Capitolo 14
Successe tutto nel giro di un millesimo di secondo.
Crystal sovrastava Sivade, le zanne leggermente premute sulla carne, prossime alla carotide, le mani che stringevano con forza le braccia del ragazzo: sbattuto contro il tronco dell’albero, le gambe a mezz’aria.
Eppure il giovane mago riusciva a mantenere un falso sorriso, in mano la pergamena con l’inchiostro ancora fresco. Ben conscio del pericolo al quale era sottomesso, la lucidità della paura era l’unica cosa che gli permetteva di mantenere il controllo.
La tempesta intorno a loro sembrava sul punto di difendere il suo artefice, ma lui la fissava, domandola come meglio poteva.
« Ben svegliato tesoro. Hai già sete?» chiese con tono assente, chiudendo per un attimo gli occhi.
Il vampiro non sembrava essere cosciente. Di fatto, non stava capendo nulla di ciò che lo circondava e gli veniva chiesto, come assuefatto dal profumo di quel sangue che a lungo aveva desiderato bere.
Le pupille si dilatarono. Le tenebre che finirono per divorare l’azzurro dei suoi occhi, mentre Tom assisteva alla scena, impotente. Il paletto ancora in pugno.
Vide la lingua di Crystal saettare sul collo del mago. Strinse i pugni.
Sivade, contrariamente, non riuscì a trattenere un sobbalzo, le zanne del moro davanti a lui che andarono a premere maggiormente sulla sua pelle. Spalancò gli occhi, evitando che un fulmine cadesse proprio di fianco a Tom, deviandolo con un sibilo soffocato. Si sentiva in completa balia di Crystal, eppure la tempesta non accennava a sparire, chiudendosi attorno a loro sempre più rapidamente.
«Le mie ultime volontà sono riportate su questa carta. Non macchiarle, per favore. Non ho lasciato una copia al notaio.» rise isterico, la voce ridotta a un sussurro strozzato.
«Ho fame» sibilò l’altro sul suo collo, la radura che sembrò tremare per un lungo istante. Leccò ancora la pelle di Sivade, le mani che tremavano per lo sforzo.
Si stava frenando dal dilaniare quella carne tenera e delicata.
«Non istigarlo, idiota!» ringhiò Tom a denti stretti avvicinandosi ai due con pochi passi: «Crystal, bevi da me come hai sempre fatto» disse imperioso, gli occhi fissi sulla sua schiena.
A quell’imposizione, il moro scoppiò a ridere fragorosamente, chinando appena il capo, le labbra che accarezzavano languidamente il collo di Sivade facendolo rabbrividire totalmente
«Non desidero te» miagolò ormai impazzito, la voce sottile.
La sua vittima per poco non soffocò, cercando di non ridere dalla disperazione. Guardò Crystal con le lacrime agli occhi, non riuscendo a credere alle sue orecchie: « …miagola! » osservò esasperato.
Le mani di Tom si contrassero con violenza inaspettata mentre si sentiva frantumare in mille pezzi, i sentimenti che vorticavano incontrollabili.
Retrocedette, le gambe rese deboli dalla sua volontà ora sminuzzata, mentre il cielo sembrava schiarirsi appena. Contrariamente a lui che non possedeva più la forza necessaria a combattere per il suo gemello.
Il vampiro toccò con forza il petto di Sivade, la mano che poi andò a fermarsi molto più in basso mentre le zanne andarono a strappare la maglia che quello indossava.
La bocca si spostò lentamente, le labbra languide che andarono a posarsi in corrispondenza del cuore che sentiva pompare con insistenza.
Ne accarezzò la pelle, stregato da quella che per lui, ora, altro non era se non magia: «Che ne dici…Affondo qui?» sussurrò, sorridendo perso.
Sivade lo guardò con espressione per metà impaurita, per metà nauseata.
Se solo Crystal avesse minimamente intuito cosa stava baciando in realtà.
Posando la testa alla nuca del vampiro, sospirò leggermente: «E così, alla fine, sarai tu ad uccidermi…» gli fece notare in un bisbiglio.
Crystal respirò a fondo, irregolarmente, gli occhi che altro non richiamavano se non la morte. Altro non erano.
