ɪ ɢᴏᴛ ɪᴛ, ɪ ɢᴏᴛ ɪᴛ.













𝐒𝐄𝐑𝐈𝐄𝐒:
𝐈 𝐠𝐨𝐭 𝐢𝐭 𝐟𝐫𝐨𝐦 𝐦𝐲 𝐬𝐮𝐠𝐚𝐫 𝐝𝐚𝐝𝐝𝐲
🥀

















ᴍᴇɴᴛᴀʟ ᴍᴏᴠɪᴇ








Il neon violaceo si espanse per tutto il perimetro della coppa del bicchiere, colando a picco fino allo stelo eretto sul vassoio del cameriere, addetto a gironzolare con l'alcol contenuto a stento sul cerchio di metallo. Alla riapertura delle palpebre brillantine e truccate, Moon, afferrò la prodiga coppa sopravvissuta sul vassoio del latitante cameriere, sprovvisto di voglia di vivere.

Se doveva sopportare le mani dello spilungone ubriaco, con la camicia di una taglia più piccola per tutta la serata, valeva la pena buttare ogni frustrazione sopra qualche drink esotico e guarnito al passion fruit. Cacciando così, dalla sua testa, l'amica mozzafiato di Park Jimin e l'aria da coglione che quest'ultimo si portava appresso sulla faccia quando Cheo Hee apriva bocca.

Ringhiò, strinse il bicchiere fra le dita mentre il ragazzo mise il mento attaccato al suo collo; il naso sfiorò l'orecchino a cerchio appeso al lobo, alitandole  sul timpano per oltrepassare la musica.

«Usciamo a prendere un po' d'aria fresca?» propose, artigliandole i fianchi con le dita chilometriche. Le guardò dall'alto e si ritrovò a pensare alla sua enorme fissa per le mani degli uomini. Fantasticando sulle falangi affusolate, lunghe e venose: erano esattamente le mani che piacevano a lei.

Jimin ha le mani più piccole delle sue.

Curvò le labbra verso il basso mentre i tendini del collo arsero il sudore attorno alle spalle.

Non mi sono mai piaciute così piccole.

Portò la coppa sulle labbra carnicine e inclinò la testa all'indietro per bere senza respiro, donando all'esterno la visione del suo gozzo femminile, ondeggiare alla velocità del fluido color pesca.

Guardati: ora le ritiene le più belle e virili del mondo.

«Sì, usciamo» esordì in accordo, lo afferrò per una manica e lo trascinò all'indietro, «Voglio uscire da qui, cazzo» sibilò, stringendo al meglio le briglie del cavallo in calore dietro di lei.

Arrivarono all'inizio di un corridoio dopo aver spalancato due porte grosse come quelle anti panico del retro di un hotel, pressarono le dita sul maniglione rosso per poi richiuderlo con un click assordante. Le luci erano sottili — troppo serali per un semi club come quello —, appoggiò le spalle al muro giallo ocra e si lasciò graffiare le spalle dai grumi in rilievo della vernice.

Il ragazzo l'aveva seguita silenzioso; sulla faccia era presente un insolito ghigno soddisfatto, annacquato da qualche grado di poca sobrietà, ed era ancora incredulo che una come Moon, bellissima, angelica e provocante, fosse rimasta con lui per spingersi oltre. Ma se solo avesse saputo i pensieri della più piccola avrebbe seriamente rischiato di farsi ammosciare il cazzo per il suo disinteresse.

Perché l'appendice che lei voleva non era di certo la sua, come i gemiti che avrebbe rilasciato dalla bocca, se lui le avesse abbassato gli slip giù per le caviglie, non sarebbero indirizzati alla sua bravura sessuale. Ma solo alla fantasia covata nelle viscere di Moon, anestetizzata e addormentata, dall'ennesimo allontanamento di Jimin.

«Allora...», iniziò agitato, per lui fu inevitabile non biasciare fra aliti di vodka, «Vuoi... Andare in bagno?—Ho la macchina qua fuori, possiamo farlo anche lì» parlò a raffica mentre Moon, guardandolo, spinse la punta della lingua contro il fondo della guancia per non ridere. Ma fallì, risultando una stronza.

«Vorresti scoparmi nel cesso di un locale?» postulò sarcastica, alzò lo sguardo verso il ragazzo, restia alla vicinanza. Il moro inarcò le spesse sopracciglia verso il centro: «E dove sennò? Vuoi farlo qui?»

La pazienza sfumò come l'ultima sobrietà cucitole dentro il sangue. Avvicinò il viso verso il mento dello spilungone, accarezzato da un accenno di barba giovanile, e pensò che non poteva avere — su per giù, tratto da conclusioni visive ubriache — più di vent'anni.

«No, certo che no: vuoi fottermi dentro una macchina» affermò mentre un lampo pericoloso le attraversava lo sguardo. La voce restò ugualmente melliflua e ironica, «Voi uomini siete un cliché infinito, se vi rimane così difficile portarmi in un posto che non sia un cesso o un auto, per svuotarvi le palle, potete continuare a usare i fazzoletti per farvi le seghe. Fate meno fatica»

Persa la pazienza e, scaricato le sue frustrazioni contro uno sconosciuto di un locale, incrociò le braccia sul seno pronta ad andarsene. Ma il ragazzo, non solo restò senza parole per il bipolarismo di Moon, ma arrivò persino a prendersela sul personale. Il volto del finto belloccio si increspò, le guance si raggrinzirono sotto le contrazioni dello stridio dentale e portarono, definitivamente, al collasso di qualunque neuroni ancora sano e presente nel cervello.

«Scusami?» richiese, pensando di aver sentito male, «Sei impazzita, piccola?» il tono si alzò, Moon fece spallucce e, disinteressata, rispose: «Può darsi, pensala come ti pare ma possiamo anche chiuderla qua. Non ho intenzione di scopare con te e non chiamarmi piccola» gli lanciò un'ultima occhiata e iniziò a camminare verso la porta, dalla quale erano entrati.

Ma si ritrovò davanti agli occhi un lungo bicipite compresso nella manica color carta da zucchero, e Moon scattò all'indietro dopo che il palmo della mano ai schiantò sul muro e un faccione nervoso irruppe, irruentemente, la sua visuale.

«No! Non lo accetto!» la voce si acutizzò. Il ragazzo cercò di sembrare minaccioso, uno di quei brutti ceffi ai quali piaceva spaventare le ragazzine con frasi e atteggiamenti molesti, ma Moon aveva già avvertito su di sé la vera paura. Quel ragazzo voleva solamente fingersi virile, ma si sarebbe fatto la pipì addosso al primo buttafuori disponibile. «Stava andando tutto bene! Abbiamo ballato insieme e... Ci siamo strusciati addosso, cazzo, hai un culo fantastico» insistette.

Moon schioccò la lingua sul palato, provando a contare fino a dieci per non attaccarlo al muro, tuttavia si fermò a cinque, poiché una mano arrivò a toccarle il braccio con l'intento di richiamarla.

«Togli immediatamente quella mano» sibilò, lo trafisse con lo sguardo, «Prima che ti stacchi il cazzo»

Lui trasalì e arrossì imbarazzato. Strinse involontariamente la presa e inciampò sui suoi piedi finendo nello spazio vitale, ormai contaminato, di Moon. «Non lasciarmi ti prego, voglio sposarti» biascicò, circondò il corpo della ragazza contro il suo petto stringendola a sé e con occhi quasi famelici e folli tentò di avvilupparle il suo collo per baciarla. Lei intuì immediatamente le sue intenzioni; piegò il gomito ad angolo acuto e centrò perfettamente il plesso solare dello scemo.

«Stammi lontano!» ordinò, ciondolante. Lo vide accasciarsi leggermente in avanti; gemette ad alta voce ma fece di tutto per tenere le mani attaccate alle spalle. «Ti compro un cucciolo dai, sposiamoci», continuò lui un miagolio cantilenante. La spinse contro il muro e nonostante gli insulti, i graffi e gli scossoni che produceva per levarselo di dosso, sembrava fatto di ferro.

«Koo Moon»

I due si fermarono; l'esile volto di Moon, aggraziato e turbato dalla mancanza di fiato, si irrigidì, spiazzata da quella voce — sempre udita angelica e melliflue, conforme alla calura d'estate —, ora fredda e letale. Il ragazzo, imbambolato dall'alcol e dagli ormoni, la imitò per l'atto inaspettato. Entrambi si girarono verso destra e scorsero il portone chiudersi, e con esso una figura stretta e avvolta in un completo comparire.

Le braccia del nuovo arrivato si congiunsero sul petto, i piedi erano rigorosamente divaricati e la schiena, ancora impressa nei suoi ricordi, tornò a rompere lo spazio in un triangolo rovesciato paurosamente perfetto. Riconobbe le Oxford Dior sulla testata del pavimento, erano in pelle e verniciate con una lucidatura rigorosamente nera, così tanto pulite che Moon riuscì a scorgere il riflesso del suo volto. I pantaloni stirati, cadenzati al ritmo della fascia muscolare dei femorali e stretti sulle cosce piene, fecero scena abbinati alla giacca scura e ricamata da sottilissimi ricami dorati. Un Versace nuovo di zecca, immacolato e prorompente, faceva capolino fra i due ragazzi accozzati sul muro.

