Capitolo 21

Una carezza di sole, un sussurro di vento sulla sua pelle dorata, come un saluto fraterno, etereo e gentile.

Ma c’era altro.
Qualcosa di struggente e intenso.

Viaggiava leggero nell’aria. Note d’una melodia senza tempo.

Sivade aprì a fatica gli occhi, stringendo appena il lenzuolo sotto le sue dita.

Le bastò qualche istante per riabituarsi alla luce.
Un minuto per riprendere consapevolezza di ciò ch’era successo.

Era tornata sé stessa.
Dopo ben diciotto anni.

I sentimenti che la percorsero in quel momento furono molteplici, l’uno più intenso dell’altro. Rabbia contro il padre che l’aveva maledetta e dimenticata. Disdegno per una madre che non l’aveva mai difesa. Sofferenza per quegl’anni vissuti sotto il manto d’una bugia insondabile.

Gioia…
Per aver ottenuto pace a quel dolore.
Per aver ripreso la sua forma.
Per aver trovato l’amore.

La sua salvezza.
La sua soluzione.

Pianse, mentre Crystal viaggiava con le dita sui tasti del pianoforte.

Pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto per anni e anni, silenziosa.

La tastiera lucida, perfettamente tenuta, che suonava note profonde e penetranti:  note che riempivano le semplici pareti costituenti quella stanza in cui lui sedeva davanti ad un piano a coda, nero e ben conservato.

Accennò un flebile sorriso, gli occhi chiusi mentre si lasciava condurre dalle note malinconiche di quella melodia imparata anni, probabilmente secoli, prima.

Una canzone insegnatali dalla sua defunta moglie, colei con cui si era scambiato una promessa eterna che mai avrebbe dimenticato.

Non avrebbe mai conosciuto il nome di quel nostalgico motivo…Socchiuse gli occhi.

Si lasciò trasportare nelle sue ultime note, senza trattenere le emozioni struggenti che lo stavano pian piano avvolgendo.

Una nuova storia, una nuova vita, che non si sarebbe lasciato sfuggire.

«Ben svegliata mia Principessa».
Si voltò a guardarla con un sorriso delicato in viso.

Sollevando lo sguardo, la ragazza non seppe sorridere immediatamente.

Il viso ancora rigato di lacrime, si rifugiò nel cuscino, sentendosi fin troppo debole.
Dov’era finita la sua forza?

«Che schifo» sbottò nervosamente, le mani serrate per sfogare tutta la sua frustrazione sul materasso, prendendolo a pugni.

Il vampiro, pallido come sempre, prese a fissarla con cipiglio confuso: « Dopo una simile nottata, sentirsi dire certe cose potrebbe risultare abbastanza frustrante…» spiegò, chiudendo il copritasti del pianoforte, ora in piedi davanti al letto; vestito solo di boxer e jeans neri attillati, sorretti dall’immancabile cintura borchiata.

Fermatasi, Sivade tornò a guardarlo, sentendosi improvvisamente inerme
« Non mi riferivo a quello stupido…» disse flebile, rilassando le mani.

Crystal quasi non si gongolò, un sorrisetto divertito sulle labbra: « Lo spero bene…» si portò le mani in tasca: né avanzò né retrocedette.

Ora come ora sentiva pericoloso l’avvicinarla.
«Scemooo!» disse esasperata la ragazza, ridacchiando appena.

« La miglior nottata della mia vita » rise avvicinandosi alla finestra, attento a non esporsi ai raggi solari « Il che è tutto dire considerata la mia veneranda età e le mie nobili esperienze» scostò le tende, facendo calare ancora una volta il buio nella camera.

Lei rimase a guardarlo, leggermente interdetta. Non poteva certo dire lo stesso.

« Non avendo termini di paragone, non mi sembra giusto mentire su qualcosa che non ho mai fatto prima di questa notte.» rivelò tranquilla.

« Più avanti » disse lui soltanto, ridendo.

La voce roca, la carnagione più pallida del normale, le labbra quasi violacee e un accenno d’occhiaie sotto agli occhi.

Si posò al muro, incrociando braccia e gambe.

Poi ritornò serio, gli occhi concentrati sul viso di lei, attento ad ogni minimo particolare: « Ora, però, m’interessa solo sapere come stai ».

La ragazza sospirò, portandosi una mano ai capelli scompigliati dal sonno:

«Non mi ritrovo in questo corpo…» cercò di spiegare «Sono praticamente vissuta sempre…da uomo...» sottolineò le ultime due parole, una tenue vena di disprezzo ch’era rivolta nuovamente al padre.