Perdizione, sofferenza e terrore.
«Ho fame…» ripeté, la voce lacerante mentre lo posava a terra dolorosamente.
« Tom può darti ciò che ti serve, no?» gli ricordò, spostando lo sguardo sul biondo
che, stretto nelle spalle, osservava il terreno attorno a lui con aria avvilita.
«Tsk…» commentò solo il vampiro, disgustato, il corpo scosso da violente fitte che lo facevano tremare da capo a piedi. La lucidità che combatteva per tornare, soppressa dalla fame e dai desideri che Crystal aveva sempre represso.
Non gli era permesso avere nulla.
Non avrebbe mai potuto avere ciò che, con tanto ardore, desiderava.
Interamente schiavo di ciò che era.
Fissò gli occhi di Sivade, distrutto.
Il profumo del suo sangue lo stava ancora chiamando.
Ma il mago lo distrasse, sventolandogli davanti al naso il testamento, l’aria assente: «Cosa devo farne, masterino…?» chiese, mantenendo il cielo nuvoloso solo per il giovane che gli stava davanti.
Crystal si allontanò da lui, la testa che vorticava, combattendo fra due desideri contrastanti. Il macchiarsi del suo sangue e il saperlo in vita.
Chiuse convulsamente le mani, l’anello d’argento che gli penetrava la carne:
«Non credo ci vedremo ancora» disse semplicemente, la voce penetrante, la lucidità che tornava.
Disgusto per sé stesso.
Sivade serrò gli occhi in due fessure. Cercò di non richiamare eccessivamente i suoi poteri, il foglio di carta che finiva in mille pezzi, tra le sue mani. Fissò il vampiro con un carico tale di sdegno che a stento riuscì a trattenere l’istinto di tirargli un pugno. Perché quella frase? Perché quella decisione improvvisa?
« Voglio picchiarti.» disse, serrando la bocca.
Crystal si voltò a guardarlo, l’espressione che preannunciava la sua prossima scomparsa. Il biondo che non sapeva se essere felice o disperato. La decisione del fratello la condivideva in pieno, sebbene gli avesse chiaramente fatto capire che non “desiderava” lui.
«Poiché non avrò più il privilegio di viaggiare assieme a te, ti concedo l’onore di scalfire il mio viso» rispose a quel punto il vampiro, ormai completamente in sesto.
Il mago gli si avvicinò lentamente, portando le mani in tasca. Gli occhi neri posati sulla figura che l’aspettava tranquilla, quasi a braccia aperte. L’unico aggettivo che Sivade sarebbe riuscito ad attribuirgli era “sfacciato”.
« Conto poco, ai vostri occhi.» sibilò di conseguenza, l’espressione distaccata, portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Con un cenno delle dita, la maglia che Crystal gli aveva stracciato ritornò al suo aspetto originale. Si sistemò il colletto, poi seccò il ragazzo davanti a lui con uno sguardo eloquente. Portò lo sguardo al cielo: « Sbrigatevi ad andarvene. Non lascerò nuvole per te.»
«Non necessito il tuo aiuto, maghetto» disse Crystal acidamente, proprio perché intendeva innervosirlo per allontanarlo da lui, da ciò che era e da ciò a cui stava inesorabilmente, andando incontro.
Tom che gli si affiancava in silenzio.
Sivade rivolse lo sguardo al rasta, facendo un cenno del capo appena percettibile: « Ciao Tom, ti saluterò San. Lei ti trovava simpatico.» poi guardò Crystal per un attimo, mostrando tutto il suo dolore. Si voltò di scatto, dirigendosi verso il fitto della boscaglia: « Succhiasangue del cavolo!» gridò, le nuvole che diventavano nuovamente nere, oscurando ogni luce.
«Niente bacetto d’addio?» domandò l’altro. Poi un sospiro che non riuscì a trattenere.
Era dolorosa tutta quella situazione che si stava venendo a creare.
Ne rimetteva. Sempre. In continuazione.
«Grazie» disse Tom, soltanto, osservando come il gemello fissasse, abbattuto, il ragazzo che se ne stava andando.
