Capitolo 2

Sivade si reggeva stancamente al collo del giovane, lo sguardo biancastro fisso davanti a loro. Sentiva brividi percorrergli le ossa, mentre ogni suo arto si faceva sempre più freddo e insensibile. Quasi stesse congelando.

San, la sua piccola sorellina, non sapeva nemmeno perché erano in quella situazione. O, quantomeno, Sivade aveva provveduto ad omettere ai suoi compagni di viaggio alcuni particolari.

Il giovane sospirò, chiedendosi quando sarebbe stato il momento adatto per dire anche solo qualcosa a qualcuno.
Ne sentiva il bisogno, perché nel cuore aveva solo menzogne e fantasie distrutte, fantasie che lo avevano illuso per anni, che lo avevano ridotto in quello stato: ad essere l’ombra di sé stesso.

Scosse il capo, cercando di ritornare alla realtà, concentrandosi s'un unica voce.
Crystal ancora discuteva con le guardie, divertendosi a confonderle, mettendole nel dubbio, giocando con le parole, con loro: lo sguardo carico di malizia che passava da una all’altra guardia.

Sapeva che quella vecchiaccia sarebbe venuta là, per lui.
La stava attendendo alla porta.
Come poteva farsi sfuggire l’opportunità di rimanere giovane, incutendo terrore ai suoi compaesani, per un altro secolo?

Le probabilità che ciò accadesse erano particolarmente basse:
0,001%.

Sorrise ed ella arrivò.
« Fateli entrare, sono miei ospiti.» disse la giovane donna dai lunghi capelli neri, i quali sapevano essere totalmente diversi dai suoi, perfettamente composti, immobili, ghiacciati…Come la morte.

Crystal sorrise nuovamente, notando come lei non avesse omesso che non era solo, ma in compagnia.

La prima guardia osservò la donna quasi con reverenza, chinò il capo all’istante...Era meglio non far innervosire Merrick, la sempreverde, o avrebbe rischiato la pelle.
Corse ad aprire il portone.

San non comprese il timore di quella gente per la donna: le sembrava uguale a tutte le altre, solo con un vestito decorato più finemente. Comune, ma sfarzosa. Come un salotto decorato a festa. Discordante e stridente.

Sbirciò leggermente Crystal, alla ricerca di una spiegazione, ma lui sembrava troppo interessato a guardare la ragazza che avevano ora davanti. Le sembrava fin troppo strano che il ragazzo fissasse il suo sguardo proprio su di lei.

Scosse il capo accorgendosi dello sbattere violento del portone.
Si voltò indietro, come attendendo una tragedia.

Qualcosa simile ad un’esplosione o una fiammata che li bruciasse e li riducesse in cenere. Un presagio di sventura e annullamento.
Poi incontrò lo sguardo vuoto del fratello, che le sorrise, apparentemente consapevole di averla al suo fianco.

In quell’istante comprese che certe idee erano assurde, in un regno dove di fuoco c’era solo il colore del sangue di Sivade.

Merrick squadrò prima il fardello che Crystal si portava alle spalle, poi la piccola ragazzina che stava al suo fianco.
In seguito riposò lo sguardo sul moro, esaminandolo con ossessione crescente.

« Dov’è?» chiese nervosamente.
Il ragazzo rise piano « Nei miei pantaloni, ovviamente!»
Merrick digrignò i denti facendo loro strada, Crystal che stava al suo fianco in tutta la sua altera compostezza.

La bimba li seguiva con aria perplessa e preoccupata, instaurando un dialogo silenzioso con il fratello che le rivolgeva lo sguardo, il mento posato alla spalla del loro mecenate, un sorriso rassicurante sul volto.
Sivade non si sentiva neanche più a disagio, anzi, si divertiva a rendersi più pesante di quanto già non fosse. Tanto per fargli passare la voglia di rifarlo, in un possibile futuro. Per di più, premeva con tutte le forze sulla clavicola di Crystal con l’osso della mandibola.

Doveva snervarsi almeno un po', e il signorino della clessidra se l’era decisamente cercata, una volta espressa la sua scarsa convinzione sulle abilità motorie di Sivade.

Era vero che aveva i piedi insanguinati, non ci vedeva e non mangiava da giorni ma era un uomo autosufficiente.
Era un uomo!

Se lo ripeté in testa più di una volta ma, parte di lui si crogiolava, facendo le fusa.

