ɪ'ᴍ ɪɴ ᴘᴀɪɴ ꜰᴏʀ ɪᴛ.










𝐒𝐄𝐑𝐈𝐄𝐒:
𝐈 𝐠𝐨𝐭 𝐢𝐭 𝐟𝐫𝐨𝐦 𝐦𝐲 𝐬𝐮𝐠𝐚𝐫 𝐝𝐚𝐝𝐝𝐲
🥀

















ꜱᴜʀᴘʀɪꜱᴇ









Lunghe ripetizioni di borbottii fecero capolino nel piccolo tavolino imbandito di frappé e altre schifezze americane, mentre una delle due ragazze non era che la degna colpevole di quegli sbuffi. A ridosso delle sopracciglia corrucciate sulla faccia di Moon, così come il suo piede ballerino impegnato a fare un buco sul pavimento dal nervoso, Jun non poté che avvertire del cupo astio provenire dal corpo della sua migliore amica.

«Allora?» ridomandò, facendole staccare gli occhi dal cellulare, «Hai deciso? Vieni a casa mia questa sera?»

Moon:

"Quindi ci sei? Stasera mi passi a prendere o no?"

Moon alzò gli occhi pensosa, mangiucchiò il bordino del pollice sul pelo delle labbra carnicine. Diede un'ultima occhiata al display dopo che una nuova notifica illuminò la chat di KakaoTalk.

Jimin:

"Ho avuto un contrattempo. Scusami ma non riesco, rimandiamo a un'altra sera?"

Moon socchiuse gli occhi, maledicendolo.

Moon:

"Che tipo di contrattempo?"

Vide Jimin visualizzare immediatamente il messaggio ma per rispondere ci mise un'eternità. Sbuffò alterata alla vista dei tondini che fluttuavano sotto il is typing, una ricorrenza orrenda che le ricordava il periodo da stalker su Instagram dove alla fine Jimin non rispondeva mai, tuttavia le sue paure scemarono alla vista del messaggio.

Jimin:

"Di lavoro."

Cent'anni per scrivere un messaggio e mi liquida con una preposizione semplice e un nome comune? Sei proprio un coglione Park Jimin, fattelo dire.

«Ci sono» rispose a Jun sottotono, «Sono tutta tua» ficcò il cellulare in borsa e si attaccò alla cannuccia del suo milkshake con un bisogno disperato di affogare la delusione sulle calorie. Jun non poté non guardarla in modo strano: «Perché quella faccia? Dovevi solo cenare con Han e non è la prima volta che ti da buca» dichiarò ignara.

Moon allargò le labbra in un finto sorriso barcollante: già, era una persona orribile.

Da quando Moon e Jimin avevano iniziato a frequentarsi di nascosto erano passati all'incirca due mesi e nessuno dei due aveva avuto il coraggio di dirlo ai fratelli Min. A differenza delle moltitudini seghe mentali di Jimin, con le quali continuava a mentire a Yoongi, Moon ne aveva solo una. Non riusciva a dirlo a Jun perché era consapevole che lei le avrebbe fatto subito un pericoloso terzo grado con tanto di: te l'avevo detto io!

Perché quel te l'avevo detto era l'ultima parola che voleva sentirsi dire dopo esserci tornata a letto insieme dal compleanno di Yoongi, sperando nell'arguta maturità del trentenne nel decidersi, una volta per tutte, sulla loro relazione. Si sentivano, si vedevano frequentemente e facevano sesso, come le coppie normali.

Ma loro non erano ancora una coppia, figuriamoci normali.

E se fosse stato per Moon, che credeva persino nel fidanzamento unilaterale senza che Jimin dovesse per forza acconsentire alla relazione, si sarebbe buttata a capofitto fra le braccia del corvino. Pensava a lui costantemente e iniziava ad avere paura; l'interesse che aveva nei confronti di Jimin cresceva a dismisura e se da un lato toccava il cielo con un dito, quando assaporava le labbra al gusto di zucchero filato, dall'altro sapeva che questa instabilità era uno strazio. Il suo cuore era già stato spezzato da un male imparagonabile a quello di un amore perduto, ma ormai si stava affezionando ed era abbastanza conscia che quella fiamma bruciante dentro il suo petto avrebbe potuto incendiare ogni cosa.

Persino se stessa.

Ecco com'era arrivata a strisciare la guancia annoiata nel bar di un centro commerciale nei dintorni di Myeong-Dong, venuta a trovare suo cugino — il venditore di creme naturali — sotto il venticello di inizio stagione. In meno di trenta minuti le mani di Jun pullularono di buste piene di cosmetici e creme anti age, mentre quelle di Moon erano troppo impegnate a ciarlare digitalmente su Kakao Talk con il futuro CEO della Solter.

Non riuscì a mascherare a dovere la visibile delusione che le invecchiava il viso; Jimin voleva portarla fuori a cena, per la prima volta, dopo settimane di cibo d'asporto e lavoro intenso, con l'intenzione di mostrarle uno dei suoi ristoranti stellati preferiti. Le volte che erano riusciti a vedersi, nell'arco di una quindicina di giorni, si potevano contare sulla punta delle dita e quell'invito a cena le era sembrato un miracolo divino.

Qualche secondo dopo Jun, con nonchalance, le chiese se invece avesse voglia di fare qualcosa fra ragazze quelle sera: cibo spazzatura e qualche shottino alcolico.

Lì per lì, come scusa, le disse che quella sera avrebbe avuto una cena con suo fratello ma una strana sensazione, tipica del sesto senso femminile, la fece allarmare fin troppo perciò, prima di declinare immediatamente l'offerta di Jun, si appropinquò a scrivere a Jimin per avere la sua totale conferma. E invece di conferme ricevette una bella e grossa bidonata.

«No no sto bene! É da tanto che non ci vediamo ma avremo altre occasioni» mentì per non farla preoccupare e incrociò le braccia sul seno: «Saremo solo noi due?»

«Minhee ha da fare e Lee ha la fronte piena di lividi per le punture di acido ialuronico, non vuole farsi vedere in questo stato. É lecito»
«In quale stato? Come un membro della carica dei 101?» ruotò gli occhi sarcastica, «Quanto mi dispiace»

Jun ridacchiò sotto i baffi, si stiracchiò le gambe snelle per alzarsi dal tavolo. «Sei sempre così dura con lei» Moon rilasciò una risatina secca e finta: «Ti sbagli, potrei fare di peggio in sua presenza ma sto imparando a limitarmi perché qualcuno, senza fare nomi e cognomi, vuole esserle amica»

La colpevole fece spallucce caricandosi sulla spalla, emulando le vip di Beverly Hills, cinque buste larghe e rettangolare di prodotti per il corpo. Se non fosse stato per il suo metro e sessanta e il naso a patata stampato Min, Moon l'avrebbe scambiata per uno dei sette nani di Biancaneve. E il dondolaticcio che provocavano le suole di gomma delle sue sneakers, di marca anonima, confermavano solamente la sua teoria.

«Non é così male, se ci pensi al liceo era peggio»
«Abbiamo davvero frequentato la stessa scuola io e te?» domandò seria, anzi, sconvolta per quel richiamo al passato, obbligato fin da subito a rimanere sepolto. Ma al mondo esistevano persone come Min Jun a farteli spolverare con i giusti traumi. La bionda, nel suo taglio sbarazzino, emise una risata. «Non sto scherzando!»

«Questo lo dici tu!» insistette, «É facile creare relazioni con persone che non ti odiano senza motivo»
L'altra tentennò: «É solo gelosa, prima o poi le passerà»
Moon ghignò sarcastica, perdendosi nelle lampadine brulicanti di luci sul portone d'uscita del centro commerciale. «Ah, come doveva passarle dopo che quello stronzo l'aveva lasciata; o come quando abbiamo avuto i test per l'università; o il suo primo intervento di liposuzione e—»
«Moon dai—»
«E quando, finalmente, si era trovata uno scopamico che non mi avesse lasciato il numero! Milioni di occasioni avute nel corso di anni e quante di queste hanno avuto successo, Jun? Avanti»

L'altra sospirò, sapendo alla perfezione di non poter ribattere arrivata alla resa dei conti.

«Nessuna, Moon, nessuna»

Soddisfatta per avuto ragione anche questa volta, tirò fuori il cellulare temerariamente e intercettò in qualche secondo la chat con il bastardo della Solter. Digitò alla svelta la pericolosa emoticon che usava solamente per le riposte di un certo tipo: risposte stronze o seccate. Proprio come lo era lei in quel momento.

Altamente seccata. E altamente stronza.

«Vedi?» si abbassò dalla fronte gli occhiali da sole, alzando ancor di più il petto e il capo, «Io ho sempre ragione, Jun» disse, uscendo insieme a lei dall'edificio mentre il simbolo di visualizzazione al messaggio comparì nell'instate sulla chat.

Chat che non avrebbe riaperto per tutta la serata.

Moon:

👍🏻 "

Un brivido freddo e glaciale percorse la schiena di Park Jimin quando i suoi occhi videro quell'emoticon. Il pollice, d'abitudine, lo usavano gli ultra quarantenni come riposta sicura, per tenersi lontani degli orribili errori grammaticali che continuavano a portarsi dietro dopo anni di tecnologia.

Ma sapeva che il pollice, se usato fra adolescenti e persone della sua età, specialmente se inviato da una minorenne con possibili attacchi isterici, alla quale piaceva tanto vestirsi di rosa, era un'azione tutt'altro che normale. O positiva. Significava l'inizio — per Jimin — dell'inferno e il moro poteva già sentire sulla pelle il bruciore del fuoco che Moon gli avrebbe sparato addosso non appena si sarebbero rivisti.

Sospirò. Doveva aspettarselo; aveva rimandato all'ultimo un appuntamento fissato antecedentemente di una settimana, dopo giorni che non si vedevano e che non si toccavano come sentivano sempre il bisogno di farlo. Molto probabilmente gli avrebbe rigato la macchina o peggio: astinenza da sesso punitiva.

Forse se lo sarebbe meritato, così avrebbe imparato a dire di no e basta a Yoongi, con le sue trovate da nerd del cazzo dell'ultimo secondo.

«Sapevo che saresti stato dei nostri questa sera» esordì Yoongi, camminando con le spalle ricurve e rilassate sul marciapiede. Jimin lo fulminò da dietro le spalle del più piccolo, sperando di forargli quella testa troppo grande per il suo collo ristretto. «Lo sapevi perché me l'hai chiesto fino alla nausea, minacciando, addirittura, di togliermi dalla squadra se non avessi partecipato a questo fottuto torneo!» sbottò adirato, Taehyung gli scosse la spalla sussurrandogli: «Non te la prendere, fa così perché pensa di rientrare fra qualche anno al Valorant Champions Tour. Dagli qualche speranza»

«Vaffanculo Taehyung, le mie non sono speranze ma certezze! Io farò parte di quel torneo, prima o poi, con o senza la nostra squadra» dichiarò fiammante Yoongi, aprendo la porta al suo squadrone di uomini che puzzavano ancora di sudore e lavoro d'ufficio. Tutti tranne Jimin, l'unico ad essersi volutamente lavato e depilato, ancora colante di lozioni balsamiche, per fare ritardo.

