Capitolo 10

Osservandolo negli occhi, Crystal si sentì completamente confuso e spaventato aveva gli occhi più neri del petrolio, dilaniati dal dolore che quella richiesta gli aveva inflitto.

Per la prima volta, aveva percepito l’intera sofferenza che il mago nascondeva.

Un tormento che avrebbe voluto assopire, offrendogli l’opportunità di volare via, lontano, senza costrizioni che lo incatenassero a luoghi non suoi.

Rafforzò la presa sulla mano che ancora stringeva tra le dita, abbassando lentamente lo sguardo, non sapendo bene come affrontare il discorso.

«Non posso…» si limitò a dire, alzando gli occhi al soffitto, attanagliato da un dolore che lo colpì al cuore, soffocandolo.

« Ti sarebbe estremamente facile, maledizione!» esclamò Sivade, cercando lo sguardo del vampiro, incapace di guardare altro se non il viso di lui.

Il moro scosse il capo, in un gesto alquanto avvilito, un’ondata di sfiducia in sé stesso che lo avvolse con violenza. In fin dei conti nemmeno Tom era a conoscenza dei sentimenti che lo portavano con forza a desiderare la vita, e tanto meno Sivade. Allontanò la mano da quella del ragazzo di fronte a lui, portandosela al petto, stringendo la camicia con forza, macchiandola di rosso...Sangue che ancora sporcava le sue mani.

« Non intendo privarti di una cosa tanto importante…» dichiarò socchiudendo gli occhi, esausto. E non intendeva assolutamente perderlo, pensò portando la mano ai capelli…
Il giovane davanti a lui gemette leggermente, lasciandosi cadere pesantemente contro la spalla che il vampiro gli rivolgeva. Mai era stato più sincero nel mostrare la disperazione che quella condanna gli aveva provocato. Chiuse gli occhi, deglutendo a fatica, un nodo che andava a crearsi in gola.
«Quindi…Non ho via d’uscita.» rise forzatamente. No era felice, inutile fingere. Non poteva togliersi la sua maschera se non lì, in quella situazione tra il sogno e la realtà, ancora per qualche breve istante di malinconica ammissione.

Il giovane dalla pelle avorio lo guardò, abbandonato contro di lui, debole come poche volte l’aveva visto. Si sentì morire per la seconda volta nella sua vita.

Spostò gli occhi a fissare il muro, l’espressione vuota e inerme:

«Non ti rendi conto di ciò che mi stai chiedendo…» sussurrò a malapena, svuotato da tutte le sensazioni che si rincorrevano dentro di lui, come un treno in corsa.

Sivade sollevò appena lo sguardo, quel tanto necessario per capire dove stesse guardando il vampiro.
Nell’espressione che vide, il mago sentì di aver fatto qualcosa d’incredibilmente sbagliato.

Aveva coinvolto e ferito Crystal, senza badare ai suoi sentimenti.

Si diede dell’idiota, riabbassando rapidamente la testa sul ragazzo: « Perché?» chiese implorante, prendendogli una mano tra le sue, calde a contatto con quelle membra prive di vita reale: « Perché mi fai sentire importante…Più di qualsiasi altra persona?» .

Il moro non accennò ad alcun movimento, né del corpo né dello sguardo, perso nel proprio dolore che gli rammentava ricordi lontani:

« E perché tu non sei minimamente consapevole del fatto che tutto ciò che fai o dici sconvolge ciò che sono e sono stato finora?» ribatté senza più sforzarsi di sembrare una creatura vivente, un corpo che altro non era se non un involucro privo d’anima.

L’altro sorrise appena, il volto piegato in un’espressione del tutto priva di sicurezza. Quelle parole, pronunciate con voce appena udibile, avevano sconvolto il suo animo, portando con violenza in superficie sentimenti che nascondeva a sé stesso da tempo immemore. Scosse il capo, strofinando i capelli contro la giacca del vampiro, in un chiaro segno di disperazione «Non mi scuserò per questo…» ammise.

Non l’avrebbe mai fatto, dopo aver sentito quelle parole, perché in lui sembrava essere nato qualcosa che non comprendeva ancor bene.

Crystal abbassò gli occhi su di lui, respirando a fondo «Sarà un bene.» terminò, scansandosi dal suo tocco con accorta gentilezza, rimettendosi in piedi come un automa. « Ora devo andare » annunciò solamente, leccandosi la mano ferita con sguardo languido « attendono rapporto…» abbozzò un sorriso asciutto avvicinandosi alla porta, bloccandosi poco prima della soglia.

Si voltò a guardarlo per un breve istante.