Tuttavia, non fecero i conti con il resto della sagoma, fissando pochi secondi dopo l'ombra scura e impenetrabile che macchiavano gli occhi di Park Jimin.

Egli aveva appena mollato Taehyung e Cheo Hee al tavolo dopo l'ennesima provocazione — o così volle giustificarsi. Ma i due sapevano bene che a risvegliare le molle sotto il culo, del futuro CEO, erano stati gli occhi arrabbiati di Moon e le mani della piovra ubriaca, non solo i due grilli parlanti. Jimin rimaneva ugualmente caparbio nelle sue scelte: le pressioni non lo scalfivano minimamente. Gli bastò vedere la ragazza svignarsela con quel ceppo di legno, afflitto da qualche pubertà tardiva, oltre la porta del corridoio e non tornare più, per farlo arrivare al limite.

«Questo é troppo» la sedia strisciò all'indietro e Cheo Hee sobbalzò dallo scatto. «E ora che ti prende? La ragione é arrivata dal cielo secondo forze maggiori o ti sono bastate le mani troppo lunghe di un ventenne?» osò provocarlo. Per fargli cacciare fuori le palle erano serviti un paio di drink, della stoffa scadente su Shein, una canzone con un testo alquanto discutibile e un bamboccio travestito da Business Proposal.

Il riccio, seduto dopo Jimin, agguantò un bicchiere di vino per nascondere un ghigno alle spalle di quest'ultimo. Mentre Jimin, con le gambe larghe e la gelosia pronta a spaccargli lo stomaco, scoccò un'occhiata penetrante alla sua amica.

«Non mi sento meno di nessuno e quel tale, potrà avere anche delle mani lunghe come due fottutissime sequoie, ma ci metto meno di un secondo a spezzargliele dopo avergli aperto il cranio sullo spigolo del tavolo» esordì senza troppe cerimonie, guadagnandosi dell'approvazione, prettamente tossica e maschile, encomiata da Taehyung.

Afferrò la giacca nera dallo schienale e infilò un braccio per indossarla, «Inventatevi qualunque cazzata con Yoongi» finì di vestirsi e Cheo Hee lo guardò di sbieco. «Lodevole, il discorso, disgustoso ma ugualmente lodevole»

«Sii più specifico», Taehyung abbassò il flûte sul tavolo. «Cosa dovremmo dire al tuo migliore amico, nonché festeggiato, a proposito del tua carente presenza?»

Il moro si piastrò velocemente i capelli con le dita e adocchiò la porta in fondo alla sala.

«Che le presenze carenti saranno due, Tae» entrambi gli amici strabuzzarono gli occhi, scioccati dalle intenzioni del loro capo. «So già come andrà a finire e, per evitare di dare spettacolo, la porterò fuori di qui. E mi devo sbrigare» prima che appenda al muro quel bamboccio, disse nella sua testa.

«Schifosamente lodevole!» asserì ancora Cheo Hee, contenta e pacifica, dopo la scelta di Jimin sul tirare fuori gli attributi e sorbirsi quella ragazzina mangia uomini. «Vai pure, ci penseremo io e Tae a coprirvi» il moro aspettò con gli occhi il consenso del riccio. «Okay ma prima, lascia che ti illustri un po' di cose», Taehyung si alzò, scrollandosi dalla gola i finti grumi di vino, fino ad abbassarsi sull'orecchio dell'amico.

«Sappi che se questa notte andrai in bianco dirò tutto a Yoongi. Prima di essere il mio capo, sei il mio migliore amico, perciò vedi di risolvere e di toglierti dalla faccia questa maschera di Halloween che ti porti appresso da un mese» fece schioccare la grossa mano sulla spalla, godendosi gli spasmi concitanti da sotto la pelle del moro, «Potrei essere tentato dalla noia, scegliendo di non guardarmi più la partita seduto in panchina... Non so se mi sono spiegato»

I due si guardarono: Jimin captò perfettamente i sentimenti di provocazione da parte di Taehyung; giocava, la sua mente era perennemente sgombra dalle belle donne e dalla noia, portandolo a guardare i casi esterni della sua quotidianità da dietro un vetro d'aspettatore. Ma quando un gioco ne valeva la candela — secondo i suoi giudizi —, prendeva in considerazione se oltrepassare quella linea trasparente che lo divideva dal campo di gioco ficcandoci, sopra l'erba deturpata dalle ginocchia, un quarantasei di scarpe sfacciato quanto lui.

Si era goduto la scena della ragazzina in rosa — la sera del compleanno di Jimin —, appicciato a una sbarra del privé a bere del bloody Mery aranciato mentre uno dei suoi migliori amici, il nano brontolone di Biancaneve, cercava di completare la raccolta punti sulla carta fedeltà di sola andata per la prigione. Etichettato, sopra una bella fedina penale, come un hacker spacciatore di documenti falsi ai minorenni e molestatore con sequestro premeditato.

Assurdo, constatò Taehyung per tutta serata, le settimane a seguire e ora, a cena.

E tutti, in quel gruppo di amici ricchi e quasi trentenni, sapevano che se Kim Taehyung avesse messo il suo zampino, dentro a quella faida zeppa di segreti, il mondo sarebbe caduto in rovina. Forse quest'ultimo avrebbe smesso di girare secondo i suoi moti millenari o peggio.

Avrebbe spifferato a Min Yoongi che, in realtà, il suo migliore amico Park Jimin era un imbarazzante sottone e clinicamente fissato, per una diciannovenne. Koo Moon, nonché l'eterno amore impossibile che avrebbe lasciato per sempre, Yoongi, nella friends zone.

«Ti sei spiegato perfettamente» lo affrontò, «Ma ora riappoggia il culo sulla sedia perché non ho intenzione di sottostare al sadismo di un ficcanaso. Starai fermo mentre io proverò, in qualche modo, a risolvere ogni cosa» L'atro parve studiarlo attentamente: percepì delle buone intenzioni. Perciò, quatto e soddisfatto, si riappropriò in una bottiglia di vino pensando a qualche scusa per Yoongi.

Jimin vide l'amico fare marcia indietro, e con lui la sua assurda sfacciataggine; le spalle si rilassarono e guardò i suoi amici per l'ultima volta, prima di incamminarsi verso l'inferno. Ma, girandosi di centottanta gradi, proferì al moro: «Minacciami un'altra volta e farò in modo di rispedirti a Daegu, dove gli unici buchi che potrai vedere saranno quelli delle vacche di tuo zio, ci siamo capiti?»

Cheo Hee ci mise qualche secondo a comprendere quella frase — e a non stramazzare a terra —, trovando però in risposta solamente il pollice ricurvo di Taehyung, intenzionato a emulare l'emoticon di Kakao Talk.

Ma non pensava che dopo quell'assurda riproduzione di un pollice, più simile a un segnaccio di PornHub, si sarebbe ritrovato il ragazzo con la crescita tardiva, stretto come una piovra, sul corpo della ragazzina. Li aveva interrotti, giusto il tempo per assistere alle labbra a culo di gallina del bamboccio a pochi centimetri dal suo viso.

Vide lo sguardo di Moon sfaldarsi, attimo dopo attimo, mentre la carnagione cadeva sempre più sul pallido e febbrile. I glitter che circondavano gli occhi facevano spiccare il rossore sopra a quest'ultimi, e Jimin intuì il sottile strato di ubriachezza. Lo sguardo balzò con impeto sul belloccio; doveva avere giusto un paio di anni in più di Moon, forse a mala pena sfiorava i vent'anni — appurò dai tagli del rasoio sotto il mento.

«Cosa state facendo?», fu talmente glaciale che il bamboccio si rizzò in piedi, dritto come un palo della luce. Moon chiuse la bocca. «Giochiamo a carte, non si vede?»

Il moro strinse la mascella: sapeva che sarebbe andata a finire in questo modo ma sperava, almeno, di bypassare la fase in cui attaccava al muro una matricola della maggiore età. Strisciò le dita sugli occhi, senza alzare lo sguardo da terra per calmarsi.

«Dobbiamo andare, perciò prendi la tua roba e sbrigati» Moon ebbe i brividi, piccoli e fitti che scesero sulla schiena come gocce di pioggia. «Scusami!?» non credeva alla sue orecchie, «Ti sei fatto i cazzi tuoi per tutta la serata e ora pretendi che ti venga appresso come un cane!?» si morse la lingua per non ficcare la panterona dai capelli rossi in quel discorso.

«Moon, non farmelo ripetere ancora. Andiamo» evitò di rispondere ai suoi quesiti: troppo occupato a fissare i loro corpi ancora avvinghiati.

«No» esordì ferma; afferrò istintivamente il bordino della giacca dello sconosciuto per schiacciarselo su di sé. Il ragazzo ebbe un mancamento, il contatto del seno seminudo contro il suo petto lo attivò come un camioncino a Diesel e balbettò confuso. «Che stai facendo—» sussurrò, sempre più impaurito dai sonori schiocchi che producevano le nocche di Jimin, strette a pugni, sotto le ascelle.

Era più basso di lui ma, il modo in cui lo fulminava, lo faceva sentire minuscolo. Come se quegli occhi affilati e gelidi, abituati ad essere sempre inarcati dalla spensieratezza di un sorriso, riuscissero in qualche modo a bruciarlo vivo. E per quanto fosse ubriaco e arrapato per un paio di tette, realizzò che voleva soltanto tornare a casa, specialmente dopo essersi bevuto persino l'acqua delle pozzanghere; con l'alcol mischiato sullo stomaco che premeva come un geyser islandese all'inizio dell'esofago.