Un gemito soffocato scappò da quelle labbra violacee.
Udendolo, Sivade si voltò appena, restando pietrificato alla vista di Crystal.
In quella radura, con rivoli di sangue rappreso sulle tempie, sembrava la vittima di un destino troppo ingiusto per un’unica creatura.
Non l’aveva mai visto con quell’espressione sul volto.
« Devo andare davvero…O mi stai mettendo alla prova?» chiese scostando lo sguardo, celando quanto in colpa lo facessero sentire quegli occhi smarriti.
Crystal non rispose, lasciando che il silenzio calasse tra loro.
Non era in grado di lasciarlo andare.
Eppure sapeva che era la cosa più giusta da fare.
Non riusciva a nascondere ciò che in quel momento provava.
Abbandonò le braccia lungo i fianchi.
D’altronde cosa poteva aspettarsi da sé stesso?
Era un essere fin troppo egoista.
« Qualcuno me lo tolga da davanti…» sospirò Sivade, portandosi una mano a coprire gli occhi in un gesto esasperato.
Per quanto cercasse di ghermire i pensieri di Crystal, non riusciva a comprenderlo. Diceva una cosa, e ne pensava chiaramente un’altra.
Eppure se ne stava lì, in piedi, sul punto di cadere di nuovo da un momento all’altro, guardandolo andar via mentre con lo sguardo sembrava gridare aiuto. Era una cosa demoralizzante, da qualsiasi punto di vista la si volesse guardare. Avrebbe voluto sbattergli in faccia la verità.
Dirgli le mille cose che quell’aspetto da mago qualunque nascondeva. Dirgli i pensieri che in lui erano nati da quando si erano incontrati, dirgli quanto avrebbe voluto essergli d’appoggio.
Tanto per vedere se il ragazzo sarebbe riuscito ad accettare tutto; ma non era possibile. Solo il pensiero di rivelare che era una donna lo portò a ridere involontariamente. Una risata che tradiva uno sconforto senza pari:
« Crystal, Crystal…Sei peggio di San, se fai quella faccia…» gli fece notare, minimizzando ogni cosa.
Tom si mise in disparte. D’altronde, quella conversazione non era affar suo.
Tornò al suo aspetto di clessidra, rifugiandosi in una tasca della giacca di Crystal. Questi tornò a mostrare la sua perfetta maschera d’impassibilità, gli occhi che, al contrario, esprimevano tutt’altro sentimento.
«Non me ne voglia…» sussurrò, alzando il capo al cielo, ormai esaurito della propria energia astrale.
Si abbandonò a terra, le gambe incrociate, la testa china al terreno.
L’altro lo raggiunse lentamente, guardandolo con rinnovata serietà:
« I tuoi sbalzi d’umore sono peggio dei miei…» si sedette davanti a lui, la mano destra posata al ginocchio piegato: « Mi sa che ti dovrò tenere d’occhio per un altro po’, marmocchietto secolare…» disse pacato, cercando lo sguardo del giovane.
Crystal congiunse le mani, fissando le dita di Sivade che picchiettavano sulla gamba, come annoiate.
Stornò lo sguardo al proprio anello, osservando come la pelle attorno ad esso fosse bruciata. Non osò levarlo: «Attento a come parli, tesoro» ribatté, la fronte corrucciata. Doveva avergli fatto proprio pena per spingerlo a restare nonostante avesse provveduto ad innervosirlo di persona: «Tsk…».
« Che fai, sbuffi anche?» chiese perplesso il mago, avvicinando il viso a quello di lui, continuando a richiamare l’attenzione del moro su di sé «Insomma…Resto?» chiese, questa volta con più gentilezza.
«Ti sembra saggio restare?» domandò di rimando il vampiro, lo sguardo che si concentrò in quello di Sivade, serio come poche volte sapeva essere « Voglio una risposta sincera ».
« Tu non riesci a farmi del male sul serio, indi per cui...Che motivo ho di temerti?» rispose tranquillo l’altro, sorridendo lievemente.
Gli piaceva quell’espressione leggermente corrucciata che vedeva dipinta sul viso di Crystal. Gli ricordava quella di un gatto sospettoso.
