Capitolo 4
Sivade sedeva ad un tavolo circolare, nascosto nell’ombra del salone dell’osteria.
Dietro alle spalle, una finestra dai vetri appannati, testimonianza dell’escursione termica con l’esterno; davanti a lui sul tavolo c'era un bicchiere di latte caldo e fumante.
Teneva tra le mani un sacchettino di juta, incerto su quale scelta prendere.
Per la prima volta, dopo anni, si trovava obbligato a decidere. Una smorfia gli comparve sul viso ed estrasse il contenuto dell’involucro: ne venne fuori una polvere biancastra che riunì nel palmo della mano libera.
A volte la vita chiedeva di scegliere anche se le conseguenze della strada che si decideva di percorrere erano ignote.
Ingerì la polvere, e con quella il contenuto del bicchiere.
Crystal voltò leggermente il capo, ad osservare la clessidra che altro non faceva se non scandire il tempo con la sua sabbia nera.
Accarezzò le incisioni su di essa con delicatezza, chiedendo un'unica cosa:
« Tom…» chiamò « Fatti vedere.».
Un velo di malinconia nella voce.
Gli sembrò di percepire un sospiro, mentre la sabbia fuoriusciva da quell’oggetto appartenente alla sfera del tempo terrestre.
Un tempo non più suo.
Tutto avvenne nel giro di un secondo: davanti a lui si stagliò l’immagine di un ragazzo, con la sua stessa età, i suoi stessi occhi, i suoi stessi lineamenti.
Un suo riflesso allo specchio, se solo si fosse sistemato quei capelli quasi biondi, sebbene lunghi quanto i suoi tenuti nei dread locks. Una fascia nera che li reggeva, un cappello da baseball bianco in testa.
Anche per quanto riguardava l’abbigliamento…Era completamente opposto a lui. I suoi jeans neri e attillati, urlavano disdegno se messi a confronto con quelli del suo gemello: larghi quattro volte più di lui, quasi prossimi a cadere. Indossava solo maglie extra-large in quanto, diceva lui, potevano nascondere ciò che avrebbe potuto suscitare imbarazzo in momenti poco opportuni.
Ma Crystal sorrise, nonostante non approvasse quei modi rozzi di vestire.
Dopotutto non lo vedeva da tempo…Da troppo tempo non vedeva l’altra metà di sé stesso.
« Rivoltante…» riuscì a sputare Sivade, una volta ingerita la pozione.
A saperlo, non si sarebbe mai privato dei suoi poteri, così avrebbe evitato quella schifezza. Tuttavia, sapeva che era stato necessario per sfuggire al continuo controllo della sua maestra. Cara, piccola maestra maledetta che mirava solo ad usarlo come giocattolino nei momenti di noia.
Sbuffò. Si sentiva già osservato.
Lei aveva nuovamente riacquistato la capacità di percepirlo.
« Ma quanto sono fortunato…Oggi mi vanno bene tutte, eh.» si disse, una mano tra i capelli che già stavano cambiando.
Il giovane si alzò, sistemandosi i vestiti, poi riportò all’oste il bicchiere.
Questi lo guardò, leggermente stupito « Non aveva i capelli?»
« Perché? Sono diventato calvo ora, messere?» sorrise il giovane, la chioma corvina dai riflessi bluastri.
« Non intendevo questo.» cercò di scusarsi l’uomo, giocherellando nervosamente con le mani.
Sivade rise malizioso, uscendo dalla porta con grazia, una chiara imitazione di Crystal. Ironica, naturalmente.
S’immerse così nell’argenteo bagliore della luna, i piedi scalzi per niente infastiditi dal gelo del terreno. Perché, dopotutto, i maghi qualche trucchetto l’avevano.
Tom lo guardava, quel solito sorriso malizioso stampato sulle labbra, accennando un brevissimo inchino; una mano al frontino del berretto « Non ci speravo più ormai» disse sedendosi al fianco di quello che, purtroppo, era suo fratello…Gemello, per di più.
Rise sadico.
« Sono esausto», rispose allora Crystal « Ho bisogno che qualcuno stia attento a ciò che so di poter fare…» sospirò « In un attimo di debolezza».
« Qualcuno che sappia chi sei» proseguì l’altro, le braccia abbandonate lungo le gambe.
« E che sono certo mi accetti per ciò che sono», gli sorrise.
Finivano sempre per completarsi le frasi a vicenda ed era un qualcosa con cui avevano imparato a convivere da tempo, molto tempo…Tutto il tempo della loro esistenza.
Tom gli diede una leggera pacca sulla spalla, sentiva che tutto ciò che avevano faticosamente tenuto nascosto per secoli, stava per crollare davanti ai suoi occhi.
Assieme a Crystal, la persona per cui avrebbe donato la propria vita.