«Ci stavamo divertendo. A differenza tua, io non sono stata così maleducata da interrompere i tuoi scadenti flirt, ore fa. Perciò non fare la stessa cosa con me, vecchio. E vatti a fare un giro»

Oh, doveva essere l'alcol — pensò, guardando il suo imperturbabile riflesso attraverso gli occhi sfacciati di Moon, scorgendo in lei un guizzo tremante sotto il suo collo, pochi secondi dopo la sua ultima frase. Attimi silenziosi, i quali determinarono la cessazione di un muro di ferro, ovvero le braccia strette sul petto del più grande che, con lenti andirivieni di scosse, si scioglievano sui fianchi. E i pugni diventarono ancora più chiusi e serrati.

Alcol o del coraggio post-adolescenziale, sicuramente non dell'attitudine alla responsabilità, la giustificò Jimin.

La pressione sulle spalle del ragazzo, causata della presa di Moon, si fece più intensa; lei si avviluppò meglio al suo collo e provò a prenderlo per mano, con l'intento di andare fuori e dividersi una volta allontanati dall'uomo sagomato in Versace. Giusto per creare una sceneggiata degna d'uscita, gustandosi così una mediocre vittoria rocambolesca, impartita sulla provocazione.

Ma Moon fece male il calcoli; sentì il freddo polare bagnarle il corpo, insieme a dell'alito intriso di paura guazzarle sulle clavicole dall'alto. Il più giovane si ritrovò il bottone della camicia premuto fortemente sulla giugulare, stretto a tal punto che il sangue — all'interno delle corpo — si fermò contro il colletto come un anello schiacciatesta, richiamando volgarmente uno strumento di tortura del Medioevo.

Jimin, pochi secondi prima di ribaltarlo all'indietro, spense ogni sentore di accortezza e razionalità, il giusto distacco che separava la sua coscienza all'istinto che ormai non esistevano più. Sfociando così tutta la sua frustrazione mentale e sessuale contro le spalle di un ventenne, dinamico come un palo della luce dopo una tempesta. Arrivò ad artigliargli la camicia, in modo da allontanarlo da lei una volta per tutte, tirandolo poi all'indietro con uno scatto pericoloso: frutto di palestre e gelosia ingiustificata.

Quest'ultimo trattenne il respirò e barcollò a tentoni all'indietro, finendo col coprirsi il viso in mezzo ai gomiti, aspettandosi un pestaggio da ospedale. Tuttavia, il suo sterno, le sue gambe, la sua faccia e — fortunatamente — anche le sue palle restarono illesi, intoccati e privati da qualsiasi angheria vandalica. Allora si levò le braccia dagli occhi e restò scioccato; vide una mano schiantarsi sul muro, adiacente al viso sconvolto di Moon e sentì un latrato appigliarsi alle corde vocali di Jimin.

Fermando la fuoriuscita del caos.

Il giovane, capendo di essere più brillo che sano, mandò al Diavolo le buone maniere e fece uso di codardia, tuffandosi verso il portone dal quale erano entrati, per poi sparire piangendosi addosso. La mora guardò la scena attonita e con una smorfia sotto l'arco di cupido, finendo però col sorbirsi quel corpo caldo e fastidioso a ingabbiarle il corpo.

Jimin la guardava dall'alto, arrivando a sfiorarle di poco la fronte, azzannandola con lo sguardo per rimetterla a posto dopo la sua negligenza. Ma lei, ricolma di frustrazione, non gliela diede per vinta; affrontò quelle lame scure e taglienti, lugubri come gli abissi torbidi e funesti dall'assenza del Sole, senza alcuna paura. E la mano aperta, come un ventaglio vicino a lei, si chiuse in un lampo e colpì ancora il muro, incurante della vernice che affondava sulla pelle.

I nasi entrarono in collisione, così come i loro cuori che battevano irresponsabili.

Il petto di lui continuò a vibrare, alzandosi e abbassandosi con volume. E per quanto Moon, in cuor suo, fosse arrabbiata e delusa da lui, non riusciva a non desiderarlo. Jimin abbassò di poco lo sguardo, il giusto per allineare le labbra premute e irrigidite sopra la mascella affilata, trovandole secche per colpa del respiro accelerato e bisognose di lei.

Moon fece un lungo respiro e prese coraggio: «Lasciami» ordinò, ma Jimin si fece ancora più vicino, inondandola col suo profumo. «Lasciami stare, cazzo. Hai rovinato tutto» presa dal panico lo spinse via da sé, senza dargli la possibilità di parlare o di legittimare le sue assurde intenzioni.

Andò via di lì, entrò in sala e usufruì delle luci basse e della calca per sparire da quel posto, raccogliendo al volo la pochette rimasta sul tavolo e il cappotto. Non si rese neanche conto di avere gli occhi lucidi, come le labbra tremolanti e la punta del naso umida.

Stava per piangere, ma non l'avrebbe mai fatto. Non lì. Non in mezzo a tutti.

Non per lui.

Uscì dal locale senza farsi vedere da nessuno; Yoongi e Jun sembravano spariti, e lei pregò che non notassero la sua assenza fino al mattino dopo, giusto il tempo per pensare a una buona scusa da propinargli. Mentre, attaccati al muro del locale e nascosti delle piante decorative, Cheo Hee e Taehyung, avvolti dalle chiacchiere e qualche sigaretta, la videro saettare via in mezzo al freddo. Era da sola, allungava il passo sopra i tacchi come una ballerina stanca e affranta per aver compiuto un ballo troppo lungo persino per lei, ciondolando infine con le spalle coperte a mala pena dal cappotto.

Lo spacco frontale del vestito, sul seno, si illuminò al congiungimento delle luci del quartiere, lumeggiandola, contro l'immenso desiderio di sparire e basta. Esasperata persino dalla Luna e dalla notte che non volevano lasciarle tregua.

Almeno fino a quando non venne ruotata con forza — quasi con paura — verso un corpo maledetto. Fosse stata più svelta e meno brilla, avrebbe concesso a Jimin un intervento di rinoplastica o qualche seduta dal dentista, dopo avergli cavato qualche dente, ma fluttuava talmente tanto dentro i suoi pensieri, che riconobbe troppo tardi il tocco del più grande sul suo polso. Trascinandola, con assurda presunzione tipica di un k-drama, verso la sua macchina a pochi metri più avanti.

Lei gli guardò le spalle coperte dalla giacca, fatte più spesse e grosse dalla rabbia. Rabbia... quale rabbia? — esordì amara, vittima dell'ironia che le cullava da sempre la vita, ti buco le ruote e ti sfascerò la carrozzeria, altroché la rabbia!

Ma ahimè, per Moon, ciò fu impossibile; arrivarono all'auto in un battito di ciglia e senza dire né se e né ma, Jimin le aprì la portiera trattandola come una bambina in punizione. Intimandole con lo sguardo di non fiatare e salire, accompagnando questo scambio di imposizioni con una carezza sul fianco. Provò a mostrarsi freddo, volendo trasmettere a quella ragazzina della disciplina e freddezza ma, davanti a quegli occhi che per lui rimanevano i più belli del mondo, vacillò con una morbida pressione sul fianco.

Moon non aveva paura: Jimin era troppo... ordinario, preciso e responsabile per farle male in qualche modo. Aveva imparato a conoscerlo e l'avrebbe accompagnata a casa per non farle prendere un Uber ridotta in quello stato, assicurandosi che tutti gli arti fossero nel posto giusto per concedergli un sonno tranquillo e la coscienza pulita.

L'auto prese a tremare e sospirò seccata, afflosciandosi contro il finestrino a lato della spalla, pregando che il sonno la prendesse presto con sé.

Ma la radio, così come il display e i led violacei, si accesero rovinandole i piani. Jimin imprecò, in una lingua al limite della buona cultura coreana, quando partì, sulla stazione Hit internazionali, Djadja. Si trattenne, assicurandosi di avvicinarsi al display con un dito e non con l'intero pugno, per abbassare il volume del tutto. Moon si lasciò scappare un sogghigno, riconoscendo subito la canzone con la quale l'aveva sfidato.

«Alza il volume: questa canzone mi piace»
Jimin, con lo guardo fisso sulla strada, tirò fuori la lingua per bagnarsi le labbra. «L'avevo notato» menzionando lo spettacolino di prima, «Ma non lo farò»

«Mi hai sequestrata, il minimo che puoi concedermi è quello di ascoltare un po' di musica che non provenga da qualche tua merdosa playlist anni 80'» sbottò infastidita. Lo sguardo di Jimin si fece esasperato: «Sono più grande di te di solo otto anni, neanche gli ho mai sfiorati gli anni 80'!»

