Piú che elementare.

Dottor John H. Watson P.O.V

~storia di mia invenzione~

-Watson! Watson!- urlò una voce ben conosciuta al mio orecchio.
-Per Giove! Mio caro Holmes! Sono le 4 di notte!- esclamai, più sorpreso che infastidito.
-Su su, so che non è molto mattiniero, ma se si alza non se ne pentirà, lo garantisco. Si muova, Watson!- e detto questo, scivolò fuori dalla mia camera, così com'era venuto.

Non era cosa inconsueta o rara, che il detective Sherlock Holmes mi svegliasse nel bel mezzo della notte per accompagnarlo in una nelle sue numerose avventure. Mi vestii di tutta fretta, e mi sbrigai subito. Nonostante ormai sia un ex militare in congedo, lasciare i vestiti già nella sedia per la mattina successiva al mio risveglio è un' abitudine che non riuscirò a dimenticare così facilmente.

La signora Hudson, la nostra governate, era anche lei in piedi, e allerta.
-Holmes! Che sta succedendo?- domandai.
-Oh, Watson, abbiamo il topo in trappola.-
-Di quale topo sta parlando?-
-Si ricorda quel vecchio assassino che uccideva povera gente per bene per semplici antipatie personali? Ecco, è lui, dobbiamo sbrigarci, se arriverà quell'incompetente di Lestrade manderà tutto a monte.- prese cappello e cappotto, e aprì la porta del nostro alloggio in comune di Baker Street. Guardai, mortificato per il comportamento rumoroso di Holmes, la signora Hudson, che tremava dalla testa ai piedi per il freddo.
-Signora Hudson, ci aspetti per colazione, si accenda anche il camino in salotto.- lei mi guardò con un sorriso e il classico cipiglio di una mamma severa.
-Lo farò, signore, oppure mi ammalerò di nuovo. Oramai, alla mia età non reggo più un raffreddore.- le sorrisi, successivamente chiusi la porta, e mi avviai dietro il mio amico, fra le strade nebbiose della grigia City.

-Holmes, per la misera, arresti il passo! Non riesco a starle dietro!- ansimai.
-Su coraggio, dovrebbe essere qui. Watson, ha una pistola?-
-Ce l'ho sempre nel cappotto, quindi sì Che vuole fare?-
-Vede quella casa vuota? è li che si nasconde il nostro assassino. Se mi fa la cortesia di passarmi la sua rivoltella, riuscirò a metterlo alle strette in attesa della polizia.- spiegò brevemente.

La mattinata si svolse con la cattura di uno dei più grandi assassini della storia di Londra. Rientrammo a Baker Street alle 9:30 del mattino.

Crollai sul divano del salotto, dopo quella notte di azione ero davvero stanchissimo. Holmes stava al suo banco da chimico, tutto concentrato.
D'improvviso, voltò il capo verso di me:
-Watson, non aveva qualcosa da fare oggi? A quest'ora?- domandò.
-Non che io ricordi.- risposi sinceramente.
-Ne è sicuro? Eppure ieri lei mi aveva parlato di un evento importante, ed era anche molto esaltato mentre lo raccontava.- aggrottò le lunghe sopracciglia, mentre mi squadrava con aria severa.
-Ma che va dicendo, Holmes? Non ho mai detto...- e d'un tratto, ricordai tutto della giornata prima. Il mio cuore si fece pesante come un macigno.
-L'appuntamento con Mary.- sussurrai, con un fil di voce. Alzai il busto dal divano e buttai la testa fra le mani.
-L'appuntamento con la signorina Morstan.- confermò il mio amico.
-Per Giove!- urlai, e mi fiondai fuori dall'appartamento, senza curami di cappotto, cappello o altro. Quasi volai per la velocità con cui stavo correndo. Due volte urtai due gentiluomini, e tre volte inciampai o non ci vidi più per colpa delle fitte alla mia gamba sinistra.

Sono passati anni dal mio congedo come medico militare, ma una gamba non guarisce mica da un giorno all'altro.

Oltrepassai strade a me conosciute, scorsi persino il volto del del detective Jones, quello della signora Cecil Forrester  e di un piccolo monello della banda di Baker Steer.
Arrivai, ansimante e con un dispiacere che mi premeva sul cuore, alla stazione centrale della City. Non scorsi Mary da nessuna parte, mi misi le mani ai capelli. Che sia già partita?
-Mio Dio. Mio Dio, no...- sussurrai fra me e me.
Cercai per tutta la stazione, quasi gridando il nome di Mary. Non c'era traccia di lei. Tutti i guardavano in modo strano, con disgusto alcuni, altri con compassione perché avevo l'aria di un pazzo uscito dal manicomio, ma poco m'importava, a me interessava solo ritrovare la mia Mary. Guardai l'ora: le 10:50. L'appuntamento era alle 10.