« Carino…» finì per commentare, dandogli un buffetto sulla guancia.
Il moro si reggeva la testa con una mano, il busto piegato leggermente in avanti, lo sguardo perplesso: «Non è una novità. L’ho sempre saputo che sono più divino che umano. »
Sivade lo guardò, un lampo di malizia negli occhi: « Sei solo carino. Niente più.»
« Divino» ribatté l’altro deciso.
« Puccioso.» rincarò il mago.
« Sublime». « Come no. E io sono…».
« Follemente innamorato del sottoscritto...» lo interruppe il vampiro, sogghignando «D’altronde, non posso certo biasimarti» si fissò le unghie, accarezzandole appena con il pollice.
Sivade rimase impietrito: « Te le mando in cancrena, quelle tue unghie, amore mio…» lo minacciò, afferrandogli la mano.
«Suvvia, non essere in imbarazzo per così poco…Lo si sapeva da tempo.» disse l’altro, un sorrisetto ambiguo stampato in faccia.
Il giovane davanti a lui portò una mano alle vertebre cervicali, facendosi un breve massaggio: « Non ero io a guardare con sguardo perso…» commentò, chiudendo gli occhi.
A quelle parole, Crystal s’incupì immediatamente, allontanando quasi con gentilezza la mano di Sivade dalla propria
«Mi dispiace» riuscì solo a dire.
L’altro lo guardò di sbieco, per poi piegare le labbra in un sorriso « Lo stai facendo di nuovo, tesorino…» gli accarezzò la fronte, un gesto apparentemente disinteressato «Provi a cambiare le carte in tavola, e subito dopo ricadi nei tuoi pensieri…».
A quel gesto, Crystal fu così nuovamente avvolto dal profumo del ragazzo.
Bastavano piccoli gesti come quello per mandarlo in crisi.
Socchiuse gli occhi, la mano ai capelli: « Non me ne rendo nemmeno conto…» sussurrò debolmente, bloccando il respiro. L’attirò a sé con un braccio, in cerca d’aiuto, lasciando spiazzato il mago che strabuzzò gli occhi, guardandolo nel più completo stupore. Sivade rimase tra le braccia di lui in silenzio, capendo che, probabilmente, il vampiro non era più in grado di esprimere ciò che celava nel cuore.
Tutto si era concluso in un bagno di sangue.
Ogni perimetro, nemico, amico o neutro, era stato imbrattato del purpureo fluido degli uomini caduti. Migliaia. Solo per capriccio dei potenti.
La guerra null’altro era: una partita a scacchi tra re e regine, che vezzosamente usavano i loro sudditi alla stregua di pedine. Pedine senza sentimenti. Senza famiglia. Senza vita.
Ed ora così erano.
Tutto per colpa di una debolezza, di una distrazione, di un tradimento.
Il capo dell’armata di Amestris, giovane riconosciuto in tutte le terre alleate per le sue abilità di stratega, si era lasciato sconfiggere dall’interno.
Sivade era stato tradito dal suo braccio destro in battaglia, Tamos di Eynar.
Tradito da un amico.
Il suo primo ufficiale aveva permesso al nemico di penetrare le difese magiche poste alla batteria datagli in comando. Creando un effetto a catena che aveva annullato ogni difesa su tutto l’esercito di Amestris. Portando tutti alla mercé dell’armata degli Hades. Inesorabilmente.
Trascinato nella sua tenda, dopo aver annunciato la resa dal suo destriero, Sivade versava in condizioni peggiori di quanto sembrava.
Si portò una mano ai capelli, il respiro mozzo. Non riusciva ad accettare ciò ch’era successo. Non riusciva a crederci fino in fondo.
Accettare una simile realtà, una simile catastrofe, era qualcosa che non gli riusciva a fare. Non quando, a causa di un suo errore, erano scomparse tutte quelle persone. Il Sole solo sapeva quale vita li avrebbe attesi dopo la morte.
D’un tratto, un ufficiale aprì la tenda, lasciando entrare in quello spazio ristretto il fetore della carne morta e del sangue. San, seduta con le gambe strette al petto sopra il letto, faticò a trattenere un singulto.
