Capitolo 12

Per molto tempo
ho vagato in questo angolo di terra.
Avvolto nella mia solitudine,
passo come un'ombra su questo mondo,
senza il bisogno di altri accanto.
Per questo non perderò mai nessuno,
perché nessuno mi ha mai amato.


Attendeva fuori del locale, seduto sul marciapiede, le mani che gli reggevano la testa che sentiva tremendamente pesante.

Una falce di luna si stagliava in cielo, illuminando la sua pelle eterea.

La mente di Crystal vagava, i pensieri concentrati prevalentemente sull'incontro avvenuto il giorno prima con la sua Regina, il profumo del sangue di Sivade che gli giunse chiaramente a portata...com'era successo poche ore fa.

«Attendevo con impazienza il tuo ritorno, Mia Ombra...» sussurrò la voce sottile della Regina, il viso sorridente nonostante la sua maschera d'imperscrutabilità.

Un ennesimo inchino, l'espressione del volto seria e umile, Tom alle sue spalle, inginocchiato davanti al trono in cui ella sedeva, le braccia posate ai braccioli in velluto nero.
«Abbiamo di cui parlare...» continuò lei, accarezzando quel tessuto pregiato, le labbra piegate in un sorriso malizioso.

«Ebbene...È così...» ribadì Crystal, gli occhi rivolti al pavimento cupo tanto quanto le mura.
«Hai catturato l'attenzione di ciò che ti chiesi tempo addietro?».
«Non ne ho idea...» rispose sinceramente il vampiro, portandosi una mano ai capelli, gli occhi che seguivano delle linee scarlatte tracciate, sistematicamente, a terra.

«Eppure sei la Mia Creatura più affascinante...» commentò ella, arricciandosi una lunga ciocca di capelli corvini attorno all'indice.

« Forse il Signorino preferirebbe la presenza di una donna...Non di un uomo...» azzardò Tom evitando, scrupolosamente, lo sguardo ilare della Regina che scoppiò a ridere, senza freni
«Forse...» sussurrò lei.

I pensieri di Crystal vennero di colpo interrotti, quando la porta del ristorante venne lentamente aperta, lasciando che la piccola San scappasse da quel luogo. Dietro di lei, Sivade teneva aperta la porta con un braccio, la mano destra posata a quel legno grezzo «Grazie per aver pagato, Tomino!» disse allegramente il giovane mago.

Goito gli passò accanto, uscendo a sua volta con passo tranquillo, fissando per un istante Crystal. Ma il suo sguardo vagò immediatamente altrove e, in un attimo, la ragazza svanì nel nulla. Senza il minimo accenno di saluto.

Tom spintonò appena Crystal, come a volerlo scuotere, riportandolo alla realtà. Il vampiro sospirò, rimettendosi in piedi lentamente, come a rallentatore, voltandosi a guardare tutti i presenti con occhi persi.

Si stava avvicinando a loro solo perché la Regina gliel'aveva ordinato?

Rise amaramente. Con un leggero frullar d'ali, comparve un corvo su una delle alte feritoie del salone. La tensione della stanza sembrò aumentare, facendo cadere un silenzio tombale. Se avesse avuto la possibilità di farlo, probabilmente quel corvo avrebbe riso volentieri. Con i suoi piccoli occhi neri come la pece, sembrò studiare lo spazio in tutta la sua grandezza, soffermando lievemente lo sguardo sulla donna seduta sullo scranno.

Portava un vestito completamente nero, dal corpetto plissettato, legato sotto le spalle da una fascia arricciata che chiudeva poco sopra al seno di lei con un fiocco di raso. La gonna, legata al bustino, cadeva libera fino alle ginocchia, per poi richiamare il motivo a pieghe sovrastante. Le gambe, accavallate con grazia, lasciavano trasparire la sottogonna di seta fino al primo scalino sotto il trono a volute.

L'animale voltò leggermente la testa verso l'esterno, emettendo un gracchiare eloquente, almeno per colei che sapeva: era un chiaro messaggio di scherno, vago e imperscrutabile per gli altri presenti nella sala.

Un istante dopo, Sivade aprì le ali, andando a posarsi sulla spalla destra di Crystal, stando attento a non graffiargli la giacca, lo sguardo ammiccante rivolto alla dama in nero.

«Qual essere geloso approdò sull'esile spalla della Mia Ombra...» esordì la Regina, accarezzandosi lievemente il decolté, un sorriso dipinto sulle labbra rosee.

Crystal alzò un sopracciglio osservando, con la coda dell'occhio, il corvo posato sulla sua spalla.