E Moon, sarcasticamente, esordì precisando: «Quasi nove anni. Volevo metterti a tuo agio e venirti in contro con musica preistorica, ma mi tratti come uno scandalo giornalistico al limite della pedofilia. E se ci vedessero insieme!?» mise la mano sul viso per imitarlo, «Dopo la tua mente farebbe dei lunghissimi film mentali e finiresti per decidere anche sulle scelte e vite altrui! Giammai! Potresti decidere di mettermi in un angolo, fingendo di non conoscermi e con la voglia di spammarmi il tuo bellissimo cazzo in chat, però poi ignorarmi ancora. Fino a quando non entreranno in scena le battute sui preservativi spariti e la gelosia, nata a caso, per un ballo»

«Moon—»

«Ah! Che stupida! Stavo per dimenticarmi il rapimento dentro una Tesla... Già! C'è pure quello» troncò la spiegazione sui film mentali e se Jimin, pochi secondi prima, aveva provato in qualche modo a ribattere ora si ritrovava, quasi obbligatoriamente, a tacere. Con una mano premuta sulla labbra e un dito, pieno di anelli, sigillato fra i denti. Nervoso.

Era nervoso, anzi, infastidito.

Ma secondo il parere di Moon: era solamente un gran permaloso.

«Hai finito?»
«Sì, da quasi...» guardò il telefono, «Un minuto a questa parte. Se vuoi esporti o confutare l'inconfutabile, accomodati»
Jimin sospirò stanco. «Cosa vuoi Moon? Cosa vorresti da uno come me?»

L'espressione di Moon, da piccata, divenne incredibilmente seria. Abbandonò le mani sotto il grembo e mormorò: «Non credo che sia il momento giusto per parlarne ora»

«Perché?» non contenne il fastidio.

«Perché!? Stai guidando un auto killer ed io non sono neanche del tutto sobria, ho lo stomaco che mi balla e quello con la fobia del vomito sei tu! Mica io!» tentò di spiegarsi un minimo anche se, dentro di lei, la voglia di urlagli dentro le orecchie che ormai era cotto di lui era forte. Troppo forte per non provocargli uno shock fulminino con il rischio di capitolare in qualche fosso o schiantarsi contro un pedone.

A quel punto Jimin la guardò sottecchi e decise di andare contro i suoi principi, prendendo un'altra strada così da non dover più avviarsi verso il quartiere di Moon, ma nel suo.

Con l'intento di voler mettere un punto a quella storia.
















ꜱʜᴜᴛ ᴍᴇ ᴜᴘ






Quando Moon si riferiva a Jimin, come un ragazzo responsabile e buono, era seria e ci credeva fortemente. Ma dopo che vide un quartiere sigillato da sbarre automatiche e guardie ai lati di esse, si irrigidì sul sedile con l'alcol che si prosciugava dalla mente dandole lucidità, pensando che forse doveva essere un serial killer ricercato dal Pentagono. Lo vide scambiare un saluto contenuto verso un uomo in divisa, questo si chinò immediatamente e lo lasciò passare con vistosa fretta.

Dove diavolo mi ha portato? — trillò in testa con il naso schiacciato sul finestrino, mi vuole uccidere!

Si staccò dopo il vuoto di un micro avvallamento, nonché l'inizio di una piccola discesa che spariva oltre le fondamenta di quel quartiere segreto.

«Dove siamo? Che posto é questo?»

Le ruote stridirono appena sulla gomma del parcheggio sotterraneo, ruotarono fino a una serie di posti liberi e occupati da altre macchine costose con i vetri oscurati. Jimin slacciò la cintura dopo aver spento la macchina e si incurvò appena sotto il sedile, al lato del suo sportello. Moon sbiancò, adesso tira fuori un fazzoletto e del cloroformio, cazzo! Nel bagagliaio avrà un set di corde da campeggio—.

«Hai detto che non era il caso parlarne in macchina perciò, eccoci qua» si tirò su e quello che tirò fuori — al posto del cloroformio —, in realtà fu una semplicissima custodia per occhiali.

"Semplice"... la montatura di Gucci non era semplice per niente!

«Qua dove di preciso?» postulò con una mano sul petto. Jimin le lanciò un'occhiata fugace, soddisfatto di non vedere dentro ai suoi occhi la sua solita sfrontatezza.

«A casa mia»

Moon spalancò la bocca ma Jimin non ci fece caso, ficcò la custodia dentro la tasca e indicò lo sportello, «Forza, puoi scendere»

«Grazie! Gentilissimo per l'offerta ma credo che rimarrò qui» Il moro si fermò sul posto, con lo sportello aperto e gli occhi sbarrati si girò per guardarla: «Hai paura?»
Lei si corrucciò, «Dovrei?» Al che, Jimin, alzò gli occhi al cielo e cercò di puntare sul suo orgoglio.

«Esci ogni sera vestita come le vecchie groupie di Mick Jagger, fai sesso occasionale con degli sconosciuti scappati di casa nei locali e ti messa a gironzolare in mutande da Yoongi con quattro ragazzi dentro una stanza: hai seriamente paura di entrare nel mio appartamento per una conversazione?»

Ho paura di saltarti addosso, é diverso — dichiarò Moon fra sé. Ma si fece immediatamente indisposta dopo aver udito quella caterva di opinioni non richieste.

«Fottiti» serrò le labbra, «Mi vesto come voglio e faccio sesso con chi voglio, posso darti ragione sulla mediocre generalizzazione degli scappati di casa» lo trucidò con lo sguardo prima di scendere dalla macchina, «Ma si rivelano essere così solamente dopo averci scopato, adolescenti o uomini che siano»

Chiuse lo sportello con violenza e aspettò che il principe della maturità, con il culo in Versace afflosciato sul sedile, uscisse per affrontarla. Jimin colse la provocazione e la seguì immediatamente, dando vita a un botta riposta ridicolo quanto impossibile.

«Non osare paragonarmi a quei pagliacci!» l'avvertì, accelerando il passo verso la cabina dell'ascensore, «Quello che stavi violentando prima che arrivassi io, ecco sì, lui é uno di quegli scappati di casa che solitamente tendi a farti! Aveva ancora i baffi da latte sulle labbra» chiamò l'ascensore; spinse il dito così tante volte, sul pulsante in acciaio, che per poco non inceppò il meccanismo a molla. E Moon, da dietro le sue spalle, si dedicò a ridergli falsamente addosso.

«Non stavo violentando nessuno! É stato lui ad appiccicarsi su di me come un mollisco e comunque non te la credere così tanto: avere un pene di discrete dimensioni non ti da il diritto di poter scaricare sui più giovani tutte le frustrazioni che cerchi, in vano, di nascondere nella tua merdosa vita da trentenne» passò di fianco a Jimin, scontrando appositamente la spalla sulla sua. Inclinò il capo di lato e finse un sorriso dispiaciuto.

«Ci sono specialisti appositi per la gerascofobia, potrebbero risolvere subito la tua paura dell'invecchiamento»

Provò a spingere il tasto per chiudere le porte ma Jimin, pieno fino al midollo di quella lingua biforcuta, ficcò una mano in mezzo ad esse; egli spinse un'anta di ferro con forza, ritrovandosi nel centro della scatola cubica come un lupo che bramava una pecora intrappola.

«Vuoi litigare?»

«Conversare» lo corresse spavalda, «Visto? Non ho paura di fare conversazione con te e so intrattenere tanti discorsi»

Anche troppi discorsi — grugnì Jimin, avanzando di qualche passo cosicché le porte riuscirono a chiudersi. Premette l'ultimo piano e, finalmente, la scatola di ferro prese a sollevarsi.

«Gerascofobia eh? L'hai imparato all'università?» domandò sornione. Moon si guardò distrattamente le unghie e esordì: «Può darsi»
«Pensavo che facessi solo storie su Instagram lì dentro, i miei complimenti»

Moon alzò lo sguardo arcigno verso il moro, trovandolo gongolante con la sua solita faccia da scemo. «Attento. La gerascofagia potrebbe uscire in qualsiasi momento»
«In tal caso sarò un trentenne afflitto da aberranti sindromi inconsuete con un pene di discrete dimensioni»

«Un pene di discrete dimensioni che vorresti uscirmi nei DM di ogni mia storia di Instagram, giusto? Ma non lo fai... a quanto pare ti é bastata la foto davanti allo specchio, vestita con la tua giacca»

«Nuda con la mia giacca, vorresti dire»

«L'hai guardata proprio bene quella foto, eh?»

Quanto cazzo ci mette questo ascensore!? — il moro si fermò dal prendere a calci le porte, respirando con lunghi soffi di fiato che entravano e uscivano dal suo corpo. Chiuse gli occhi, avvicinandosi pericolosamente al corpo di lei come soggiogato — anzi, ammaliato — dal ricordo di quella foto e delle sue grazie scoperte che, minuti dopo, l'avevano portato al delirio sotto una doccia fredda.

«Non stai mai zitta? Devi avere sempre l'ultima parola?» sibilò autoritario.

«Fallo tu», si avvicinò, trovandosi ad un pelo dalle sue labbra carminie, «Zittiscimi»

Provaci, sussurrò in un mugolio, piazzando le mani ai lati del suo colletto fino a scambiarsi il fiato; le mani striscianti sulle spalle finirono immediatamente sul petto del moro. Vivendo, in quel contatto, tutto quello che c'era stato fra loro. E Jimin, dal suo canto, provò le stesse cose; un bruciore forte e tediante sullo stomaco, sotto l'ombelico, che mano a mano divampava fino al centro del petto. Sopra al cuore.

