.4.
Gerard si alzò di scatto, terrorizzato, rivoltando tutte le coperte del suo letto.
Appena percepì le lenzuola strette nel suo pugno, scoprì di essere madido di sudore. Si tolse la camicia muovendosi a scatti veloci: solo in quel momento si accorse di essersi addormentato vestito. Respirava a fatica - il cuore martellava nel suo petto e sembrava non volersi fermare per quanto lui tentasse di farlo rallentare.
Sotto le sue palpebre, scorrevano ancora le immagini del giorno precedente. Gli si sarebbero potute leggere negli occhi, le aveva impresse nell'anima.
Era bastato un coltello, un taglio netto.
Si alzò, il caldo delle coperte era insopportabile, sentiva la pelle bruciare.
Immerso nel buio, barcollò verso il tavolino dove teneva le bottiglie di liquore. Ne stappò una senza fare attenzione a cosa contenesse, prese il bicchiere che aveva abbandonato lì la sera prima e lo riempì per metà. Bevve subito, e non si fermò finché non ebbe finito tutto.
Era bastato un coltello, un taglio netto a produrre una goccia color cremisi, un giuramento detto a denti stretti, le mani e la voce che tremavano incontrollabilmente, e lui e Ray si erano consacrati agli affari di famiglia.
In mezzo al cerchio che i boss avevano formato, guardandoli come la più inerme delle prede e il più micidiale dei predatori al tempo stesso. Terrorizzati, assetati. Timorosi nell'ombra mentre le pupille luccicavano per la forza. Pronti a succhiare e versare il loro sangue.
Gerard aveva guardato il proprio sangue colare sul vetro cristallino.
Vicecapo dei capi.
Legittimo successore.
Gerard aveva guardato il sangue di Ray colare sul vetro cristallino.
Consigliere ufficiale della famiglia.
Avevano festeggiato e brindato.
Riso.
Li avevano acclamati.
Lui era scappato via prima delle dieci. Aveva preferito ubriacarsi da solo, nel tepore della sua camera da letto, come aveva fatto per tutti i giorni precedenti nel tentativo di sfuggire alla tortura interiore delle incombenze future, del non sentirsi pronto, della pesante consapevolezza di ciò che stava accadendo. Era uscito solo due volte per scopare, aveva regalato una dolce nottata a un piccante asiatico ventenne e a uno scialbo, noioso ragazzo inglese che aveva la sua stessa età. Entrambi erano stati dei bravi sottomessi, gli avevano offerto piacere, baci sfuggenti, ore piene di amplessi. In ogni caso, l'insieme di alcol e sesso era stato una distrazione vana.
Aveva cercato di essere meno cosciente possibile di tutto, aveva avuto l'illusione di esserci riuscito; eppure, nel momento in cui aveva dovuto afferrare la lama che avrebbe sancito la sua vita, si era sentito mancare, e la tensione che aveva cercato di scacciare lo aveva investito tutto d'un colpo, soffocandolo.
E così, se ne era andato.
Non doveva aver dormito molto. Guardò la sveglia: le quattro del mattino.
Sorrise, amaramente. Per qualche secondo si perse nel ricordo di sua madre, della sua dolcezza, del suo profumo e del foro prodotto dallo sparo accuratamente coperto con un foulard di seta da almeno diecimila dollari, avvolto attorno alla sua testa mentre il suo corpo riposava, finalmente quieto, in una bara di mogano. Il giorno in cui era morta, lui e Mikey erano rimasti a casa con Ray per lasciare che uscisse da sola con Donald il giorno del suo anniversario. Il giorno in cui era morta, suo marito era tornato a casa e li aveva presi per mano, li aveva portati all'ospedale e gli aveva chiesto di dire addio alla mamma. Come si chiede di sorridere per una foto. Come si chiede di salutare un insopportabile cugino. Il giorno in cui era morta, un po' avevano pianto, un po' si erano sentiti confusi, un po' non avevano capito nulla. Perché un signore ha sparato alla mamma, cosa ha fatto di male?
E adesso lui, la sera prima, si era macellato; stava inciampando verso quella stessa destinazione.
Uccidere o essere ucciso.
In entrambi i casi, dentro era morto.
Guardando le strade e i grattacieli sotto di lui, sì sentì perso.
Il nero carbone era rischiarato e illuminato unicamente da neon e lampioni, intervallati strade che formicolavano di passanti, creature notturne non ben definite.