É inutile che ora ti incazzi, dovevi dire di no dal principio!

«Che clown» scosse la testa Jungkook dal primo gradino della rampa, «Pensi davvero che gestendo una casa, una sorella e un lavoro a Seoul che ti prende circa dodici ore al giorno avresti il tempo per ottenere lo slot in Master 2 dopo le qualificazioni delle regionali? A questo punto comprati l'oculus rift porno, così scopi in qualche modo, visto che intraprendo questa strada ficcherai nel duemilamai»

«Oppure» Yoongi cercò di rigirare le parole di Jungkook a suo favore, «Entrando nelle qualificazioni guadagnerò tanti di quei soldi per fare il cazzo che mi pare e farmi chi mi pare, perché fidati: arriverò a scopare più di te» Jungkook gli lanciò un'occhiata scettica da un gradino di distanza, tenendosi sul corrimano d'acciaio.

«Io scopo prevalentemente poco secondo gli standard di Taehyung ma ciò non vuol dire che quel poco sia realmente insufficiente» constatò stanco, imprecando dentro di sé dopo che la combriccola, minuti prima, venne avvisata con un foglio attaccato sull'ascensore bloccato per il mancato servizio. E i ragazzi dietro di lui non si fecero mancare gemiti di sofferenza e annaspi bovini, maledicendo Yoongi e il quinto piano del suo appartamento. «Assurdo poi, speri in un mare di figa e ancora non sei riuscito a vedere quella di Moon neanche col binocolo. Roba da matti»

Jimin, dopo quell'affermazione grezza e incosciente da parte di Jungkook, si gelò sul posto. Chiuse la bocca e i denti così forte da stringerli contro la mascella, producendo dentro la sua testa un orrendo suono di morte. E Taehyung, sul suo stesso gradino alla quarta rampa di scala, ci mancò poco che scivolò sul marmo del pavimento. Guardò il più basso, vicino a lui, e si accucciò al fianco delle ciocche corvine del CEO per borbottare.

«Ti prego, non dirmelo...» mitigò poco il tono di voce, «Non dirmi che ancora non glielo hai detto» domandò, consapevole della risposta deludente che presto — o mai, sperò in cuor suo Taehyung — avrebbe ricevuto. Difatti un mugugno di fastidio e codardardaggine venne sbandierato dalle labbra di Park Jimin.

«Non ho avuto tempo» si giustificò a bassa voce e senza guardalo.
«Cazzate! Te la scopi da quasi due mesi e ancora non gli hai detto la verità!?» insistette furente; a Taehyung non piaceva essere ripetitivo, mentre Jimin odiava quando gli altri gli dicevano che cosa doveva: gli bastava suo padre.

«Non, ho, avuto, tempo» scandì bene, al limite della sopportazione. Continuava a sentire i commentini di Yoongi e Jungkook: su quanto il primo facesse il casto nei confronti di Moon, quando in realtà avrebbe passato le ore ad accarezzarle le gambe appisolate sul suo grembo o a farci sesso, raccontando segretamente a Taehyung dei sogni proibiti sulla ragazza.

Non esiste: Yoongi doveva togliersela dalla testa. A urlare e decretare tale imposizione, non era altro che la parte gelosa e egoista che sbucava ogni morte di papa dagli abissi di Jimin. E Yoongi non era così stolto come Seokjin credeva: se parlava poco e niente di Moon, solo con Jungkook e Taehyung, un motivo c'era e Jimin iniziò a captarlo.

«Io e Moon ci siamo visti pochissimo perché ero sommerso dal lavoro, figurati trovare un buco per Yoongi, perciò scusami se non ho avuto tempo per frantumargli il cuore!»
«Sai benissimo che hai solo paura di dirglielo» non ascoltò una parola, «E immagino che persino lei non abbia detto nulla a Jun»

Yoongi digitò il pin dell'appartamento e attese il beep d'apertura, dopodiché spalancò la porta per fare entrare Jungkook. Sentì ciarlare dalla penultima rampa di scala e vide Taehyung, insieme a Jimin, a scannarsi sotto voce.

«Ehi voi due!» affondò i gomiti sulla ringhiera e inclinò il capo; i due in basso lo guardarono: «Mi dispiace interrompere questa fugace dichiarazione troppo gay e, diciamocelo, too much persino per voi due. Lo é anche per il lato bisessuale che riserbo solamente a Cillian Murphy, ma il punto é che fra meno di mezz'ora dobbiamo essere inscritti a quel cazzo di torneo, quindi» fece finta di guardarsi l'orologio sul polso e disse, «Abbiamo poco tempo, sbrigatevi a salire questa rampa di merda o vi vengo a prendere io. A scopo informativo: non vi consiglio la seconda opzione»

Taehyung, dal basso, si fece scappare un rumoroso gorgoglio dal pomo d'Adamo, Jimin chiuse gli occhi sbuffando e scosse la testa, pieno di quella situazione e dei suoi amici. Pieno anche di Valorant.

A pochi metri più in su, Moon guardava la sua migliore amica sbracciarci sulla sedia alla ricerca di qualche rimasuglio di cibo. La prima continuava a guardarla scettica, alterata e affamata: chi diavolo invitava a cena degli ospiti senza il mangiare?

Jun, ovviamente — stese il collo all'indietro, stessa cosa le pupille degli occhi.

La sedia sulla quale la bionda era appoggiata ballava, cascavano briciole e pacchetti di ramen vuoti dalla credenza, mentre le imprecazioni accompagnavano i richiami severi del maggiore sull'uscio ormai aperto. Moon era troppo stanca per salutare Yoongi e quel figo stratosferico del suo amico da lontano, perciò rimase a fissare le piccole chiappe della sua migliore amica dondolare sulla cucina.

Se Jun non avrebbe tirato fuori una pizza da qualche buco l'avrebbe strozzata in pochi secondi.

Potrei mangiarmi Jun — pensò, tornando a guardare le ombre che aumentavano dall'entrata.

«Jun! Sei tu?» urlò il fratello con la bocca schiusa, Jun tirò la testa fuori dalla credenza e rispose: «E chi sennò!? In questo buco di merda viviamo solo io e te!» tornò dentro la credenza e vi cacciò una vecchia trappola per le termiti alimentari.

Si scatenò una grossa risata roca e profonda, fermata immediatamente da uno schiaffo sordo sulla coppa di Taehyung da parte di Yoongi. «Finiscila di ridere, coglione» ringhiò a bassa voce, ma non abbastanza da non farsi sentire dalla bionda. Abbandonò la ricerca e si mise in equilibrio sulla sedia: «Yoongi, c'è qualcuno con te?»

Persino Moon venne catturata dalla curiosità e attese l'ascesa della padrona di casa per andare da Yoongi. «Sì Jun, i soliti. Rimangono a cena qua»

Moon, nell'esatto momento in cui entrò nel campo visivo dei ragazzi, si sentì incendiare da un fuoco imprigionato secoli e secoli da freddi ghiacciai. Scorse una testa mora avviarsi verso le schiene dei suoi amici, solito ritardatario nello sciogliersi le scarpe firmate con cura e ciabattare con arguta eleganza da ricco viziato in mezzo alla sala, al fianco di Taehyung. E pregò — per lui — che quella capigliatura scura e lucida fosse appartenuta, in realtà, a qualche altro membro di quei trentenni ricchi e sottosviluppati. Perché se solo avesse visto un'accenno di Park Jimin lo avrebbe fatto fuori, sciolto nell'acido e, infine, decapitato.

«Moon! Jun non mi aveva detto che restavi a cena... Avrei fatto la spesa» rimproverò con lo sguardo la sorella attaccata al frigo pieno di calamite. Questa alzò le spalle: «Ci sei tu! Ordinerai le pizze per tutti quanti, problema risolto, visto?»

Al nome appena proferito dalle labbra del maggiore dei Min, Jimin ci mise qualche secondo a connettere cervello e sistema motorio, tant'è che rimase a fissare la porta dell'appartamento come unica via d'uscita. Sono ancora in tempo — cercò le scarpe, pronto a fuggire — forse non mi ha visto.

«Jimin che ci fai ancora impalato davanti alla porta? Meno venti minuti al torneo, ti sei scordato!?» Jimin chiuse gli occhi e abbassò il capo sconsolato: Yoongi l'aveva appena condannato a morte.

Prese aria e si girò lentamente verso i suoi amici e, destino fin troppo beffardo, ci fu un varco apposta affinché Moon ne restasse al centro. E la vide lì, in mezzo a quella sala diventata troppo piena e rumorosa, era immobile vicino al muro che separava il cucinotto e lo guardava con le braccia incrociate sul seno. Il suo sguardo era...

«Torneo?» inclinò il capo, ponendo quella domanda generale senza mai distogliere quel ghigno sadico, crudele e perverso, celato da un meraviglioso gloss trasparente, al codardo che giocava a nascondino dietro Taehyung.

Difatti, il riccio, sbirciò il suo capo da oltre la spalla per capire che diavolo stesse facendo lì dietro, finì per guardare davanti a sé e osservare Moon, trovandola con un piede pronto a forare il cemento del palazzo e le unghie che scarnificavano le sue braccia, pezzo dopo pezzo.

Per l'amore del Cielo, Jimin che cazzo hai fatto ora... — la mano si rasentò sul viso, premendosi i pollici sulle palpebre.

Yoongi, ignaro di sguardi e ginocchia tremanti dal parter maschile, fu felice dell'interessamento della ragazzina. «Parteciperemo a un torneo di Valorant»

Valo-che!? — Jun intercettò lo sguardo ignorante di Moon e le disse, semplicemente, che era un videogioco. Ma Jungkook, offeso fino al midollo per quella sintetica presentazione di uno dei suoi giochi preferiti, non si fece problemi a fare il puntiglioso: «Valorant é uno sparatutto tattico, per essere precisi, avete presente: uccisioni in prima persona, armi da fuoco e tanti round di vincita? Tutto questo, sviluppato per Microsoft»

«Ragazzi é venerdì sera» borbottò Jun, «Siete al limite del neolitico, non avete nient'altro da fare? Tipo uscire, sposarvi, procrearvi o che ne so, morire con una puntura sul braccio?»

