occhi, assottigliando lo sguardo com'era solito a fare per trasmettere imbarazzo e soggezione al prossimo. Ma Moon avvertì un enorme calore diramarsi sul viso e sul tutto il corpo, chiuse le gambe e strofinò le cosce eccitata.
La mano di Moon scese sul mento e si avvicinò alla collana scintillante; il tocco freddo del metallo, sulla pelle, fece arrivare i brividi sul collo del maschio, temporeggiando poi sulle clavicole.
«Moon...» esalò Jimin, in seria difficoltà. Quasi supplicante purché smettesse, perché se avesse continuato, forse, non sarebbe riuscito a tenere le mani e la lingua apposto. «Fermati» deglutì.
«Vuoi davvero che mi fermi?»
No.
«Non è questo... Ma sai che non è giusto»
«Hai qualcun altro?»
«Non ho nessuno. Non ti avrei mai fatta salire altrimenti»
«Allora perché?»
Soffrì. Il dito solleticò la pelle scoperta dal primo bottone e aveva perso ogni ombra di timidezza.
«Perché sì. Perché a quest'ora dovresti già essere a casa senza che tuo padre ti scopra. Perché sei stata spaventata da un gruppo di figli di puttana con le mani troppi lunghe e non sei lucida. Abbiamo iniziato a urlarci addosso dopo quasi un incidente. Perché io ho quasi trent'anni e tu non sei neanche maggiorenne. E perché non saprei perdonarmelo»
Moon allontanò la mano. Mise a terra la pochette con delicatezza e si tirò su col busto, allungando prima una delle sue lunghe gambe magre e sode per scavalcarlo, la gonna salì inevitabilmente su oltre le creste dei fianchi e Jimin scorse l'ombra pericolosa del suo inguine.
Si calò sul bacino, accettando il tocco del velluto liscio che ricopriva il volante e assaporando le mani, circondate dal ferro degli anelli e dei bracciali, ai lati dei fianchi. Senza spingersi oltre e lui, il moro dallo sguardo perforante, mise a freno le sue voglie.
Ansante e fatale, Moon, si avvicinò con un sorriso ammaliante. «Mi concedi di essere la prima a farti gli auguri e a rendere il tuo compleanno, veramente speciale?»
«Moon hai sentito quello che ho detto poco fa?»
«Sì Jimin, ti ho ascoltato. Le tue sono tutte motivazioni che ti impediscono di lasciarti andare e la cosa mi sta dando fastidio. Hai una ragazza che ha il culo premuto sopra il tuo cazzo e nonostante lo percepisca affamato, deduco che io non sia affatto il tuo tipo. Dovevo intuirlo prima: non ti piaccio»
Dio, solo Min Jun sapeva quanto fosse brava a rigirare le cose a proprio favore.
«Cazzate. Sai benissimo che non è per... Quello» ribatté, non riuscendo a trovare le parole giuste.
«Quindi ti piaccio? È questo che stai cercando di dirmi? Se fosse stato così mi staresti già scopando» lo stuzzicò. Jimin stava perdendo la pazienza: era sempre più tentato.
«Smettila Moon! Dio! Non dire cose che non ho detto: hai diciannove anni e io—Mmh» grugnì frustrato, «Non è corretto» esalò sfinito.
Moon però iniziò a strusciarsi, sentiva il sesso suo premerle in mezzo alle cosce e sembrava dolergli.
«È corretto se vogliamo entrambi la stessa cosa» gli sussurrò vicino all'orecchio.
Jimin scattò. Le afferrò la coda senza farle male, portando le ciocche di capelli verso di lui in modo da poterla vedere negli occhi. Scorgendo un desiderio infinito e tanta ingenuità da parte di una ragazzina. «Fai i capricci? Stai insistendo» sussurrò serio, ma il tono fu rauco. Sfacciata, toccò la punta del naso con la sua e sfiorò la fronte.