A quel punto, dopo un rapido volteggio indietro nel tempo verso Donna, il suo pensiero si rivolse a Mikey. Era cosciente del fatto che fosse in pericolo, insieme a tutta la sua famiglia, a sua moglie, a suo figlio. L'ultima cosa che voleva era il suo coinvolgimento, ma capiva che era inevitabile.
Lo avrebbero cercato, nel tentativo di annientare tutti i possibili successori. Certo, Mikey se ne era andato da avvicinato, ma era ancora un potenziale erede, lo aveva nel sangue. E, di conseguenza, era una vittima. Lo aveva nel sangue e, di conseguenza, era maledetto.
Gerard non conosceva con esattezza i piani della famiglia Iero, le trame potevano essere le più intricate - ma sapeva che quella faida avrebbe solo prodotto un sanguinoso sterminio. Si trattava semplicemente di chi sarebbe dovuto soccombere all'altro, e ognuno avrebbe sfoderato ogni arma a sua disposizione per evitare che l'avversario prevalesse.
Prese in mano il telefono - voleva avvertire suo fratello, voleva chiamarlo, ma cosa dire? No, era ancora mezzo ubriaco, in condizioni indecenti, non avrebbe saputo nemmeno da che parte cominciare. Le loro conversazioni non erano mai molto espansive, molte emozioni galleggiavano nell'aria e nessuna prendeva mai voce, con ogni parola Mikey sembrava chiedergli perché non era partito con lui, e davanti a quella domanda così disperatamente malinconica che lo assaliva improvvisamente Gerard rimaneva ammutolito.
Parlare adesso sarebbe stato inutile.
Anzi, disastroso.
Si appoggiò al davanzale della finestra, pensieroso, e guardò il quartiere tutto attorno a loro, un'oasi verde abitata da ricchi imprenditori che potevano permettersi gigantesche case contornate da siepi e giardini. Poi, tutto attorno, grattacieli e strade: l'anima della città, che in quelle ore buie riluceva in lontananza.
La loro villa era un edificio delle dimensioni di un palazzo, ampia e alta; un labirinto di moquette rossa e quadri antichi intervallati da statue e cimeli, enormi sale per le riunioni, ale riservate agli ospiti: uno scheletro rivestito di oro e diamanti tanto affascinante quanto misterioso. Donald era sempre stato un grande amante della cultura e delle arti, avevano numerose collezioni private di manoscritti e dipinti, strumenti musicali, bottiglie di vino e liquori - tutto quello si intrecciava con il lusso e il comfort garantiti dal loro patrimonio, che si rispecchiavano nelle stanze moderne, arredate con pezzi unici. Attorno alla struttura, vi era un enorme giardino, che si estendeva maggiormente ai lati dell'abitazione con alberi e piante di ogni genere: davanti alla facciata, invece, un enorme cancello dorato, contornato da alte siepi, dava l'accesso alla villa.
Dalla sua posizione, Gerard si affacciava sul retro della loro casa. Si soffermò sugli alberi e i cespugli, circondati da una tenebra densa e dal silenzio.
Respirò, piano.
Era suo dovere adesso proteggere la sua famiglia. Avrebbe chiamato Mikey il giorno dopo, decise. Poteva offrirgli un alloggio temporaneo lì a LA, o a New York, per cercare di tenerlo al sicuro più da vicino. E nel mentre, forse, sarebbero riusciti a riconciliarsi, e avrebbe potuto spiegargli ogni cosa, sentirsi finalmente zio...
Un movimento improvviso, fuori, nella notte, lo distolse dai suoi pensieri.
Gli era sembrato di vedere un debole riflesso dorato alla luce della luna, nei cespugli davanti a lui.
Guardò meglio, attento.
Per qualche istante niente sembrò più muoversi.
L'assenza totale di suono era snervante.
Gerard rimase immobile per una quantità indefinita di tempo.
Suo padre non teneva guardie nel giardino.
Doveva essere qualcun altro.
Qualcuno che non voleva essere visto, a giudicare da come, non appena quel piccolo bagliore si era mostrato, aveva deciso di nascondersi.
Arretrò di un passo, e in quel momento lo vide di nuovo, più vicino.
Sembrava una figura umana, incappucciata.
Sentì il suo battito farsi più lento e pesante, il sangue ronzare nelle orecchie.
Fece un altro passo indietro, pronto a correre per dare l'allarme, quando il vetro da cui stava guardando, a qualche centimetro dal suo viso, venne bucato da una pallottola.
Lo sparò sembrò rimbombare nell'aria per ore, non aveva ancora finito di trapassare l'esile barriera trasparente che Gerard già stava scappando.
Prese velocemente la rivoltella sul comodino e si precipitò fuori, lasciando la porta della propria stanza aperta.