«Giusto! Potrei vestirmi e truccarmi per assomigliare a Jynx dei Pokémon proprio come fai tu ogni volta che esci» ribatté Yoongi, guadagnandosi da parte della sorella un bel "vaffanculo" con il dito medio. Ma Moon non rise a nessuna delle due battute della famiglia Min, anzi, gli unici a non ridere erano lei e Jimin.

Approfittò di quel chiacchiericcio ormai consueto in quella casa per afferrare il cellulare davanti agli occhi del moro. Le dita silurarono lo schermo così forte e deciso che Jimin, quasi, o per suggestione, riuscì a sentire ogni lettera della tastiera, fino al punto di chiusura. Lo inviò e il messaggio arrivò dritto alla tasca del moro, vibrando come un messaggero dell'oltre tomba, il quale veniva a cercarlo per comunicargli la sua ora.

Avvicinò il braccio sul quadricipite e afferrò il suo dannato iPhone per sbloccarlo, aprendo Kakao Talk e leggere quale tortura avesse scelto per lui.

Moon:

"Faticoso questo contrattempo di lavoro."

Il ghigno non accennava a sparire e nonostante il sorriso finto che tirava su, ogni volta che incrociava lo sguardo di Jun, o di qualsiasi altra persona presente nel suo campo visivo, non era abbastanza per distogliere l'attenzione dal suo sguardo. Jimin vi leggeva una follia assassina, mischiato a del dispiacere che non avrebbe mai fatto uscire fuori neanche sotto tortura e fastidio. Tanto, tantissimo fastidio per essere stata bidonata per un fottuto torneo di un videogioco.

Ma il problema non era Valorant, era giusto che anche lui avesse i suoi hobby così come lei aveva i suoi, ma la cosa che non riusciva a digerire era la stronzata. Gli aveva mentito, Moon non gliela avrebbe fatta passare così liscia.

Jimin:

"Mi hanno obbligato."

Moon:

"Le manette che porti dietro la schiena devono far male, ah no, che sbadata, non le hai :)"

"Perciò racconta poche cazzate, grazie:)"

Dopo quel messaggio al povero uomo, sigillato fra le schiene dei suoi compagni e una porta ormai chiusa da un demone viandante della palazzina, non rimase che produrre una smorfia dolorante e infastidita sulle labbra caramellate. Discutere con lei era l'ultima cosa che voleva e il senso di colpa lo stava logorando maggiormente.

Si ritrovò a sospirare e camminare in concomitanza con la mandria che produceva scie di ormoni e sudore, capelli fradici e vestiti spiegazzati. Yoongi era andato alla ricerca di ognuno di loro, asfissiante quanto una busta di plastica legata in testa, solamente per accrescere le potenzialità — e possibilità — di raggiungere quelle stramaledette selezioni mondiali, e per fare che ciò accadesse — perché non si fidava neanche un po' della sua squadra — aveva fatto in modo che Jungkook, il giorno prima, preparasse il suo computer in casa Min.

Perché sì — santo cielo —, era un gioco programmato, comodamente se potesse dire la sua Jimin, per collegarsi virtualmente e giocare ognuno a casa propria senza avere l'obbligo di vedersi a quattrocchi. Yoongi avrebbe preferito tagliarsi un braccio e gettarlo in pasto a una tigre, piuttosto che fidarsi della connessione di Taehyung o delle assenze ingiustificate di Jimin, in sintesi, la camera del maggiore dei Min pullulava — da più di quarantotto ore — di cavi, cuffie da streamer, una quarantina di monitor e ripetitori così potenti da sciogliere la pelle come batterie radioattive esportate da Chernobyl nell'86.

Tutto questo, per un torneo di normo categoria di Valorant con in palio circa seicento quarantanove mila won (quasi cinquecento dollari americani). Montepremi che sicuramente avrebbero perso dopo qualche round contro un paio di tredicenni giapponesi o mariti divorziati norvegesi.

I computer in totale erano tre e facevano a rotazione con il più scarso a cecchinare ogni tot round, ovvero Taehyung, mentre Jimin, con il telefono nascosto fra le cosce sempre più spesse, per via dei circuiti aumentati dell'ultima sessione di allenamento perche Moon amava un casino quelle coscette di pollo abbronzate, sembrava sempre di più a passo dalla disperazione.

Moon visualizzava apposta ogni messaggio di Jimin senza rispondergli, aveva passato una buona mezz'ora a mandargli papiri con l'intento di giustificarsi e scusarsi per la bugia. Ma Moon non aveva voglia di sottostare ancora per molto a quella indecisione: era irritata, lo era eccome, ma sentiva che la bugia decantava solamente una piccola percentuale del suo fastidio.

Forse, pensò, poteva dipendere dal fatto che Park Jimin era un eterno indeciso e molto prima donna quando doveva prendere certe decisioni, posticipando alla fin fine il giorno in cui avrebbero dovuto decidere che cosa farne di quell'accozzaglia di sentimenti.

Se stare insieme, in breve, o farsi un cocktail di analgesici dopo essersi mollati, molto probabilmente se Jimin avesse deciso di chiudere con lei lo avrebbe accettato con tanto dolore e maturità — tuttavia, per vendicarsi, arriverebbe a farsi persino i suoi migliori amici. Tutti, ovviamente, tranne Yoongi.

Le nove scoccarono silenziose sul quadrante appeso al salottino di Jun, entrambe stavano stese e scosciate con almeno una gamba a testa appoggiata sulla tastiera del divano. Le bocche erano schiuse e gli occhi erano lucidi e rossi, il buio della stanza si spaccava in due solamente dalle immagini del televisore al plasma, mentre la musichetta country di Footloose, in The Umbrella Academy, portava a muovere usualmente anche e piedi a chiunque ascoltasse quella canzone.

Insomma, tutti tranne Moon e Jun, due zombie che respiravano faticosamente sul divano di casa.

All'improvviso, Moon, mosse la bocca borbottando: «Mi sto annoiando»
«A chi lo dici...»
L'ennesimo urlo di vittoria da parte del complesso di mister maglietta bagnata fece rigirare gli occhi a entrambe. «Non dovevano essere loro ai limiti del neolitico? Guarda noi!» si guardò con giudizio, giudicando poi persino la macchia di maionese sul pantalone di Jun, «A morire di fame il venerdì sera, guardando serie tv affinché il messaggio "Stai ancora guardando" non arriva a ricordarti che sono passati novanta minuti, facendoci sentire delle vere sfigate perché a novanta dovremmo essere noi dopo il primo episodio e non Netflix, cazzo!»

«Che ci vuoi fare» ribatté la bionda, con un braccio sotto la guancia e il seno destro schiacciato sul cuscino, «Se accendessi la torcia la sotto volerebbero i pipistrelli» e miagolò nostalgica, riesumando col pensiero l'ultima scopata risalente a più di un anno fa, con un irlandese pieno di lentiggini a Itaewon.

Moon tacque morsicandosi la lingua, a quest'ora doveva essere a guardare Seoul da un ristorante stellato e mangiare cibo intercontinentale e bevendo vino bianco, mentre Jimin le sorrideva pacifico dall'altro lato del tavolo, pronto a spogliarla in pochi secondi appena raggiunto il suo appartamento fra pomiciate e preliminari. Erano uno, due, tre...

Spalancò gli occhi: una settimana e mezzo che non si vedevano! E per come era fatta la sua dolce lei — là sotto, fra tube di falloppio, grandi e piccole labbra — bastavano pochi giorni per ritrovarsi i nidi di ragno e balle di fieno rotolanti.

«Avevi detto che avremmo bevuto, tanto» calcò bene l'ultima parola e Jun, in quel silenzio chiacchiericcio digitale e le profonde imprecazioni asrm di Kim Taehyung, ebbe una smozzicante idea.

«Sai che c'è?» si alzò col busto, guardando Moon negli occhi e piantandole il culo a pochi centimetri dalla faccia, «Usciamo»
Spostò le chiappe della bionda. «Cosa?»
«Ho detto: usciamo. Perché no?» si mise a sedere, «Solo io e te, senza Minhee e Lee fra i piedi e senza ragazzi» lanciò un'occhiata alla porta chiusa del fratello.

La proposta era allentate; l'idea di prendersi una serata solamente per loro due era buona, almeno si sarebbe distratta dal malumore che provava ogni volta che sentiva la voce dell'uomo, per cui provava una grossa ossessione, inalzarsi e distinguersi fra quelle dei suoi amici. E, diversamente dal solito, ora era alterata e graffiante, con qualche richiamo baritonale e grottesco. Era un tono che usava quando era nervoso, stressato e eccitato con megalomani tendente alla dominazione a letto, cosa che non avrebbe più avuto per un bel pezzo...

«A che ora arrivano le pizze?»
«Fra» Jun guardò il display, ghignò, «Dieci minuti»
«Ceniamo e poi subito a vestirci, voglio il top che ti ha regalato Leya l'anno scorso» la bionda annuì senza problemi, «No problem, quel top sta meglio a te che a me, almeno hai un po' di tette»

«Nah» si toccò il seno per convincerla, facendole vedere che invece erano normali e sode, «Sono piccole anche le mie, sembrano più grandi perché stanno su» le arrivò un cuscino dritto in faccia dopo un borbottio lagnate.

«Sempre la preferita di Dio...»


















ɢᴇᴛ ᴡʜᴀᴛ' ᴍɪɴᴇ, ᴛᴀᴋᴇ ᴡʜᴀᴛ' ᴍɪɴᴇ
ɪ' ꜱᴛᴀʀ, ᴄᴀᴜꜱᴇ ɪ ꜱʟᴀʏ





Il modo in cui Min Yoongi camminava in prima linea, al fianco del furente Jeon Jungkook, seguito subito dopo da un Kim Taehyung sudato e Park Jimin sfinito, ma contento di essere sopravvissuto fino alla fine, richiamava fin troppo il cammino della vergogna inflitta, come punizione, alla regina Cersei Lannister in Games of Thrones. Peccato che nessuno di loro fosse nudo, anzi, avevano fin troppi vestiti addosso e facce affamate.

Jun, al passo flemmatico del fratello, era sempre più convinta che in realtà quel demente fosse stato adottato e partorito da una famiglia di Bradypodidae (bradipi). Ai piedi delle sue ciabatte gli lanciò un pacco vuoto di biscotti e spazzatura varia, non potendo emulare la scena madre di GOT — lanciandogli addosso escrementi e pomodori — si accontentò delle cartacce degli avanzi.

«Guarda, guarda» gongolò, apparecchiando il tavolo con l'aiuto di Moon e schernirli, «Allora? Questo torneo?»

«Abbiamo perso» dichiarò Taehyung, senza peli sulla lingua. «Ma dai, non mi dire» Moon si mise una mano davanti alla bocca, adocchiando Jimin con il suo ghigno vittorioso mentre lui, appoggiato col bacino sulla tastiera del divano e le braccia conserte, la fissava in continuazione.

