Capitolo 6
Di colpo, nella biblioteca ripiombò il silenzio.
Sivade si guardò intorno, notando che tutti i presenti, chi più chi meno, lo stavano fissando. Tutto merito di Crystal.
« San…» la chiamò sottovoce, una mano che l’invitava ad avvicinarsi.
La bimba dai capelli neri rimase ferma dov’era, intenta a guardare quello che lei ora dubitava fosse suo fratello.
Lui notò quell’incertezza e sospirò, le mani che andarono a riunire i libri sparsi sul tavolo. Non insistette ed andò a riporre i vari tomi al loro posto, per poi prendere le sue cose e spingere fuori la sorella, con gentilezza che fu accolta da un semplice sospiro.
Di nuovo, Sivade si trovò circondato dal mormorio della gente, dal rumore prodotto dagli zoccoli dei cavalli sul selciato, dall’aroma della terra misto a quello della cucina di strada, tutte cose che non avevano il minimo sentore di magia.
Portò lo sguardo al cielo, le mani nelle tasche dei pantaloni. Un sospiro fu la sua unica espressione di tristezza.
Crystal e Tom ormai erano nuovamente fuori dalla città, quest’ultimo guardava stralunato l’altro.
« Non capisco il tuo comportamento» dichiarò, infatti, mentre la pioggia smetteva di cadere, solo le nuvole ad oscurare il sole battente.
Crystal sembrò svanire davanti a lui, per poi comparire ad un centinaio di metri di distanza, lo sguardo decisamente divertito « Certo che non lo capisci, dato che nemmeno il sottoscritto è in grado di farlo. Ho semplicemente seguito l’istinto…» spiegò accarezzando la corteccia umida dell’albero al suo fianco « E poi l’unico compagno della morte è il silenzio, dovresti saperlo» rise piano, Tom che si avvicinò a lui, lentamente forse a causa dei jeans troppo ingombranti, o forse per semplice cautela.
« Non è esatto. Oltre al silenzio, anche dallo scandire del tempo» lo corresse poi, mettendosi al suo fianco.
Crystal gli sorrise flebile « Anche questo è vero».
Voci, luci, suoni e colori: questo percepiva San attorno a loro.
Eppure Sivade non sembrava minimamente toccato da quelle cose; stava lì, immobile, a fissare il cielo riprendere il suo colore turchese.
« Fratellone?»esitò, prendendolo per una manica della giacca « Dove andiamo ora?»
Lui alzò un indice, posandolo sulle labbra di lei, facendole cenno di tacere, poi scese la scalinata, lasciandosi cadere pesantemente ad ogni gradino.
In testa, solo il pensiero dello sguardo mortifero di Crystal.
« Accidenti!» imprecò, sbattendo un pugno sul muretto che aveva di fianco, il respiro pesante « L’idiota è lui, non io!»
Tratteneva a stento la rabbia, il pugno ancora tremante non sapeva perché, ma il comportamento di Crystal l’aveva confuso e innervosito insieme; ma se n’era accorto solo quando il moro se n’era andato con quel tipo…Che aveva la stessa faccia, ricordò.
D’impulso, si voltò verso San, aprendo e chiudendo le mani: « Chi era quello vicino a te prima?»
La bimba chinò il capo di lato, per poi fare spallucce « Non lo so, so solo che si chiama Tommy…» spiegò dispiaciuta.
Tom si mise a fissarlo, come a volergli leggere l’anima, sebbene Crystal insistesse sul fatto che lui un’anima non ce l’aveva.
« In realtà, ora, te ne rammarichi, giusto?» chiese stranamente comprensivo.
« Anche se fosse, non ha importanza. Da tempo ho imparato a sopprimere i miei desideri. Non necessito d’altro» e riprese ad incamminarsi fra gli alberi, i fiori a terra che sembravano scostarsi per non essere calpestati ma non se ne percepiva il movimento. Chiaramente era magia. Espressa involontariamente da Crystal, l’ombra nella notte.
Il gemello sospirò, scuotendoli capo, sebbene dentro si sentisse scalpitare di gioia. Aveva bisogno di lui, e di lui soltanto.
« Torniamo a casa?» domandò allora, cambiando totalmente argomento.
« Quella era la mia intenzione…» sussurrò, gocce d’acqua scivolar via da lui.
Il giovane dai capelli corvini andò a prendere la sorella, mettendola sulle spalle senza proferire alcuna parola. Stava pensando, ma a cosa non era dato saperlo a San. Non era facile affrontare l'inquietudine dei sentimenti di Sivade, quand’era in quello stato.
Nei momenti durante i quali il ragazzo perdeva la calma, c’era sempre qualcosa di strano in lui, iniziava a parlare da solo o con qualcuno che lei non poteva vedere.
Discuteva per ore e ore, come stava già cominciando in quel momento.
« Dove andiamo?» chiese, ben conscia di aver già posto quella domanda.
Sivade sospirò, frenando i suoi borbottii: « Non lo so, San, ma di sicuro non torneremo a casa, od almeno, non ora…» spiegò, gli occhi fissi davanti a lui.
San si guardò intorno, lui l’aveva portata ad un parco, poco fuori dal centro della città. Non se n’era nemmeno accorta.
Il giovane si sedette su una panchina, posando la sorella al suo fianco: « Aspettiamo…Qui…»
Crystal non poteva avere ciò che la sua parte umana bramava in parte perché tutti quei sentimenti che fremevano in lui lo rendevano inquieto, a causa della loro stessa natura, sapendo di non poterli controllare a suo piacimento; dall’altra, invece, perché sapeva di non poter governare sé stesso come desiderava, in lui viveva una belva che non poteva cancellare, reprimere o trattenere. Faceva parte di lui, di ciò che era e che lo teneva in vita.
Se quella parte di sé fosse venuta a mancare, la sua vita avrebbe finito per crollare. Riportandolo alla polvere, dove avrebbe dovuto stare.
Il vento sussurrava canti lontani attorno a loro, brani scritti da geni della musica molto tempo fa, quando il verde delle praterie era l’unica cosa che un uomo bramava vedere. Tuttavia, il tempo era cambiato: erano nati re e regine, principi e primi ministri, eunuchi e funzionari. Tutti alla ricerca di un brandello di terra su cui imporre lo stendardo di famiglia.
Sivade portò il busto in avanti, le mani giunte tra le gambe. Teneva lo sguardo basso e pensava alla sua carica di principe di Amestris. Ringraziò il cielo per non essere nato come primogenito: il fardello lasciatogli dal re, suo padre, era già sufficiente da portare sulle spalle.
Lì, nella quiete del pomeriggio, all’ombra di quel sicomoro che troneggiava sopra San e il giovane, tutto sembrava prendere il posto dovuto.
Ma Sivade sapeva di non poter rimanere lì ancora per molto…
Il destino reclamava una decisione, e il mago doveva obbedientemente accontentare quel capriccio.
Così il mago si alzò, facendo cenno alla sorella di seguirlo « Se andremo da lui, credi che ci caccerà?» le chiese, un mesto sorriso sul volto.
La bimba parve confusa, ma le volle poco per carpire il senso di quella domanda.
Voleva continuare a fuggire dalla realtà, rimanendo accanto a colui che gli aveva permesso di aprire le ali e fuggire dai suoi doveri.
Sivade desiderava volare da Crystal.
Solo quello.
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