Canticchiava una canzone, il nuovo Sivade apparso alla luna di Glaciern.
Gli occhi di un blu più cupo della notte,testimoni della sua vista recuperata, osservava l’ambiente attorno a sé con espressione interessata e divertita allo stesso tempo. Addirittura, scivolava sul ghiaccio formatosi con l’abbassamento della temperatura, muovendosi a passi di danze ballate nella sua dimora, molto tempo prima di quella notte.
Nessuno sembrò notarlo, mentre passava tra i cittadini affaccendati a rientrare in casa. Probabilmente, erano troppo occupati a correre davanti al loro fuocherello caldo e invitante per prestare attenzione ad uno straniero.
Cosa che a lui non dispiaceva affatto.
Filò via, con grazia, dalla strada principale, per muoversi verso ovest delle mura.
Giunto, si rese conto che anche la nebbia che per lungo tempo gli aveva ottenebrato la vista se n’era andata. La pozione aveva completato il suo effetto.
Lesse il nome della via sul muro della prima casa a destra: Viale Erlitey.
Lì, ogni cosa sembrava immersa nel silenzio del Dormiente: tutti già dormivano o avevano troppa paura per uscire di casa. Giustamente.
Chiunque, conscio d’essere nella medesima contrada ove vivacchiava una strega, sapeva che era cosa sensata sparire dalle strade al calar del sole.
Vide un’ombra muoversi tra le case e sorrise.
Era già stata informata della visita, la bacucca.
Scrollò le spalle, mantenendo quell’espressione innocua e scherzosa sul volto, mentre vedeva approssimarsi due o tre golem di neve.
Robettini simpatici, i golem, eccetto quando iniziavano a tirar palle di ghiaccio compensato a raffica. A quel punto, o si avevano le armi giuste, o si doveva correre ai ripari. Nessun umano avrebbe potuto sopportare uno solo di quei colpi.
Nessun umano qualunque.
E Sivade non era propriamente…Normale.
« Cosa posso fare, ora, per te?» domandò laconico il ragazzo dai lunghi capelli rasta, gli occhi posati su Crystal in un espressione innocente tanto quanto quella di un lupo prossimo all’attacco.
Il moro gli sorrise soave, gli occhi nocciola che sembrarono dilatarsi alla luce di quella fioca lampadina che, sola, illuminava la fredda stanza d’albergo.
Lupo...un’animale che si addiceva al loro essere: un mammifero, carnivoro, solitario che sapeva ammaliare, se solo avesse voluto che sapeva mimetizzarsi, grazie alle sue sublimi doti selvagge, che sapeva uccidere per la sua sopravvivenza.
Allungò una mano verso Tom, con fare carezzevole
« Vieni a me…» sussurrò con quella voce suadente che sembrava avvolgere ogni cosa circostante « Ne ho bisogno.».
Tom si avvicinò a lui, elettrizzato.
Il suono di quella voce era così invitante, che nessuno sarebbe stato in grado di resistergli. Perché quello era Crystal, l’eletto dalla Dark Queen, della Gilda degli Hades.
Sospirò.
Bramosia e potere lo pervasero, mentre il fratello si chinò su di lui, l’alito freddo che gli sfiorò il collo
« Vieni a me» ripeté soltanto.
Si trovava davanti alla porta d’entrata, la testa leggermente bagnata.
Gli avevano centrato i capelli!
Avrebbe fatto i conti con la creatrice di quei golem stramaledetti.
Inspirando profondamente, riacquistò lucidità, e, con essa, la sua espressione sardonica. Niente e nessuno doveva cambiare il suo umore.
« Controllare i nostri sentimenti porta a sopportare ciò che ci fa soffrire?»
La voce proveniva da dietro l’uscio, e Sivade la riconobbe immediatamente:
« Maestra, non va bene osservare i propri ospiti dallo spioncino della porta. E’ una cosa disdicevole.» celiò suadente, coprendo il forellino sul legno.
Una risata roca e nervosa accompagnò l’aprirsi della soglia.
« Non sono così in forze.»
Il giovane mago entrò tranquillo nella casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Davanti a lui, su una poltrona che un tempo poteva esser stata porpora, una donna matura, sui quarant’anni.
« Madama Ixal, avete pur sempre evocato quei tre vostri servi. Per mio giudizio, vi vedo bene.» s’inchinò Sivade, una mano sul ventre, lo sguardo fisso sul volto della sua istruttrice.
« Mi hai accecato per un bel po’, mio piccolo bocciolo!» protestò Ixal, un ventaglio lacero e sgualcito davanti alla bocca.
« Quale scandalo, per una donna che ha rintracciato subito il suo allievo e portato qui la sua dimora in un lampo, appena lui entrava in città.»