In volto aveva un'espressione strana e indecifrabile: si sentiva strano, si trovava in una cena di gruppo con la ragazza per cui aveva una cotta colossale e i suoi migliori amici, senza dimenticare che fra essi c'era Yoongi. I sentimenti che Yoongi provava per Moon riusciva a percepirli nello sguardo del maggiore dei Min, così come le mani che, per trascinare la sedia in direzione del grembo, tremavano e le guance, rosse e calde d'imbarazzo, facevano intenerire persino il più bastardo dei bastardi.

Era dannatamente geloso, talmente tanto che quando vide Yoongi, aprire il suo cartone della pizza per sedersi vicino a Moon, trattenne il respiro e le vene sulle mani si ingrossarono, ostruite dal sale e dal veleno.

Lei sorrise cordiale, ignara delle vere intenzioni di Yoongi e gli fece tranquillamente posto in quel tavolo fin troppo claustrofobico. Le spalle fecero un balzò all'ingiù dopo che vide tutti quanti appollaiati sulle sedie a scambiarsi birre, rutti e polpettine di granchio fritto. L'unico posto rimasto era il solito vicino al suo compagno d'avventura, un riccio troppo occupato a mangiarsi con gli occhi la biondina con le guance piene di pizza.

Lo stomaco di Moon sembrava essersi chiuso e svegliato col piede sbagliato, gorgogliava alla vista di un paio di avambracci nudi e scoperti, limitati dalle pieghe di cashmere firmato Prada, flessi e irrigiditi per trascinare la sedia davanti a sé e crollarci sopra.

I capelli mori cascarono sulla fronte e Moon percepì le gambe dell'uomo spalancarsi per starsene fresco come una farfalla, in quella posa indecente, poco educata e... Fottutamente eccitante da, quasi, convincerla a far cascare le posate a terra e scomparire sotto il tavolo. O meglio, fra le sue cosce.

La risata di Jun, alla battuta di Jungkook, sembrò risvegliarla da quella fantasia troppo osé per un contesto del genere, perciò provò a concentrarsi sulla pizza ma un dettaglio, evidente e ben visibile, la colse impreparata.

Abbassò lo sguardo per entrare nella loro chat, ignorando per l'ennesima volta i papiri di parole senza farsi vedere da Yoongi, seduto al suo fianco.

Moon:

"Ti sei tagliato i capelli?"

Il cellulare del moro era stato abbandonato vicino al cartone della pizza e prese a vibrare rumorosamente, Jungkook inarcò le sopracciglia nell'esatto momento in cui Jimin alzò appena lo schermo per leggere il mittente. «Wow Jimin, hai degli ammiratori che ti scrivono a quest'ora?»

L'altro alzò gli occhi al cielo: «Sono le nove e mezza, mica le due di notte» A Jungkook brillarono le pupille. «Non hai negato però, ti stai sentendo con qualcuno?»

Tutti quanti si girarono verso il moro e quest'ultimo, a disagio, specialmente davanti alle guance arrossate di Moon, provò a cavarsela con qualche cazzata. «Cosa vai a pensare, é Cheo Hee»

Moon lo fulminò, anzi, lo distrusse con un'occhiataccia scura e diabolica, lui si trattenne dal sghignazzare, gonfio come un pavone maschio, soddisfatto in piccola parte di aver ficcato nel discorso uno dei punti deboli della ragazzina; si grattò comunque la voce e si sbrigò a chiarire: «Mi ha mandato un'email di lavoro e mi ha... Rimproverato per averla ignorata» tentò, riuscendoci in parte ma senza convincere Taehyung, l'unico ad aver adocchiato il cellulare di Moon sparire dal tavolo.

«Santa donna» si limitò a dire Jungkook, scuotendo la testa al pensiero delle pene che ingarbugliavano le caviglie della loro amica. Tutti ripresero a mangiare e Yoongi iniziò a raccontare una serie di aneddoti sul torneo appena affrontato.

Jimin:

"L'hai notato solo ora? Sono deluso... Ti piacciono almeno?"

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Fu forzata ad alzare lo sguardo verso il moro, analizzando attentamente, capello per capello, il nuovo look adottato di nascosto. Si era stancato dei ciuffetti lunghi che solleticavano la coppa appena sopra il colletto dei completi di lavoro e un pomeriggio, nello spezzato, si presentò dal suo parrucchiere personale con un cerchietto viola in testa, rubato dalla borsetta di Cheo Hee.

Munwoo, fai sparire questi ciuffi o sbatterò contro i muri da quanto non ci vedo — sì, era una fottuta prima donna.

Erano corti ai lati, i ciuffi che prima sfioravano la pelle non esistevano più, così come le ciocche che graffiavano gli zigomi ai lati degli occhi. La fronte era scoperta e i capelli, all'inizio del capo, erano stati accorciati di poco, il giusto per rialzarli in una meravigliosa onda alla business man o attore da k-drama. Ora sembrava un uomo d'affari con il volto fresco e pronunciato, le ciocche che tempo prima ombreggiavano sugli occhi penetranti del moro avevano dato qualche possibilità di salvezza a Moon, nel sottrarsi completamente alla forza disumana che quelle due gemme nere, nate dalle rocce madri dell'ade, fomentavano con impudenza su di lei.

Jimin era impudente a volte — Moon ormai ne era a conoscenza —, era anche gentile, aggraziato come una farfalla quando indossava le sue solite camice lente da casa, larghe da far cadere la stoffa di lino oltre le clavicole disegnate.

Anche se un po' scostante, a volte, amava aiutare il prossimo, gli piaceva guardare il cielo stellato in mezzo a un campo di lavanda o al Namsan Tower. Sapeva essere leggero nonostante si sentisse un pesante funambolo, ingabbiato in mezzo al vuoto di una cristalleria, come sentiva la sua vita.

Jimin era tante cose.

Ma se Moon avesse avuto il compito di continuare a descrivere l'uomo davanti a lei con semplici parole esplicative avrebbe detto che Jimin era anche ironia: sapeva essere il guerriero perfetto, colui che brandiva lo scudo e rimandava a dovere la puntigliosità della giovane, tant'è che amavano baciarsi e mordersi fra schiocchi di risate e coperte aggomitolate alle caviglie. Con i palmi delle mani pronti a solcarsi sulla carne umida, sudata d'affanni e graffiata.

Jimin era passione. Specchiato nelle urla di un cuore malato, nel petto di un'amante che avrebbe preferito morire sulle sue labbra, lasciando il letto freddo, dalle molle scricchiolanti, ad altri come fuga di pazzia. E Moon avrebbe fatto lo stesso, forse, sì, avrebbe fatto lo stesso, sarebbe impazzita gettando i suoi ultimi instati di misera ragione, gemella della follia, al mancato quieto vivere che albergava in lei nel sangue, dal primo vagito umano.

Jimin era tutto, era tanto, ma era amore?

Ecco, era questa la forza cinica che i suoi occhi stilettavano contro di lei quando provava a coglierlo, leggerlo o, stupidamente, anche solo affrontarlo. Non erano più legati ma liberi dalla, ormai lontana, giungla selvaggia del precedente taglio di capelli.

All'improvviso si risvegliò dolorosamente, da quel flusso di intimi pensieri, a uno schiocco ovatto sollevato dal collo muscoloso del moro, il quale, digiuno da fin troppo tempo dalle attenzioni di Moon, decise di irrompere il gelo caduto fra loro.

Il mento, così come la mascella chilometrica, si contrassero alla pressione del collo, manipolato dalla colonna vertebrale; prima a destra e poi a sinistra, secco, rapido e fulminio. Al punto che Moon si sollevò con la schiena e serrò le cosce come uno schiaccia noci, negando al suo interno coscia di miagolare come una malata di sesso davanti a quei movimenti — per lei e per tutto la popolazione mondiale — eccitanti.

E Moon odiava da morire il rumore delle ossa scricchiolanti o il pensiero di doversi allungare le dita delle mani, eppure quando lo faceva Jimin pensava solamente di stendersi sopra a un lettino da osteopata e concedersi alla sua mercé, senza alcun pudore e un paio di Victoria secrets addosso.

Come quelle che le aveva comprato, senza dirle niente, due giorni dopo il compleanno di Yoongi. Per sdebitarsi, a detta sua, di aver smarrito gli slip della notte al What a F**k!?.

Aveva sorriso — o meglio ghignato — con la promessa di avergliele fatte vedere un giorno...

E con quel giorno Moon intendeva quella stessa sera, dopo il loro appuntamento, ma Jimin era un fesso che non sapeva dire di no agli amici neanche davanti alla figa. Perciò avrebbe avuto la sua vendetta, letale quanto il collo di quello stronzo vestito Prada.

Ovviamente Jimin vide tutto, sentì il fruscio dei suoi jeans stendersi sulla sedia, cessando dopo che le cosce di lei miagolarono dalla voglia di aggrapparsi ai sui fianchi e al suo cazzo.

La guardò, Moon fece altrettanto, Jimin allungò una mano verso una bottiglia di birra e vi levò il tappo dentato, sollevandola sulle labbra per nasconderci un sorriso soddisfatto. Non smise di fissarla e Moon non si intimidì dal dargli un calcio sulla tibia, provocando al moro soltanto uno scossone e qualche risata nascosta.

Jimin:

"La risposta é sì, se non riesci a smettere di mangiarmi con gli occhi."

Moon ruotò gli occhi al cielo.

Moon:

" 👍🏻 "

Jimin:

"Cazzo, smettila di usare quel pollice. Mi urta."

Moon:

"E se non volessi farlo?"

Jimin tolse l'attenzione dallo schermo per guardarla e la incenerì, l'occhiataccia fu breve perché Moon ghignò per la millesima volta e mandò ancora un altro messaggio.

Moon:

"Altrimenti? Se non volessi smettere? Dopotutto... il pollice mi piace così tanto."

Si leccò le labbra, aspettando solamente il momento in cui Jimin, assorto e in visibile difficoltà se percepire del doppio senso o no in quella frase, avrebbe abbassato la guardia. Difatti, lui si bagnò ancora la bocca con della birra fresca e il collo incurvato in direzione del cavallo dei suoi pantaloni, dove c'era la chat.

Moon:

"Specialmente se é il tuo. E se a usarlo su di me sei tu."

La birra andò di traverso, soffocandosi rumorosamente sotto gli occhi dei suoi amici e della stronza che glielo aveva fatto diventare duro. Taehyung sbatté delle piccole pacche sulla schiena di Jimin, in mezzo al trapezio, preoccupato dalle numerose gocce giallastre che scivolavano dalla bocca.