« Mastro Sivade, generale. Sono qui per darvi rapporto.» disse il nuovo venuto, il fiato corto.
Il giovane moro gli sorrise, nello sguardo una patina bianca che andava via via ispessendosi: « Annuncia ciò che sai, signor Jerkis…»
Il tenente Jerkis gli s’inchinò, rispettoso e grato: « Ottanta morti…E ventisei feriti, generale. » disse, la voce priva d’ogni emozione.
Il suo interlocutore sospirò, una mano alla fronte.
Ottanta su duecento.
Forse doveva esserne felice?
« Curateli. Che i più gravi siano condotti da dama Goito, in modo che lei possa ridar loro il sangue che hanno versato. Gli altri debbono esser adagiati su giacigli, cosicché non appena giungerà il Primo Mastro, saranno subito ricondotti alle cure delle loro famiglie. » decretò, senza alzare lo sguardo.
L’uomo parve indugiare per un istante. Vedeva chiaramente che il giovane seduto su quello scanno d’ebano era...indebolito.
I capelli stessi stavano schiarendosi, assumendo un colore più bianco della neve. Un bianco dai riflessi argentati, prezioso ed inquietante allo sguardo.
Un tempo erano stati neri, neri come una notte senza luna.
« Signore, se permettete una domanda…» esitò «I vostri capelli…»
Sivade sorrise appena, togliendo la mano dal viso: « Andate. Di corsa. »
Jerkis deglutì, rendendosi conto di aver osato troppo. Fece un breve inchino, per poi lasciare soli il generale e la sua sorellina, lanciando una timorosa occhiata alla schiera nemica.
Crystal, al capo dell’esercito degli Hades, era volto alla propria armata i cui componenti erano stati selezionati sotto esame da lui stesso:
una schiera di soldati che non presentava più di cento persone, alcune delle quali ferite, ma non gravemente.
Li fissava con durezza, lo sguardo più freddo del ghiaccio, furente.
Era ben conscio che quella vittoria non era stata meritata, come a lui piaceva; bensì era stato un trionfo dovuto alle genialità di un qualche suo sottoposto.
Si portò una mano ai fianchi, camminando davanti alla schiera di soldati che stavano rigidamente sull’attenti.
Lui stesso aveva più volte dichiarato che in guerra “tutto è lecito”, ma di certo non si sarebbe mai aspettato un’azione del genere.
Qualcosa gli era sfuggito di mano, e questo lo faceva imbestialire.
Hope, una ragazza dai lunghi capelli biondi, se n’accorse più di altri.
Non che non fosse chiaro ciò che passasse per la testa del loro Superiore ma lei, inoltre, sapeva leggere le emozioni di chi le stava attorno.
Solo…non era in grado di controllare quei sentimenti che la travolgevano come un fiume in piena. Respirò a fondo, mentre un’ondata di potere freddo e lacerante s’insinuava fin dentro le ossa di tutti i presenti facendoli tremare.
Quello era Crystal.
La Morte; che voltò le spalle a tutti quei soldati vestiti rigorosamente di nero e grigio-argento, quasi fosse un simbolo da rimembrare.
Loro erano vivi e vegeti, mentre il luogo in cui ora si stava recando era colmo di morte e sofferenza.
Zero, uno dei suoi sottoposti, scoppiò in una fragorosa risata, saltellando al suo fianco. Lui era uno dei suoi subordinati più potenti, assieme a Hope e Haleck.
Uno dei pochi di cui tendeva a fidarsi. Tendeva…
«Corri a recuperare quell’impiastro di un Comandante!» esclamò gioioso, un sorrisetto beffardo stampato in viso.
Crystal lo fissò di rimando, uno sguardo eloquente.
«Ups…Perdoni la scortesia, mio Master…» si corresse allora quello, esibendosi in un profondo inchino, prima di saltellare via allegramente correndo ad abbracciare il “suo” Tamos.
