𝐒𝐄𝐑𝐈𝐄𝐒:
𝐈 𝐠𝐨𝐭 𝐢𝐭 𝐟𝐫𝐨𝐦 𝐦𝐲 𝐬𝐮𝐠𝐚𝐫 𝐝𝐚𝐝𝐝𝐲
🥀
ᴡᴇᴀʟᴛʜ ᴀɴᴅ ᴘᴏᴡᴇʀ
I vetri di Valentino erano immensi, dal terzo piano si riusciva a vedere tranquillamente il via vai di macchine lussuose e i bipedi brillare con i solitari incastonati sulle dita. Jimin guardava la strada assorto, gli occhi zigzagavano sperduti sui tettucci scintillanti mentre indugiava, ormai da troppo tempo, sul display illuminato del cellulare tra le sue mani.
Emise uno sbuffo ansioso, si era lasciato alle spalle la tazzina di caffè ormai vuota e un paio di commesse che provavano a passare inosservate mentre gli guardavano il culo. Chinò la testa e si mise il cellulare all'orecchio.
«Papà, dimmi» socchiuse gli occhi in attesa, la voce arrochita del padre non tardò ad arrivare. «Mi hanno detto che non sarai reperibile per tutta la giornata, fino a domani mattina. Posso sapere il perché di questa decisione?»
«Affari» guardò in basso, oltre il vetro. Il CEO stette zitto fino a tradirsi con del sarcasmo: «Affari? Gli affari si risolvono in sede, se ovviamente fanno parte del lavoro. Ma dubito che questi affari siano così importanti»
«Non gira tutto intorno alla Solter, papà» rispose aspro, mortalmente toccato dall'aver definito — implicitamente —, il suo tempo con Moon non importante, «Ho semplicemente altro da fare, perciò limitati a questa informazione»
«Ah, Jimin-ah, continui a fare lo sciocco anche a trent'anni, mi sarei aspettato più maturità da te con tutte le responsabilità che possiedi ora» Jimin imprecò a bassa voce, consapevole che il suo vecchio non potesse sentirlo. «Taglia corto e dimmi che cosa avevi bisogno. Tanto non ci credo che ti sei scomodato a chiamarmi per questa sciocchezza»
«Infatti non ti ho chiamato solo per la tua irreperibilità sconsiderata, ma anche per discutere di quella cosa»
«Sii più specifico, vecchio. Fai tanti drammi ed é difficile tenerne il conto» serpeggiò. Il CEO aggrottò le sopracciglia dall'altro capo del telefono. «Modera i termini»
«No, tu devi moderare i termini papà. Non sono nella condizione giusta per parlare di qualsiasi cosa tu pretenda ora e, a essere sincero, credo che mai ne avrò voglia. Insisto nel rimarcare che non sono e non sarò raggiungibile, cascasse il mondo, quindi non risponderò più alle tue chiamante» gli animi si stavano scaldando e una delle due commesse si dileguò immediatamente in bagno, lasciando la compagna da sola e alla guardia del piano.
«Razza di ragazzino viziato, avrei dovuto darti più ceffoni quando ancora sbaragliavi al liceo, perché non sembri aver capito ancora bene la lezione,» sibilò pericoloso, «non solo continui a disubbidirmi ma sono sicuro che sei con lei, adesso. Con quella ragazzina. Ma ti rendi conto di quello che stai facendo?! Che é una sciacquetta minorenne?!»
«Stanne fuori. Non ti azzardare a dire altro se non vuoi metterti contro il tuo stesso figlio e, fidati di me, sei a tanto cosi,» mimò lo spazio immaginario con le dita innervosito, «dal rischiare una denuncia per violazione della privacy verso una minore, visto che ami definirla in questo modo, e ti prometto che saranno guai per te se non smetterai di seguirla o cercare informazioni sul suo status!»
«E cosa credi che debba fare, eh?! Assistere al tuo imminente disastro in panchina?! Il mio unico figlio che snobba centinaia di proposte di matrimonio per... per una scopata?!» scoppiò sboccato e rosso dalla vergogna, «Perché tanto si tratta di questo, figlio mio, nient'altro. Non vuoi presentarcela, hai detto che le cose fra voi non sono chiare ma, allo stesso tempo, non hai intenzione di sposarti con nessuna candidata. Quindi cosa devo pensare su di te e su di lei? É solo una mediocre avventura,» respirò e riprese fiato, «abbi almeno il coraggio di essere uomo e dire con sincerità che la frequenti solo perché sa scaldarti bene il letto»
L'intera sequenza delle dita del figlio finirono per appicciarsi al cellulare, fino a stringere i bordi e bloccare il flusso sanguigno sulle nocche ed esse diventarono immediatamente bianche. Le labbra premute tra loro, i denti scricchiolanti e gli occhi arrabbiati, fervidi di collera, tagliuzzavano il vetro del negozio in modo sconvolgente.
Era tutto troppo silenzioso. Talmente tanto che se il CEO avesse ripreso a parlarle, persino la commessa impaurita e nascosta dietro alla cassa, l'avrebbe sentito.
Oh, l'aveva fatta grossa.
«Annulla ogni appuntamento al buio con la pretendente del tuo socio» ordinò.
«Jimin!»
«E alla prossima parola, al primissimo insulto che rivolgi verso quella ragazzina, che oltretutto non c'entra nulla con questa storia, schiererò il migliore avvocato di Seoul per sbandierare davanti a un giudice l'hard disk dove possiedi tutte le sue informazioni private» neanche respirava più. Stava trattenendo con tutto se stesso la buona volontà di non spaccare ogni cosa; dalla vetrina di Valentino ai divanetti del piano.
«Oseresti farlo?!»