« Ma chi voglio prendere in giro?» ammise, rantolando leggermente.

La verità era che non riusciva a controllare del tutto i suoi istinti, per quanto provvedesse ogni giorno a rimuoverli…A modo suo.
Sentì pian piano la temperatura mutare attorno a lui, comprendendo, di conseguenza, che ora si trovavano all’interno di un edificio.

Ma doveva essere piuttosto grande, perché sentiva spifferi di vento provenire dall’alto, riversandosi a terra con fruscii sibilanti.

Merrick li fece accomodare nella sua cucina, invitando Crystal a posare il ragazzo che teneva in spalle, su di una sedia
« Vuoi che mi occupi di lui, vero?»
Il moro annuì.
« Allora prima fammelo vedere» sentenziò la donna, lo sguardo bramoso e le labbra tremanti d’impazienza.

Rapido, il giovane moro posò Sivade sulla sedia indicatagli, avvicinando l’altra mano alla cerniera dei suoi jeans « Ma è bello grosso sa?» disse guardando San « Siamo in presenza di creature fragili!» scherzò.
« Sai di che sto parlando» ribatté la donna, senza batter ciglio.

Crystal sospirò, chiamando la clessidra che andò a posarsi, galleggiando, sopra al tavolo.

Non disse più una parola, fintanto che Merrick era intenta a fissare quell’oggetto magico a sua disposizione.

« Attenta a come lo tratti.» l’ammonì.
Si accantonò in un angolo, braccia incrociate.

San si accostò in silenzio a lui fissando prima la donna, poi la clessidra, la quale sembrava attirare lo sguardo di Merrick.

Una stanza fredda, senza finestre, con un rosone nell’alto del soffitto a volta.
Il camino c’era, ma non v’era fuoco acceso. Come se fosse stato del tutto inutile cercare di riscaldare quel luogo, freddo, già di per sé, a causa dell’aura emanata dalla padrona di casa.

La bimba cercò di distogliere l’attenzione da tutto ciò che le era estraneo, concentrandosi sul fratello. Lui sembrava del tutto indifferente alla situazione, al punto che, noncurante del silenzio creatosi, tamburellava con le dita sul tavolo, come in attesa.

Ma di cosa? San non lo avrebbe mai saputo.
Molte cose le erano estranee e forse lo sarebbero state in eterno, rifletté.

La strega davanti a loro si passò un’esile mano verdastra fra i capelli, gli occhi che si spostarono dalla clessidra, l’oggetto che tanto bramava, a Crystal
« Solo tu puoi usarla.»
« Tu curalo, poi vedremo», socchiuse gli occhi iniziando a seccarsi di quella donna che voleva tutto ma non intendeva cedere.
A quel punto Sivade sentì qualcosa di fastidioso sfrigolare, dandogli l’impressione di avere sotto i piedi un formicaio, brulicante di vita e ansioso di mangiargli ogni singolo lembo di pelle.

Gli scappò una smorfia schifata, fino a quando la donna poneva fine al fiume di sangue che era fuoriuscito dalle sue ferite fino ad allora.
Ma l’unica cosa che in quell’istante passò per la mente del giovane dagli occhi bianchi fu: “Peccato…”

Niente più sfoghi, da quel momento in poi…Forse.

San guardò quella signora in nero, ma non riuscì a trattenere l’istinto di afferrare per un lembo la giacca di Crystal...Non le piaceva quella situazione.

E se Merrick avesse cercato di uccidere Sivade?
Si strinse più al ragazzo, cercando di non lamentarsi, di trovare la pace per quei pensieri terrifici.

Il giovane dai lunghi capelli corvini posò una mano sulla spalla di San, ben sapendo che quella strega non poteva sembrare per nulla affidabile ma ciò che le veniva offerto era troppo grande perché lei se lo lasciasse sfuggire.

L’immortalità…Il più grande veleno che gli uomini avevano scoperto secoli fa.

Ma era tempo, le campane suonavano rintoccando la sua ora, inesorabilmente giunta.
Lo scambio equivalente, in quel momento stava a lui, chiamò a se la clessidra, Merrick avrebbe avuto ciò che voleva.

Sospirò ancora una volta, prima di sibilare velocemente un nome girando e rigirando quella clessidra dalla sabbia color pece.
Infine diede una rapida occhiata a Sivade prima di chiudere gli occhi.

« Sbrigati a guarire…» sussurrò.
E calò ancora una volta il silenzio.

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