«Allora dimostrami il contrario, che non mi vuoi davvero»
«Perché devi essere così ottusa, cazzo»
«Perché sei un ipocrita» mise le mani sotto il mento del moro, «E perché amo prendere ciò che mi piace»
Moon fece finalmente scontrare le sua labbra contro quelle bagnate e succubi di Jimin; il moro chiuse gli occhi esitando, il cuore prese a battergli fortemente contro il petto e scambiò quelle sconosciute sensazioni con del timore.
Ipocrita; le mani scattarono sopra i fianchi e strinsero la vita sottile di Moon, esse volarono sapientemente sulla finta pelle della gonna, oltre il retro, fino a raggiungere i glutei divaricati della castana. Ipocrita; le dita raggiunsero le cosce e i rilievi dell'intimo di pizzo. Ipocrita; il sapore dei suoi baci, la lingua con l'acidulo retrogusto di alcol e fumo e il calore dei loro liquidi lo mandava in estasi.
Ipocrita; il cuore fremeva per il senso di colpa.
Ipocrita.
Sono un fottuto ipocrita, ringhiò contro le labbra spezzate, gustandosi i rivoli di rossetto calare giù dai lati. Tirò ancora la coda dei capelli all'indietro, Moon emise un gemito inaspettato e lussurioso da quella presa di posizione. Spinse il volto di lato e i baci saporiti di Jimin passarono come impronte dalla bocca al collo, succhiando avidamente la sua pelle perfetta fino alle clavicole sporgenti.
«Jimin...» mugugnò accaldata e al contempo addolorata dalla lingua che risucchiava e marchiava le zone erogene. Aveva mandato al diavolo i suoi buoni propositi, accantonando una volta per tutte le catene che controllavano il suo istinto animale.
«Solo questa notte, Moon» si staccò, prendendo fiato e avvisarla, «Concediamoci solo questa notte, smetterò di essere ipocrita e tu una ragazzina che va in giro troppo svestita, dopodiché sarà giorno e torneremo alle nostre vite»
Io alla mia.
Tu alla tua.
Divisi e ipocriti.
Ridacchiò come una gatta. «Non ti piace come mi sono vestita? Sembri un padre geloso»
«Sì, mi piace. Ma solo se ti lasci scopare dentro la mia macchina, sennò puoi rimetterli dentro l'armadio»
Moon scoppiò a ridere e nel mentre iniziò a slacciare i bottoni della camicia del suo vecchiaccio. «Allora sono tutta tua, e ti conviene sbrigarti papino, abbiamo solo questa notte per liberarci dall'ipocrisia» gli ricordò, chiamando con quell'orrendo nomignolo.
«Non chiamarmi così» le ordinò, liberandosi della giacca in modo che lei potesse sfamare il suo sguardo e le mani ingorde sul suo petto e sull'addome definito. Abbronzato e decorato da qualche tatuaggio sul costato.
«Così come? Daddy?» domandò ironica, ma le risa durarono pochi secondi perché le mani di Jimin le affermarono il top per abbassarlo e scoprirle il seno, nutrendo la propria lingua lunga con i suoi capezzoli rosso scuro.
Tirò le appendici turgide e arrivò ad affondare le mani dentro la sua pelle, massaggiando il suo seno perfetto con parsimonia. I vetri della macchina divennero immediatamente appannati e intorno a loro c'era solo la notte a guardare. Stronza e silenziosa, davanti all'istinto famelico di pelli e sesso.
Schiacciò il seno contro il petto di Jimin e gemette al contatto bollente. Lui la strinse a sé, più vicina e abbracciandola per gustarsi il candore del suo corpo, così come i battiti accelerati e la pelle bruciare per lui. Strofinò la fronte sudata contro il suo collo e sospirò.
