𝑇𝑒𝑎𝑟𝑠
-Finirà, e tutto ritornerà come prima. Tornerò da te, da voi. Lo prometto.- le baciò la nuca e si voltò per salire sul treno.
***
Erano passati 2 anni da quel momento,
Annabeth aveva ricevuto solo una misera lettera durante quel supplizio. E non era una delle più rassicuranti, diceva:
Signora Jackson, a seguito di un attacco tedesco avvenuto il 23/09/1944, suo marito; il signor Perseus Jackson, è attualmente disperso in mare. Non si ha traccia di lui dal 23/9 dell'anno in corso. Attualmente...
Per le lacrime che le offuscavamo la vista, non era riuscita a leggere la fine della lettera. E in quel baratro di disperazione, era nata una stella nell'oscurità.
Aaron, aveva chiamato così suo figlio. Era un Percy in miniatura: i suoi stessi occhi verdi, vivaci e curiosi, i suoi capelli neri come la pece e lo stesso sorriso da combina guai! Una benedizione, un vero e proprio miracolo. Non sapeva come contattare Percy e stava male per questo. Voleva solo averlo vicino, stringerlo e baciarlo. Era distrutta, emotivamente parlando; Sally, Piper, Reyna, Hazel e Calipso l'aiutavano molto in questo, ma constatarono molto presto che tutti i loro sforzi erano vani.
Le giornate passavano lente, scandite dalle ore di lavoro in biblioteca e suo figlio a casa; vuota, per la mancanza di un componete in quella famiglia. Parlava spesso al piccolo Aaron di suo padre, lo descriveva come "l'intrepido pirata" che viaggiava per tutto il mondo insieme alla sua ciurma per salvare persone in difficoltà. E non raccontò mai della guerra, che suo padre era lì e non sapeva se era vivo o morto; disperso, per la precisione. Per lui erano le storie della sera, ammirava quel piccolo pirata che viaggiava per mare, ma non sapeva chi era. Ascoltava la storielle, rapito dalle parole della mamma. Annabeth lo sapeva eccome, invece.
La sera stringeva il suo cuscino in cerca di conforto, piangeva sommessamente per non farsi sentire dal piccolo, però qualche singhiozzo le sfuggiva sempre.
Aveva molti tratti in comune con Percy, non solo somatici, ma anche caratterialmente non scherzava: un piccolo malandrino, non stava fermo un attimo. Forse non c'erano così tante alghe nel suo cervello! Era intelligente, curioso e molto attaccato alla mamma. Non stava mai in braccio a nessuno, tranne Annabeth.
***
Forse il momento preferito di entrambi era il tramonto. Il cielo si colora di rosa, azzurro, arancione e altre meravigliose sfumature. E insieme, sul terrazzo di casa, con il rumore delle onde a due passi da loro; l'atmosfera diventava magica. Annabeth si perdeva ad osservare le onde e il cielo, mentre il piccolo Aaron sonnecchiava tranquillamente sul suo ventre.
-Mamma?- chiese il bambino, innocentemente.
-Dimmi, tesoro- rispose.
-Cosa penci?- disse semplicemente. Annabeth sorrise, era così piccolo e parlava già così bene. Riusciva a completare frasi semplici, ma veramente sofisticate per un bambino di un anno e poco più. No, non aveva alghe nel cervello, almeno...non ancora!
-A come sono belle le nuvole.- esclamò, dando un bacetto sulla nuca al figlioletto.
Aaron non risponde, sorride e si accoccola ad Annabeth. È ancora troppo piccolo per capirlo, ma lui sa che sta pensando al suo papà. Finito il tempo in famiglia, ritornano in casa e cenano. Fortunatamente, quel giorno era sabato, quindi potevano concedersi il lusso di andare a dormire un po' più tardi. Annabeth chiuse gli occhi, ed immaginò Percy accanto a sé. Una stretta al cuore la colpì, e ricacciò indietro le lacrime.
-Mamma!- urlò improvvisamente Aaron.
-Aaron, che succede?- rispose.
-Piata!- urlò super eccitato Aaron, indicando la spiaggia.
-Amore, non c'è nessun pirata.- fece Annabeth.
-Piataaaaa!!!!- urlò ancora
Annabeth decise di rientrare, quel giorno avrebbero cenato più tardi.