Dondolò in avanti, Moon dovette tenersi appena e arretrare fino al muro, freddo e in acciaio, di quel mastodontico palazzo per ricchi. Sospirò con vergogna, intrappolata dalle spalle larghe dell'uomo e cercò di fare appello a tutto il suo autocontrollo per non ficcargli una mano dentro alle mutande, rischiando così di essere beccata in pieno dalla telecamera di video sorveglianza. La quale, con il mirino rosso sul soffitto, ricordava a lei e alle sue irrefrenabili voglie sessuali di darsi un contegno o si sarebbe ritrovata su Porn Hub.

Moon alzò il mento fino a quando non trovò il timpano di Jimin, lasciandovi un ansito affannato al costato della pelle morbida contro la sua guancia. Vi appostò le labbra gonfie, sussurrando: «Siamo due idioti», socchiuse le palpebre, «Prima scopiamo, ci provochiamo, finiamo col litigare e poi ritorniamo qui, al centro di questo loop — nella casa dell'uomo che mi fa uscire di testa —, a... volerci»

Jimin la lasciò parlare, ascoltando così ogni parola che la sua melliflua e bassa voce trovava giusto dirgli.

«Ti é così difficile dire ad alta voce che mi vuoi? O almeno farmi capire le tue fottute intenzioni! No. Ovvio che no: preferisci allontanare da me ogni ragazzo con cui mi approccio, senza darmi nessuna spiegazione, ferendomi con la tua indifferenza e... trattandomi come se fossi veramente una bambina! Dimmelo, Jimin: é così difficile?»

L'ascensore arrivò al tanto atteso piano, si aprì con un ding robotico e Moon, stanca di quell'opprimente silenzio da parte di Jimin, lo scansò di lato per uscirvi. Accelerò il passo sui voluminosi tacchi a spillo per seminarlo, provando a respirare per togliersi di dosso l'odioso senso di umiliazione ma, pochi secondi dopo, lo vide sorpassarla sopra uno sciocco pensate di scarpe. Le Dior le fecero strizzare la schiena verso l'alto e Jimin, con il dito occupato in un virtuosismo sistema di combinazioni, finì col fulminarla dalla sua porta.

«Entra» ordinò, per la seconda volta nell'arco di quella serata, a Moon. Invitandola, con uno sguardo ai limiti del letale, ad entrare mentre le teneva aperta la porta come un gentiluomo d'ombra.

Moon costatò che quella volta, nel corridoio dell'appartamento protetto del finto Pentagono, davanti alla porta dell'interno 44B, avvertì per la prima volta il senso autoritario di Park Jimin. Neanche prima, al locale, quando si era ritrovata con la schiena attaccata al muro e la mano di Jimin schiantata su di esso, provò lo stesso timore o della sottomissione. Mentre ora, guardava le ciocche dei capelli corvini, sfuggiti dalla piega del gel — estesa fino all'osso parietale e oltre —, mostrarle degli occhi color tenebra.

Doveva essere la famosa freddezza dei Park, quella — stalkerando l'uomo su ogni rivista scandalistica, Moon si ricordò di aver letto qualcosa in merito: "L'impero del business sud coreano continua ad espandersi, Park Jimin dimostra ogni dote impartita dal famoso CEO della Stolter eliminando ogni concorrenza."

Jimin continuava a fissarla, con il braccio rizzato sulla maniglia e l'altra mano dentro la tasca dei pantaloni.

Il quasi CEO si è arrabbiato — delucidò per conto suo Moon, sotto i brividi di quello sguardo a lei sconosciuto e, cacciando a calci la riluttanza, avanzò verso di lui con la gola arsa — e fra i due, quella arrabbiata dovrei essere io, odioso millennial del cazzo!

«Ho bisogno di un bicchiere d'acqua!»

La porta si chiuse con un tonfo assordante, identico al cigolio che anticipavano i jump scare in The Grudge, assieme agli schizzi di sangue delle vittime; Moon, coperta dal buio e dal silenzio dei loro respiri, era prossima ad una sincope.

«Fresca!» precisò, facendo finta di non aver timore, acqua fottutamente fredda.

Sobbalzò con un singulto in gola quando, in un baleno, la luce di un salone enorme illuminò l'intero appartamento. Jimin tolse le dita dell'interruttore e, senza guardarla, avanzò felino fino alla cucina adiacente. Usò un dito per allentarsi il colletto dal collo, in modo che anche la sua pelle ambrata potesse finalmente respirare, con un movimento visivamente porno.

La ragazza, tacita, finì per seguirlo incantata dopo che egli lanciò le chiavi della Tesla in uno svuota tasche, situato nelle vicinanze, ammirando poi la sua schiena flessa contro il frigo. Vide il moro afferrare una bottiglia di vetro e subito dopo un bicchiere, lasciando così che l'acqua inondasse, scrosciante, il silenzio. Jimin ruotò appena il capo, senza muovere di un millimetro il busto, per guardala sottecchi fra i capelli indomabili, poco sotto la fronte.

Trattenne un ghigno divertito fra il nervoso che divampava nel corpo: le sembrava una pecorella smarrita e lui il lupo, voglioso di divorarla.

«Difficile...» disse ad alta voce, riprese il discorso di poco fa pensando, «Credi seriamente che il difficile per me sia ammettere quello che provo per te, Moon?»

Lasciò il bicchiere sull'enorme penisola della cucina, in attesa che la dolce ragazza col vestito dell'inferno si prodigasse a raggiungerlo, aspettandola con le maniche della camicia alzata sugli avambracci e il bacino appoggiato sul frigo. Aveva le braccia incrociate sul petto, odiando la troppa distanza che quella penisola e il bicchiere frapponevano fra di loro.

Moon alzò una mano sul capo, si sciolse la lunga coda liscia sulle spalle e scosse appena il volto prima di aprire gli occhi, in modo che i fili corvini le andarono a coprire le clavicole, cosicché il castano scuro potesse risaltare il candore della pelle diafana e le labbra rosse. Si avvicinò alla penisola in marmo italiano; con l'indice sfiorò la superficie perlacea fino al bicchiere pieno d'acqua e, senza distogliere lo sguardo da quello furente di Jimin, ne trangugiò ogni goccia.

Si leccò le labbra e, senza alcun permesso, fece pressione con il palmo sinistro sulla penisola, sedendosi sul marmo freddo con le gambe accavallate in tutta la loro lunghezza.

«Sì, Jimin» osò rispondergli, «É quello che mi hai dimostrato stasera con quell'uscita infelice sui preservativi e trascinandomi qui con te—» Jimin si fece scappare una risata ironica. «Era una stronzata Moon! Non mi sono fatto nessuno dopo quella notte e oseresti fare i capricci se ti tratto come una bambina! Lo spettacolino di prima che cos'era, una vendetta!?» Ma Moon volle sorvolare quel particolare per andare dritta al punto.

«Allora dimmelo tu, porca puttana. Quale cazzo é il problema!?» appoggiò il bicchiere sul piano con forza. «Il problema Moon é che non pensi a come potrebbe essere la mia cazzo di vita! Sai che cos'é davvero difficile da capire per me!? Il fatto che una ragazzina provi ad interagire con uomo di trent'anni e volerci più di una sola scopata; porto sulle spalle il peso di essere, in un domani dannatamente vicino, il CEO di una delle multinazionali più fatturate del Paese; insieme all'angoscia di uscire, per l'ennesima volta, in prima pagina con una donna in topless che vuole accaparrarsi solamente il mio conto in banca!» non si rese neanche conto di aver alzato la voce, ma non si preoccupò dei vicini o delle sue urla; le pareti insonorizzate resero quel momento di sfogo più intimo che mai.

«Faccio in media centinaia di calcoli mentali ogni tot ore per supervisionare tutte le statistiche dei prodotti; sono a capo di centinaia di dipendenti solo nella filiale di Seoul e sono — cazzo! — obbligato a seguire dei merdosi e tossici principi sul decoro» si spinse in avanti e intrappolò Moon in mezzo alla sue braccia, fissate ai lati dei fianchi. Lo sguardo incazzato di Jimin si affievolì poco a poco, vide sul volto di Moon del puro stupore e sperò di non averla spaventata con le urla.

Si calmò. Fece un lungo respiro col naso e incatenò lo sguardo al suo.

«Non sei una cacciatrice di dote e non vuoi usare il nostro rapporto sessuale come strategia di potere davanti ad un giudice, perciò ripropongo la stessa domanda che ti ho fatto prima in macchina: che cosa cerchi da uno come me, Moon? Del sesso e basta?»

Moon si avvicinò lentamente. Aveva gli occhi lucidi e il cuore battente, stupita da se stessa per quanto forte potesse essere quel battito, da sempre rimasto piatto come un torrente in aprile.

«Jimin...»
«Hai sentito quello che ho detto poco fa?»
«Sì» rispose piccata, «Sto cercando di ignorare il fatto che tu non mi reputi alla tua altezza»
«Non dire queste stronzate. Rimarcavo il fatto che hai vent'anni e che devi pensare a goderti la vita come più ti piace, la mia é solo diversa dalla tua, dannatamente pesante e responsabile»

Per lei fu impossibile non trattenersi dall' accarezzargli il viso con le dita sottili, ammaliandolo con le sue carezze sempre più verso di sé. «Eppure ti voglio, so di volerti. Voglie te...» cantilenò sussurrando, «Vestita col tuo corpo, meglio di un banalissimo Versace addosso. Voglio te, i tuoi occhi che se potessero mi spellerebbero viva quando ballo con un altro come ho fatto questa sera» e Jimin strizzò le palpebre infastidito dal ricordo, rimembrando le sue nocche premute sulla sedia imbottita mentre i suoi amici gli traducevano quella maledetta canzone occidentale — tra l'altro mai ascoltata prima.