«Oddio Jimin stai bene!?» Moon si mise una mano davanti alla bocca, recintando alla perfezione, «Hai bisogno di un fazzoletto? Hai schizzato ovunque»

Jimin tossì sul dorso della mano, senza mai smettere di soffocarla con la forza del pensiero, imbarazzato più che mai dopo l'ultima frase fin troppo compromettente. Yoongi, convinto che nessuno oltre a lui avesse una mente troppo dirty mind, colse al balzo la frase dell'innocente Moon.

«Deve essere un problema usuale per il nostro Jimin, schizzare ovunque... Con la birra» calcò bene l'ultima frase, facendo ridere sotto i baffi solamente Jungkook e Taehyung mentre le ragazze si guardarono confuse.

«Quanto sei coglione» sibilò con un tovagliolo sulle labbra.

«Le tette della tizia al Coachella, come scordarsi di quella scena» pensò ad alta voce Jungkook, attirando su di sé gli occhioni neri e lugubri di gelosia di Moon. «Jungkook se fiati ancora inizierò a parlare e non mi fermerò alla volta in cui ti sei fatto rubare il portafoglio da un paio di spogliarelliste a Yokohama o beccare con l'uccello al vento da mia madre»

Al moro tatuato si afflosciò immediatamente la cresta e, imbarazzato, disse: «Doveva rimanere un segreto, cazzo!» fece lamentoso mentre Jimin gettò il tovagliolo sul cartone della pizza. «Anche "l'incidente" del Coachella lo era, Jungkook! Lo era, appunto, al passato visto che ormai non ci si può fidare di voi coglioni!» puntò il dito su Yoongi ed egli alzò le mani. «Io ho solo detto che hai problemi a schizzare»

«Yoongi!» lo riprese Taehyung, capendo che in quel momento Moon, all'insaputa di tutti, avrebbe fatto fuori chiunque in torno al tavolo. Bastò vedere come si era eclissata sullo schienale della sedia con il volto scuro e le labbra premute sotto il naso. E Jimin non osava neanche guardarla, avendo percepito su di sé un'orrida ondata scura sgusciata dalla ragazza.

«Che c'è!? A schizzare birra! La birra, Taehyung» aggiunse il bastardo sotto i baffi, fingendosi serio davanti al nervosismo palpabile del futuro CEO.

«Birra?» Jungkook cascò dal pero, assumendo sulla faccia la tipica espressione da Scemo più Scemo, «Aspettate, ma non stavamo parlando di quella volta in cui Jimin era così ubriaco da essere venuto sulle tette dell'americana appena calati i pantalo... ni—» si rese conto da solo di aver fatto una cazzata, «Oh, ohh la birra... Ora ho capito, scusami hyung» Scemo più scemo arrivò tardi, dopo tanto tempo e molta stupidità.

Jun guardò tutti i ragazzi senza alcuna elettro stimolazione da parte del cervello: Jungkook, suo fratello e Jimin erano riusciti creare un genocidio biologico, più rapido dell'atomica. Si concentrò sul fratello: «Il Coachella di cui state parlando é accaduto nello stesso periodo del tuo viaggio di lavoro in America, Yoongi?»

Le risate di Yoongi finirono e persino lui, l'unico mezzo sano in quel gruppo di muscoli e senza cervello, dovette fare i conti con la verità. «Può darsi, cioè sì o forse no, non ricordo bene. Sono passati molti anni»

«Due anni Yoongi» Moon gli rinfrescò la memoria, «Non so tu, ma io mi ricorderei benissimo di un evento come il Coachella, per giunta in America, dopo che i miei amici hanno inseminato mezza California» e fu difficile per Jimin non alzarsi dal suo posto per raggiungerla e tranquillizzarla.

Nemmeno Moon avrebbe voluto essere così gelosa di lui; prendersela per delle tresche passate era assurdo, anche lei aveva avuto le sue storie, le sue avventure di sesso e qualche segreto imbarazzate legato a quest'ultime ma fu la goccia che fece traboccare la soglia della sua sopportazione per quella sera.

«Dai ragazze sono cosucce del passato! Non arrabbiatevi così tanto» tentò di sdrammatizzare Taehyung, mentre sotto il tavolo artigliava il polso del suo migliore amico per fermarlo, ammonendolo con la coda dell'occhio. L'altro sembrava — dal fuori — una statua di sale, paradossalmente al suo interno che scoppiava di nervosismo.

Jun si rabbuiò appena: «Non lo sarei se mio fratello fosse, una volta per tutte, sincero con me dall'inizio»
«Jun ora non essere noiosa» fece Yoongi, «Non sono cose che racconterei alla mia sorellina e non vedo perché la mia vita sessuale debba essere sbandierata ai quattro venti, davanti a té e biscottini»
«Ahaa! Certo!» finse di ridacchiare la bionda, «La tua no ma la mia sì»

«Jun!» Yoongi rimase di sasso, non aspettandosi un commento del genere e neanche che sua sorella non fosse più vergine. Aveva dei sospetti ma alla fine finiva per rimangiarseli tutti e fulminare del gelato davanti agli album di famiglia.

Si sventolò il caschetto biondo con le dita e, alzandosi dal tavolo con metà pizza mangiucchiata, richiamò l'attenzione di Moon: «Dovremo andarci a vestire prima che sia troppo tardi»

«Concordo con te, mi é passata la fame» la mora si tolse il fazzoletto dalle gambe, sollevandosi sui piedi senza guardare in faccia nessuno. Jimin, quasi quanto Yoongi, si ritrovò spaesato.

«Dove— Dove andate?» dove vai, disse con un  tremolio in gola.

«Usciamo» esordì Moon, obbligandosi a gettare in mezzo ai ragazzi un sorriso finto, nascondendo il suo malessere. «No» sbottò dal nulla il più grande dei Min, «Voi—» si corresse imbarazzato, «Tu non uscirai a quest'ora!»

Per Taehyung quel tu fu fin troppo generico, ma cercò di lasciarselo alle spalle visto che il suo migliore amico — Park Jimin — era a un passo dalla follia e si chiese, stupito più che mai, quanto fosse perso per quella ragazzina creata dagli angeli del divino e della lussuria.

Non voleva farsi così tanto gli affari di Jimin ma aveva visto i graffi e i segni che lasciava Moon sul corpo del moro e rimase sbalordito quando — in una delle rarissime volte in cui lo accompagnava in palestra — lo vide farsi la doccia un po' imbarazzato e consapevole di avere una decina di succhiotti ai lati del cazzo.

La dolce ragazzina in rosa aveva deciso di torturarlo prima di mandarlo in paradiso, pressando le sue succose labbra rosate su ogni lembo di pelle sotto la fascia addominale. Amava troppo le sue cosce e voleva farglielo sapere nel modo più espressivo possibile, azzannandogli i nervi dell'inguine. E, appagato più che mai per aver ricevuto uno dei pompini più belli della sua vita, si dimenticò come un idiota che il giorno dopo, alle diciotto in punto, avrebbe avuto l'allenamento in palestra, ancora più idiota di prima, con la doccia in spogliatoio.

E Taehyung che tentava di non fare il guardone mentre la schiuma dello shampoo copriva il cerchio di succhiotti che accerchiavano i suoi genitali come l'areola di un santo. Assurdo.

Intorno al tavolo cadde il silenzio; Jungkook, l'unico a essere esterno e in toccato da qualsiasi relazione sociale, oltre l'amicizia per i tre ragazzi, riprese a mangiare la sua pizza farcita con un quantitativo spropositato di peperoni rossi, gustandosi la vista della piccola sorellina di casa Min dove ella esordì:«Contaci Yoongi, arrivi tardi su tutto» ironizzando, infine, sulla questione di stato che era diventato il suo grazioso imene grazie a lui e ai suoi drammi del cazzo.

Le ragazze sparirono oltre il corridoio, lasciando nel perimetro del cucinotto solo misera vergogna e gelosia mascolina buttata qua e là.

Erano quasi le dieci di sera e Seoul si era appena svegliata; le giovani si destreggiavano davanti a specchi verticali e gonnelline striminzite, Moon guardava il top di Jun con esitazione, la stessa che l'aveva colta al compleanno di Yoongi con il gioiellino di shein firmato Euphoria. Però rimaneva la stessa che aveva mandato a fanculo dopo che Cheo Hee e l'indifferenza di Jimin avevano bussato alla sua porta, portandola a ballare sotto le luci del locale a ripetere a se stessa che non sarebbe stata la puttana di nessuno.

«Allora? Hai intenzione di metterlo o no?» Jun era tornata come il grillo parlante, un po' più grande di qualche centimetro e non si appisolava sulla sua spalla, al contrario: la guardava dall'alto con un vestitino paiettato sull'argento mentre lei, indecisa, fissava il top blu notte, pieno di brillanti di varie misure, seduta sul letto.

Mise il broncio costatando il suo stato ancora primordiale: era in reggiseno, i capelli piastrati erano stati raccolti in una coda alta e lunghissima, dove le punte arrivarono a sfiorarle uguale la curva dei fianchi. Gli occhi, dal raro taglio a sirena, si allungavano fino alle tempie grazie alle linee scure dell'eye-liner e al trucco leggermente glitterato, l'unica cosa che le mancava sul viso era il rossetto.

Si alzò dal materasso e si mise davanti allo specchio di Jun, osservando attentamente come la gonna scura e aderente, sempre sui toni del blu, arrivasse a mostrarle le cosce fino alla linea del sedere. Si girò, mettendosi di profilo, decretando puntigliosamente il risultato che avrebbe fatto il suo culo strizzato in quel calzino troppo allungato.

«Mi piace il cazzo eh, però, sai, potrei farmi passare la voglia per scoparti» Moon rise, guardandola dallo specchio mentre la guardava lamentosa. Preferita di Dio! urlava il cervello della bionda davanti alla devastante bellezza della sua migliore amica. «Potrei farci un pensierino. Sapresti trattarmi bene»

«Oh sì! Saprei anche farti venire meglio di qualsiasi altro decerebrato come due pomodorini attaccati sotto la prostata» le lanciò il top addosso e lei lo riprese al volo. «Forza, questa sera non voglio ripensamenti»

Moon la guardò un po' preoccupata, da quando Yoongi, con le sue uscite infelici, aveva fatto scatenare quel putiferio a cena, Jun sembrava stranamente scostante, perciò tentennò: «Sicura di stare veramente bene, Jun? Con Yoongi...»
«Ho diciannove anni Moon» la interruppe, senza mostrare particolari emozioni nel suo sguardo, «Yoongi doveva aspettarselo che non lo fossi più, che non ho più quindici anni e non sono più obbligata a sorbirmi silenzi imbarazzanti o digiuni esagerati sull'educazione sessuale fatta al liceo. Scoprire a diciassette anni che la pillola si può prendere anche per altri problemi, oltre alla gravidanza, é imbarazzante. Anzi, sai cos'è veramente imbarazzante? Trovare la scatola dei preservativi nella camera di tuo fratello e farti credere che fossero cuffie per la tinta»

«Cazzo... Questo sì che é imbarazzante» mormorò Moon con un mezzo sorriso d'incoraggiamento.
«Lo é, vorrei che capisse che é... Normale fare sesso, avere relazioni, uscire alla sera con le amiche e parlare di queste cose. Perché é così difficile farglielo capire?» interpellò persino se stessa e Moon, cogliendo un luccichio di troppo intorno alle iridi della bionda, si sedette al suo fianco. Le accarezzò un braccio.