«Ci metto poco a digitare un numero e vedremo se avrai del tempo sufficiente per eliminare ogni prova fino alla fine della chiamata. Non credere di averla vinta, papà. Ai tuoi occhi sono sempre stato uno stupido incapace» continuò, alzando il mento al cielo, «Ma é quando inizi a prendere sottogamba il figlio di Park a Hyun-Soo, dopo anni di funesti studi privati e impostati da un padre costipato, che le cose tornano indietro e peggio di prima» non rimase in ascolto delle urla che uscirono dall'altra parte della capitale.
Finì quella chiamata angosciante e nata con il solo scopo di ricordargli quale fosse il suo posto e quale quello di Moon.
«Chi semina vento raccoglie tempesta. Fai del male a lei e la mamma sarà la prima a cui renderò noti i tuoi piani illeciti, dopo il mio avvocato ovviamente» minacciò perentorio. Il CEO, sotto un piccolo pizzico stupore, sogghignò: «Desideri il divorzio?»
«No. Certo che no, non desirerei mai qualcosa che possa far soffrire, in modo così intimo e privato, il cuore di mia madre. Nemmeno il tuo, se é per questo...» deglutì affranto. «Sei un incoerente, Jimin-ah. Affermi una volontà del genere dopo aver minacciato il tuo stesso padre —»
«Le cose non sono sempre bianche o nere, papà. Magari potessi finalmente capirlo da te e non solo alle spese degli altri» abbassò la voce di un tono e Hyun-Soo si prodigò a ribattere: «Nel mondo degli affari le sfumature non servono a niente: o é un sì, o é un no. O é bianco o é nero. O la sicurezza totale della Solter... O un'avventura che potrebbe demolire l'impero del suo successore, ovvero tu. Lo capisci?»
O l'eredità di una vita, costruita con sudore e tanti sacrifici o un sentimento che sta nascendo giorno dopo giorno, anche all'infuori del sesso.
«Perché essere limitati da delle scelte?!» sentenziò sfacciatamente Jimin, «Perché non avere entrambe le cose?!» continuò.
«Quindi mi stai dicendo che la ami?» osò insinuare.
Jimin perse un battito. La saliva sulla lingua si asciugò come il caldo di mezza stagione sprigionato dal sole di Seoul e le mani, le sue dita anellate e amalgamate da vene verdognole, si sotterrano contro la stoffa del pantalone firmato.
Non riusciva a dargli una riposta, nel bene o nel male. Neanche lui sapeva che cosa voleva da una ragazzina come Moon, o che cosa stesse facendo in quella boutique per farsi perdonare, pronta a viziarla con una ridicola scena alla Sugar Daddy.
Sapeva solo che le commesse arrivarono spedite e imbarazzate dai camerini, dove riconobbe immediatamente Kim Nari, senza troppi fronzoli, e la più anziana delle dipendenti con un pizzico di soddisfazione sulle labbra.
«Jimin-ah, mi stai ascoltando?» sbuffò, «Hai sentito quello che ho detto?»
Entrambe si misero ai lati, a mani incrociate sul grembo, mentre nel mezzo, tra loro, arrivò finalmente Moon dopo un'intensa ora passata a rotolarsi tra vestiti, trucchi e scarpe.
La bocca si schiuse. Le pupille si dilatarono dinanzi alla fonte del più bramato piacere umano, allo scintillio dei capelli lucidi e coccolati con creme oliate fino alla punta della chioma scura, risvegliandosi così da un trans preoccupante al dolce suono di un paio di tacchi che battevano sul parquet.
Venne abbagliato da un accecante rosa shocking, sprigionato da uno dei completi più celebri dell'intera collezione di Valentino dell'ultimo anno e indossato da Zendaya stessa.
Il maglioncino macchiato di soia, i jeans semplici e aderenti e le scarpe da ginnastiche, che appartenevano a Moon, erano spariti, accantonati dentro a un sacchetto marroncino e appeso tra le mani di Nari. Ogni vecchio vestiario era stato sostituito da tracce di Valentino qua e là, rosa, argento e brillanti tra i capelli.
Calpestava il terreno d'orato con un mini abito su misura in crepe hot-pink, rigorosamente rosa, brillanti in ogni dove e corto da far girare la testa a chiunque si trovasse sul suo cammino. Il pezzo forte rimanevano i due profondi tagli che assottigliavano il vestitino sull'addome, tanto da mostrare la sua perfetta pelle perlacea e un'accenno di linea addominale sulla vita stretta, poi il capo riprendeva ad allargarsi nuovamente sotto all'ombelico coperto fino alle cosce, dove l'hot pink cessava di splendere.
Aveva una base così semplice, al di sotto dei microscopici e migliaia di cristalli elaborati in strass, che al tatto simulava la vera seta degli artigiani italiani e, giocosamente parlando, perché l'estro di Moon amava l'eccesso, vi era una più che accentuata sorpresa che impreziosiva maliziosamente la schiena nuda della giovane.
Ma questa era un'altra storia, un dettaglio che Jimin avrebbe colto più avanti, magari senza tutti quei vestiti firmati addosso e più brilli a ruzzolare tra le cosce magre di Moon.
«Ci scusi l'attesa, signor Park. Abbiamo avuto qualche problema in magazzino» la più grande delle commesse abbassò il busto in un inchino di scuse, senza tralasciare però un'occhiata tralice che svettò in direzione di Nari. La bionda si affrettò a fare altrettanto sotto gli occhi giudiziosi dell'intero staff — Moon compresi — e gracchiò: «Non ricapiterà più»
«Su questo non ho dubbi» si mise in mezzo Moon, camminando verso l'uomo che sembrava essere a metà di un collasso per la carenza di ossigeno in corpo. «Tesoro» lo etichettò aspramente, come se fossero marito e moglie, «Datti una svegliata, siamo in ritardo» gli schiaffeggiò giocosamente la guancia glabra di barba.
