Capitolo 9

Era rimasto immobile, disteso sul letto, lo sguardo fisso al soffitto, contando tutte le ragnatele che vedeva lì, negli angoli più bui della stanza ch’era appartenuta a Crystal.
I monaci di quel luogo non dovevano esserci entrati spesso: ne aveva contate almeno cento.

Rise, cercando di distogliere la mente da un unico pensiero che ormai lo assillava: il pensiero di dover vivere il resto dei suoi giorni con quella forma, per sempre prigioniero di ciò che era.
L’idea sola che ci sarebbe stato un domani, e poi un dopodomani e mille altri giorni ancora come quelli era una cosa che lo opprimeva, gli faceva mancare il fiato e la voglia di vivere, al punto che anche Goito e San ne risentivano. E questo perché lui le aveva quasi obbligate a restare con lui, senza rendere conto alla sua vera famiglia.

Tristemente, pensò a suo fratello, anch’egli ancorato ad un destino che non sentiva suo. Non era cosa nuova che i due reali di Amestris fossero…diversi.
Ce l’avevano nel sangue, lo diceva spesso anche una sua vecchia conoscenza.

Spostò lo sguardo alla porta, attendendo che si aprisse. Perché doveva aprirsi, o lui sarebbe impazzito.

Errori. Uno dopo l’altro, li vedeva scorrere davanti a lui, rapidi, incessanti, ricordandogli quanto fosse sbagliata e contro natura la sua stessa esistenza.
Avrebbe voluto fuggire, rinchiudersi in sé stesso, in un mondo a parte, irreale, dove non si sarebbe sentito in obbligo di riparare ai propri errori.

In quel momento avrebbe dovuto trovarsi sottoterra, a marcire come tutti gli esseri umani…Invece altro non faceva che stravolgere la vita altrui con la propria. Inspirò profondamente, fissando la porta davanti a lui con sguardo grigio. Si avvicinò per aprirla con un unico gesto della mano, attento a non far cadere tutto ciò che reggeva nell’altra.

Non si curò di guardare se Sivade c’era ancora. Non era necessario.

Il suo profumo lo stava già catturando.

« Ecco il pranzo » annunciò, la voce perfettamente controllata ma pallida, come i suoi lineamenti, unici in ogni loro essere vivi « Non dovrebbe dispiacerti…» sospirò, posando il tutto sul letto, davanti al mago.

Questi lo guardò in viso per un lungo istante, incapace di distogliere lo sguardo. Quella persona che gli stava davanti, pensò Sivade, era ciò che di più vicino poteva chiamare…Amico. O forse quel termine era alquanto inadatto, visto ciò che gli stava facendo provare... una rabbia intensa, una tranquillità terrificante, una sicurezza pericolosa. Come il brivido della battaglia, solo che si trovava ad affrontarlo in prima persona, ogni qualvolta gli stava accanto.

«No, non mi dispiaci…» disse vacuo, un sopracciglio alzato. Del tutto padrone di sé stesso, in apparenza. Una maschera di perfetta finzione regale.

Crystal non commentò, avviandosi verso l’unica finestra presente in quella stanza. Vi guardò fuori, le braccia incrociate al petto, silenzioso come non mai.

Aveva smesso di fiatare, tanta era la voglia di perdersi nei respiri del ragazzo seduto a letto. Socchiuse gli occhi, rilassandosi contro lo stipite in legno di noce, come sottofondo solo il respiro di Sivade.

Il mago posò lo sguardo sul vassoio che gli era stato portato, sollevando la forchetta adagiata a fianco del piatto. Sorrise, soffocando una risata. Un piatto del genere era la cosa più assurda che gli fosse mai stata presentata in 18’anni di vita:

« Cucina maschile, indubbiamente fatta sotto sforzo e con scarsa voglia. » dichiarò divertito, iniziando a mangiare.

Perché, ora che Lui era lì…Stava meglio?