Trovò a guardarlo un ragazzo del tutto diverso nell’atteggiamento, con un sorriso leggero stampato sul viso ancora bagnato dalle lacrime.

« Se non torni giuro che ti vengo a prendere e t’impalo personalmente, capito?»

« Non aspetto altro » rispose il vampiro, accompagnato da una risata aspra mentre si chiudeva la porta alle spalle.
L’espressione, ancora una volta, sofferente.

In quei momenti, dall’altra parte del tempio, Goito si trovava ad affrontare la verità.
Ren, un monaco come tanti, all’apparenza, aveva capito cosa lei era in realtà: un essere senza nascita, senza origini, rinchiuso in un corpo dall'aspetto umano.

Alzò lievemente lo sguardo al soffitto, per poi chiudere gli occhi, assaporando parte del dolore che sentiva provenire dal suo padrone.
«Sono l’emanazione del Sangue…Si…» ammise infine, il tono della voce amaro.

Ren chinò leggermente il capo, congiungendo le mani in un atteggiamento che esprimeva tutta la sua palese attenzione.

Era ben chiaro il legame che univa quelle tre creature, due delle quali sedevano al suo stesso tavolo.
Un legame di simbiosi e interdipendenza che difficilmente altri avrebbero potuto cogliere.

Posò i gomiti al tavolo, le maniche della tunica bianca che si arrotolarono su sé stesse, appoggiando le proprie labbra su quelle mani intrecciate.

Una cosa non comprendeva.

La totale diversità fisica che distingueva le due compagne dal loro padrone, Sivade « Ammetto che siete…Molto particolari…» esordì lanciando un’occhiata alla bambina vestita di un semplice abito turchese. Gli ricordò suo fratello che, con ogni probabilità, era rinchiuso nella sua cameretta a leggere libri trattanti alcuni fra i più importanti punti energetici di cui gli aveva accennato.

« Vorresti andare a cercare il mio fratellino? » chiese sorridente, rivolto alla bambina « Si chiama Soo, credo si sia rinchiuso in camera a leggere» spiegò con voce satura d’energia positiva.

San si rizzò sulla sedia, gli occhi piacevolmente stupiti: « C’è un bambino come me qui?» chiese, un sorriso genuino sulle labbra, del tutto ignara dell’argomento. Lei credeva solo di essere la sorellina adorata di suo fratello Sivade. Nient’altro.

Goito,sospirando appena, le batté una mano sulla spalla: « Vai e scoprilo, no? » l’incitò, guardandolo con gratitudine.

La bimba rise allegra, correndo via dalla stanza, senza pensare che non avrebbe minimamente dovuto sapere dov’era la stanza di Soo. Eppure, Goito era certa che l’avrebbe raggiunta senza commettere alcun errore.

Ren cercò con lo sguardo Tom, ma non lo trovò.

Probabilmente se n’era andato assieme a Crystal, ancora una volta.

Sorrise, concentrandosi nuovamente sulla ragazza davanti a lui « Il tè è di tuo gradimento? » chiese cortese, volendo spezzare parte della tensione che aleggiava nella stanza.

La ragazza annuì leggermente: « Ti sono grata per averla…Lasciata fuori. Sivade non avrebbe sopportato l’idea che perdesse la sua innocenza. Anche se l’ha portata con sé in guerra, cosa che non è molto coerente… Non si rende conto che una bimba non dovrebbe essere esposta a pericoli di morte.». Fece spallucce per un attimo « Ma il mio padrone è così, non pensa alla differenza tra i sessi, è un concetto troppo complicato per lui.»

Il bonzo corrucciò leggermente lo sguardo, rimettendo le tazze vuote nel vassoio al centro del tavolo « Eppure dovrebbe essere una cosa insita nella natura umana» commentò abbandonando le braccia sul tavolo, cercando di comprendere l’animo contorto di quel ragazzo che aveva visto di striscio.

Goito rise leggermente « Non per…» si bloccò, esitante per un attimo.
Si sentiva d’improvviso indecisa.
Si guardò intorno, con calma calcolata.

Guardò il volto del monaco con attenzione, misurandone l’espressione, per poi sorridere: «Non per lei…» affermò, un sorriso sicuro sul volto.

Ren rifletté per un breve istante su ciò che la Signorina le aveva appena rivelato.

«Lei?» domandò allora, per nulla convinto di aver compreso di chi si stesse parlando. «Intende…Il signorino?».

La rossa celò a stento un sorrisetto: « Più o meno, sì. Sto parlando di Sivade, la principessa di Amestris.» precisò con calma, portando le mani conserte al petto, in attesa della reazione di quel giovane.