«Tesoro? In... ritardo?» si fermò a guardarla senza capire di che diavolo stesse parlando, «Per cosa?»
Moon sbuffò, ruotando gli occhi al cielo e provò con tutta se stessa a non morire seduta stante quando, sotto gli occhi, una pochette rosa capitò dalle mani di una commessa.
L'afferrò senza guardarla troppo, o la sua scenata sarebbe crollata come un castello di carta, e incrociò le braccia sul seno. «In ritardo per la resa dei conti. Perciò sbrigati, ti aspetto giù» fece schizzare l'attenzione tra il CEO e Nari senza ammetterlo ad alta voce. Jimin ci mise un po' ad arrivarci, l'occhiata di scuse che le scoccò la bionda lo fece trasalire e bestemmiare internamente.
Moon uscì dalla stanza e non prestò a nessuno, a parte alla responsabile, un briciolo di umanità a discapito del trattamento ricevuto, perciò preferì dileguarsi e lasciare lì Jimin, solo come uno stoccafisso, dopo avergli dato le spalle nell'ascensore.
E Jimin, frustrato, senza aggiungere altro tirò fuori la sua personale ed esclusiva black card dalla tasca anteriore del pantalone e la passò direttamente al tizio in smoking che, con il poss in mano e una gran voglia di morire sulla faccia, sembrava essersi ringiovanito di vent'anni dopo aver visto la sua ragazzina impertinente, più nuda che vestita.
Allungò la mano al tizio e lo squadrò irritato: «Cos'è successo?» chiese poi in direzione dello staff ma queste, morenti di paura, chinarono gli occhi al pavimento e mormorano. «Ci sono stati problemi con un vestito» asserì evasiva l'anziana. Jimin inarcò brutalmente un sopracciglio, stampatosi un'espressione glaciale: «Del tipo?»
Tutte quante guardarono Nari e la beccarono a torturarsi le mani in preda all'ansia. «Niente di preoccupante, signor Park. Uno scambio d'abito» mormorò la bionda e Jimin si trattenne a stento dal riderle in faccia.
Moon era entrata in quel negozio con gli occhi colmi di felicità e ne era uscita incazzata nera, con frasi criptiche da donna viziata e la voglia di ucciderlo con le proprie mani. Quindi no, un motivo futile come quello non poteva aver creato uno scompiglio del genere.
Ma si limitò ad apostrofarla con un'occhiata per niente digeribile e si rivolse alle altre due: «Sapete se ha visto qualcosa che le piace?» la più anziana alzò le spalle sorpresa. «Come ha detto, scusi?»
«Vestiti, borse, scarpe,» elencò premendosi due dita sulle palpebre, «sapete se Moon ha prestato attenzione a qualche capo in particolare?»
«Oh! Beh, la ragazza ha dimostrato uno splendido interesse per l'intera collezione, é difficile per noi classificare con certezza un articolo nello specifico—»
Jimin si ficcò le mani in entrambe le tasche e scioccò la lingua al palato. Odiava dover ostentare la sua posizione — era costretto a farlo per otto ore al giorno alla Solter —, ma lo staff non sembrava aver ben colto quanto lui fosse nero di rabbia per la pessima figura appena fatta con Moon.
Le riserbò occhiata sarcastica: «Questo é il suo marchio preferito, mi state dicendo che si é limitata a indossare un vestito e un paio di scarpe senza mostrare un briciolo di curiosità? Ho pagato un servizio privato esclusivamente per lei, mi credete così idiota?» Jimin sentiva le vene del collo gonfiarsi.
Prendersela con la più anziana era inutile; era impeccabile e terribilmente professionale nel suo lavoro, perciò sapeva che il problema non proveniva dalle sue mani. No, assolutamente, per un secondo aveva stupidamente pensato che Kim Nari, colei che gli aveva succhiato il cazzo giusto un paio di volte, potesse essere matura e non sminuire le sue buone azioni con la sua insensata gelosia.
Non erano stati niente, lei fu la prima a dichiarare che quella semplice sveltina nei camerini fosse stata una cosa da niente — perché l'arrivista commessa aveva una solida relazione alle spalle con un uomo che possedeva più corna che capelli in testa. E se fosse scappata fuori anche sola mezza voce, poteva dire addio alla sua eredità.
Ma ora? Cosa cazzo era quella scena di poco fa!?
«Assolutamente no signor Park! Il problema é unicamente nostro, non abbiamo avuto molto tempo per prestare attenzione ai desideri della signorina Moon e la cosa ci rincresce profondamente» Nari si legò le mani in una catena di falangi umide e sudate, non aveva il coraggio di affrontare il suo sguardo inquisitorio. Al che Jimin, senza alcun freno, le rispose: «Chissà perché la cosa non mi sorprende» l'accusò senza peli sulla lingua.
«Se posso permettermi, la signorina Moon sembrava interessata a un pezzo unico, però é già commissionato e in via di spedizione...» esitò la più piccola delle tre, sentendosi andare a fuoco sotto le pietre nero opale del CEO.
Tutte finirono per boccheggiare: «Non ti starai riferendo alla pelliccia di Sharin-ssi, spero» nominò il nome della famosissima idol che sponsorizzava il loro marchio. L'altra annuì a disagio. «Proprio quella. Mi ha chiesto solamente se poteva provarla,» si grattò dolorosamente un braccio per l'imbarazzo, «l'ha fatto, ma poi le ho dovuto dire la verità. Che é un pezzo unico»
«E tu ti sei presa la briga di farle provare un pezzo del genere, ben sapendo che era già prenotato da un altro cliente?» domandò Nari, cercando di tirare fuori le unghie per uscire da quella situazione scaricando la colpa sugli altri. Ma la più bassa avvampò stizzita: «É stato solo un caso che la signorina l'abbia visto appeso allo stand del laboratorio. Abbiamo provato a intrattenerla al meglio affinché, sunbae-nim, riuscisse a risolvere il pasticcio che avevi causato e l'attenzione é ricaduta sulla pelliccia!»