Avrebbe voluto…No, avrebbe dovuto odiarlo. Ma era fin troppo difficile. Anche averne paura sembrava assurdo, dato che il giovane non l’aveva mai toccato.

Assaporò ciò che aveva in bocca, sospirando poco dopo, gli occhi nuovamente chiusi.

Il vampiro non si pronunciò per l’ennesima volta, portandosi una mano alla bocca, accarezzandosi distrattamente le labbra.

L’anello d’argento che portava al pollice risaltava alla luce della luna, in contrasto con i suoi occhi carbone.

Aveva fame.

Lanciò un’occhiata torva a Sivade, osservandolo mangiare per un breve istante.

Poi si girò di scatto verso il muro colpendolo con forza, odiando sé stesso per quello che era.

No. Non era fame. Era bramosia.

Ma tale non sembrò, agli occhi del ragazzo dai capelli corvini.

Il mago si bloccò, la forchetta a mezz’aria, voltandosi di scattò verso Crystal. Guardò prima il muro crepato, poi la mano del giovane, lasciando cadere nel piatto quello che aveva in mano, lo sguardo confuso: «Tutto bene?» provò a chiedere, senza riuscire a bloccare un leggero tremito nella voce.

Il vampiro assottigliò gli occhi, concentrandosi sulla crepa che lui stesso aveva appena creato. Emise un leggero suono gutturale, intento a trattenere la furia che vibrava in lui.

«No» disse tremante, una ciocca di capelli corvini che andò a nascondere parte del suo viso piegato in una smorfia di disgusto verso sé stesso « cosa dovrebbe andare bene? » sibilò, ringhiando, portandosi una mano ai capelli, sconvolto.

Lo stupore di Sivade, a quel punto, tramutò con evidenza in tensione. Il giovane prese il vassoio e lo posò al comodino, senza staccare gli occhi da Crystal. Nervoso, iniziò a giocherellare con le mani, del tutto impreparato ad una situazione del genere.

« Non devo avvicinarmi, vero?» chiese solamente, cercando di mantenere la calma, inspirando profondamente.

Crystal lo guardò negli occhi, sofferente.

Non rispose, limitandosi a stringere le mani in due pugni, ferendosi con le proprie unghie. Doveva concentrarsi su dell’altro.

Rise amaramente.

E pensare che quell’anello d’argento che indossava era fonte costante di dolore, che lo spronava a resistere. A non cedere alla tentazione pressante a cui era costretto. Chiuse gli occhi, desiderando scomparire.

Ruppe così quel breve contatto visivo che per Sivade era stato come fronteggiare le sue peggiori paure. Doveva averci pensato prima, si disse il mago, l’espressione grave sul volto: un vampiro prima o poi aveva fame…

Ma non capiva comunque perché Crystal non corresse via, o, semplicemente, non lo cacciasse per sempre.

Si morse il labbro inferiore, senza rendersi conto che ora lasciava trasparire la stessa sofferenza dipinta sul volto dell’altro. Incapace di non guardarlo.

Il vampiro ansimò, portandosi vicino al pianoforte, lasciandosi cadere sullo sgabello « Ora mi calmo…» sussurrò, sfiorando i tasti « Non aver paura, te ne prego…».

Sivade rise mestamente, scrollando il capo: « Troppo tardi…» confessò, una mano che andò a coprirgli il volto.
Crystal accennò le prime note di una canzone vecchia quanto lui.

Rapida, dalle note cupe, incisiva.

« Non intendo far del male a nessuno…» spiegò soltanto.

« E’ come se un leone dicesse ad una gazzella: “Non ti mangerò mai.”» sussurrò spossato il ragazzo dall’altra parte della stanza, sedendosi sul letto con la schiena appoggiata al muro. Chiamò a sé il vassoio, che lo raggiunse lentamente, volando a mezz’aria, posandosi infine fra le sue mani protese.

Riprese subito a mangiare, lo sguardo basso sul cibo.

« E giuro, non lo farò » dichiarò Crystal, per una volta sicuro di ciò che stava dicendo.