«Prima di conoscere i suoi amici ti ricordi com'era in passato Yoongi, no?» Jun annuì, «Era così timido e impacciato che non parlava neanche con me e mi conosce da tutta la vita. Poi ha capito, crescendo e confrontandosi con altre persone, che forse il suo punto di vista era solo uno fra tanti altri e non per forza la propria ragione deve essere sempre quella giusta. Ha fatto il possibile per crescerti da solo e si è trovato davanti a responsabilità che non toccavano a lui, molto probabilmente neanche Yoongi ha avuto qualcuno che lo aiutasse ad affrontare le prime erezioni durante lo sviluppo» smorzò alla fine, cercando di farla sorridere e ci riuscì appena. «Quello che voglio dire é, a volte, può essere complicato approcciarsi, così come affrontare discorsi sul sesso o l'indipendenza, con qualcuno che ci ha cresciute come bambole di porcellana»

«E se non fosse per questo? Ma solo chiuso di mente?»

«Allora, in quel caso, dovrete sforzarvi a quattrocchi davanti a un caffè e interloquire animatamente sui vostri ideali. Lo dico perché l'ho vissuto costantemente sulla mia pelle con mio padre: mi incazzo così tanto che a volte grido e piango» socchiuse gli occhi, guardando avanti a sé, «Poi mi fermo e capisco che in certi momenti avrebbe voluto non essere da solo a farlo, che la mamma fosse ancora viva per stargli vicino. Deve essersi sentito in difficoltà quando ha capito che la sua bambina stava crescendo e che presto avrebbe fatto cose che lui non poteva controllare»

«Moon...» la chiamò Jun, incapace di sopportare la flebile voce della sua migliore amica.

«E non posso dire di essere stata una figlia modello per mio padre perché non ho mai provato a mettermi nei suoi panni. Non lo giustifico, non giustifico Han, come non giustifico quello che ha detto Yoongi, dico solo che affrontare il problema non é, tutto sommato, una cattiva idea, no?»

«Credo che tu abbia ragione» sospirò con l'amaro in gola. «Lo so, te l'ho detto, io ho sempre ragione» esordì, esaltando il suo lato da sassy queen fin troppo represso.

Si aspettò da Jun un commento altrettanto trash per mettere fine a quel momento strappalacrime, ma ciò non accadde. Anzi, Jun si buttò dolcemente sul busto di Moon, allargando le braccia per circondarle la schiena con un abbraccio.

«Grazie, grazie Moon» sussurrò, «Ci sei sempre stata per me, fin dall'inizio e sai che potrai sempre contare su di me. Potremmo sempre contare l'una sull'altra, sei l'unica di cui possa veramente fidarmi»

Moon chiuse gli occhi, ricambiando appena quell'abbraccio per lei fin troppo soffocante, mentre la colpa ricadeva sulle sua coscienza sporca. Sentiva che mentire alla sua migliore amica — a Jun, la sorella che non aveva mai avuto — era perfettamente comparabile a nascondere un cadavere sotto il letto.

Se fosse stato un altro ragazzo non si sarebbe fatta alcun problema a tenersi la cosa ancora per sé o sbandierarlo su Twitter, ma il soggetto in questione era Jimin. Il ragazzo per il quale Jun le aveva detto, con estremo consiglio, di starci alla larga perché si sarebbe fatta male; che era un mezzo milionario caduto per caso nella vita di Yoongi tramite Jungkook, ex compagno di corso dell'Università. E rimaneva colui che stava dando lavoro a tutti i suoi amici perché era l'erede di una multinazionale coreana.

Come diavolo era possibile che fosse inciampata proprio sul suo di cazzo?

Ora si trovava con il fegato logorato dalle bugie, tutto questo per non dire che si scopava uno dei migliori amici trentenni di Yoongi. Tutto questo per non dire ad alta voce che si stava innamorando di un indeciso.

Un milionario indeciso.

Un milionario figo indeciso.

«Jun» provò a farlo, «Devo dirti una cos—»

«Oh cazzo!» Jun, dopo essersi controllata l'orologio sul polso, appoggiato ancora sull'esile schiena scoperta della castana, si accorse che ormai si erano fatte le undici meno un quarto e dovevano portare i loro graziosi culi fuori da lì. Non sentì Moon parlare, o meglio, rantolare con il gozzo bloccato dal braccio della bionda, si alzò solamente per scollarsi di dosso tutta la tristezza che l'aveva afflitta.

«Muoviti a toglierti il reggiseno e ficcati quel dannato top, devi finirti di truccarti!»
«Eh!?» spalancò la bocca, obbiettando, «Io non vado con le tette al vento!»
«Moon guardali» indicò la quarantina di buchi che aveva quel capo sul petto e sulla schiena, «É una rete da pesca, il reggiseno stonerebbe»
«Appunto, Jun, é una rete da pesca e le mie tette finirebbero per assomigliare a un salume retinato»
Jun sorrise beffarda, «Ed é qui che ti sbagli, piccola miracolata dagli idei: i buchi sono solo sullo sterno e sul ventre, le tue tette sfidano la forza di gravità e non si muoveranno di un centimetro»

«Non puoi farmelo fare»

«Invece sì, posso. E vedi di farlo veloce sennò ti ritroverai i miei copri capezzoli — sì, quelli che assomigliano a due fettine di pollo crudo — sulla faccia»












ɪ ʟɪᴋᴇ ʙɪɢ ʙᴏʏ, ɪᴛᴛʏ ʙɪᴛᴛʏ ʙᴏʏ
ᴍɪꜱꜱɪꜱꜱɪᴘᴘɪ ʙᴏʏ, ɪɴɴᴇʀ ᴄɪᴛʏ ʙᴏʏ











Tre teste scure, rifornite da fin troppi capelli, penzolavano a destra e sinistra per oltrepassare il piccolo didietro di Yoongi per guardarsi, senza dover sembrare il pendolo dell'attesa di Schopenhauer, il film in santa pace. Il proprietario di casa, afflitto da sensi di colpa e colite cronica da lievito, non riusciva a starsene fermo, con il culo appoggiato sul divano come i suoi amici. Perciò preferiva alzarsi ogni cinque minuti per bersi del tè nero caldo, lontano da qualsiasi tipo di tisane drenanti anti cellulitico, ciabattando in pensiero davanti allo schermo del salotto.

Perché sono l'unico a stare così!? — pensò Yoongi, con una coperta a quadri avvolta sulla schiena, neanche fosse dicembre. Non guardò bene i tre amici spaparanzati sul divano, unica ragione plausibile, perché se solo avesse prestato più attenzione avrebbe visto Jimin, colui che era infognato in quella situazione quasi quanto lui, mangiarsi unghie e fegato. Aveva lasciato altri messaggi alla ragazza ma sembrava essersi disciolta nell'aria, fra spore e bolle di sapone rosa big babol, lasciandosi sulla vita terrena un forte profumo di vendetta.

«Yoongi, per l'amor di ogni cosa a cui non credo, puoi levarti dai coglioni!?» allungò un braccio Jungkook, diventato verde dalla nausea, «Mi sta salendo il mal di mare, merda, sono in un fottuto divano!»

«Non useresti questo tono aggressivo se tu fossi al mio posto, né mi rimproveresti se la sorella che si sta preparando per uscire a quest'ora della notte fosse sempre la tua» decretò Yoongi, bruciandolo vivo con gli occhi.
«Non farei nulla di tutto ciò, i tipi che si scopa mia sorella sono simpatici e facciamo un sacco di conversazione al mattino»
«Guarda che così non mi aiuti!»
«Dovevo farlo?» finì Jungkook, confuso, mentre Yoongi si girò per tirare testate contro i libri della libreria, vicino al televisore al plasma. Gridò, fin troppo drammatico.

Taehyung, persosi per la millesima volta davanti a un plot twist di dialoghi ormai no sense, si allungò un po' col collo verso la sua destra: «Non cambierà nulla» Jimin chiuse gli occhi, sfinito: «Cosa?»
Indicò il cellulare con il capo. «É inutile che guardi quella chat ogni dieci secondi con la speranza che ti risponda. Non lo farà, ma la situazione non é grave e lasciala solo sfogare»

Jimin deglutì. «E se, oltre al Coachella, avesse ben altre ragione per ignorarmi ed essere arrabbiata con me?»

Il riccio scosse la testa, non capendo. «Del tipo?»

«Tipo... Potrei, inavvertitamente, averla invitata per un appuntamento che doveva essere questa sera e poi dato buca» ma Taehyung continuò a non capire dove fosse il problema, Moon non le sembrava così immatura da mettere il muso se Jimin voleva starsene con i suoi amici per una sera. Capì che c'era dell'altro. «E dov'è il problema?»

«E potrei, sempre inavvertitamente parlando, aver avuto timore che lei potesse prendersela sul personale e...»
«Jimin, cosa, cazzo, hai fatto?» tagliò corto.
«Le ho detto che ho avuto un contrattempo»
«Infatti é così, hai avuto un contrattempo perché avevamo il torneo»

«Un contrattempo di lavoro»

La testa di Yoongi sbatteva ritmica sui libri in un tonfo sordo, toc toc imperterriti agli spari infiniti della nove millimetri a quindici colpi della protagonista, susseguito da Jungkook fin troppo spazientito e Taehyung privo di qualunque onda celebrare.

Ma allora dillo che sei deficiente, si tagliò la lingua con i denti pur di non alzarsi dal divano, afferrare Yoongi e Jimin per le orecchie e scaraventarli dalla scale del quinto piano, va a finire che Jungkook, quello che crede di essere dentro Matrix, é il più intelligente di tutti.

Taehyung ci mise pochissimo tempo a collegare ogni punto per avere il quadro generale della situazione: quel babbeo del suo migliore amico era stato sgamato in pieno, così come la sua menzogna, e le occhiate assassine — a dir poco inquietanti — di Moon vennero finalmente comprese, stessa cosa la gelosia pompata dal fastidio di quest'ultima.