Il vampiro lo squadrò gelidamente, capendo solo in quel momento come si erano svolti, in realtà, i fatti, per poi scostare il suo sguardo su Hope che altro non attendeva se non ordini
«Te ne prego…Conduci tutti alle loro dimore, qui abbiamo vinto noi…» spiegò gentile, quando lei le sorrideva tranquilla, le mani intrecciate dietro la schiena in un gesto che esprimeva tutta la sua timidezza «Poi torna dove sai… Assieme a Zero e Haleck.».
«Attenderò il tuo ritorno…» rispose allora lei, prima di correre ad eseguire gli ordini appena conferitegli.
A quel punto, Crystal si avviò verso il campo nemico, senza bisogno di chiedere a Tom di seguirlo:
stava già al suo fianco, sottoforma di clessidra, galleggiando davanti ai suoi occhi incendiati da pure fiamme di zaffiro.
Dall’altra parte del campo, un gatto nero osservava il giovane venire avanti. Trasudando passività assoluta, non si curava minimamente dei suoi sottoposti, caduti nel panico dopo aver compreso dove si dirigeva la figura pallida del comandante degli Hades. Con un cenno del capo, il felino ordinò loro di dileguarsi: questi non attesero un secondo in più, liberando il passaggio. Il terrore della morte aveva superato l’orgoglio dell’esercito.
Crystal posò i suoi occhi polari su quel felino, in un’espressione quasi strafottente. I piedi che calzavano stivali neri alti sino al ginocchio, che sembravano fluire su correnti invisibili di potere: « Danke schön» disse, un duro sorriso stampato sulle labbra, mentre la clessidra argento galleggiava attorno a lui, disegnando perfetti cerchi immaginari.
Il felino rise amaramente, la voce simile ad un leggero ronfare: « Non desidera ricevere favella di altri morti, vedi dunque di non farmi pentire.» disse con voce aspra, carica di odio.
Il vampiro che si stagliava imponente davanti a lui, si limitò ad abbozzare un sorriso crudele, malevolo che, in definitiva, non gli apparteneva affatto, ma si sforzava comunque di mostrare «Ci proverò» disse soltanto, prima di leccarsi con parsimonia la mano ancora macchiata del sangue di qualche uomo che lui stesso aveva pensato di trafiggere. Dopodiché aprì la porta con una sferzata di potere, rischiando di strapparla in brandelli.
All’interno vide una bimba sobbalzare sull’unico letto presente, mentre il comandante delle truppe di Amestris posava una mano sulla spalla di lei: « Va tutto bene, piccola, non ti preoccupare…» lo sentì sussurrare.
San guardò con paura gli occhi velati del giovane: «Ma…».L’altro alzò un indice e le parole le morirono in bocca, notando un mesto sorriso sul volto di Sivade.
A quel punto Crystal decise di entrare, sfiorando la terra sotto ai suoi piedi con eleganza surreale, guardandosi attorno con un accenno di disappunto; la clessidra ora fra le sue mani pallide, affusolate e flessuose: «Siete ferito?» chiese con voce carezzevole, morbida e sensuale. L’esatto contrario di quella usata con il felino pochi istanti prima.
Sivade voltò lentamente il capo verso il nuovo arrivato, mostrando una tranquillità irreale. I capelli ormai trasformatisi in una nuvola bianca.
«Sono ferito a morte nell’animo, tanto che il mio stesso corpo riflette i miei cupi pensieri.» si fermò un attimo nel parlare, voltandosi verso colui che subito aveva riconosciuto come il suo antitetico: « Perché siete qui, Crystal degli Hades?» chiese con aria annoiata, celando la sua tensione.
Crystal abbozzò un breve inchino, una mano dietro la schiena, l’altra posata al suo stomaco, incapace di nascondere i modi rimembranti gli antichi albori settecenteschi. Si rimise eretto, un sorrisetto sardonico stampato in volto:
«Sono qui presente per salvare, se possibile, le vostre membra così fragili. La vostr’anima provvederà, col passare del tempo, a sanare le vostre profonde ferite. A questo, la mia persona, purtroppo non può porvi rimedio. Il nostro è stato uno scontro guidato da tradimenti ed inganni che sono sfuggiti al nostro controllo. Quindi lasciate che porti almeno voi, lontano da queste terre macchiate da sangue sporco ed impuro. E se ora mi considerate ingiusto…Ebbene, ordinate di lasciarvi al vostro dolore. Ma che questo giudizio, quest’ordine, io lo senta proferire dalle vostre labbra ».