Lo si capiva dal tono di voce: fermo e solenne.

L’altro ragazzo tacque, mangiando ancora qualcosa. Si accasciò contro il muro poco dopo, cercando di non sembrare troppo pietoso: « Anche se qualcuno ti mentisse?» chiese curioso, non lasciando trapelare nulla di ciò che lo sconvolgeva nel cuore, consapevole che la risposta che avrebbe ricevuto…L’avrebbe cambiato.

Perché in lui riviveva la menzogna, sottile maledizione che nessuno poteva togliergli. Niente, a confronto di ciò che portava sulle spalle il vampiro, di quello ne era cosciente.

« Uccido solo se rischio di perdere qualcuno che per me significa…Molto…» disse vago, facendo scorrere rapide le dita sui tasti del pianoforte « Non ho mai privato della vita…Nessuno, finora.» ridacchiò « Li ho solo…Incantati un po’».

« Col tuo sguardo da maliarda concubina? » chiese schifato Sivade, finendo di mangiare. Per nulla rassicurato da una prospettiva del genere.

Crystal abbozzò un sorriso, una vena di perversione negli occhi.

Si rimise in piedi, chiamando a sé tutto il suo autocontrollo, poi gli si avvicinò, chinandosi verso di lui. Una mano posata sul letto, gli occhi fissi nei suoi
«Chissà…» sussurrò ammiccando.

Sivade non riuscì a trattenere un ghigno, evitando di far uscire quel suo maledetto lato nascosto: «Dimenticavo di dirvi quanto vi trovo affascinante in questi frangenti, milord…» celiò leggermente, chiudendo per un attimo la distanza tra le labbra di lui e quelle del vampiro: «Siete quasi il mio tipo…» rise sardonico, facendogli l’occhiolino.

L’altro posò anche il ginocchio al letto, sfiorando con le dita il collo del ragazzo.

Tremò per un istante, prima di recuperare il solito sarcasmo: «Qualcuno potrebbe denunciarmi per pedofilia…» ridacchiò prima di mettersi semi sdraiato, sorretto soltanto dai gomiti.

« Adoro le cose malsane…» commentò incrociando le braccia al petto, notando come l’altro avesse occupato pressoché interamente il talamo: «Almeno quanto adoro voi..» dichiarò sornione, lasciando capire con un accenno di serietà negli occhi che…Non stava mentendo del tutto.

Crystal gli fece segno di avvicinarsi a lui, con l’indice: « Vuoi provare l’ebbrezza del peccato?» sussurrò con voce suadente, studiando attentamente il corpo del mago.

Questi si coprì in un teatrale gesto pudico: « Maniaco fino all’osso, cavoli.» dichiarò, un’espressione tra lo sconvolto e lo sdegnato: « Devo ammettere che…Posso capire finalmente cosa provano le donne…» . Sivade si riconobbe tremendamente sincero in quel frangente e questo lo portò a ridere, una mano a coprirgli il volto per nascondere la disperazione: « Tu non sai cos’hai davanti…Per gli dei…E sventoli la tua bellezza causando un serio e dovuto scompiglio nelle mie sane membra…Che stanno diventando piuttosto malsane…» concluse.

Crystal si rimise seduto, gli occhi colmi di malizia finora taciuta.

Lo prese per una spalla, lui sopra: « L’hai detto tu…Che ti piacevano le cose…Malsane…» gli sussurrò all’orecchio, facendolo rabbrividire violentemente « hai per caso…Cambiato idea?» chiese, sfiorandogli il petto con la mano libera.

Il giovane dai capelli corvini trattenne un’espressione poco responsabile: «Pensavo che non ho un cambio eh…» ridacchiò, nervoso. Del tutto immobile sotto il pressante sguardo dell’altro.

«Se si tratta…Soltanto di questo…» commentò, posando le labbra gelide sul collo del ragazzo. Non si spinse oltre, attendendo la sua reazione.