Crystal si ritrovò a sorridere comprensivo, le braccia ancora incrociate al petto: « Se così non fosse stato…chissà ora che donna pettegola saresti » rise appena, tentando d’immaginare il “vecchio” Sivade andarsene in giro a fare il comare.

Si portò una mano ai capelli, il sorriso allargato a dismisura.

L’eloquenza che la faccia schifata di Sivade mostrò fu quasi esagerata: « La donna pettegola potrebbe offendersi, signore.»

« E chi mai sarebbe?» domandò in un sussurro, guardandosi attorno circospetto, gli occhi color petrolio.

In quel momento si chiese quanto avrebbero potuto pagarlo per recitare a teatro: era un ottimo attore, in special modo se si trattava di raccontare menzogne oppure indossare maschere.

Quello che realmente riempiva la sua mente era la fame implacabile dovuta a quel profumo che aleggiava in tutta la stanza. Chiuse gli occhi, inspirando a fondo.

Sivade lo guardò con acuta attenzione, per poi sorridere sconsolata

« Hai fame…» constatò, coprendosi più che poteva col lenzuolo.

L’altro tornò ad aprire gli occhi su di lei, deglutendo pesantemente: « Touché » disse soltanto, scuotendo debolmente il capo, rassegnato: «Coprirti non servirà. Tutta la stanza è invasa dal tuo profumo…». Sorrise.

Lei chinò il capo a guardarlo, lo sguardo da bambina fisso a ricambiare quello del vampiro. « Dovrai chiamare un’agenzia di disinfestazione, allora. Anche se non capisco che ha di speciale il mio “profumo”…» sospirò, sentendosi all’improvviso pesante. Non aveva ancora capito il perché, ma era chiaro che a Crystal piaceva particolarmente il liquido che scorreva nelle sue vene.

Gli piaceva al punto da farlo impazzire.

Il giovane, posato ancora al muro, sorrise flebile cercando di trovare una spiegazione per ciò che egli sentiva, ogni qual volta si lasciava trasportare da quello che era il profumo di Sivade.

Rabbrividì leggermente: « Non so spiegarlo, mi dispiace.». Sospirò, una mano ad accarezzarsi distrattamente le labbra.

Lei lo guardò compiere quel gesto, contemplando il silenzio. In cuor suo, un’altra domanda si era fatta strada. Forse per capriccio, forse per quel legame appena nato che sapeva chiamarsi amore. Chiuse gli occhi facendo una vocetta stupida per dissolvere l’imbarazzo: «Sai dirmi almeno se sono carina?» .

Crystal abbandonò le braccia ai fianchi, spostando lo sguardo alle tende di un colore blu tenue che cadevano dritte sino al pavimento.

Si lasciò sfuggire un grosso sospiro, udendo in lontananza rumore di passi agili tanto quanto pesanti. Sorrise appena, tentando di battere nel tempo colui che, in fin dei conti, altro non era che la reincarnazione del tempo.
Battaglia persa.
Sin dall’inizio.

Irruppe, infatti, Tom: allegro e spensierato come non mai, un sorrisetto ebete in faccia.

« Crysantelmo! » esclamò, saltando in avanti a gambe divaricate, bocca e mani spalancate indicando la ragazza sdraiata a letto.

Si fece perplesso per un decimo di secondo: « Hai cambiato stylist, eh? Molto femminile, Crysantelma! ».

Dal canto suo, il vampiro fissava pressoché imbambolato il fratello che analizzava la ragazza da capo a piedi, mettendosi a carponi sul letto: « Ma quand’è che hai fissato appuntamento col chirurgo? » prese a palpare, annuendo soddisfatto « La terza è la taglia perfetta. Si, si » lanciò lontano il lenzuolo osservando ammirato anche tutto il resto.

Sivade non riuscì a fermarlo in tempo, tanto era lo shock causatole da quella sottospecie di valanga umana. Non che non le venisse da ridere, anzi. Si stava trattenendo più che poteva. Anche se Tom le palpate avrebbe potuto risparmiarsele…

« Crysantelma è felice che ti piaccia l’armamentario, fratellone» sghignazzò imbarazzata, mettendosi in posa mentre lanciava un’occhiata ilare a Crystal.

Il vampiro si fece avanti, decisamente nervoso, ma puntualmente bloccato dalle oscenità che fuoriuscivano dalla tanto fine bocca del fratello.

« Meglio che me ne vado » disse Tom andandosene fuori dalla porta, diretto nuovamente alla sua stanza, lasciando che la pioggia lo bagnasse
« Arrivederci, principessa Sivade » sorrise amaro, mani in tasca.