Moon affondò le unghie fra i capelli corvini del moro e ridacchiò fra gli ansimi. «Per questa notte sarai il mio finto sugar daddy, penso di meritarmelo dopo il tuo due di picche»
Jimin alzò il volto per guardarla. Parlava mentre lui la guardava ammaliato. Sentendosi agitato; dispiaciuto che dopo quella notte non si sarebbero più rivisto. Ma sarebbe stato meglio così, per entrambi.
Lei non faceva per lui, così come lui era lontano anni luce da lei.
«Assolutamente no. Ti vieto di chiamarmi in quel modo» rispose sprezzante, ghignò quando le dita si intrufolarono sotto la gonna per rimuoverle gli slip dopo che alzò i fianchi per aiutarlo. Una volta rimossi li fece roteare sul dito, percependo il tessuto zuppo e umido sul palmo, ficcandosele poi nella tasca del suo pantalone cosicché non le avrebbe perse fra i sedili.
Nel dubbio le lasciò addosso la gonna, tirandola semplicemente su, in modo che la sua intimità restasse nell'ombra ma ugualmente esposta. Con lo sguardo le chiese il consenso per continuare, ricevendo immediatamente un sibilo d'addenso e affondò le dita in mezzo al fiore bagnato. Le dita trafficarono sulla carne con movimenti lenti e circolari. Moon provò a schiudere le cosce ma non ci riuscì, le gambe di Jimin fecero leva sotto i suoi glutei: più lui continuava ad allargarle per sprofondare sul sedile e Moon si ritrovava a graffiare le spalle nude del maschio.
Successe tutto in fretta; nella foga della passione e del peccato, scivolarono sulla viscosità plasticata di un profilattico preso poco prima da Jimin, allungatosi con il braccio in direzione del cruscotto, ribaltando sui sedili il contenuto della scatola con dei cuori rossi disegnati sopra. Non pensò al macello che aveva appena fatto, ignorò persino la risata sbarazzina di Moon per quella mossa poco agile.
Era troppo occupato a liberare il cazzo dai pantaloni, respirando sollevato quando la pelle umida, dalle gocce di pre cum, tediò l'aria circostante donandosi sollievo. A tal punto che Moon lo guardò vogliosa, leccandosi involontariamente le labbra senza sembrare troppo volgare, sfidandolo sensualmente con lo sguardo. Jimin gemette solo con esso, la sua forza e la pressione esercitata dalle iridi completamente scure lo fecero tremare.
Capiva che la ragazza voleva dominare. La loro sarebbe stata un'unica notte... Poteva anche concederglielo.
Vide il glande arrossato sparire, seguito immediatamente dalle vene cerulee, entrambi ricoperti dal profilattico fino allo squarcio di stoffa che soffocava i lati del suo apparato. Moon fece leva sulle spalle ampie del moro, sollevando il bacino con le ginocchia e abbassandosi lentamente sulla punta. Jimin l'aiutò da sotto con la mano destra, indirizzando la sua erezione nel mezzo delle cosce bagnate. Si sentì teso e eccitato; non si sarebbe goduto il momento fino a quando l'espressione arricciata di fastidio, sul faccino di Moon, sarebbe scomparso.
«Non è la tua prima volta vero?—» domandò agitato.
Moon lasciò un sospiro, sciogliendosi, scivolando giù fino ai fianchi. «No. È solo passato un po' di tempo dall'ultima volta che ho fatto sesso» ammise imbarazzata. Voleva sembrare una donna matura, esperta del mondo erotico, ma sentire come il suo corpo dovesse abituarsi alla presenza troppo ingombrante del moro la faceva regredire come una verginella.
Jimin colse il suo imbarazzo, ebbe un accenno di ripensamento. Le afferrò comunque il viso, stringendolo con dolcezza. «Non mi muovo Moon. Fino a quando non ti sentirai sicura di continuare, dimmelo se ti faccio male», vide i suoi occhi addolcirsi: doveva essere la prima volta che sentiva parole di premura durante un rapporto.