Voleva fargli capire che era in grado di… Controllarsi.

«Pensavo anche a questo strano effetto che ti faccio, in realtà…» rispose con tono basso e vibrante, così che le corde vocali facessero tremare leggermente il collo. Era una provocazione, ma allo stesso tempo anche un riservare completa fiducia nel giovane moro. Un desiderio represso e una tranquillità sibillina.

Crystal si allontanò di poco, fissandolo negli occhi.

I suoi nuovamente neri e lussuriosi
«Credo…Sia il caso…Che mi fermi…» annunciò scompigliandogli i capelli in un chiaro gesto affettuoso, per poi rimettersi seduto con assoluta calma, ben attento a non lasciarsi andare a scatti repentini, per paura di spaventarlo.

L’altro cercò di mettersi a posto la testa, un ciuffo davanti agli occhi: « Hai scompigliato la criniera al primo generale del re!» esclamò pomposo, il naso rivolto all’insù, sbuffando leggermente.

Crystal ridacchiò, guardandolo complice: «Puoi sempre bloccarmi e ricominciare, paletto di legno».

L’altro rimase stizzito: « Stai dicendo che ti potrei fermarti solo impalandoti...O che vorresti...» sottolineò le ultime parole con vago tono suadente «In entrambi i casi, credo che tu saresti poco soddisfatto di una simile limitazione…» terminò, portandosi una ciocca dietro all’orecchio.

« Sto dicendo che sono stufo di fare sempre l’attivo» sorrise «Attendo solo l’arrivo di un abile cavalcatore!» esclamò ritrovando in sé stesso parte di suo fratello. Rise sommessamente. In fin dei conti dovevano aver pur qualcosa in comune.

«A-ha…Si, come no…» confermò brevemente Sivade, chinando lo sguardo al lenzuolo.

L’umore totalmente diverso rispetto a pochi istanti prima.

Non ce la faceva più a fingere, non fin quel punto. Aveva un limite, qualcuno gliel’aveva già detto, ma con Crystal quel confine si riduceva sempre a qualche manciata di minuti. Minuti durante i quali dava tutto sé stesso per essere sicuro di sé e dei suoi modi di fare, per poi cadere nella consueta atarassia provocata dalla menzogna.

Menzogna e maledizione. E quest’ultima sarebbe svanita solo grazie a qualcuno che l’avrebbe accettata e compresa.

Chiuse per un attimo gli occhi, sospirando: «Vorrei fossi tu…» si trovò a dire, quasi supplicante.

Il vampiro si limitò a fissarlo, perplesso da quel repentino cambiamento: « Io?» domandò respirando a fondo.

L’altro annuì, ridendo amaramente: « Non sai quanto…» disse, ben conscio che Crystal non poteva capire…Quanto gli stava nascondendo fin dal primo momento in cui si erano anche solo intravisti. Lì, nel campo di battaglia. L’uno contro l’altro. I due Comandanti Supremi a confronto tra sangue e morte.

Sivade, l’uomo  a capo delle Truppe di Amestris era…Qualcun'altro.

Nascosto al mondo da una maledizione inflittagli dai suoi stessi genitori.

Crystal sospirò, tornando a guardarlo con serietà.

Si mise a gambe incrociate sul letto, tenendosi alle caviglie con le mani; i pantaloni in pelle nera che gli fasciavano le gambe
« Spiegati ».
« Non è il caso.» l’interruppe Sivade.
« Aiutami a capire » chiese a quel punto, sospirando.
Il mago portò una mano al viso, iniziando a ridere con nervosismo
« Non sono quello che sembro. E’ un indizio abbastanza valido?».

Il vampiro lo guardò di sbieco: « e cosa c’entro io?» domandò corrucciato.
Sivade sospirò appena, tappandosi il naso, per un secondo, con due dita:
«Non sono quello che sembro per scelta. Serve una chiave.» spiegò, cercando di essere più criptico possibile.