La ragazza si fece mesta, sorreggendosi alla tenda che ancora aveva tra le mani:
« Ciao Tom…» rispose solo, sentendosi ancor più responsabile.

Se ne stava sotto la pioggia, tranquilla, posata ad uno dei muri di quel luogo sacro. Vomitosamente sacro, per lei. Goito non aveva mai amato restare in luoghi dove tutti puntavano a “purificarsi”.

Quasi non si accorse della prima persona che gli passò davanti.

Quando fu la volta della seconda, aprì gli occhi, fissandoli al terreno con espressione vuota: «Piccoletto, vuoi un tè?» chiese a Tom, tranquilla.

« Ora come ora potrei rimetterlo » rispose questi, tremendamente sincero, al contrario dell’espressione divertita che, puntualmente, era tornato ad indossare.

« Le cortigiane non dovrebbero stare sotto la pioggia » aggiunse poi ridendo prima di calciare un sasso invisibile a tutti, tranne che a lui.

Goito sospirò, sollevando lo sguardo su di lui: « Sono la prima cortigiana, quindi posso fare quello che voglio tipo stare attenta che nessuno soffra eccessivamente.» disse pacata, senza far capire di chi stesse parlando. « Se non ti va il tè, te lo mando dopo. O te lo porto…» guardò il cielo con aria annoiata «Tanto ho tutto il tempo che voglio…»

« Noioso ‘sto lavoro da prima pupattola» commentò divertito il rasta alzando il viso al cielo, lasciando che l’acqua lo frustasse il minimo necessario per punirlo di ciò che aveva provveduto a causare. Un vero disastro, in tutti i sensi.

« Basti pensare che devo solo farmi usare da chi mi può pagare, fare la carina e poi intascare i soldi.» spiegò breve la rossa, vestita d’un paio di short blu ormai fradici. Nulla provava davanti alla realtà della vita. Era abituata a tutto.

« Non posso pagarti, mi dispiace rifiutare l’invito » rise Tom, scuotendo il capo prima di tornare a guardarla; gocce di pioggia che gli percorrevano il viso ricordando lacrime mai versate. Guardò la porta di camera sua, eloquente.

Goito si voltò per vedere dove stesse guardando, sorridendo appena vedendo l’obbiettivo del ragazzo: « Resto io a bagnarmi, tu và pure. Tanto sei un pessimo cliente…» disse chiudendo gli occhi.

Tom la osservò per un breve istante, per poi fare spallucce, remissivo:
la prese per il polso, trascinandola verso la camera senza indugio « Sei pessima se non consoli un depresso! » esclamò, aprendo la porta della stanza, del tutto tranquillo. Senza secondi fini.

Lei lo guardò a lungo, direttamente negli occhi. Non che si facesse scrupoli su di lui. Rispetto a certi clienti che le erano capitati, il giovane davanti a lei era una perla tra i porci. Sospirò, divertita dai suoi pensieri: « Pagamento in natura, ok».

« Ti pagherò una tazza di tè » disse l’altro, trascinando la rossa nella stanza, per poi richiudere la porta in completo silenzio « Certo che se vuoi prestazioni dal sottoscritto, basta parlare!» rise, andando a buttarsi sul letto, sconsolato.

Goito si scosse leggermente, una mano che portò ai capelli. Con passo tranquillo, si avvicinò, sedendosi a metà del materasso: « E io non sono umana…» disse, passandogli con un dito il ventre appena scoperto. « Si giocherà ad armi pari, insomma.» la voce ora d’un timbro più basso e sensuale.

«Ma tutto il mio essere protende al magico…» disse di tutta risposta il biondo, un sorrisetto sadico dipinto sulle labbra carnose.

Lei non rispose, accarezzandogli ora una guancia per abituarsi all’idea, a quel corpo e alle emozioni che avrebbe dovuto palesare per rendere tutto più “naturale”. Era la sua prassi personale. Saggiare, prima di tutto. Sembrare realmente innamorata, coinvolta, rapita dal compagno che chiedeva il suo aiuto. Se d’aiuto si doveva proprio parlare.

Cercò il suo sguardo, carico di bramosia.
Lo trovò immediatamente, scoprendolo tranquillo quanto uno specchio d’acqua. Azzurro e lontano. Abbandonato in pensieri a cui lui non avrebbe mai potuto accedere. A sentimenti che non seguivano il presente. Lì scoprì una Goito diversa.

La vide chiudere gli occhi, sospirando prima di donarsi a lui definitivamente.

Per la prima e forse ultima volta.

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