Iero.
Non si sarebbe aspettato che colpisse così presto.
Si ritrovò solo, ma in quel momento, in quella casa che aveva sempre considerato una fortezza, provò un istintivo senso di pericolo imminente. Sicuramente quel tiratore non era lì da solo. Dovevano essere una squadra, probabilmente tutti sul perimetro nella casa nascosti negli alberi, al buio.
Iniziò a scendere, frettolosamente, solo dopo qualche minuto si accorse che gli mancava il respiro per il misto di terrore e adrenalina. Si fermò, ansimando, appoggiato a una parete.
Sangue freddo, si disse, con la gola secca e il petto in fiamme.
Doveva andare avanti, ogni secondo era importante.
Avrebbe dovuto avvertire tutti gli altri e poi scendere con loro, precipitarsi al piano terra da solo sarebbe stato un suicidio.
Respira.
Sangue freddo.
Febbrilmente, svoltò a destra, verso la camera in cui Ray per quella notte aveva deciso di alloggiare, ma se lo ritrovò davanti a metà strada, già vestito e armato; doveva essersi svegliato per lo sparo o qualche altro rumore, oppure aveva udito qualcosa dopo essere rimasto sveglio tutta la notte, a pensare - aveva delle occhiaie violacee sotto gli occhi, lo sguardo ancora immerso nelle proprie riflessioni.
Si percepiva avesse provato paura e tristezza, eppure si muoveva con la stessa forza e determinazione che anche Gerard possedeva, entrambi guidati dalla necessità di difendere la famiglia e di dimostrarsi forti, guidati dalla necessità di non affondare. Stavano cercando di tenersi a galla in qualche modo disperato. Stavano cercando di riuscirci assieme.
- Ray! - lo chiamò il giovane Way, urlando e bisbigliando al tempo stesso.
Era felice di vederlo, in mezzo a tutta quell'aria pesante già impregnata di una devastazione futura, di terrore, quell'aria sospesa e impalpabile che premeva sui loro petti quasi senza lasciarli respirare.
Gli regalava la sensazione di essere accompagnato, meno solo.
- Ho sentito - disse semplicemente il riccio, la rivoltella alla mano - Cazzo. Devono essere una squadra. Sono ancora tutti fuori, mirano ai piani più alti.
Si sentì un altro sparo, fuori.
E poi un altro, un altro ancora - grida, provenivano dai piani più bassi.
Passi e urla di guardie che entravano in azione.
Non ci volle molto perché il tutto prendesse i suoni di una sparatoria vera e propria, un violento botta e risposta.
- Dobbiamo dividerci Gerard. Vai da tuo padre. Io metto al sicuro gli altri.
Quello annuì, determinato. Era la sua prima situazione d'emergenza, era stato addestrato anni per questo. Aveva voglia di dimostrare che era adatto al ruolo di leader - di dimostrare la propria forza, quella forza che, a tratti, in quegli istanti, sentiva mancargli per lasciare posto a un terrore dilagante che doveva scacciare con fatica. Era in bilico tra miliardi di emozioni, quasi si sentiva vuoto, per le troppe cose che si agitavano dentro di lui.
- A dopo. Stai attento, okay? - Ray batté un pugno sulla sua spalla, lanciandogli un'occhiata indecifrabile.
- Sì, e tu... guardati le spalle.
Entrambi si guardarono per un poco, respirando piano. Prede e predatori, cacciatori e braccati.
Non voglio morire.
Non morirai.
Ho paura.
Anche io.
Sii forte.
Anche tu.
Corsero via senza dire una parola di più.
Gerard tornò indietro: suo padre dormiva in un'ala diversa dalla sua, al piano superiore, in quella che era stata, a suo tempo, una camera nuziale. La priorità era assicurarsi che fosse al sicuro, solo poi avrebbe potuto passare all'azione. Doveva fare in fretta; lo scontro era violento e stava lasciando i suoi segni imprimendo ogni ululato roco nelle pareti della casa - gli sembrava di sentire ora strida, ora gemiti di dolore, ora respiri rantolanti, pareva lo circondassero spettri senza pace.
Rabbrividì.
Sangue freddo.
Cercò la strada verso una rampa di scale secondaria, più isolata e sicura, i suoi passi erano sordi.
Respirò.
L'unico suono sembrava essere il ronzio del suo sangue nelle orecchie e l'aria che entrava nelle sue narici, arrivava ai polmoni e ritornava fuori dal suo corpo tramite la bocca.