La bionda scattò immediatamente in avanti e la minacciò con uno strattone sul braccio. «Come ti permetti!?» urlò ricordandole il grado, più al di sotto del suo, nel quale si trovava nella gerarchia dell'atelier.
L'anziana sbiancò in modo drammatico, immaginandosi una delle peggiori figure mai fatte davanti a uno dei loro clienti di fiducia, «Che il Signore mi assista» pregò respirando, prima di ficcarsi nel bel mezzo delle due con una spiccata occhiata severa che urlava licenziamento immediato, in tutte le lingue del mondo.
Il tizio vestito da pinguino e il CEO, quest'ultimo in particolare modo sconvolto per l'intera scena, si spacciarono un paio di sguardi incomprensibili, riconducibili a un esplicito commento maschilista, che tennero per sé.
«Ricapitolando,» esordì stanco il moro, grattandosi la fronte prossimo a un tick nervoso, «questa pelliccia di... Sharen, non é possibile comprarla lo stesso? O averne un'altra?»
«Sharin-ssi, signor Park, non la conosce? Le sue canzoni vengono trasmesse ogni giorno» bofonchiò stupidamente l'anziana. «Non sono un fan del k-pop di quarta generazione e, sinceramente, ora non me ne importa un granché» concluse freddo e rimettendola al suo posto.
Doveva tenere ben in mente che, con la somma che aveva pagato per quel servizio in quell'atelier si, sarebbe potuta permettere una settimana alle Maldive. Perciò tacque sotto lo scintillio della sua black card tenuta ancora in mano.
«Ma dovrebbe signor Park! Da come mi ha detto la signorina Moon, Sharin-ssi é una delle sue cantanti preferite—, Dio!» si massaggiò il fianco appena colpito dall'anziana per la sua impertinenza, «Cavolo, sunbae-nim, fa male...»
«Non la stia a sentire» tirò la bocca in un sorriso falso, «Ci rincresce molto ma, come ha già detto in precedenza la mia collega, é un articolo commissionato privatamente con i collaboratori di Valentino. Non ha repliche, però possiamo provvedere a trovarle qualcosa di simile in magazzino» propose a Jimin, ma questo non ci pensò su un secondo a risponderle di no.
«Non voglio un sostituto»
«Allora preferisce puntare su qualcos'altro? Ci sono tantissime scarpe che a una ragazza splendida come lei starebbero d'incanto» tentò di deviare la sua attenzione, mostrandogli una parete di scarpe scintillanti, però Jimin non fece una piega e la guardò dritta negli occhi: «Posso vedere quella pelliccia, per favore?» tentò di rimanere ancora cortese.
Tutte quante trasalirono e l'anziana, sotto vari tremori nevrotici, annuì accondiscendente e già consapevole di dove il signor Park volesse arrivare con quella richiesta. Ma quel tipo di cliente andava, in qualche modo, accontentato lo stesso e immediatamente, perciò mandò la più piccola a prendere l'abito imbustato.
Dopo qualche secondo di silenzio si presentò con quel cappotto ricoperto di bellissimo e morbidissimo pelo sintetico in un rosa tendente al fucsia. La lampo venne abbassata per farla uscire allo scoperto e Jimin capì immediatamente perché Moon avesse riportato la sua arguta attenzione su quell'ammasso di pelo colorato: sembrava essere creata per lei.
«Voglio quella pelliccia» lo sguardo scattò sulle crepe di preoccupazione sul viso dell'anziana.
«Sono più di trentaquattro milioni di won, signor Park,» schiuse le palpebre sfinita e si massaggiò una tempia, «non giriamoci tanto intorno. Sa benissimo che la mia é una posizione rischiosa e poco rilevante a proposito dei suoi desideri»
«Ha ragione,» sollevò le braccia al petto per incrociarle, pronto a fare affari, «lo so bene. Infatti la mia richiesta, anzi chiamiamola pretesa, avrei piacere di affrontarla con persone che non hanno nulla da perdere»
L'anziana sbatté gli occhi attonita e guardò le altre due, dietro di lei, in cerca d'aiuto. Nari si limitò a sbandierare una smorfia controvoglia mentre Jaen, la più piccola, spillò due pollici all'insù.
Sospirò e curvò le braccia al petto in segno di resa: «Così sia,» rabbrividì, «ma non si aspetti di trovare una strada spianata e qualche favoreggiamento nei suoi confronti. Avrà grossi problemi, forse legali, conoscendo Sharin-ssi, perciò le chiedo se é sicuro della sua richiesta» e, giustamente, l'anziana ci tenne a guardarlo con seria preoccupazione.
Tant'è che si trattenne dal dargli uno schiaffo sulla faccia per urlagli che quella era solo una dannata pelliccia finta, che avrebbe speso ancora più soldi in avvocati e in cose futili. Ma Jimin era figlio dell'oro, dove tutto gli era stato concesso e il restante creato da lui stesso.
«L'ha vista bene la signorina Moon?» sogghignò scuotendo la testa, perdendosi a guardare la vetrina dopo che si girò per dare le spalle allo staff, «Le assicuro che i danni legali di Sharin-ssi, in confronto a quelli che mi causerà Moon dopo oggi, a causa del servizio, e senza aver ottenuto quella pelliccia, saranno solamente dolci carezze»
«Quindi é sicuro di quello che fa?» Jimin intercettò il suo sguardo dalla spalla allenata e trasparì una smorfia sul labbro superiore. «Mai stato più sicuro. Inviate un'email alla mia segretaria e farà in modo di sollevarvi da ogni problema» e prima di andarsene da quel negozio lasciò un'ultima occhiata a Nari e poi all'anziana.