«Credo tu stia svolgendo a tuo dovere il compito da me affidato» concluse allora, passando a guardare con sguardo altezzoso le proprie unghie laccate di nero.

«Concordo...» borbottò Tom, lanciando occhiatacce all'animale appena apparso.

Il corvo chinò leggermente la testolina piumata verso il rasta, schioccando leggermente il becco. Per quanto Tom fosse convinto che vi era una remota possibilità che Crystal lo abbandonasse per un maghetto come tanti non sapeva che, molto spesso, Sivade nascondeva molte cose.

«Purtroppo dovremmo rimandare il nostro appuntamento galante ad un altro giorno, Mia dolce Creatura» sussurrò la regina, soave.

«Mi dispiace per tale contrattempo...» rispose allora il vampiro, portando una mano dietro la schiena, l'altra davanti al petto, esibendosi in un profondo inchino.

Lei sorrise, allungando una mano verso di lui in un'implicita richiesta di un baciamano. Il corvo incrociò leggermente le ali, per poi precedere il moro con una rapida beccata al dorso della donna, gli occhi fissi a quelli di lei.

Il viso della dama divenne una smorfia di dolore, prima di ricomporsi con innata nonchalanche, attendendo il bacio di Crystal che sussultò, obbedendo subito a ciò che gli era stato richiesto.

Così era terminato l'incontro con la Regina degli Hades, lo sguardo lascivo di lei ancora impresso nella sua mente.

Crystal scosse violentemente il capo, cercando di cancellare quel ricordo dalla sua testa, gli occhi che tornarono a guardare Sivade, corrucciati
«Cosa sei venuto a fare nel nostro impero?» domandò, una stretta allo stomaco.

Il giovane mago sorrise lievemente, posandosi al lampione posto di fronte al ristorante: « Non ero sicuro che tu tornassi, così...» si voltò a guardarlo «Sono venuto a prenderti.»

«Non sarei tornato così presto, se non fosse stato per la tua teatrale apparsa» rispose lui, gli occhi sottili «sei stato fortunato che la Regina fosse così di buon umore...».
«Già, che peccato...» intervenne Tom, le braccia incrociate.
« Eh, la gelosia fa fare cose strane...causa ritenzione idrica e acidità di stomaco...» il mago chiamò San con un cenno, aspettando che gli si affiancasse «Ma soprattutto...Confonde, irrita, sconquassa il nostro cuore come un vascello in preda d'una tempesta...».

Crystal alzò una mano per bloccarlo, scuotendo il capo: « Semplicemente, divide» spostò lo sguardo su Tom, severo.

Sivade sorrise, portandosi San sulla schiena: « Mi dispiace. » disse, portando lo sguardo al cielo stellato, perso nelle sue riflessioni.

Il vampiro sospirò, portandosi le mani nelle tasche dei jeans, lanciando un ultima occhiata a ciò che si lasciava alle spalle: «spero vi siate divertiti», sorrise prima di avviarsi nuovamente al tempio, deciso ad incontrare una sua vecchia conoscenza.

«Torniamo...».
Sivade gli lanciò una leggera occhiata, per niente allettato da una simile prospettiva: « Noi resteremo in un ostello, non credo sia il caso di recar ulteriore disturbo al tuo amico. Goito sembra non voler tornarci, per di più...» corrucciò la fronte, non riuscendo a riordinare i suoi pensieri «Diceva che il bonzo era da evitare».

«Come vuoi, io sono esausto» alzò una mano, in segno di saluto, allontanandosi con passo malfermo, seguito da Tom...Pronto a sostenerlo.

«E ho fame...» sussurrò a sé stesso, portandosi una mano ad asciugare il sudore freddo che gli imperlava la fronte.

Sivade lo guardò allontanarsi, San che si era già addormentata, la testolina posata ad una sua spalla.

Una volta che Crystal sparì dalla sua vista, il mago scosse il capo, dirigendosi verso un edificio poco distante, la locanda del paese. Aveva una facciata usurata dal tempo, con il calcestruzzo che lasciava intravedere alcuni mattoni d'argilla rossa. La porta d'entrata era a doppie ante, in ebano bucherellato dai tarli; le due maniglie erano in ottone ossidato, ultima tacita testimonianza dell'età longeva della casupola.

Il giovane mago si fece forza e bussò con le nocche, lo sguardo basso al tappeto che annunciava un benvenuto poco convincente. Scosse il capo, la porta che si apriva lentamente con un cigolio.