-Maledetto Lestrade, se non mi avesse trattenuto con le sue baggianate...- iniziai a imprecare a bassa voce, ma inutilmente, poiché la colpa era stata mia. Solo ed esclusivamente mia. Poi, scorsi una figura a me familiare, uscire dalla stazione e dirigersi verso un parco lì vicino.
Era lei. ERA MARY.
Corsi di nuovo, come un forsennato, e raggiunsi lo spazio verde poco dopo.

Appena la vidi, il mio cuore s'infossò ancora di più. Stava piangendo. Per colpa mia. Tremolante ed esausto, mi avvicinai a lei.

-M-Mary...- voltò il capo e balzò in piedi, quasi scottata dalla panchina sotto di lei. I suoi capelli biondi erano schiacciati sotto il suo cappello, indossava il suo vestito da bicicletta e i suoi occhi, azzurri come il cielo, erano carichi di lacrime.
-J-John. Sei in ritardo.- il suo occhio cadde su cosa indossavo.
-Cielo, perché sei solamente in camicia e pantaloni? Dov'è il tuo cappotto? E le tue scarpe non sono tirate a lucido, sono ricoperte di fango, come se tu avessi corso per tutta Londra..-
-Infatti è così.- la interruppi.
-E per quale ragione, oramai? Non ti sei presentato per l'appuntamento.-
-Mary io posso...-
-No. -stavolta fu lei ad interrompere me, mi guardò con uno sguardo duro. -John, io non voglio spiegazioni. M-Mi sono illusa. Perciò dimmi il motivo per cui sei qui.-

Respirai intensamente e cominciai a parlare:
-Sono qui perché ti amo, Mary Morstan. Con tutto l'amore più sincero che un uomo può provare per una donna. Dio solo sa quanto il mio cuore sia in lacrime a vederti piangere. I-Io avevo preparato una giornata speciale, solo io e te, e...sono stato un'idiota. Ho dimenticato il nostro giorno, il nostro anniversario. Io ti amo Mary, ti amo con tutto me stesso, darei la mia vita per te, ma sono indegno dell'angelo quale sei. Io non ti merito.- i suoi occhi m'intimavano a continuare- Avevo anche in mente di chiedermi di sposarmi, qui, oggi. E capirò se tu non vorrai più vedermi. Me lo merito.- conclusi mortificato. In quel piccolo angolo di verde, il vento fra le foglie era l'unico suono udibile.

-John, so che tu non ti dimenticheresti un giorno così importante. Ma non dire che non mi meriti. Ti prego, perché sei l'unico uomo a meritarmi. Avrai una buona ragione per non esserti presentata, lo so. Vorrei dirti che ti amo anche io. E che accetterei più che volentieri la tua proposta di matrimonio.- sorrise, e sentii come se mi fossi tolto un peso dal cuore.

Mi avvicinai e la baciai. Le avvolsi i fianchi, e lei mi cinse il collo con le sue mani minute.

-Ringrazio Dio per avermi fatto incontrare te.- dissi, senza fiato per il bacio precedente.
-In questo caso, lo ringrazio anche io.- poi si buttò di nuovo sulle mie labbra.

-Ben fatto, Watson!- urlò una voce, così familiare, alle nostre spalle. Ci staccammo con uno schiocco dal bacio.
Dietro di noi si stagliava la figura di un vecchietto, con una sciarpa rossa e un lungo cappotto.
-E lei chi sarebbe?!- esclamò Mary.
-Ma come, signorina Morstan, non mi riconosce più?- esclamò Sherlock Holmes, togliendosi la finta barba e la sciarpa, raddrizzandosi in tutta la sua altezza.
-Mio caro Holmes! Lei è stato qui a spiarci?!- dissi, esterrefatto.
-Ah, ah. No, amico mio, sono arrivato alla fine. E vi faccio le mie più sentite congratulazioni! Sa, signora Morstan, anzi: futura signora Watson, codesto gentiluomo le tiene gli occhi addosso fin dal primo giorno in cui l'ha vista!-
-Holmes!- urlai, arrossendo fino alla punta dei miei capelli. Mary gettò la testa all'indietro, scoppiando in una sonora risata. Anche il mio amico si unì a lei nel deridermi. Abbracciai più stretta Mary, mentre tutti insieme ci dirigevamo al 221B di Baker Street, dove ci aspettava il formidabile pranzo della signora Hudson.

Angolo autrice:
Sono ridicolmente ossessionata con Watson e Mary.
<3

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