Il bonzo si chinò leggermente in avanti, l’espressione impegnata nell’intento di assimilare tutte quelle notizie: « Una principessa…» rifletté, osservando le proprie mani «Per quali ragioni ora ha assunto quell’aspetto?» volle sapere, seriamente interessato, tornando a guardare la ragazza negli occhi.

Goito lo guardò, spostando lentamente una gamba sopra l’altra, incrociandole. Ben in pochi sapevano della vera identità del Comandante dell’esercito di Amestris. Una simile verità avrebbe creato scompiglio in ogni angolo del regno, senza escludere la possibile reazione dei paesi alleati. Purtroppo, e questo lei ben lo sapeva, la politica estera era spesso basata sulle apparenze, su come uno stato decideva di mostrarsi agli altri.

Si escludeva spesso a priori che un re mentisse, ma di quei tempi la sincerità era ben rara in quegli ambienti.

Se v’era mai stata prima, naturalmente.
Con un sospiro, la giovane emanazione iniziò il suo racconto…

« I suoi genitori…Il re e la regina di Amestris, Elmer e Tunsdra, preferivano un maschietto. Secondo la mentalità del tempo, almeno da quanto mi è stato detto, era una cosa più che normale. La guerra infuriava ovunque, non difficilmente gli uomini cadevano in battaglia, lasciando le casate senza eredi o senza capofamiglia. Si trattava di una situazione piuttosto delicata, specie per il nostro regno. Re Elmer non ha mai amato le donne. Dopo la nascita di Sivade, anche l’unica donna che accettava, sua moglie perse completamente valore ai suoi occhi. La regina Tunsdra gli aveva dato una bambina… Spesso si narra delle cattiverie dette dal re alla sua neonata figlia, ancora sorda alla lingua degli adulti, per sua fortuna.

“Sarebbe stato meglio un figlio maschio storpio.” disse così re Elmer. Era un cinico arrivista. Il primogenito non rispetta i canoni richiesti dall’etichetta reale, in più ora aveva una figlia, una bambinetta sdolcinata. Un peso inutile. Mano a mano che la vedeva crescere, scopriva quanto lei fosse strana: una bimba dalla pelle bronzea, lucida,con quei poteri che spesso l’avvolgevano e sembravano inghiottire ogni cosa. Poi era venuta una profezia.

Una sibilla alle prime armi un giorno venne presentata alla famiglia reale. Annunciò la predizione non appena vide la neonata nella culla reale.

Quella predizione, nefasta alle orecchie del re, fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Re Elmer non poteva accettare un futuro regno di pace sotto il governo di sua figlia...Quella bambina con poteri da commediante non poteva diventare una regina.

Ma la cosa che più lo spinse ad agire non fu il timore di vedere sul trono qualcuno esterno alla casata di Amestris. Lui agì per paura.
Il potere che reca dentro di sé Sivade è forte a tal punto da poter spazzar via intere città. Su questo tutti i maghi di corte furono e sono d’accordo.

Questo perché, un giorno la principessa, ancora in fasce, udì che Amestris era sotto assedio.
Pur s’era impossibile che avesse capito la situazione, la bimba subito prese a piangere disperata, e accadde qualcosa di mai visto prima: Amestris venne protetta da un mare d’acqua, sprofondando negli abissi, protetta da un’enorme cupola magica.

Indistruttibile e impenetrabile.

Dopo tale evento, le cose precipitarono.

Anche se Amestris risalì, al centro esatto di quell’enorme lago salato, illesa dalla guerra, il re aveva timore del potere racchiuso in sua figlia.

Anche l’erede al trono aveva dei poteri, ma erano molto più controllati di quelli della secondogenita.

A Sivade venne imposto un anatema, su cui il padre riversò tutta la sua rabbia, la sua frustrazione, la sua profonda delusione.

Quell’uomo rifiutò sua figlia come erede e come componente della famiglia reale...Piuttosto, che sua figlia divenisse uomo. Convinto com’era che solo così avrebbe impedito al destino di compiersi…

Da quel momento, la principessa Sivade cessò di esistere.
Così decise quell’uomo. Per sé stesso e per il resto del mondo.»

La ragazza dai capelli rossi sospirò, scuotendo leggermente il capo: « Non era stato facile per nessuno comprendere il cinismo di re Elmer, guardare gli occhi dolci di Sivade rinchiusi in un corpo di fanciullo. Quando Ixal, la maestra del mio padrone, era comparsa a corte promettendo di dominare i poteri del principino, nessuno si era opposto. Avevano condotto quella megera in camera di Sivade,obbligandolo ad allontanarsi dal castello reale per sempre.