«Sai Jimin potresti essere, inavvertitamente parlando eh, un idiota ai limiti dell'impossibile. Prendi un Magikarp al primo stadio della sua evoluzione, mettilo in un estremo e nell'altro ficcaci Peter Griffin, ecco tu saresti in mezzo a questi due» disegnò una retta invisibile con le mani del CEO e puntò il suo indice nel centro. Jimin fece una smorfia: «Inutile e scemo?»

«Esattamente» esordì Taehyung, aveva finito le parole di conforto, «Inutile e scemo. Sei senza speranze, quasi quanto nonna-Min che si sta aprendo la fronte per la verginità perduta della sorella ormai ad anni or sono e per la sua cotta che stasera avrà una grandissima voglia di farla pagare al suo sugar daddy. Se non mi sono ancora suicidato é solo per merito vostro, sapete intrattenermi»

«Lusingato» sbraitò ironico sottovoce, «Come se non mi desse fastidio vederlo in questo modo per... Per—»

«Per la ragazzina che ti fa battere il cuoricino? Sei adorabile quando ti ingelosisci, ti si contrae così tanto la mascella che inalzi il sangue fin sopra le guance, si gonfiano come palloni da calcio» si indicò gli zigomi, burlandosi del diretto interessato ma Jimin non fu per niente divertito. Anzi, assistere all'apertura celebrale di Yoongi, contro la superficie cartacea dei ricettari culinari, dovuta dall'ansiogena paura di vedere la dolce sorellina crescere e la ragazza di cui era innamorato, prepararsi per accaparrarsi uomini nei locali, non faceva parte dei piani della serata.

Pazienza per Jun, ma Moon... Yoongi non doveva neanche pensarla.

Patetico, almeno ammetti che ti piace e che ne sei innamorato perso invece di interporre divieti territoriali — accusò se stesso, facendosi carico delle proprie cazzate, potevi almeno dirlo a Yoongi!

Smise di torturarsi. Mancavano appena quaranta minuti alla fine del film e la porta della camera di Jun si aprì; non si erano neanche accorte di star canticchiando Shhh dei Seventeen — tenuta in loop a tutto volume fino a cinque minuti prima —, con versi e risatine maliziose. Starnazzarono sullo scacco addominale di Lee Chan (Dino), ignare che i ragazzi riuscissero a sentire ogni loro discorso con fin troppa facilità, cosa che non piacque per niente a Jimin quando sentì Moon, la sua dolce e mortale ragazzina in rosa, fantasticare sui body roll dell'idol.

Yoongi si alzò addirittura la maglietta da sotto la coperta a quadri per assicurarsi che i suoi addominali fossero di degna concorrenza. Peccando sul body roll, con il bacino ingessato dai jeans.

Se ne stavano tutti quanti seduti sul divano in attesa, contemplando solamente il rumore riecheggiante dei tacchi, annusando in concomitanza un potente odore di profumi e essenze. Jun uscì dal corridoio per dirigersi in cucina senza guardare in faccia i ragazzi, ben che meno suo fratello vestito da nonno di Heidi, aprendosi il frigo in tutta tranquillità, brillando di luce propria grazie al tubino. E senza che potessero metabolizzare la figura della sorella minore della famiglia Min, splendida come non mai, si ritrovarono a fare i conti con la seconda serpe del diavolo.

Moon camminò senza fretta, sgusciando dalla penombra del corridoio della casa con tutta la calma del mondo. Si fermò in mezzo al salotto, a due metri dal divano grondante di testosterone, lisciandosi i capelli con le unghie mentre parlottava a distanza con Jun.

Nessuno dei ragazzi capirono che cosa si stessero dicendo in quel frangente, troppo occupati a raccogliere denti e occhi rotolati a terra dopo aver visto la ragazzina in rosa. E di rosa, quella sera, non aveva nulla, a parte un paio di lembi ai lati dei fianchi.

Indossava un intero vestiario sui toni del blu e del nero, risaltati dalla velata abbronzatura tipica delle radici coreane stampata sulle gambe di Moon, sulle cosce scoperte dalla gonna corta fino al top cucino sul ventre. Misero e leggero da scoprire il petto, dalla linea del seno fino al collo, a circondare quest'ultimo faceva capolino un cocker spesso a V con brillanti, e scendeva ai lati in un body, intrecciandosi dietro la schiena come i graffi di una tigre. Il décolleté era coperto, la stoffa si apriva solamente fra i due seni e sul ventre, fino a scomparire sull'inizio della gonna che segava i fianchi morbidi.

Sopra il capo, davanti al nodo della coda, splendeva un fermaglio anch'esso ricamato di brillanti. Jimin non riuscì neanche a capire quali scarpe indossasse perché sentì il sangue arrivare dritto al cervello — e volgarmente al cazzo — in meno tempo di quanto impiegò Yoongi a trasferirsi nel multiverso grazie ai fumetti, ora insanguinati per via delle testate, degli Avengers.

Moon tirò fuori una pochette minuscola e ci mise dentro il cellulare, nel frattempo che ella camminava avanti e indietro per confabulare con Jun, i ragazzi non persero l'occasione di scannerizzarle il culo. Jimin riuscì a staccare gli occhi dalle chiappe sode, della sua ragazzina, solamente perché scorse con la coda dell'occhio Jungkook diventare quasi intelligente. Mentre a Taehyung piacque bazzicare dalla bionda alla mora con esplicita semplicità.

«Guarda che ti cavo gli occhi se non la smetti» lo minacciò Jimin, ignaro dei battiti cardiaci di Yoongi saliti alle stelle. Taehyung fece spallucce dalla loro postazione: un branco di coglioni a guardare dalla testata del divano delle minorenni, ecco che cos'erano. «Fallo. Cavameli pure» esordì per niente mesto, «Ma questo non cambierà il fatto che hai preferito una partita di Valorant a lei. E sempre lei finirà per cavarti gli occhi dopo averti scopato violentemente, come una mantide religiosa che stacca la testa al maschio. Questo è il tuo destino»

«La smetti!? Ho capito che ho fatto una cazzata, non c'è bisogno che me lo ricordi ogni dieci minuti! E comunque non è una giustificazione che mi aggrada, togli i tuoi merdosi occhi da lei»

«Se vuoi posso ricordartelo ogni cinque minuti» sogghignò, «Capirai, non saranno i miei occhi a non farti dormire stasera, dopo che metterà piede in discoteca vestita così» girò la testa verso il maggiore dei Min e lo vide abbastanza cagionevole e prossimo a venire nelle mutande. Jimin lo seguì e si innervosì come non mai.

Moon guardò le labbra scure della bionda e si illuminò: «Cazzo! Il rossetto!»
«È nella trousse azzurra del primo bagno, vai pure ti aspetto qui... L'Uber dovrebbe tardare, si vede che c'è traffico» Jun si mise a sedere su una delle sedie del cucinotto e Yoongi tornò sul mondo dei vivi.

«Che!? Andate in taxi!? Siete da sole!?»

La sorella lo ignorò a prescindere, Moon lo guardò con un briciolo di tenerezza negli occhi e sparì poi, sotto gli occhi affilati del CEO, in bagno. Per sua fortuna Jungkook tornò a essere uno scemo in tempo per guardarsi la fine del film, mentre Yoongi si sedette, senza mai togliersi la coperta sulle spalle, sulla penisola del divano. Assente.

Jimin si alzò. Si scrollò di dosso briciole di patatine e vecchiaia, munendosi di coraggio con un pacchetto di sigarette fra le mani. Vado a fumare — mormorò veloce, senza dare troppo nell'occhio. La bionda paiettata era troppo occupata a chattare per darci peso e Taehyung, aiutandolo per l'ennesima volta, provò a distrarre Yoongi.

Filò dritto verso il primo bagno e aprì la porta senza neanche bussare. La trovò chinata appena, davanti allo specchio con le labbra schiuse, deliziate dal rossetto rosso e lo sguardo concentrato. Si chiuse la porta alle spalle a chiave, lasciandosi pugnalare immediatamente con la coda dell'occhio di Moon.

È occupato, graffiò acida, senza staccare il rossetto dalle labbra. Jimin si mise dietro di lei, avanzando lento e indeciso, la guardò dallo specchio e la trovò mozzafiato. Percepì, per la prima volta in vita sua, del timore.

E della forte insicurezza.

Appoggiò le mani sul lavandino, ai lati dei fianchi, con la gonna a fargli il solletico sulle nocche. Quando Moon si tirò su con la schiena percepì il corpo dell'uomo addossato al suo, trasmettendole il calore che di normo ricercava in lui. Lo guardò anche lei e un tremolio attraversò la gola di Jimin. Allargò le braccia e circondò in un abbraccio bisognoso la sua vita semi scoperta, nascose il naso nell'incavo del collo di Moon con disperazione.

«Ti prego» la supplicò, schiudendo gli occhi con il cuore appeso nel petto, «Scusami. Scusami per tutto ma non... Non ignorarmi» ne respirò l'odore dal collo, sfiorando con le labbra la sua pelle.

Moon portò il capo all'indietro, senza che la coda si sfaldasse, appoggiandosi contro il suo petto e una porzione di collo e tendini dell'uomo. Si gustò quel piccolo dondolio che l'abbraccio di Jimin provocò a entrambi.

«Jimin—» soffiò, non del tutto tranquilla, «Non dovresti stare qui»
«Voglio venire con te» la guardò dallo specchio,«Questa sera, voglio esserci anch'io» continuò serio.
Moon restò a bocca aperta, scosse il capo: «No. Non puoi»
Sbarrò gli occhi. «Non posso?»
«Non voglio. Usciremo io e Jun da sole, senza nessun fratello di mezzo e senza ragazzi: solo io e lei»

Si staccò dall'abbraccio solamente per potersi girare e trovarselo a un palmo dal naso, a due baci di distanza. E Jimin, con i pochi centimetri rimasti di vantaggio per via dei tacchi di Moon, la guardò dall'alto con i denti premuti sul labbro, soggiogato, ammaliato dalla sua autorità.

«Moon—» le mani della più piccola scivolarono dalle spalle ferree al petto, inoltrandosi sempre più lenta e letale verso l'addome nascosto dalla maglia, la stessa che la stava facendo impazzire prima a cena. Accarezzò il tessuto per stamparsi meglio in mente i muscoli celati e tremanti al di sotto.

Lo spinse sopra la tavoletta del water per farlo chetare, ordinandogli con la sola forza dello sguardo di non toccarla senza il suo permesso. Jimin rimase a guardarla dal basso, in tutto il suo splendore, mentre lei, ghignante, passò una mano serpentina fra i capelli neri e fulvi dell'uomo. L'accarezzò, obbligandolo con una leggera pressione sulla cute a guardarla dritta negli occhi.

«Hai fatto una scelta e non puoi tirati indietro ora, dovrai portarla al termine» disse, riferendosi al fatto che avesse preferito un torneo al suo appuntamento. Una bugia.