Non gli era concesso rivelare del tutto la verità.
Non poteva, o la stessa maledizione che gravava sul suo corpo l’avrebbe straziato.

« Dunque vorresti che io ti trovassi quella chiave?» domandò solo il vampiro, confuso.
L’altro emise un gridolino soffocato « Saresti tu!» cercò di spiegare, sentendosi trafiggere leggermente al fianco da una lama invisibile.

Crystal lo studiò, portandosi una mano a massaggiare debolmente il collo.

Non sapeva perché, ma era chiaro che non intendesse parlarne con lui.

Sospirò abbattuto: « Ok…Ho capito.» disse brevemente.

Il mago rise, una risata nervosa: « Non hai capito. Lo dici solo perché vuoi chiudere il discorso.»
« Ho capito che non ne vuoi parlare» lo seccò, gelido, sentendosi ferito.
«Non posso parlarne…Apertamente. Se lo faccio ciò che mi nasconde mi trafigge.» cercò di spiegare, guardandolo con aria di supplica.
Doveva capire…Crystal non poteva credere che lui portasse in tavola un discorso, per poi lasciarlo a metà:
« Ho bisogno di te, in un certo senso. Molto. Tu potresti ridarmi ciò che ho perso.» confessò, leggermente imbarazzato dall’ambiguità insita in quelle parole. Ma era necessaria, se non voleva soffrire troppo.

Crystal respirò a fondo, dondolandosi leggermente sulle gambe: « Non l’hai ancora capito che ci sono sempre?» domandò esasperato, scuotendo il capo debolmente « Eppure pensavo che, ormai, ci fossi arrivato…».
Posò le mani al lenzuolo, accarezzandolo soprapensiero.

Lui non sarebbe mai corso a cercare una persona che era fuggita da lui.
L’avrebbe lasciata andare per la sua strada, senza più intralciare il suo cammino.

Solo con lui, con Sivade, tutto sembrava svolgersi al contrario. Sbuffò.
Un gesto che riportò il giovane mago di nuovo in superficie, fuori dei torbidi pensieri che attanagliavano il suo cuore. Aveva le mani ben piantate al letto, che stringevano in alternanza il tessuto: « Non mi basta.» disse quasi secco, restando immobile, trattenendo il bruciore che andava via via crescendo nei suoi occhi. « Sono costretto ad appigliarmi completamente a te, a causa di questo. Forse è per via del tuo fascino da vampiro, che ne so. » sospirò a fondo per un istante «Tuttavia…» si bloccò, lo sguardo volto al pavimento.

Tuttavia avrebbe voluto essere liberato esclusivamente da Crystal.

Non avrebbe sopportato che altri fossero in grado di salvarlo.

E nulla poteva, se pensando così finiva per risultare un emerito idiota.

Specie perché, come ben sapevano tutti e due, loro erano…Nemici, agli occhi dei regni dei quali erano servitori.

Il moro allungò una mano pallida verso quella del giovane mago.

La sfiorò con un gesto tanto leggero quanto allusivo
«La morte sa essere affascinante » dichiarò seriamente, arrivando ad accarezzargli un braccio « non lasciarti conquistare da essa».

Tornò a toccare la mano del ragazzo, stringendola lievemente: tanta era la paura di spezzare quelle fragili membra.

E Sivade guardò quelle due mani strette insieme, per poi lasciarsi andare, lacrime calde che gli rigavano il volto: « Se così è…Voglio continuare a sentire che morirò. Altrimenti, mai sarò in grado di capire se sono vivo.» sussurrò appena, il fiato mozzo.

L’altro respirò profondamente, cercando di trattenere l’autocontrollo che si era auto-imposto. Ma faticò, se ne rese conto lui stesso.

Crystal altro non provava che frustrazione.

Finì per asciugargli attentamente le lacrime che gli rigavano il viso, trattenendo i suoi istinti.

Sivade sollevò lo sguardo su di lui, un’espressione disperata dipinta sul volto
« Uccidimi!» lo supplicò.

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