« Ha chiamato.» annunciò Goito facendo capolino da dietro la porta, una mano posata ad un'anta.

Lui la guardò per un attimo, poi sospirò: « Dov'è l'entrata? » chiese con voce spenta, cercando di non tradire la sua contrarietà.

Lei gli fece cenno di seguirlo e s'incamminarono insieme lungo le scale che portavano ai piani superiori. La luce soffusa del luogo sembrava renderlo etereo, mentre i vecchi seduti davanti al fuoco fissavano le fiamme nel camino come fossero l'unica via di salvezza dalla miseria della vita.

Sivade non poté fare a meno di scuotere di nuovo il capo, cercando di distogliere l'attenzione dal degrado che la guerra aveva portato in tutti i paesi. Non sopportava nemmeno l'ipotesi che la regina degli Hades avesse goduto di un simile disastro. Se solo avesse avuto un po' più di potere, un po' più di coraggio, lui avrebbe cercato di convincere il re di Amestris ad attuare delle misure diplomatiche; ad organizzare dei centri d'aiuto per chi aveva perso tutto a causa dell'egoismo dei potenti. Avrebbe voluto essere accettato a corte come principe, quantomeno. Ma era ben conscio che il fratello, pur volendo, non poteva andare contro l'emendamento rilasciato dal loro padre, il precedente re.

Poi, d'un tratto, una mano gli sfiorò il viso, gentile e calda: «Sivade, credimi...sarai libero» gli sussurrò Goito, lo sguardo mesto.

Lui sollevò il viso, guardandola dritto negli occhi: « Non darmi false illusioni...Avrò anche capito come liberarmi da tutto questo, ma lui è stato mandato da me appositamente. Non mi voglio legare al cagnolino di quella donna. » decretò con tono inflessibile.
« Non mentire, con me non attacca.» sibilò severa la rossa.

Il ragazzo distolse lo sguardo, un'espressione sofferente nel viso: «Non dire niente ad Ixal. Non deve toccarlo. Non posso permetterlo.» disse frammentario, la voce rotta dall'emozione. Dalla sofferenza mista alla rabbia.

Per quanto cercasse di limitarsi, sapeva di aver già sbagliato.
La verità era dura da accettare.

Aprì la porta che Goito gli indicò, entrando nel portale che li condusse a casa della sua maestra. Vennero avvolti da una mano nera come il petrolio e risucchiati dentro, senza possibilità di opporsi.

Sivade sentì San sussultare sulle sue spalle e svegliarsi, inconsapevole di cosa stesse succedendo. Lui le accarezzò il capo, mentre davanti a loro appariva un cancello di ferro battuto.

L'edificio retrostante a questo era di stile moderno, con vaghi ricordi d'elementi stilistici di epoche precedenti: era a tre piani, con pareti dipinte di un bianco incupitosi negli anni, che le rendeva grigie negli angoli e sotto le balconate delle finestre a doppio battente. Il corrimano che portava all'uscio, così come le grondaie poste sul tetto, erano di un bel colore ramato, rievocato anche nella maniglia della porta d'entrata.

Guardando le volute del cancello, così simili a rovi intenti ad avvolgersi l'uno attorno all'altro, Sivade non riuscì a fare a meno di deglutire. Il giardino, al contrario d'ogni altra cosa in quel luogo, era un'esplosione di colori: geometricamente organizzato, aveva cespugli di rose intagliate in forme fantasiose, ispirate dalla tradizione mitologica di Greenwald. Sparse un po' ovunque, c'erano statue di gusto classico, fontanelle scroscianti, aiuole dai colori sgargianti. Il tutto traspariva una maniacalità mal nascosta, se si considerava che quella casa era posta nel bel mezzo di una foresta.

Con un sospiro, Goito andò a spingere il cancello d'entrata, che si aprì con un consueto cigolio inquietante. Insieme, attraversarono il viale acciottolato che portava all'entrata e bussarono due volte. Pochi secondi dopo, la porta si aprì, lasciando intravedere a Sivade una coda nera che si defilava dietro la prima porta aperta. Il salone era grande e circolare, dipinto di un bianco molto più luminoso che quello esterno, illuminato da un candelabro posto al centro del soffitto che aveva mille luci blu accese. Fiamme d'acqua, evocabili solo dai maghi più esperti, ma che il ragazzo riusciva, modestamente, a controllare a suo piacimento. C'erano ben sette porte che conducevano in altrettante stanze del piano terra, mentre per arrivare agli altri piani bastava servirsi dell'enorme scalinata in alabastro posta in posizione rispettivamente opposta alla porta da dov'erano entrati.