«E per la prossima volta, se mai ce ne sarà un'altra» si sistemò i polsini senza distogliere i propri occhi felini e glaciali dalla signora, «provveda a ricevere determinati clienti con un servizio più consono e impeccabile. Detto questo, auguro a tutte vuoi una giornata»
E auguro a me stesso di tornare a casa con le palle ancora attaccate.
ᴍʏ ᴠᴀʟᴜᴇ
Odiava le umiliazioni. Cazzo se le odiava. Strinse così forte la sigaretta tra le dita dell'indice e il pollice, come un dannato vecchio degli anni 20', che per poco non portò la stecca a frantumarsi alla metà.
Non pestava il piede a terra solamente perché portava ai piedi un paio di tacchi da centinaia di won — i più belli mai visti in vita sua —, e i soldi spesi non erano stati neanche i suoi. Ma di quel deficiente dal quale si faceva scopare, che la vestiva come una regina nel suo negozio preferito, con l'unica pecca di averla rinchiusa nella stessa stanza con una delle sue vecchie conquiste.
E quella puttana, quella dannata giraffa bionda, si era permessa di screditarla in quella maniera solamente con un'occhiata. Giusto perché ora era lei a scoparselo, non lei.
Le spalle nude — per sua smemorata disattenzione — vennero presto coperte da un lungo cappotto in diagonal double wool, infiocchettato alla vita con una cinta morbida, in totale hot pink. Due mani spuntarono ai lati dei fianchi, non troppo grandi ma ugualmente affusolate, attente ad allacciare la cintura del cappotto con lentezza mentre, al contempo, grosse labbra umide e voluttuose iniziarono a strofinarsi contro il collo scoperto di Moon.
La pelle, al di sotto delle appendici estranee, emerse in pagliuzze di brividi e i tendini guidarono lo scheletro del collo a piegarsi all'indietro, inginocchio, ai petali rossi già schiusi e ingordi di divorarle la carne bianca. Erano labbra conosciute quelle che percepiva addosso, anche senza guardarsi indietro avrebbe identificato l'essenza dell'uomo solamente dall'ombra che oscurava la sua schiena, fino al cemento.
Distolse gli occhi dalle scarpe adombrate e alzò appoggiandovi, col retro del capo, la testa sulla spalla del moro guardando il cielo ancora azzurro e privo di nuvole del pomeriggio. Circondati dal fumo della sua sigaretta, chiuse gli occhi e si lasciò scivolare via ogni particella di nicotina dalle narici, respirando col diaframma gonfio.
«Sei l'uomo più rincoglionito mi poteva capitare nella vita» esordì pacata, lasciandosi cullare dall'abbraccio protettivo. «Io aggiungerei anche il più bello in circolazione» ridacchiò appena sul suo orecchio, «E poi sei stata tu a volermi a tutti i costi, bambolina rosa, non fare la tragica»
«Oh, no» si staccò immediatamente dall'abbraccio per puntargli un dito addosso, a qualche centimetro dal viso con la sigaretta a pizzicargli gli occhi, «L'unica cosa di tragico che avrai saranno le tue palle frantumate dopo esserci passata sopra con queste scarpe»
«Graziose, devo dire» lanciò un'occhiata giudiziosa alla vistosità dell'accessorio che brillava di luce propria. Poi tornò su a guardarla dritto negli occhi, che lanciavano fiamme e fulmini, per mangiarsela con lo sguardo. «Dove vuoi che ti porto, tesoro?» la canzonò ironico, col nomignolo tirato in ballo poco prima.
«In un posto dove posso fartela pagare»
«Addirittura?» fece sbloccare la macchina da lontano, oltre la strada, allungandole poi una mano per accompagnarla, «E il nervosismo di stamattina? La macchiata di soia e i jeans che ti strizzavano il culo? Sono evaporati anche quelli insieme all'accondiscendenza?»
Moon accettò l'aiuto senza esitazione, finì per stringergli la mano e camminare a gambe lunghe verso l'asfalto gremito di ricchi. Afferrò un paio di occhiali da sole dalla borsa e li indossò per coprirsi dai raggi. Nemmeno si rendeva conto di quanto fosse unica e bella vestita in quel modo, aggraziata sui tacchi a spillo alti più della torre Eiffel, stretta in quel cappotto rosa con le gambe semi scoperte a ogni passo che faceva.
E Jimin dovette controllare ogni sua espressione facciale, o linguaggio del corpo, per non tradire le sue vere e pericolose intenzioni quando altri uomini, occhi viscidi e impertinenti, si permettevano di fantasticare su di lei.
«Sono dettagli ed emozioni che ho deciso di annientare nell'esatto momento in cui una giraffa bionda tinta ha aperto bocca» si scostò i capelli da un lato mentre Jimin, alzando gli occhi al cielo, le apriva la portiera. Fece il giro della Lamborghini e si calò sulla pelle del sedile. «Moon» l'ammonì.
«Spero che, in momenti più intimi, non sprecasse fiato nell'aprire la bocca solamente per parlare ma per fare altro. Visto che di contenuti ne é priva»
Il moro alzò due dita. «É successo solamente due volte. Una scopata occasionale, povera e sbrigativa, e un pompino altrettanto deludente. Mille anni fa» spiegò annoiato. «Ah sì? Per essere una cosa successa mille anni fa sembrava esserselo stampato bene in mente il tuo cazzo, mister pompino deludente»
«Vuoi veramente passare l'intera giornata a discutere per una stronzata?» le chiese in modo da farla ragionare ma Moon, dopo essersi messa la cintura, girò il suo ossuto dito pronto a sbaragliarlo sotto il mento dell'uomo. «Una stronzata é quando mammina non vuole comprarti la borsa nuova per sfoggiarla nel weekend e vuoi farla pagare al mondo ubriacandoti al liceo. Ma se una stronza impertinente si permette di trattarmi meno degli altri clienti per via del mio status sociale o per della gelosia, quel cazzo che é, allora non é più una stronzata Jimin. Diventa automaticamente la prossima persona in lista da investire non appena avrò una macchina mia» tornò a respirare e guardò davanti a sé senza farsi trovare turbata.