« Mi hai sentito quando sono arrivata?»
« Forte e chiaro.» annuì il giovane, un sorriso indolente che troneggiava sul suo volto abbronzato.
Ixal rise, di una risata roca e sagace, ma lui non se ne curò, voltandosi per salire di sopra. Era andato dalla maga per un unico motivo, e di certo non avrebbe mancato il suo proposito per cedere a dei capricci. Qualsiasi pretesto per quella donna era valido al fine di sviarlo dalle sue mete.
Era così dal primo giorno in cui i suoi genitori l’avevano lasciato da lei.
Forse, avrebbe dovuto trattarla con più rispetto, dal momento che lo aveva cresciuto e che, lei stessa, aveva dovuto sopportare i capricci dell’allievo. Ma la cosa al momento aveva un valore nettamente inferiore rispetto all’obiettivo che aveva portato lì Sivade.
Intendeva lasciare San a Crystal, e riprendere gli studi che aveva iniziato per rimediare ad un suo piccolo…Problemino.
Aveva riflettuto a lungo e quella gli era sembrata la cosa più giusta e convenevole da fare: la bimba non avrebbe subito danni, stando accanto al loro compagno dai dolci lineamenti.
Ripensandoci, Sivade abbozzò un sorriso alla contraddizione che recava, con la sua sola esistenza, Crystal: un giovane tanto femminile fuori, quanto maschile nell’animo.
Il mago temeva che quel povero ragazzo recasse la sindrome da cavaliere: il salvatore delle donzelle, il perfetto combattente, il nobile dal cuore puro!
Trattenne a stento un eccesso di risa.
Sì, meglio pensare a Crystal come qualcosa di comico che qualcosa di…Caro.
Non andava bene legarsi alle persone, nel caso di Sivade.
Per questo, quando si congedò dalla sua maestra, aveva un abbigliamento più curato e una sacca in spalla.
Si portò sopra la testa il cappuccio del suo mantello nero, e si diresse verso l’uscita della cittadella; a passo svelto, senza curarsi delle guardie che già l’avevano notato avvicinarsi, giunse a pochi metri da loro e rivolse il suo migliore sorriso alle sentinelle.
Mentre, una mano sgusciò sotto il manto nero che lo avvolgeva, raggiungendo una bustina di velluto rosso, che posò tra le mani della guardia più vicina.
« Che cos’è?» chiese questa, perplessa.
Sivade sorrise, rassicurante « Guarirete nel giro di una settimana, non temete.»
E il sacchetto esplose, colpendo con un’esplosione di fumi e liquidi tutti i presenti.
Escluso il mago, che svanì in un battito di piume corvine, al di là delle mura.
Tom stava disteso,inerme, sul letto immacolato che il fratello aveva provveduto a macchiare. Gli occhi persi, a fissare il soffitto giallastro a causa dei segni del tempo. L’espressione beata.
Nulla, al mondo, era più conturbante dello soddisfare il fratello in quei momenti che lui chiamava “di debolezza”. Sorrise.
E allora che fosse condannato ad essere debole per tutta l’eternità.
Ciò che Crystal gli faceva provare ogni volta era un qualcosa d’inspiegabile a parole. Era come se due metà della stessa mela, finalmente, si unissero, completandosi l’un l’altra.
Un paragone banale, ma che non sapeva come definire in altri termini.
Spostò lo sguardo da quel soffitto poco interessante, a Crystal seduto sul letto, intento a sistemarsi il colletto della camicia bianca che portava sotto al giubbotto in pelle, nero. Lo scoprì nuovamente in forze, virile come non mai nei movimenti, tutt’altra persona rispetto a pochi minuti prima, anche il colore della pelle risultava diverso, e le labbra sembravano avere più vita e tutto questo grazie al suo aiuto. Si scoprì importante.
« Sivade si è allontanato dalla città» annunciò Crystal, l’espressione solenne « A quanto pare, ha voluto lasciarmi in eredità un qualcosa che non mi appartiene». Sospirò scuotendo il capo.
« Che persona priva del senso di responsabilità» commentò seccato, rimettendosi in piedi, lo sguardo ora nuovamente concentrato su Tom.
« Credi di farcela a camminare?».
Il gemello rise « Per chi mi hai preso?» chiese scattando in piedi con un balzo quasi felino « Non sono l’essere fragile e vulnerabile che tu credi» rispose fissandolo dritto negli occhi.
Crystal sospirò, portandosi una mano ai capelli « Andiamo a recuperare San» annunciò allora. Il capo era lui, lo era sempre stato. Lo si capiva da quelle piccole cose che faceva: dai gesti, dalle frasi, da quegli occhi così sicuri di sé…
Occhi che Tom aveva visto anche spegnersi.
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