Poteva capirlo; gli adolescenti erano mine vaganti e avevano troppi ormoni in testa per mettere al primo posto il rispetto del corpo altrui. Sperando che prima o poi quella fase sparisse, ma questa ultima parte mise dei seri dubbi a Jimin: se faceva dei paragoni con gli approcci di Kim Seokjin, il mondo delle maniere maschile — over trenta — era prossimo al decadimento umano.
«Non c'è bisogno—» insistette incredula e caparbia.
Jimin la interruppe severo. «C'è bisogno. C'è sempre bisogno, Moon. Non sei una bambola gonfiabile o un buco per scopare. Facciamo sesso per stare bene e se i cazzoni adolescenti che hai frequentato sono stati troppo idioti per capirlo e rispettarti allora dovresti cambiare genere»
Il cuore di Moon perse un battito.
«Allora cambierò genere»
«Già, dovresti» rispose, nascondendo il fastidio.
«E quale mi consigli?» ammiccò. Lui ruotò gli occhi al cielo, trattenendo un forte "il mio" e rispose: «Sicuramente uno più maturo e con del cervello»
«Sembrava quasi che volessi indirizzarmi verso di te, papino»
«Hai finito di parlare, ragazzina?» esordì infastidito.
Sentendosi vincitrice, si tuffò per baciarlo e la tensione scese. Le mani del moro presero ad accarezzarle ogni zona erogena del corpo, l'avvertì muoversi e dondolare sopra di lui. Sentì la sua erezione stringersi, presto ricoperta dai liquidi caldi del suo interno, cullata da una serie di spasmi che piovevano da ambedue le parti. Affondò una mano sulla linea dei glutei, strizzandoli famelico e si inoltrò fino il fondo, incontrando il perfetto incastro del suo cazzo nascosto dalla vulva, avvicinandosi poi pericolosamente ai lati di essa e sfregando le falangi sulle labbra schiuse.
Moon dovette nascondere il viso nell'incavo del collo di Jimin, annusando e leccando la pelle lucida e salata, troppo presa delle spinte ritmate degli affondi sempre più forti e frequenti. Sussurrava. Ansimava. Richiamava il suo nome con dei bassi gemiti e Jimin l'ascoltava, le spostava la coda dal viso per poterla leggere meglio ogni volta che si fondeva col suo corpo. L'avrebbe ascoltata per tutta la notte, a costo di consumare ogni preservativo sparso per il sedile.
E ad interrompere quel magico momento fu la fastidiosa suoneria del suo cellulare, intrappolato nei pantaloni calati giù oltre le cosce. Continuò ad ignorarlo per ben due volte ma alla terza Moon, gli consigliò di rispondere mentre gli baciava il collo.
Ringhiò frustrato, affondando il retro del capo sul poggia testa, portandosi il cellulare sull'orecchio.
«Sono occupato» disse, senza nemmeno guardare il mittente.
«L'avevo intuito porca puttana!», era Taehyung, «Dove cazzo sei finito!? Ti stiamo cercando da quaranta minuti, ti abbiamo tempestato di messaggi, lo spettacolo con le ballerine è stato annullato ed è il tuo fotttuto compleanno! La linea non prende e dopo minuti interminabili mi rispondi con "sono occupato"!?»
Moon sentì ogni cosa per via del tono alto e ridacchiò divertita, si avvicinò al lobo opposto per stuzzicarlo. «Non rispondi?» domandò retorica, con ì denti mordicchiò l'orecchio impreziosito da più anellini argentati e stuzzicò il lobo. Jimin la fulminò immediatamente.
«Sì— Ho avuto un imprevisto!» l'ultima parola si acutizzò perché Moon riprese a muoversi sopra il suo membro, senza però fermare la tortura del lobo. Le artigliò il fianco: gliel'avrebbe fatta pagare.
«Quale imprevisto?»