Ma mentre scendeva in salotto, notò qualcosa sulla sabbia: una bottiglia di vetro. Quella era proprietà privata, non poteva mica raccogliere tutte le cianfrusaglie che la gente lasciava sulla sabbia, che credevano essere lato pubblico. Mise Aaron nel suo box, ed uscì a raccoglierla. Arrivò nella veranda ed inspirò l'aria di mare.
Prese la bottiglia dalla sabbia e vide un piccolo involucro di carta dentro di essa. Incuriosita, girò su se stessa per controllare la presenza di altre persone, poi l'aprì. La carta era sottile e un po' rovinata. Sul biglietto c'era scritto:
Le rose sono rosse,
Le viole sono blu,
Quando dormo sbavo...
Guarda laggiù!
-Ma cosa...-
-Signorina...-
Con il cuore che le batteva a mille, Annabeth alzò gli occhi e credette di svenire da un momento all' altro. Quella era la sua voce!
Gli occhi di Percy si persero nei suoi. Gli occhi di un soldato sfuggito alla guerra, gli occhi di un uomo sfuggito alla morte. Gli occhi di suo marito. *
-Salve signorina.- la sua voce era come una pugnalata dritta al cuore.
-Sto cercando una certa Annabeth Chase. Sapete...è mia moglie. L'ho lasciata due anni fa, vorrei rivederla e non lasciarla più. Voi per caso la conoscete?- Percy cercò di trattenere le lacrime, ma faceva fatica.
-No,- rispose la bionda, con la voce ridotta a un sussurro. -No. Conosco solo una Annabeth Jackson.- lui sorrise e una lacrima sfuggì al suo controllo.
-Non la vedo da tanto...voi dite che mi ha dimenticato?- disse con voce tremate dall'emozione.
-Non vi ha dimenticato neppure un istante.- rispose.
-Ditemi... quando non avete più nulla per cui combattere, più nulla per aggrapparvi alla vita...a cosa vi aggrappate?-
-All'amore- rispose con il cuore, non con la mente.
-Mia moglie, un tempo non credeva all'amore.- fece, scuotendo la testa, cercando di nascondere le lacrime.
-Ha cambiato idea.- rispose.
-Cosa le ha fatto cambiare idea?- chiese lui.
-Voi.- ripose- E voi, per cosa avete combattuto?-
-Per tornare da lei. Per favore, ditele che l'ufficiale Jackson è tornato per lei. La guerra è finita, ed io sono pronto ad amarla nella pace. Secondo voi accetterà?- chiese speranzoso.
-Lei...non aspetta altro.- rispose fra i singhiozzi.
Crollò in ginocchio, e con grandi falcate Percy le fu subito accanto. La circondò con le braccia, piangendo insieme a lei.
-Non scomparirai?- chiese Annabeth.
-No. No, amore mio.- ripose Percy, e la baciò.
Per quei minuti, che sembrarono secoli, Annabeth ritrovò la forza per sorridere.
-Vieni. Devo presentarti una persona.- e condusse Percy dentro casa. Aaron non si era mosso di un millimetro, con uno sguardo indagatore scrutò Percy da cima a fondo.
-E va bene,- esclamò Percy ridacchiando -avevi ragione tu, era un maschietto.-
Per la prima volta, Aaron si lasciò prendere e cullare da quell'estraneo, che altri non era se non il suo papà.
-Piata!- esclamò il piccolo.
-Pirata? Ehy, dici a nostro figlio che sono un fuori legge?!- ridacchiò.
-Tu cei il mio p-pa-papà.- rispose il piccolo. Gli occhi di Percy ed Annabeth si fecero lucidi. Baciò la testa del figlio e disse:
-Si, sono io. E non vi lascerò, mai più. Siamo una famiglia, adesso.-
*citazione modificata.
Angolo autrice.
Nel caso ve lo steste chiedendo: no, non smetterò di scrivere one shot sulla Percabeth tristi o sulla seconda guerra mondiale!
Ci tengo a precisare una cosa: l'idea l'ho presa da una scena di un libro, che si chiama "il tulipano che fiorì tra la neve (parte 2)" scritto da Susy Vizzo. Tutti i crediti vanno a lei, chiaramente, ed è una scrittrice bravissima! Io ho modificato i testi per adattarli alla storiella.
Quando ho riletto questa scena, ho pensato subito alla Percabeth e ho urlato testuali parole: DEVO SCRIVERE UNA ONE SHOT! DOV'È L'IPAD MALEDIZIONE! Dettagli insignificanti il fatto di averlo urlato alle 22 di sera...detto questo, se la storia vi è piaciuta vi invito a lasciare una stellina e un commento!
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