Sivade accarezzò gentile la guancia che San le porgeva: « Le vostre parole sono profonde, ma misterioso è il vostro scopo. Nondimeno vi ringrazio, comandante, per la vostra disponibilità.»
Per un attimo si perse nei suoi pensieri, poi ne risorse con un lieve accenno di sorriso: « Ora, perdonatemi per il mio modo poco raffinato di chiedervelo…ma non amo le formalità. Specie se non mi è concesso di mirare il vostro cordial viso. Indi vi prego…Non vi sono superiore in nulla. Il nostro grado si equivale. Togliete le formalità…Ciò vi è possibile?» chiese con atarassia.
Il suo interlocutore si limitò a sorridere, nuovamente, ma in modo pacato,cordiale quasi accondiscente: «Non credo affatto che, un mio eguale, possa calzare tal vestigia» spiegò, indicandolo con innata classe «Ma credo di poter sforzare la mia persona a reprimere certi modi» si bloccò un istante «Antichi…» decretò infine ridendo, affiancandosi a Sivade con umiltà.
Quest’ultimo trattenne a stento un sorriso: « Sono solo a capo di un esercito, non ho titoli onorifici se non quello di assassino a pagamento…» fece notare, alzando l’indice della mano destra. « Prometti che il tuo desiderio è atto solamente a portarmi via da qui e null’altro?»
«Vi restituirò a costoro non appena quest’inutile guerra avrà fine, o perlomeno…Come si suol dire…Fin quando “le acque non si saranno calmate”» gli porse una mano, lo sguardo fisso negli occhi vacui del ragazzo semi sdraiato a letto «abbiate fiducia» terminò.
Lo vide sollevare gli occhi vitrei alla ricerca del cielo, nascosto dalla tenda.
« Sono cieco, mio malgrado. Ma in questo momento ciò che sento m’infastidisce ancor più. Le formalità.» volse lo sguardo verso l’ombra di Crystal « Toglile, te ne prego…».
«Cercherò di porvi rimedio…» rispose soltanto il comandante degli Hades, un accenno di stanchezza nella voce «Ora…Posso…» fece una smorfia quasi sofferente «Toccarti?».
Odiava esprimersi in maniera tanto scortese, ma a quanto pare non poteva palesare ciò che lui, Crystal, veramente era.
L’altro sorrise, volgendosi in direzione di San, porgendole una mano: « Vieni?» domandò, tremendamente gentile. La bimba guardò Crystal per un lungo istante, con i suoi grandi occhi nocciola, ed annuì quasi impercettibilmente: « Sì» disse decisa, cogliendo, alle sue parole, la mano incerta di Sivade che accettava l’ausilio di Crystal.
Sivade sospirò, sentendosi di colpo molto, molto stanco: « Così sia….Dunque, aiutami, mio nemico. A te consegno la mia fiducia. Forse tu l’accoglierai con maggior cura…».
Quello che altro non era se non un ombra di ciò che è chiamato “uomo” sospirò pesantemente, prendendo fra le sue braccia quello che altro non si considerava alla stregua di un “mercenario-assassino”.
Non provò alcuna fatica nel sollevarlo, come fosse stata una piuma: «Reggiti…» disse soltanto prima di voltarsi a guardare la piccola al suo fianco «Posso accogliervi fra le mie braccia?» le chiese allora gentilmente.
La piccola lo guardò con improvviso sospetto, del tutto assente sul viso di Sivade, che subito si era aggrappato al collo di Crystal.
« Perché? » chiese San con cipiglio, alzandosi in piedi.
Il vampiro socchiuse gli occhi per un breve attimo, percependo il calore di colui che teneva in braccio salirgli dalle mani sino al petto che sembrò scoppiare di gioia. Un profumo che allettò i suoi sensi. Una calda energia che lo avvolse completamente.
«Vi porterò lontano a queste terre ebbre d’ingiustizie…» spiegò, la voce bassa e solenne, gli occhi celesti nuovamente fissi in quelli della bimba.
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