Le dita risalirono fino alle tempie, all'inizio della rasatura di un leggero undercut coperto da ciocche più lunghe; il moro schiuse le labbra andandole in contro, strofinandovi contro la pelle morbida di Moon. 

«Persino ora che hai mostrato l'enorme divario che c'è fra me e te, continuo a volerti di più, accantonando in ogni dove questo squilibrio intangibile. No, Jimin. Non è sesso. Non è per soldi. E non è un capriccio di una sciocca ventenne» prossimi ad uno schiocco di labbra, «Non so cosa sia. Ma mi accontento della voglia che ho di te, in tutto e per tutto»

Le mani del moro presero a muoversi, lasciarono la statica posizione precedente per avvicinarsi al vestito sfiorando, con più peccati che pensieri, la curvatura dei suoi fianchi rotondi. Circuì una linea invisibile esterna, pigiando di poco le dita sulla carne per avvicinarsela a lui e sentirla schiudere le cosce in una lenta attesa. Per il vestito, riesumato da Euphoria, fu impossibile rimanere incollato sotto i glutei dopo che Jimin, accaldato e senza controllo, trascinò quest'ultimi a stretto contatto col suo bacino. Premendolo contro il centro semi scoperto di lei, scaturendo da entrambe le parti un'accozzaglia di gemiti sonori.

Jimin provò a fiondarsi sulle sue labbra ma Moon lo frenò da dietro la coppa, stringendogli senza alcun dolore i capelli. Rimase appeso, con il pomo d'Adamo convulso e gli occhi famelici.

«Invece Park Jimin, che cosa vorrebbe un uomo maturo come te, da una bambina che si fa fottere da sconosciuti nei club a cui piace tanto vestirsi da Scream Queen, e che riesce ad avere sempre l'ultima parola su tutto, portandoti al limite dell'esasperazione?»

Cazzo — Jimin sembrava esplodere; la cintura dei pantaloni lo stava segando in due e sentiva il suo sesso dolergli da sotto i vestiti.

Moon gli afferrò il mento, graffiandolo con le sue lunghe unghie rosse, esse scintillavano sotto la luce della cucina quasi quanto il bicchiere accatastato sul bordino della penisola. «Vorresti vedermi camminare nuda per il tuo appartamento con la tua giacca? E... se ti dicessi che in quella foto non portavo le mutandi—» strillò senza finire la frase.

Riaprì gli occhi e scoppiò a ridere soddisfatta quando sentì la terra mancarle sotto i piedi, trovandosi così ad ammirare un parquet lucido e paio di chiappe palestrate dall'alto. Jimin l'aveva sollevata dalla penisola senza sforzi, caricandosela sulla spalla per ammirare il bordino del vestito alzarsi dalle cosce.

Ghignò. La trascinò così per casa, come un un sacco di patate e senza darle modo di farle fare un tour generale, ignorando i suoi pugni indolori sulla schiena. Ormai Moon sapeva che quella dannatissima foto era diventata — all'incirca — un semi kink per Jimin, e trovava divertente farglielo notare almeno una volta ogni ora.

«Jimin mettimi giù!» sentì una porta aprirsi e chiudersi subito dopo nel buio, poi uno schiaffo le arrivò sul culo ancora all'aria e la fece zittire. Jimin non tolse la mano da lì per nessuna ragione al mondo, godendosi addirittura il respiro accelerato della sua ragazzina dopo che egli, bastardamente, le scostò gli slip di pizzo con il pollice della mano con cui la sorreggeva.

«Volevi risposte?» domandò retorico prima di adagiarla sul letto. Accese una delle mille luci soffuse della stanza e Moon fu costretta a guardarlo; lui iniziò a togliersi la camicia partendo dai polsini stetti sugli avambracci, passando al petto umido e all'addome.

Ruotò le spalle all'indietro e la camicia cascò a terra.

«Allora farò in modo di toglierti ogni dubbio»














ʀᴇᴠᴇɴɢᴇ





La luce del Sole trovò la forza di volontà di penetrare le persiane scoperte della camera da letto e lì, fra coperte e mugoli mattutini, Moon aprì finalmente gli occhi. Li aprì lentamente, sentendosi più rilassata che mai e dannatamente stanca, come se avesse appena compiuto una maratona di triatlon poche ore prima.

Ma sorrise scioccamente.

Non aveva corso nessuna maratona, né pedalato o scalato montagne. Girò il volto sul cuscino senza far rumore e trovò lì il motivo della sua stanchezza.

Un motivo dormiente e pacifico collassato nel mondo dei sogni, appagato dopo un'intensa notte di sesso e provocazioni notturne. Perché a loro non piaceva procedere come le persone normali: Moon era obbligata a prenderlo in giro costantemente, anche durante il sesso amava percularlo, in modo che quel pinguino statico e ingessato che indossava da tutta la vita cascasse almeno in sua presenza. Mostrandole un lato selvaggio, quasi volgare e primitivo che nascondeva sempre davanti ai suoi amici.

Sembrava un loro segreto, in quel mare di lenzuola e capi sparsi per la stanza e Moon voleva tenerlo solamente per sé, quasi con fitta gelosia.

Si era svegliata, quella mattina, con un braccio muscoloso appoggiato sul fianco e delle dita a sfiorarle il piercing sull'ombelico: Jimin sembrava ricercala persino nel sonno. Avvertiva il suo respiro regolare solleticarle il collo mentre tutto il suo corpo, appiccicato contro la sua schiena nuda, emanava calore da tutte le parti. E sorrise maliziosa dopo che percepì una meravigliosa erezione mattutina, addossata sopra i glutei, darle un rigogliosissimo buongiorno.

Per questo si era girata a guardarlo, contemplando il viso rilassato di Jimin coperto da metà dal cuscino e, dopo che lei si fu mossa, il braccio del moro raggiunse la frescura del lato più freddo del cuscino, entrando da sotto creando un avvallamento sul guanciale. Moon sospirò: era un figo persino di prima mattina.

Il naso di Jimin si arricciò appena, provocato da un solletichio di qualche acaro pruriginoso e ciò, secondo gli occhi di Moon, risultò schifosamente tenero. Le labbra erano ancora più gonfie e invitanti, portavano ancora il sapore di lei dalla sera prima... divertitosi fin troppo ad aprirle le gambe per farle sentire di che pasta fosse fatta la sua lingua.

Strinse le cosce dopo quel flashback e un altro lampo di genio la soggiogò.

Lo stronzo ha voluto punirmi, ieri sera — pensò agli orgasmi incompiuti per colpa della sua lingua da serpente, ora lo farò rimpiangere.

Guardò il lenzuolo che copriva ancora i loro corpi e ne approfittò per scivolarci sotto come un rettile; avvicinò le labbra sotto i pettorali e lambì ogni addominale riposato con la lingua. Jimin ebbe i primi spasmi ma non si svegliò, anzi, le facilito il compito girandosi a pancia in su per piastricciarsi i capelli con una mano. La ragazzo tornò a concentrarsi sulla sua vendetta, arrivando con quasi troppa facilità alla zona prefissata in partenza.

Meglio così — pensò, acquattandosi ai lati delle gambe del moro, ora lo faccio secco.

Spostò i capelli dal viso e tracciò con baci e succhiotti la fine dell'ombelico, fino alla zona pelvica tirata da vene e muscoli, Jimin finalmente schiuse le labbra per mugugnare come un gattino. Arrivò alla base del sesso con uno schiocco di saliva, pensando: doveva fare un lavoro con i fiocchi, sarebbe stato il loro primo pompino e nel mezzo c'era pur sempre della vedetta puttana.

Smise di contemplare quel cazzo da sogno, protagonista di tante peripezie, per avvolgere la mano destra intorno ad esso, lubrificando la mano con i suoi stessi baci, arrivando fin sopra la punta del pene. Accogliendola in bocca — quest'ultima — con ogni gusto esotico del suo precum, lasciando poi che la lingua si prodigasse su e giù sopra ogni vena, esercitando una pressione incontinente sul frenulo.

La bocca si adattò alle dimensioni e, con calma e pazienza, la gola di dilatò sempre di più dopo che prese smuoversi come una giostra. I mugolii febbrili di Jimin diventarono gemiti rumorosi, fu obbligato a svegliarsi e aprì gli occhi dopo che sentì il cuore spaccarsi in due dentro il petto, insieme al piacere che trasudava dai lombi.

Spalancò le palpebre confuso, scioccato, sentiva le vene del cazzo esplodergli mano a mano che un'assurda centrifuga di labbra golose aumentava pressione e velocità. «Ma cosa?—» Provò a fare leva sui gomiti e guardare in basso ma dieci unghie rosse, laccate come il sangue, lo trafissero sopra le onde pelviche, ai lati del membro, proprio dove Moon lo aveva agguantato per lasciargli un bel ricordo.

«Moon cosa stai facendo, cazzo!—» la sovrastimolazione fu troppa per permettergli di parlare, ma non voleva neanche allontanarla ad un passo dal traguardo. Perciò la schiena ricadde sul materasso e Jimin fu obbligato a nascondere la sua faccia supplicante contro l'articolazione del braccio e l'avambraccio. Con la mano libera si intrufolò sotto il lenzuolo e provò ad afferrarle i capelli per farla andare più veloce.