«E il fatto che, casualmente, sia la stessa tipa che cercava di succhiarti il cazzo in passato é solamente un supplemento della storia» finì di parlare. Jimin era impegnato a guidare ma era fin troppo attento, non staccava gli occhi dalle macchine davanti a sé.
Moon si chiese, a una certa del viaggio, se stesse rimuginando sopra a quello che gli aveva detto. Sospirò stanca: era un suo diritto avvertirlo.
«Non succederà più» strinse la mascella e sussurrò tra sé: «Scambio di vestiti un cazzo» sibilò disgustato ripensando alla scusa che gli avevano propinato.
Le spalle di Moon sobbalzarono appena e girò il volto verso di lui. «Cosa non succederà più? Discriminazioni di questo tipo?» scosse la testa con un ghigno amaro, «così va il mondo, signor CEO. Non devo farti pena, volevo solamente che tu fossi a conoscenza di quello che combina quando ci porti le tue amiche. So da sola quanto valgo,» alzò la gamba destra sul ginocchio sinistro e fece scintillare la scarpa, «Valgo anche più di queste bellissime scarpe»
Jimin scosse la testa con un mezzo sorriso sotto il naso: «Lo so anche io quanto vali, bambola rosa. E sì, anche più di quelle bellissime scarpe» allungò la mano per lasciarla sulla coscia nuda di Moon e lei, avvertendo la zona bruciare, si zittì immediatamente. «Ma ti prometto che fino a quando ci sarò io, con te, nessuno proverà più a farti sentire meno di quello che sei davvero»
«É una promessa la tua?» ridacchiò sveglia, «Dovresti rivederti i termini e condizioni della frase, perché così rischi di farti mettere un anello al dito. Sarà peggio per te, dopo non ti concederò nessun divorzio»
Jimin rise e strofinò il pollice sulla pelle candida: «Un modo per farti impazzire lo troverei di sicuro e saresti la prima a buttarmi fuori casa» ribatté ironico mentre Moon fingeva di pensarci su. «Forse ti ripescherei dallo stesso fiume in cui ho gettato il tuo corpo qualora scoprissi un tradimento. Ma giusto per farti riemergere e poi ributtarti giù»
«Rancorosa...»
«Molto. Ma é inutile che continui a fingere con me, é proprio il mio lato da psicopatica che accende il desiderio dentro al tuo cervelletto, so che é una perversione tipica per le persone afflitte da gerascofobia» lo punzecchiò ancora sulla questione della differenza di età, dove Park Jimin voleva farsi credere più vecchio di ciò che non era.
«Dannata stronza» sibilò fulminandola per l'ultimo commento, «Finiscila con questa storia! E io non ho... nessuna perversione o cazzate del genere! Come minimo te lo sei inventata» Moon si massaggiò il labbro inferiore con l'indice e ghignò da sotto gli occhiali da sole. «Può darsi. Potrei aver mentito sulla gerascofobia ma... tesoro, tu nutri profonde perversioni»
L'aria dentro all'abitacolo si fece soffocante in maniera infernale e l'uomo fu costretto a far circolare un po' d'aria fresca dalle ventole. «Non nutro proprio niente»
«Certo che sì,» si sporse in lungo col collo per baciargli la guancia liscia e la mascella con un paio di baci, «Hai grosse perversioni nei miei confronti. Lo vedo. E non posso che esserne felice»
Ma che sadica stronzetta, pensò Jimin dopo gli schiocchi di quei pericolosi baci lascivi e solo allora notò quanto le nocche sulle sue mani fossero diventate bianche da sopra il volante di pelle.
Appena Moon si staccò, tornando al suo posto, cercò di tornare in sé: «Piuttosto, siamo sulla statale» raschiò il groppo di saliva stretto alla gola, «dove vuoi andare?»
Moon spalancò la bocca e gongolò felice. «Lasci decidere a me? Davvero?» L'uomo al suo fianco le scoccò un'occhiata con un'ombra di tenerezza e si sforzò di non sorridere, col rischio di portarsi gli angoli della bocca sotto gli occhi. Perciò rimase neutrale e fece l'indifferente.
«Volevi decidere tutto tu fin dall'inizio. Io ho solo scelto il giorno e un bell'abito, il resto spetta a te» sorvolò il cartello dell'autostrada e sfrecciò con l'intenzione di lasciarsi Seoul alle spalle e Moon, rapita da quel mezzo sorriso nascosto, si lasciò trasportare dai dolci ricordi che riserbava — ancora dopo tanti anni — di lei e la sua mamma.
«Al mare» esordì col cuore in gola e l'emozione del passato addosso, «Voglio andare al mare. Per favore, portami lì»
ʜᴇʟʟᴏ, ᴍᴏᴍ.
Non era un amante dell'arte perché non sapeva cogliere l'anima artistica di ciò che aveva davanti, di qualunque natura, acrilica o carta fotografica. Forse non gli era mai interessato nulla di quel miscuglio di colori assurdo e oggetti astratti che non contenevano nemmeno una linea per definire ciò che vi era, ovvero la realtà.
Ma, con le scarpe dalla punta nera lucida e nascoste dai granelli di sabbia, i capelli spazzolati dall'ebrezza marina funesta e una sigaretta appena accesa in mezzo alla mano a coppa, scorse la parvenza di quello che sembrava essere un sogno, di quelli che non vorresti mai che finisse. Il vento abbracciava i capelli raccolti sul capo della donna in modo innaturale e il sole, coperto a buchi dalle nuvole cariche di odore di pioggia, traspariva intorno a lei e nel suo cammino.