Vedeva solamente i seni ambrati di Moon andare su e giù a pochi centimetri del suo viso, la ragazza prese a mugugnare quando la mano stretta sul fianco si fece più intensa.
«Un grosso imprevisto» non riuscì a trattenere un gemito e Taheyung, fuori dal locale con il cellulare in mano e un dito premuto sull'altro orecchio per recepire meglio la voce dell'amico, cambiò espressione. Da furiosa divenne impertinente e maliziosa.
«Oh mio Dio ma stai scopando!» urlò, fregandosene dei passanti che lo guardarono male.
Jimin divenne immediatamente rosso e Moon non poté non ridere. Taehyung la sentì: «Sì. Sì. Sì! Cazzo sì! Stai seriamente scopando!» affermò ridendo, piegandosi in due.
«TAEHYUNG!» lo richiamò infastidito, «Smettila di chiamarmi e vatti a fare un giro, cazzo!»
«Va bene. Va bene, dirò agli altri di non chiamarti perché hai altro da fare» idiota, sibilò Jimin, «Beh! Allora non mi rimane che farti gli auguri di buona scopata e di buon complea—» chiuse immediatamente la chiamata, spegnendo il telefono per poi lanciarlo nel retro, senza alcuna esitazione.
Un'altra parola e avrebbe seriamente ammazzato Taehyung. Tornò a guardare quella maledetta ragazzina che se la rideva tranquilla, ancorata al suo corpo, sudata e fradicia.
«Sai che dopo questa te la farò pagare, vero?»
«È tanto strano se trovo la tua minaccia ugualmente eccitante?»
Jimin ghignò pericoloso; il ragazzo agguantò la vita di Moon con un braccio per non farla allontanare e contemporaneamente fece scivolare il sedile di pelle all'indietro. Moon urlò, sbattendo la guancia sul petto e le uscì in seguito un singhiozzo, scaturito dall'erezione ormai già rinvigorita dentro di lei.
«Allora vedrò di farti cambiare idea, ristabilendo immediatamente dei nuovi ordini» soffiò sul suo viso; una ciocca di capelli, scura come il legno, cadde, scivolando letalmente sul dito del moro, tediando infine la pelle più callosa e mascolina con i fili dei boschi.
Moon si portò una mano fra i due corpi nudi appoggiandola sopra le clavicole di Jimin, si abbassò su di essa per appoggiarci il mento ed infine lo guardò rapita. Mentre tutto intorno a loro si zittiva fra le acque scure del ponte e i fari stroboscopici del vistoso quartiere di Itaewon. Trovando riposo sul suo collo, dimenticandosi di tutto il suo mondo e i pericoli diretti, accantonando nel dimenticatoio le raccomandazioni di Jun, il temperamento di Yoongi e il sonno leggero di suo padre.
Tutto sarebbe caduto al secondo posto, fino al sorgere dell'alba e alla luce che avrebbe illuminato di pentimento e imbarazzo i loro corpi, così come le azioni. Lei sarebbe tornata a studiare per gli esami che le facevano passare l'appetito e Jimin, sul retro di una scrivania, a compilare scartoffie avrebbe affiancato il proprio padre in qualche meeting in azienda.
Ora era notte e Moon non voleva pensare; guardava quell'uomo più grande di lei di quasi otto anni, un tentatore dallo sguardo guardingo e l'orgasmo gridato e la pelle profumata di rose: le andava bene così. Sorrise, dimenticandosi di chi fosse lei e delle scelte compiute fino al disfacimento delle loro ipocrisie.
Continuava a guardarlo, accoccolata al suo petto, mentre la sua mano navigava barcollante lungo la spina dorsale. Innamorata di quel mondo inesistente.
Jimin tremava, la baciava e la scopava.