Dopo l’apprendistato di mago, il ragazzo era stato nominato generale dal padre.

Era diventato un ragazzo forte e sveglio, capace in battaglia come pochi.

Alla morte del precedente comandante supremo, la regina madre era riuscita a convincere il re a dare a Sivade quella carica.

Ma la donna non aveva capito che il giovane ragazzo, così gentile e garbato con lei era…Sua figlia.

Nessuno più sapeva chi fosse Sivade in realtà.

Per questo re Elmer accettò, incapace riconoscere in quel mago talentuoso la figlia rinnegata.

Elmer e Tunsdra non avevano che un figlio, il loro unico figlio che avrebbe ereditato il trono alla morte del padre.

Avevano completamente rimosso l’esistenza della loro figlia…»

Goito sospirò, portando una mano al tavolo, serrandola a pugno mentre la fissava, come per distruggere qualcosa che aveva nascosto nel palmo.

Ren la osservò a lungo, senza commentare, pensando alla difficile situazione in cui tutti loro si trovavano.

Dalla principessa Sivade, a quelle due emanazioni.
Da Crystal, che era certo non fosse a conoscenza di tutto ciò, a tutti sobborghi del paese di Amestris. Corte compresa.

« Tutto ciò richiede una grande forza d’animo…» disse soltanto, rimettendosi in piedi, sparecchiando la tavola « Vorrei tanto potervi essere d’aiuto, in maniera concreta...Ma tutto ciò che posso fare è solo vegliare su di voi. Consigliandovi dove possibile ». Mise le tazze nel lavello.

La rossa sorrise, distogliendo la mente dalle torbide acque del passato.

Raccontare l’aveva ricolmata di dolore, e al contempo l’aveva sollevata.

«La maledizione ha un’unica uscita…» disse, in un sospiro. «Forse ben presto si spezzerà perchè Sivade ha incontrato la sua soluzione.»

Si alzò a sua volta, andando a prendere una pezza per pulire il tavolo « E spero che questa sia pronta ad agire…».

Ren la guardò negli occhi, ancora perso in quel racconto dai toni tristi e confusi.

Comprese con facilità a cosa quell’emanazione si stesse riferendo.

O meglio, a chi.

« Lo è » disse sorridente, facendo scorrere l’acqua nel lavello « Credimi ».

I gemelli alzarono lo sguardo su una delle massime alture della catena delle Erlenghir, un luogo solitario e selvoso, ospite di creature notturne.

Imperioso come sempre si stagliava il castello della Regina, avvolto da un’aura tanto maestosa quanto sconvolgente.

In lontananza un cielo che rimembrava un eterno crepuscolo, un infinito attimo di resurrezione appartenente solo all’impero degli Hades.

La fortezza presentava l’aspetto di un’opera militare, per alcuni particolari strutturali, come lo spessore delle mura, le torri angolari e le piccole finestre.

Mancava però di fossati e ponte levatoio, mentre Crystal era ben conscio che di sotterranei ne aveva a bizzeffe.

Le mura rilucevano di una luce nera, dimora degna di un alchimista, mentre l’intera facciata era un’insieme di pietre, incastonate una sopra l’altra, rendendo tutto l’edificio molto rustico e semplice.

Al contrario, la presenza di tutti quei strani simboli che sapeva di essere alchemici, restituivano a quel castello una sinistra apparenza mistica.

Ma Crystal aveva imparato a conviverci.

Istintivamente, portò una mano dietro alla nuca, sfiorando quel tatuaggio impostogli secoli prima.

Un Ouroboros: un serpente nell’atto di mordersi la coda.

Fece un passo in avanti facendo aprire il portone davanti a lui, raffigurante la medesima cosa.

Sospirò, notando che nulla era cambiato.

La sontuosità delle sale, gli addetti, la presenza di dozzine di vittime che sarebbero state sacrificate per la cena.

Fece un altro passo entrando, così, nell’atrio; il fratello al seguito.

Il portone si richiuse alle loro spalle, facendo voltare tutti i presenti, la sagoma di una persona che si materializzò davanti a loro accennando un leggero inchino:

«Vi stavamo attendendo…Messere…».

«Lieto di sentirvelo dire» rispose prontamente il vampiro, inchinandosi a sua volta, lo sbattere violento di una porta poco lontana che preannunciava l’impazienza della Regina.

«E’ ora di andare» concluse quell’oscuro pozzo di tenebra, conducendoli alla Sala del Trono, un soffio di vento alle loro spalle.

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