Jimin la guardava girovagare con le gambe nude, e le scarpe appese sugli indici, a ridosso della bassa marea ancora gelida dalla mezza stagione; camminava fino a quando le onde, a fine ritirata, tornavano a solleticarle i piedi e a farla squittire sotto canti d'infante. E nel silenzio, per nulla piegato dall'importante freddo che iniziava a incombere nel pomeriggio, Jimin le lasciò tutto lo spazio del mondo nonostante il loro fosse ancora un appuntamento intimo.
Glielo doveva. Doveva a Moon qualcosa per cui valesse la pena farle tornare un sorriso vero, privo di materiali e polmoni gremiti di gioventù. E quando lei propose la zona balneare di Yeonsu-gu, a trenta minuti di macchina dal loro punto di partenza, Jimin non le chiese troppi perché. Tacque dopo la prima domanda.
«É il percorso più vicino anche se la zona non é un granché. Sicura che é quello il posto in cui vuoi andare?» domandò lecito sotto un velo di scetticismo ma Moon, con un sorriso vagante, annuì tranquilla: «Avrei voluto tanto che Busan fosse più vicina, lì conosco spiagge meravigliose. Ci venivo in estate con mia mamma,» si bloccò criptica, «ma Yeonsu-gu é comunque perfetta» il modo in cui gli rispose, la pacatezza che non fece trasparire nemmeno un tono di malizia, lo convinse a starsene buono nella sua curiosità.
Lanciò una rapida occhiata alla sua macchina fin troppo lussuosa, per quel posto anonimo e sgombro di persone, ora riposata in un parcheggio del porto a una decina di metri più a sinistra. Ignorò l'odore di molluschi e alghe trasportati dalla corrente e raggiunse la ragazzina in rosa che fissava assorta il filo dell'orizzonte.
«Ci sei già stata qui?» le chiese Jimin dopo essersi messo al suo fianco e abbassò lo sguardo dritto al volto perso di Moon. Lei sbatté le ciglia lunghe un paio di volte e tirò un mezzo sorriso: «Mai stata prima d'ora»
«E non ti sei mai chiesta il perché?» fece un sorrisino sarcastico che gli fece guadagnare uno schiaffo sul braccio. «Sei deprimente e noioso. Come puoi non cogliere l'attimo che la natura ci dona in modo così evidente?»
«L'unica cosa che riesco a cogliere è l'odore nauseabondo degli scarti dei gabbiani»
«E ti lamenti se ti chiamo vecchio decrepito» Jimin strinse la sigaretta tra labbra per emettere una risata e allungò un braccio verso il suo fianco per avvicinarla. «Se l'idea di venire al mare ti faceva così schifo potevi dirmelo!» continuò.
Il moro fece uscire una nuvola di fumo col mento all'insù, guardando il cielo che mano a mano si scuriva senza menzionare alcun bel tramonto in vista. «Non mi fa schifo»
«Ma... se ti sei lamentato finora, come può piacerti?» domandò non capendo la logica del ragionamento. Jimin le scoccò un'occhiata enigmatica e la lasciò col cuore furioso di battiti.
«Sono immagini che trovo statiche: i tramonti, l'alba e il mare incazzato con la natura, tutto questo non mi suscita niente. Forse sono nato con un daltonismo particolare per non cogliere ciò che vedono gli altri. E non mi è mai importato di coglierli in realtà,» Moon accolse con cura quel silenzio confidenziale, «come non mi importava del non provare invidia nei loro confronti. Però Moon, ora che ti guardo giocare col mare in mezzo a un grigio anonimo, vestita di rosa, mi rilassa. Mi sento bene. I polmoni, la mente, il cervello... mi sento sereno»
«E sei invidioso?»
Si mise entrambe le mani in tasca: «Del mare che si prosciuga a ogni tuo sguardo? Sì, Moon, lo sono»
Non alzò la testa per affrontarlo dopo una tale dichiarazione; preferiva rimanere stretta tra le costole dell'uomo e la sua mano che spazzolava il raso del vestito dai granelli invadenti. Inclinò il capo fino a sfiorare la tempia contro il suo petto mentre guardava il mare ancora piatto, dinanzi a loro, nonostante il vento impaziente.
«Sai essere così romantico Park Jimin, quasi non ti riconosco e ammetto di avere un po' paura» gli parlò con la bocca premuta sulla stoffa profumata di colonia.
«Paura? E perché?»
«Perché quando un uomo dichiara ad alta voce le proprie emozioni davanti a un mare grigio come questo, potrebbe accadere di tutto come non succedere niente. Conquisterebbe il mio cuore anche senza chiedere, e gli sarà dato. Ma la bontà d'animo non é fatta per l'uomo perché non é parte di lui, ecco perché riusciamo a rovinare tutte le cose belle che ci capitano sotto gli occhi» chiuse gli occhi e lasciò un riso intriso di amarezza.
«Tu otterresti il mio cuore senza alcuna esitazione» si staccò dal suo petto per avvicinarsi alla sabbia umida e gelata, assaporando gli ultimi istanti per girarsi a guardarlo e trovarlo, dietro alle sue spalle, immobile con le labbra separate. Odiava quando usava quello sguardo penetrante che trasudava mistero e ignoto, la rendeva debole. «Ma al contempo, con tale immediatezza, avresti il potere di ridurlo in polvere. E di me, signor CEO, non rimarrebbe altro che sabbia grigia come quella che pesti sotto le scarpe e che ignori con gli occhi, davanti a mille tramonti»
Jimin avrebbe potuto dirle che non lo avrebbe mai fatto e che i sentimenti, che stavano mano a mano nascendo dentro di lui, erano più veri di quello spettacolo plumbeo che aveva rapito gli occhi di Moon. Avrebbe potuto usare mille parole e frasi per dirle il contrario. L'opposto. E farla ricredere sugli stronzi che aveva incontrato nella sua vita ma, fermandosi, aveva colto quel velo di amarezza come un avvertimento — da parte di Moon — nei suoi confronti.