Ma Moon la bloccò immediatamente dopo averla intercettata e l'ancorò sul materasso, togliendoli così ogni possibilità di comando. Lui aveva fatto altrettanto ieri sera, mentre si dimenava con la sua lingua dentro la sua vagina... perciò non capiva perché non avrebbe dovuto fare lo stesso.

Jimin tolse il braccio dal viso e alzò immediatamente il lenzuolo e, ignaro che quell'azione gli sarebbe costata cara, scorse sotto il biancore del bucato pulito i suoi occhi. Un paio di occhi da cerbiatto contornati dal trucco della sera prima, privi di vergogna e vogliosi di lui, in egual modo erano le sue labbra strette sul suo cazzo che, ad ogni rimbalzo, scompariva raschiando i lati della sua gola.

Moon lo stava sfidando e non aveva paura a guardalo negli occhi mentre si trovava fra le sue gambe, Jimin guardò i graffi rossi sulle sue ossa pelviche e, senza aspettarselo minimamente, Moon gli afferrò la mano ancora bloccata sul materasso per posarsela in testa. Fra i capelli stupendamente selvaggi e curati, stretti ora in una coda di mani bollenti.

Ansimava a gran voce. Gli concesse solamente quel tocco, dopodiché lo lasciò finalmente venire con un black out sensoriale. Moon accolse in bocca ogni liquido che fiottava sotto forma di scosse contratte, aspettando qualche secondo perché l'orgasmo dell'uomo terminasse.

Jimin si sentì privato da ogni forza, tant'è che le braccia cascarono sul letto in un tonfo incontrollato mentre produceva sospiri di stanchezza. «Merda...» mormorò sudato, gli occhi fissi sul soffitto, «E questo risveglio a che cosa era dovuto?» domandò retoricò, tuttavia Moon si interessò solo di stiracchiarsi la schiena e ingoiare con nonchalance i suoi liquidi seminali.

«Vedila come ti pare» sussurrò compiaciuta, tracciando con le dita i rilievi dei graffi sul bellissimo corpo del moro, «A me piace chiamarla vendetta» tolse il lenzuolo dalla testa e si erse come un pilastro, ancora sopra a Jimin.

Si sedette meglio sopra le sue cosce a gambe divaricate e completamente nuda, mentre Jimin imprecava in un vociare soffocato dopo che si accarezzò il volto esasperato. Strega, la maledisse di prima mattina con le palle svuotate, un pompino senza neanche avvisare.

Continuò a sfregarsi gli occhi accusando in ritardo gli acciacchi del sonno e Moon lo guardò intenerita. Strofinò il bacino contro quello del moro, provocandogli un sobbalzo di piacere lamentoso, per abbassarsi col busto verso Jimin. I capelli colarono come oro nero dalla schiena perlacea e sui lati del ventre del moro, obbligando Jimin a guardarla una volta per tutte.

Era Angelica, in volto aveva un vero sorriso senza smorfie o residui di malizia. Sorrideva con le labbra chiuse mentre continuava a pizzicare il tatuaggio nel costato del moro. Jimin appoggiò definitivamente il collo e il capo sul guanciale, ammirandola dal basso in tutto il suo splendore. Nuda come non era mai stata e donna davanti ai suoi occhi.

Voglio te, tutto quanto di te.

Persino la tua noiosa vita d'ufficio, sussurrò Moon ore prima, e tu? Cosa vorresti da una ragazzina come me?

Tutto, ripose lui, voglio quella leggerezza che riesci a darmi, facendomi dimenticare chi sono e quanto la mia vita sia opprimente.

Quindi... — tentennò nella notte Moon, in subbuglio per quella risposta, ho il permesso di picchiarti se ti vedo con un'altra ragazza?

Jimin rise, Questo lo vedremo, può darsi che ci stancheremo presto e ognuno andrà per la sua strada.

Certo, Moon lo guardò, poi verrò nella tua e ti stirerò con un camion.

Ora era mattina e Moon si era chinata ancora di più verso il moro, trovandolo con un sorriso sghembo sul viso — o da scemo — e la mente alla deriva. Lo riportò nella realtà afferrandogli il mento, baciandolo come se fosse la loro prima volta.

Lei con il sapore di lui.
Lui con il sapore di lei.

«Buongiorno, Jimin»

«Buongiorno ragazzina»












ʙɪᴛᴄʜ ᴘʟᴇᴀꜱᴇ






«É un vero peccato che tu sia dovuta andare via per il mal di testa... É proprio sul più bello! C'era un tizio, completamente ubriaco, che aveva preso il microfono del dj per urlare: "Amo le tue tette! Sposiamoci!» esclamò a gran voce Jun con lo zaino sulla spalla, «Peccato che stavo tenendo la testa a Yoongi sennò ci avrei fatto una foto» entrò nell'aula ridendo e vicino a lei, Moon, la guardava con un leggero pallore sul volto, ricordandole che quello svitato non altro che il ragazzo che aveva ballato con lei.

«Sembrava un palo della luce. Invece com'era il tipo che avevi adescato? Un figo da paura?» domandò, prendendo posto nelle file centrali dell'auditorium. La mora la squadrò incuriosita: «Chi tu ha detto che ero con uno?», e prima che Jun riuscisse ad aprire bocca, Minhee e Lee, ridacchiarono rumorosamente.

Le due serpi erano sedute nella loro stessa fila e Moon si girò, fulminando Jun per rimarcarle, con la sola forza dello sguardo, quanto facesse cagare a scegliere i posti in aula. La bionda fece spallucce e finse di non aver visto niente, mentre Lee, che sembrava occupata a strecciarsi le unghie dai capelli, guardò immediatamente le due nuove arrivate con un sorrisetto malizioso e sardonico — secondo Moon era il tipico sguardo di chi aveva voglia di litigare alle nove del mattino —, facendo un falsissimo ciao con la mano.

«Stavate parlando del compleanno di Yoongi, vero?Non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione Jun—»

Invece potevi eccome, basta che ficcavi un righello nel cervello, Moon alzò gli occhi al cielo e fece un lunghissimo respiro mentre la sua migliore amica, stravaccata sulla sedia con un pluncake in bocca, si svegliò per risponderle.

«Sì confermo, é stata una bella serata e tutti si sono divertiti anche se, a fine festa, Yoongi sembrava composto più da alcol che da sangue in corpo» riprese il discorso, dando qualche gomitata a Moon ogni volta che ella sbuffava apposta ad alta voce.

Lee strizzò le labbra glossate: «Credo che abbiamo alzato tutti un po' il gomito, vero Moon?» osò interpellare Moon, disturbandola dall'alto del suo nido di scheletri rosa e musica drill che fuoriusciva da chissà dove. La mora la guardò, girando il volto lentamente: «Ti riferisci a qualcosa in particolare, Lee?»

L'altra accavallò le gambe, mettendo in mostra il suo denim nuovo di pacca e una scarpa — un trentotto, forse — col tacco chiuso. «Massì dai! Mi riferisco al ragazzo con cui stavi ballando: sembravate così affiatati. Come hai detto che si chiama?»

«Non l'ho detto» sibilò Moon a bassa voce ma Jun, con i suoi decibel sballati, la coprì simultaneamente. «É quello che vorrei sapere anche io, si sono assentati per tanto tempo» Moon finì per appoggiarsi sul lungo banco in comune con il gomito, per poi fissare entrambe con le fiamme dentro agli occhi, pensando a quale cazzate inventarsi con Jun.

Di Lee non le fregava niente, poteva anche dirle con tutta la tranquillità del mondo che si era scopata Park Jimin con il vestito di Maddy Perez addosso, con una mano del moro stretta sulla testa mentre la sbatteva da dietro; poi avrebbe potuto dirle che aveva bevuto la sua acqua, succhiato il suo uccello dopo averci dormito insieme e fatto pipì nel suo bagno. Sì, tutto questo sarebbe stato figo, una memorabile gloria, ma non l'avrebbe mai fatto davanti a Jun.

Perché se Moon e Jimin avevano, in qualche assurdo modo, trovato un punto d'incontro per frequentarsi con un dannato senso, dall'altra parte rimaneva ancora il dubbio più ombroso.

Come avrebbero fatto con i Min?

Bella merda, constatò per tutto il tempo Moon, sapendo di non poter continuare a menzionare il discorso per poi troncarlo subito dopo con un Jimin che si spogliava davanti a lei.

Aveva bisogno di concentrazione, cazzo!

«Allora? Ce lo dici o no?», Jun la stordì nuovamente con una gomitata. Lee incrociò le braccia sul seno, gongolante: «Dai Jun, non insistere. Ripensare ai fallimenti può far male: forse non è andata bene e non ne vuole parlare. Capita a tutti di prendere un due di picche da un bel ragazzo»

I pugni della castana si fecero duri, fino ad intorpidirsi per la mancanza di sangue fra le nocche e nascosti lungo i fianchi, pronti a scagliarsi sul naso rifatto di Kim Lee.