Jimin si trovò costretto a ubbidire, senza voce e reazioni cognitive, Moon lasciò la presa sui capelli e si abbassò sopra le sua ginocchia, le gambe spalancate ai lati dei fianchi di Jimin. D'istinto, Jimin cercò subito il contatto con lei, prendendole la carne dei fianchi per avvicinarla a sé, per spogliarla di baci. Moon però aveva altro in mente e lo fermò subito: ah ah, non gli aveva concesso nessun permesso, non poteva ancora toccarla.

Era lei a dirigere il gioco.

«Moon...» insistette lamentoso, con le labbra arricciate, «Non puoi farlo»
«Sì che posso» gli afferrò il mento con dolcezza, schiudendo gli occhi da cerbiatto, «Posso fare tutto ciò che voglio» fece sfiorare le labbra contro quelle di lui, in modo che se si schiudessero al sapore dolce delle loro lingue. «Mentre tu non puoi fare niente se non farti perdonare per essere stato uno stronzo» sussurrò, prima di lambire quel bacio tanto desiderato da entrambi.

Si trovarono a scambiarsi sospiri e schiocchi di baci dopo giorni di lontananza, in tutto ciò Jimin non era autorizzato a far nulla se non a redimersi dai sensi di colpa, insieme alla grandissima voglia di scoparla contro lo specchio del bagno. La cosa degenerò quando Moon si accucciò sopra al bacino di Jimin, in modo da poter sentire l'effetto che provocava in lui.

La sentì sorridere e sogghignare sulle labbra non appena prese a muoversi sopra i suoi jeans, avanti e indietro, poi circolare. Mugugnò rumorosamente e Moon dovette stampargli una mano sulla bocca per zittirlo, senza smettere di tormentarlo neanche per un secondo. Iniziò a fare più pressione, con le labbra arrivò a baciargli la mascella — ai lati della mano punitrice — fino al collo con voracità. Jimin piegò la testa in alto, il retro del capo raschiò contro il tubo di scarico ma poco importò, occupato a trasgredire le regole portando una mano sotto la gonna maledetta di Moon, alle veci del gluteo.

Lì si fermò: sporadiche danze neurali arrivarono al tatto della mano lesta, del tutto mal funzionanti a suo dire, perché non intercettarono nulla che attorniasse la carne della giovane. Né una stoffa, uno slip, un tanga e né quelle sottospecie di solette a coprire il monte di Venere per i vestiti con gli spacchi inguinali. Niente di niente.

Koo Moon non portava le mutande sotto la gonna.

Sfilò anche l'altra mano dalla presa della castana per tastare l'altro fianco. Forse sono solo ubriaco e eccitato, smaniava i pezzi di pelle scoperti pregando di trovare quelle fottute mutande.

«È inutile che le cerchi» gli bloccò i polsi, si avvicinò al volto sconcertato e imporporato di Jimin per schioccargli un ultimo bacio. Lui rimase fermo, con la mente persa nel vuoto.

Si alzò dalle cosce schiuse del moro, disarcionate da una potentissima erezione dolorosa in mezzo a esse, tornò a guardarlo dall'alto sollevandogli il mento con una mano. Si sistemò meglio la gonna. Premette l'unghia del pollice sulle sue labbra gonfie e incredule: «Quelle facevano parte della sorpresa che volevo mostrarti dopo il nostro appuntamento ma qualcosa è andato storto. Perciò niente sorpresa» sorrise, fingendosi ingenua.

Jimin provò ad alzarsi dalla collera ma lei lo rimise a sedere con una spinta impercettibile. «Stai scherzando, vero!?» ringhiò, per niente divertito da quel gioco.

«Io non scherzo mai Jimin, specialmente quando sono incazzata e attuo vendette» lo riprese, si girò davanti allo specchio per aggiustarsi il rossetto sbaffato con una salvietta, senza mai guardarlo. «Ne riparleremo un'altra volta ma non questa sera perché sono stanca e voglio solamente divertirmi»

«Puoi benissimo farlo anche con delle fottute mutande addosso, Moon» sputò acido, ancora seduto sulla tavoletta del water. Osservava il piede fare su e giù sul pavimento dal riflesso, con l'intento di forarlo per via del nervoso. «Ah sì?» chiese.
«Sì! Cazzo!» Jimin allargò le braccia.
«Beh...» chiuse il tappo del rossetto, «Allora sarà per la prossima volta, ora non le ho» incurvò le labbra come un cucciolo, prendendolo in giro.

Ti do le mie, la ragione di Jimin spiccò oltre le vette del non reale — fanculo, anche una cuffia da bagno andrebbe bene, tutto, ma non nuda.

«Cosa devo fare per farti capire che sono sinceramente dispiaciuto Moon!? Non posso essere lapidato perché non ci troviamo nel Cinquecento, non mi vuoi ascoltare per messaggio e neanche affrontarmi a voce, cosa diavolo devo fare!?» si mise le mani nei capelli e se li tirò non appena sentì Moon esordire: «In alcuni paesi dell'Africa la lapidazione esiste ancora, sai?»

«Smettila, non sono in vena di scherzare»
«Bene. Perché neanche io lo sono, almeno abbiamo una cosa in comune perché a differenza tua io non schizzo sulle tette delle americane quando sono sbronza» lo disse apposta, per farlo stare zitto almeno qualche secondo.

Jimin chiuse gli occhi e respirò, provando a calmarsi per parlare in modo civile: «Va bene, ho capito. Non vuoi parlane ora—»
«Wow sei un prodigio» lo interruppe sarcastica.
«Stavo dicendo: non vuoi parlane ora e lo rispetto, come rispetto il fatto che ora tu sia infuriata e me lo merito. Però, Moon...» smise di parlare, attirando così la sua attenzione.

«Sei bellissima» pronunciò morbido e Moon arrossì, in difficoltà, «Lo sei sempre ma questa sera ancora di più. Non sono abituato a tutto questo, so che é assurdo ma non mi sono mai ritrovato in questa posizione»

«Quale posizione?» domandò Moon, confusa, «A chiedere scusa?»

«A chiedere scusa a una donna per i miei comportamenti deplorevoli, specialmente se questa mi fa perdere la testa come fai tu» cercò la sua mano e finalmente la trovò libera dalla rabbia, la chiuse con le sue dita zeppe di anelli e la strinse. Portò il dorso, morbido come il velluto, alle labbra e ne baciò ogni lembo, senza smettere di contemplarla con le perle nere, incastonate al posto degli occhi.

«Perciò ti chiedo di aiutarmi, Moon. Aiutami, insegnami tu a ricevere il tuo perdono»

Deglutì, persa completamente alla mercé di quell'uomo, un ottimo oratore e sapiente di dialettica. Ma ignorante nella gran parte delle relazioni umane al di fuori degli incontri combinati.

Ritirò la mano e ci pensò su: un'idea le venne in mente e si accinse a proporla: «Non pretendo nulla di eclatante, specialmente da un vecchio che soffre Gerascofobia in forma grave»

«Non ricominciare...»

«Però, pretendo un appuntamento Jimin» Jimin si illuminò e annuì immediatamente, «Certo, anche domani se vuoi» ma Moon scosse la testa, muovendo il dito in segno di negazione.

Sorrise maliziosa: «Voglio un vero appuntamento Jimin. Niente castelli o portate di caviale servite da chef stellati, niente di tutto ciò. Una giornata senza nessuno fra i piedi, da soli e insieme. Ci stai?» propose, Jimin la guardò incerto. Troppo facile per gli standard di Moon.

«Tutto qui? Non vuoi nient'altro?» provò a captare la fregatura ma Moon era dannatamente brava a nascondere le sue vere intenzioni.

«Tutto qui» ripeté, «Se lo farai passerò sopra alla tua bugia e alle tue scopate del Coachella» Jimin alzò gli occhi al cielo, maledicendo le forze superiori per aver concesso a Jungkook e Yoongi l'uso della parola.

«Discuteremo anche di questo, comunque sì. Farò tutto quello che vuoi»

Moon ridacchiò e lo strattonò per la maglia avvicinandolo a sé per l'ultima serie di baci, prima di doversi separare da lui per tutta la serata. Si staccò senza fiato e disse: «Bene. Perché sarò io a decidere quando sarà l'appuntamento, non aspettarti che sia domani o chissà... Sarà inaspettato, ti chiamerò e tu dovrai venire»

«C-Cosa!?» Jimin per poco non cascò all'avanti quando non trovò più le labbra di Moon a fargli da sostegno, la vide vicina alla porta con una mano sulla maniglia.

Dannazione! Lavoro mattina e sera, come faccio a trovarmi da lei con una chiamata all'ultimo minuto!?

«E fino a quel giorno non ci vedremo, Daddy. Ora, se farai il bravo, potrei anche prendere in considerazione di rimettermi le mutandine, ma...» aprì la porta e rimase a fissarlo sull'uscio.

«Se cambiassi idea, a proposito dell'appuntamento, allora le terrò tutta la sera dentro la borsetta e mi assicurerò che ti arrivino foto delle mie cosce nude ogni ora, fino all'alba. Chiaro?»

Fottuto. Park Jimin, futuro CEO della Solter, era stato fottuto da una ventenne.


Una ventenne non più in rosa, ma scura e letale come la notte della mezzanotte.























———————


Jimin dopo le foto delle cosce nude di Moon alle cinque di mattina:








HELLO!!

Finalmente siamo arrivati qui, vi annuncio che questo capitolo é stato spezzato perciò i capitoli che mancano alla fine della storia sono circa tre. :)

-JIMIN É CLOWN, vi prego mi fa morire, pensava di scamparla e invece è stato beccato in pieno.

-Jungkook in certi momenti tocca dei livelli di ritardo stellari, vive su un altro pianeta. Mentre Yoongi continua a vivere con la fronte spaccata insieme alla consapevolezza di essere quasi più vergine di sua sorella.

-Taehyung best personaggio indiscusso, se non ci fosse lui Jimin sarebbe già a rantolare giù per le scale.

-Moon: PIENA, piena fino al midollo di questo eterno indeciso e si ritrova gli aneddoti dell'America. *musica da clown* vi spammo anche l'outfit di ariana grande come vestito spacca cervelli creato per Moom:


-Il capitolo é stato diviso in due, perciò il prossimo sarà più corto ma molto ma molto più importante di questo... é uno dei miei preferiti. Farà ridere, vi farà amare ma anche piangere. (Lo spero)

-Le mutande nascoste nella borsa, son morta. Anche se Jimin avesse detto di no al piano di Moon le avrebbe indossate lo stesso, sapeva che l'avrebbe cercata in bagno e se l'era tolte apposta. Dead.

-Fatemi sapere che cosa ne pensate!

Se volete lasciate una stellina e un commento! Alla prossima❤️🌸❤️

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