« Sivade! Sei venuto, dunque!»
Il ragazzo sollevò il capo, posando a terra San con un gesto gentile, indicandole il divano in pelle nera: « Si, maestra, sono venuto come da te richiesto; a quest'ora tarda, solamente per accontentare il tuo volere.» le fece notare, chiudendo la porta dietro a Goito con gesto calcolato.

La donna gli sorrise, facendo smuovere appena i suoi capelli castani, ricchi di ciocche argentate: « Avevi forse qualcosa di meglio da fare?»

Voltando il capo verso il vetro di una finestra, Sivade si limitò a non rispondere, perso interamente nei suoi pensieri.

La donna, irritata, sembrò accorgersene, e gli si avvicinò con passo risoluto, gli occhi fissi nell'espressione smarrita che lui lasciava trasparire con fin troppa facilità: « Si può sapere che gente frequenti ultimamente? Mi sembri...» piegò leggermente il viso in una smorfia «Rimbambito. »

Il giovane voltò lo sguardo verso di lei, concentrandosi su quel viso che ben conosceva: « Scusami, pensavo a come liberarmi di te in fretta. » disse, guardandola di traverso.

Ixal rabbrividì da capo a piedi, voltandosi per andare a sedersi su una delle poltrone di pelle, le braccia posate ai braccioli: « Il Re non sarebbe felice di un tuo mancato rapporto. Sei sparito dal campo di battaglia tre ore dopo la fine dello scontro, quand'eri sotto lo sguardo vigile di uomini addestrati a difendere te e la nostra terra. Re Damian di Greenwald non ha preso bene la tua scomparsa. Il tuo esercito di mercenari ha finito per la prima volta una battaglia in parità...Ciò non è tollerabile, tu dovresti saperlo meglio di me. E dopo aver fatto tutto questo, tu appari, dopo una settimana d'assenza, nella città di Glaciern, ridandomi solo a quel punto la possibilità di avvicinarti. Capisco le corti reali...Ma negare a me di parlarti...Ho dovuto sopportare io le accuse a te rivolte! »

Lui fermò quello sproloquio alzando una mano verso la donna: « Sono certo che non hai parlato tu con loro. L'ho visto prima. » la seccò, gli occhi che saettavano verso una determinata porta dell'atrio. « Certe tue bugie non sono migliori dei miei atti per te così spregiudicati...».

La padrona di casa non riuscì a trattenere un ringhio: « Non ribellarti alla tua maestra, piccolo mago. » l'ammonì.

« Perché no? Cosa mi faresti altrimenti?»

Quella sorrise, un sorriso che lasciava trasparire una malvagità innata: «Potrei uccidere i monaci di quel tempio, quello dove tu stavi con quei due...Sono di una giurisdizione che non ha nulla a che fare con i Regni Alleati.»

considerò, ammirando compiaciuta il nervosismo crescere nell'espressione di Sivade. Goito stessa non riuscì a trattenere un gemito soffocato, gli occhi fissi sul suo padrone. Ixal era perfettamente in grado di compiere un atto genere. La cosa peggiore era come questa avrebbe provocato tal evento. E tutti i presenti, eccezion fatta per San, sapevano in che modo: si sarebbe servita di Sivade, trasformandolo in una sua marionetta.

Il mago incontrò lo sguardo della rossa e fu chiaro ad entrambi cosa stava succedendo: negli occhi di Sivade iniziava a crescere un buio abissale, capace di assorbire e annullare ogni cosa sulla quale posava lo sguardo.

Era la manifestazione dei poteri latenti del giovane, l'origine del caos da lui racchiuso nel profondo dell'animo.

« Perdonami, maestra.» riuscì a dire Sivade, piegandosi in un lieve inchino.

La donna sembrò compiaciuta: « Vedo che hai ricordato le buone maniere. Per punizione, vediamo, dovrai condurre da me chi ti protegge.» Inspirò l'aria, estasiata «Ha un profumo...peccaminoso...».

Sivade si limitò ad annuire: « Lascia che io vada a prenderlo per te, mia signora...» disse accondiscendente, i pugni stretti ai lati delle gambe.

Goito voltò lo sguardo fuori della finestra, trattenendo un brivido.

Fuori il tempo stava mutando.

Le nuvole giungevano da nord, nere e cariche di fulmini che il ragazzo avrebbe voluto scagliare contro la sua insegnante.

Poi, un volo d'ali nere e Sivade sparì dalla loro vista.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top