«Tutto sommato é andata bene, poteva capitarti un due di picche dagli amici di Yoongi. Tipo Park Jimin,  ma con uno come lui, se non sei di un certo calibro, non riesci nemmeno a parlarci, figurati flirtrare» Lee volle guardarla negli occhi, sbattendole in faccia la strada spianata che i suoi potrebbero farle cadere dal cielo. Ma Moon, con un'eleganza al di fuori del comune, piegò il suo viso perfetto in un lato, sforzandosi di non ridere.

Lee era veramente convinta che i suoi genitori, prima o poi — più mai, che poi —, avrebbero parlato con il CEO della Solter per proporre un matrimonio combinato ma, per la povera mente ingenua di Lee, i genitori di quest'ultima vedevano il signor Park con un binocolo dai primi uffici, al secondo piano.

E prima che la conversazione avanzasse fin dentro le ossa del discorso Park Jimin, Jun si alzò dalla sedia dondolando con gli occhi fuori dalle orbite, uscendosene con un «Vado a prendermi un caffè ghiacciato» ma Moon era troppo concentrata su Lee per guardala fuggire.

«Di un certo calibro, dici? Fammi indovinare» appoggiò il mento sulla mano per squadrarla divertita dall'alto al basso, «Il tuo?»

Minhee arrossì imbarazzata, capendo di immediatamente dove Moon volesse andare a parare, mentre Lee si scostò i capelli dagli occhi con un gesto secco della mano. «Perché no? Sono l'unica qui con la vita più simile alla sua e i miei genitori vorrebbero farmi entrare alla Solter, hanno qualche aggancio per procurarmi un colloquio come stagista universitaria. Avrei tutte la carte in regola per provarci con lui»

«Certo! Sei stata talmente avvincente con lui,  durante la festa di Yoongi, che sembravi un cadavere rattrappito appena sfioravi il suo sguardo» iniziò a parlare Moon, con la pazienza al limite, «Mi hai ricordato tanto il video meme delle montagne russe con Windows Startup in sottofondo» 
Lee gonfiò le guance: «A lui piacciono le ragazze perbene e silenziose! Che non si mettono in mostra con vestiti troppo volgare o scostumate che si strusciano con ragazzi a caso nel locale!»

Oh Lee, se solo sapessi che cosa piace davvero a Jimin.

«Ne sei sicura?» domandò a brucia pelo, fin troppo sarcastica per risultare esterna al discorso.

«Sicurissima»

Illusa.

«Eppure sembrava interessato ad altro, durante la festa»

Al mio spettacolino a luci rosse con una canzone francese.

Questa volta, persino Lee assottigliò gli occhi sospettosa. «Per una che sbatteva il culo contro uno sconosciuto sembri aver notato fin troppe cose o mi sbaglio?»

Moon, prima di farsi saltare qualche unghia o slogarsi un polso per ribaltare tutti i banchi presenti dell'aula, e incendiare gli studenti con una delle sue sigarette e una tanica di benzina raccattata da un bidello stufo di vivere, pensò bene a come reagire.

Aveva parlato troppo ma ormai doveva sapere che con Lee finiva sempre così: a suon di schiaffi.
Tuttavia, provò a non farsi tradire dal suo corpo o da spasmi traditori involontari e alzò semplicemente le spalle, con finto disinteresse.

Colse la palla al balzo: «Non sbagli: il ragazzo mi stava annoiando e il mal di testa era peggiorato. Ho visto Jimin parlare con l'amica dai capelli rossi e mi sembravano solo... molto disinibiti. Forse sono fidanzati» si sforzò, appuntandosi di chiedere a quel damerino gerascofobico quale fosse il suo legame intimo con quella panterona.

Lee, colta da un moto di gelosia insensata, afferrò il cellulare entrando su Instagram, parlottando come una pazza.

«Eccola! É lei, la segue cazzo e in sta foto sono pure abbracciati!» girò lo schermo verso Minhee e quest'ultima si sentì obbligata a guardarla, mentre Moon, per niente preoccupata di quella foto e di quell'abbraccio — avrebbe proceduto per conto suo per sapere la verità afra i due —, ghignò guardandola crogiolarsi lamentosa. Tant'è che la pelle si surriscaldò di qualche tonalità più accesa del fard sulle guance.

«É pure un cesso, deve essere una facilona. Guarda che vestiti indossa... come può Jimin stare con una del genere, il mio sedere é più bello del suo» commentò maligna. Moon smise di sorridere e provò un immenso fastidio verso quei commenti a dire poco abominevoli.

«E anche se fosse?»
Lee e Minhee alzarono gli occhi dalle foto, «Come?»
«Ho detto: e anche se fosse? Se fosse una facilona a cui piace andare in giro come cazzo le pare, sbattendosene dei commenti di certe ragazzine che sbavano sulle foto di un trentenne alle quali non presterà mai attenzione, che problema c'è? Nessuno o mi sbaglio?» domandò infine sarcastica.

Minhee tornò immediatamente a farsi gli affari suoi sotto lo sguardo fulminante di Moon; non conosceva Cheo Hee e fondamentale non le interessava neanche più di tanto ma, per qualche strano motivo, si era immedesimata in quella ragazza abbracciata a Jimin nella foto. Ascoltando, perciò, i commenti in prima persona di certe decerebrate invidiose mei confronti di una bellissima ragazza, a cui piace divertirsi e indossare capi affascinanti tanto quanto piaceva a lei.

La mascella di Lee scricchiolò nell'esatto momento in cui Jun fece la sua comparsa con il suo americano in mano, seguita dagli studenti che erano stati intoppati nella fila del bar. La bionda salì le scale per raggiungere il suo posto e Moon decise di dare un'ultima lezione a quella faccia da culo che continuava a fissarla come spazzatura, sbattendole in faccia una dura realtà.

Inclinò appena il busto verso di lei e scandì bene ogni parola.

«Di' pure quello che vuoi su quella ragazza, commenta i suoi vestiti o il suo modo di comportarsi ma ricordati che lei, a differenza tua, potrebbe essersi già rotolata nel letto con l'uomo con cui papino vorrebbe farti accasare» poi sorrise, leccandosi le labbra e gustando lo sguardo si Lee sgretolarsi mano a mano.

Provò ad aprire bocca, per esordire e macchiare ogni discendenza della famiglia Koo ma le mancò drasticamente l'uso della parola, insieme alla saliva. Jun arrivò proprio in quel momento e si sedette fra le due, creando l'ennesima barriera fra le due.

«Allora? Di cosa avete parlato in mia assenza?» trillò Jun con la cannuccia in bocca, non capendo quella guerra di sguardi letali fra Moon e Lee — o meglio, solamente da parte di Lee. Moon fece spallucce e scarabocchiò qualcosa al volo sul blocchetto giallo dei post-it e accartocciarlo in una pallina.

«Appunti, tempo libero e borsette, nulla di che» mentì, aspettando che Jun si accucciasse per afferrare i libri per lanciare la pallina di nascosto sopra il quaderno di Lee.

Questo atterrò precisamente sopra di esso e Lee guardò la pallina riluttante. L'aprì, lesse velocemente il contenuto e lo strappò in mille pezzi, finendo per alzarsi in modo rumoroso, sbuffando e imprecando sotto voce, fino a uscire dalla classe sotto lo sguardo allibito del professore.

E Moon, quella mattina, cantò finalmente vittoria.



«Il suo culo é decisamente meglio del tuo <3»
























Hello!!!

Ed eccoci qua! Ho dovuto dividere il capitolo perché mi sono resa conto che era inevitabile, dovevo prima dare un senso al loro "inizio" e poi fare una serie di scene a catena su questi due👀 infatti preparatevi per il prossimo per l'acqua santa e le risate perché il trash non mancherà.

Questi due, dopo mille peripezie e dialoghi da circo, HANNO FINALMENTE trovato un punto d'incontro, ammettendo che sotto sotto si piacciono molto. Non si parla di amore eh! Non ancora almeno e ho cercato di rimanere il più distaccata possibile da quel lato ma l'intesa che c'è fra loro é immensa, Jimin prova un fortissimo affetto e protezione per lei, gelosia e tanta chimica.

-Jimin é cotto si Moon perché lo fa impazzire, non è solo una strafica ma é intelligente, disinibita, unica nel suo genere e caparbia. Quando é con lei, Jimin si sente un ragazzo normale e questo, da un alto, lo spaventa. Perché? Ehhehehe lo vedremo più avanti

-Moon é mezza innamorata ormai, ossessionata da sto figo e ne combinerà delle belle. La amo troppo.

-Spero che abbiate capito, nella seconda parte, che quando Moon si innervosisce per le parole di Lee, non lo fa tanto per proteggere Cheo Hee (poverina non ha fatto nulla :( sad) ma più se stessa, immedesimandosi così tanto in quella foto da sentire quei commenti del cazzo su di sé, perché anche lei é sempre stata invidiata e criticata per il suo aspetto fisico, gli abiti, la sua bellezza e lo charm che possiede.

-Quando parla del culo, nel foglietto, si riferisce al suo :) HAHAHAHAHA (Jimin approva)

-Jimin non è famoso come un idol o un attore ma ha un nome abbastanza rinomato in Corea del Sud e i giornalisti non fanno sconti agli scandali delle potenze economiche.

-Abbiamo visto Jimin top per una volta e non bottom come sempre. É un dannato sottone❤️

Fatemi sapere quello che volete e lasciate qualche commento e una stellina.

Alla prossima
❤️❤️

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