Ormai il tempo dell'ipocrisia era finito; i vestiti sparsi ai loro piedi erano prossimi alla realtà, portandoli a prodigarsi verso un vuoto nuovo e immaturo. Le mani che accarezzavano pigramente il capo di Moon e, appoggiato sul suo corpo non più caldo, sapevano che prima o poi avrebbero smesso di vorticare fra la marmaglia di fili morbidi, sciolti e liberi.
La ragazzina avrebbe dato un ultimo bacio alla sua pelle ambrata, all'altezza del cuore, allo stacco di un battito dall'altro, poi si sarebbe rivestita dei suoi abiti rosa; gli stivali legati appena sotto il ginocchio, avrebbe legato i suoi capelli in una crocchia disordinata e dormito sul finestrino della Tesla, con il trucco colato angelicamente — della pioggia viola sotto gli occhi chiusi — fino al giardinetto poco curato di casa sua.
Avrebbe guardato quegli occhi vividi e umani per l'ultima volta; li sentiva mentre scendeva nel silenzio imbarazzata con la giacca di Jimin che la copriva dal freddo e dal pallore delle cinque di mattina. La osservava indecifrabile, mentre avanzava sotto il tetto del piccolo pergolato della villetta insieme alla giacca che svolazzava sotto le ginocchia.
Era la follia di una notte, ardente quanto il fuoco ma veloce come uno d'artificio. Ti folgorava nell'immediato e poco dopo spariva fra le nuvole del suo stesso corpo.
E così fu Koo Moon per Park Jimin.
Abbagliante, fino a sparire.
Sarebbe andata così, immaginavano il mattino stretti ancora nei loro peccati, sì... Sarebbe andata sicuramente cosi.
Abbagliante e meschino fu l'artificio, lasciando dietro di sé il ritorno nel falso e della cecità. Ma per quanto possa sparire e spegnersi nella notte, esso è destinato a bruciare nell'astro della fine, in modo che la mano posata sul petto, all'altezza del cuore, bruciasse ancora senza fuoco.
Perché l'artificio era questo. Moon era questo.
Amava lasciare il segno.
«Buon compleanno, vecchiaccio»
___________
Fine prima parte!
Hello! Come state???
Non so che cosa vi aspettavate con questa storia ma ne vedremo delle belle! Come vedete Jimin non ha quarant'anni o sessanta HAHAHAHA però ho voluto ugualmente sottolineare la differenza d'età che, a parer mio specialmente in quella di Moon, è ancora molta. Sono anni particolari nel quale vuoi provare ancora molte esperienze e indipendenza, ma in modo diverso dall'adolescenza, e affrontare in relazione con in persona di trenta può non essere così semplice! Basta pensare anche al fattore figli; a ventotto anni potrei prendere l'idea di sentirmi pronto per avere una famiglia mentre la mia compagna ne ha diciannove o non so, e non si sente pronta. Pensa che sia troppo presto.
Può succedere, sono incongruenze che si incontrano normalmente anche con la stessa età quindi figuriamoci con quasi dieci anni! Ma ogni amore e coppia è a sé! Se c'è l'amore e il rispetto io farei solamente un applauso e un grande augurio di felicità ❤️
Non ho voluto inoltrarmi molto con la scene di sesso perché ne arriveranno altre, più corpose e...singolari😅👀
-Moon! Vi piace? È una ragazza particolare; sa di essere bella ma ha altre doti e non si ritiene così tanto sexy come la nominano (è na figa assurda) Farà un sacco di danni! Appena ha visto Jimin ha pensato che non poteva farsi scappare un fighetto ricco del genere.
-Jimin non farà la parte del bello e impossibile. Ha un estremo senso dell'ironia (fin troppo) ed è restio al sesso con Moon nonostante sia stata una delle notti più belle della sua vita. Si sente in colpa il minchione eh🧘♀️
Non andrò oltre per mantenere la sorpresa, fatemi sapere se vi è piaciuta la prima parte❤️❤️
Alla prossima
❤️🌸❤️
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