Non vedi che mi sto innamorando di te?
«Non finiresti mai col cuore spezzato Moon. L'hai detto tu stessa: vali molto di più di ciò che vogliono farti gli altri. E un mio errore non potrebbe portarti alla rovina»
Non capisci che possiedi già il mio cuore?
«Quindi sai che non piango facilmente» ammiccò sottecchi. Jimin alzò le spalle: «Chiamalo intuito. Usciamo da un po' e... avevi l'occasione per farlo, più volte, ma non l'hai mai fatto»
«Perché io non piango mai» ammise con tranquillità, come se fosse la cosa più normale del mondo, «Che io pianga o no, non mi riporterà indietro ciò che ormai ho perso. Non convincerà l'uomo che amo a tornare da me e non mi riporterà—» si fermò. Guardò per pochi secondi il vuoto davanti a sé mentre Jimin aspettava in attesa, ma non arrivò mai un continuo. La vide tornare davanti al mare e dondolare coperta dal cappotto di Valentino.
Non mi riporterà indietro mia madre.
«Niente, Jimin. Non riporta indietro niente. Piangere non risolve nulla, perdi solo tempo»
«Questo avviene perché vivi il dolore come una scusa, un mezzo, associ il pianto a un capriccio che dovrebbe risolvere qualcosa ma, come hai detto tu, niente torna indietro. Niente torna come prima. Ma piangere non serve a questo» le disse facendosi più serio. Ma il suono della voce si affievolì con tenerezza: «Piangere serve a elaborare. Esorcizzi ciò che ti avvelenerebbe dentro e ti fa sentire umana. Le cose non cambieranno, ma dai modo a te stessa di andare avanti senza farti altri carichi e ti sfoghi»
Non perderesti alcun valore, Moon. Se tu piangessi per uno come me, sarei solamente il miserabile che ti ha spezzato il cuore e tu, ragazzina in rosa, saresti il meglio che non troverò mai.
Moon rimase colpita, al punto che le braccia iniziarono a muoversi da sole per abbracciarsi e cullarsi fino a quando le unghie non spiluccarono la pelle sotto al tessuto del cappotto. Avvertì qualcosa dentro di lei muoversi, un'onda funesta pronta a ribaltarle ogni muro costruito con finte sicurezze e lepidotteri che svolazzavano sotto i polmoni. Gli occhi pizzicarono ma si girò in tempo per nascondersi, tirò su col naso l'umidità tra le narici e si caricò un sorriso su sul bellissimo volto.
«Ci siamo» lo chiamò, intrappolandosi il labbro con i denti per non crollare, «É arrivato» il cielo grigio si schiuse in una copertina di spruzzi, le nuvole si diramarono in una sequenza quasi innaturale e crearono una lunga linea retta fino all'orizzonte donando, con la prospettiva, un tramonto aranciato nato dal buio.
Jimin guardò oltre la sua figura e sbarrò gli occhi, quasi sconvolto per la mancanza di aspettative che aveva riservato per quel mediocre quadro di Yeonsu-gu, spoglia e abbellita da un porto che puzzava di pesce. Fu come se la vista tornò a baciargli gli occhi per donargli qualche minuto di leggerezza, godendosi il suo primo tramonto a colori insieme a Moon.
Insieme alla ragazzina che non piangeva mai.
«Eccoti» sussurrò piano Moon, lasciandosi baciare dal sole calante, parlando unicamente con lei. «Dopo tutto questo tempo»
Ciao mamma,
quanto tempo.
Come stai?
ᴀɴɢᴏʟɪɴᴏ
Hello!!!
Sarà un angolino breve! É un capitolo che superava 20000 parole e ho dovuto per forza dividerlo ma NON PROBLEM! La seconda parte é già pronta, devo solo scegliere il giorno in cui la pubblicherò: o in questa settimana o nella prossima.
-Jimin non sa molto della vita privata di Moon e non sa ancora che sua madre non c'è più, ma capisce che sotto c'è qualcosa di molto pensate e le concede del rispettoso silenzio. Personalmente ho trovato molto toccante il momento in cui Jimin lascia Moon persa nei suoi ricordi, davanti a mare e a giocare con le onde.
Capisce che per lei é importante e la guarda da dietro. E quando arriva il tramonto rimane sconvolto perché non avrebbe mai creduto che, da un cielo funesto e un posto povero come quello, potesse tramontare un sole così bello. Stanco e abituato a quelli artistici aranciati e perfetti.
É come se tornasse a vedere al punto da capire ciò che provano gli altri.
-particolare importante: Moon non piange. Dopo la morte di sua madre si é rinchiusa. Non ha mai pianto finora con noi perché é convinta che sia una cosa inutile e patetica. Un altro dettaglio che verrà fuori nella seconda parte e chissà, secondo voi sarà veramente così?
-La chiamata col padre di Jimin é l'ennesima goccia che cerca di non far traboccare il suo controllo. Jimin è confuso, tra la Solter, i matrimoni del padre, i suoi trent'anni, l'età di Moon e quello che prova per Moon. Ci sono tante cose da chi scappa e non riesce a darsi pace, ma nemmeno una risposta. Prova veramente qualcosa per Moon? Qualcosa di serio e al di fuori dell'affetto e del suo corpo?
-E amo Jimin in versione CEO irritato.
Vi lascio il vestito di Moon by Valentino: nella versione creata da me il tessuto é pieno di brillanti e una tonalità ancora più marcata. Ovviamente con scarpe diverse.
Versione creata da me:
Originale di Valentino:
Lamborghini Aventador:
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top