Al piano di sotto, si sentì il rumore di vetri che si rompevano in mille pezzi. Dovevano essere entrati nella sala riunioni - era l'unica circondata da vetrate, e fare irruzione da lì sarebbe stata la cosa più semplice di tutte.
Cercò di non farsi prendere dal panico, di non concentrarsi sul pensiero che in quel momento gli uomini di Iero stavano entrando nella sua casa per cercare e uccidere la sua famiglia.
Trovare suo padre.
Doveva trovare suo padre.
Girò a sinistra e una figura nera improvvisamente gli fu addosso.
Ci mise una frazione di secondo a capire che non doveva essere un alleato, i suoi sensi reagirono senza che lui dovesse riflettere su alcun movimento, tutto era naturale, tutto faceva presagire che lui fosse stato appositamente creato per premere quel dannato grilletto. Sparò senza che l'altro, colto alla sprovvista, potesse fare niente: aveva appena alzato la pistola ma aveva esitato troppo, inerme. Non doveva essere ben addestrato, probabilmente era finito lì per caso, o lo avevano spedito in una ricognizione che sapevano sarebbe stata suicida facendolo arrampicare sul muro.
Il proiettile penetrò dritto nel cuore, con un tiro preciso.
Il sangue iniziò a dilagare sul pavimento.
A Gerard sembrò che il suo odore si diffondesse ovunque. Sentì la nausea invaderlo da capo a piedi, tremò, ma non vacillò nemmeno un istante.
Sangue freddo.
E così uccise per la prima volta.
Per assicurarsi che l'uomo fosse davvero morto, sparò un altro colpo dritto in fronte. Nessuna reazione, nessun movimento. Ora la carne sarebbe stata solo cadavere.
Tolse il passamontagna bucato sugli occhi azzurro celeste, e dietro vi trovò un volto sconosciuto. I capelli lunghi fino alle spalle, color castano, stavano iniziando a bagnarsi di sangue, i lineamenti geometrici contratti in una smorfia di paura.
Orribile.
La morte era orribile - la morte aveva quel volto.
Cercò di non pensarci. Prese l'arma che trovò nella tasca interna della giacca e proseguì, con passo veloce ma più guardingo. Salì le scale - regnava il silenzio, di nuovo.
Era bastato un colpo di pistola.
Ed era di nuovo solo.
Come erano riusciti entrare, come?
C'erano guardie in ogni dove... Guardie.
Doveva esserci qualche traditore tra quelli che sorvegliavano gli accessi.
Strinse i denti.
In un qualche modo, gli parve di percepire, lento e inesorabile, il declino della famiglia Way. O forse era solo la paura. O forse... Lasciò da parte questo pensiero scacciandolo con fastidio.
Al piano superiore, si guardò attorno per l'ennesima volta.
Nessuno.
Imboccò il corridoio esattamente davanti a lui con sicurezza; gli sembrava di non pensare a niente, oscillava in una tempesta di emozioni che lo atterriva e gli dava allo stesso tempo l'energia necessaria per proseguire. Si sentiva un involucro di muscoli e nervi e ossa pronto semplicemente a uccidere qualsiasi cosa si sarebbe trovato davanti. Si ritrovò a odiarlo - eppure era consapevole che era ciò che in alcuni momenti, momenti come quello, avrebbe dovuto essere.
La camera di suo padre era meno di duecento metri da lui. La porta socchiusa, per un attimo temette per il peggio. Aveva tutta l'aria di essere una trappola.
La raggiunse piano.
Sangue freddo.
Bussò piano, poi riprese a guardarsi intorno.
Nulla si muoveva, lì non vi era alcun tipo di nascondiglio, non poteva esserci nessun altro oltre a lui se non qualcuno nascosto nella camera.
- Papà - chiamò, sussurrando.
Nessun rumore.
Spinse la porta riparandosi dietro il cornicione per eventuali spari, ma non successe nulla. Entrò con l'arma spianata, osservando il letto, i mobili di mogano, lo scrittoio, pronto a sparare: non trovò anima viva. La finestra era aperta e i bianchi fantasmi delle tende oscillavano nel vuoto, illuminati dalla luce della luna.
Uscì subito, il cuore in gola.
Non sapeva più cosa pensare, cosa immaginarsi - fini orribili, eroiche lotte.
Se suo padre non era lì, o lo avevano già catturato, oppure era ai piani inferiori e stava già intervenendo insieme ai suoi uomini. Scelse di sperare, e cominciò a scendere, sempre più velocemente. Avrebbe potuto cercarlo altrove, ma prima doveva assicurarsi che non stesse combattendo in mezzo agli altri: era sempre stato uno di quei capi che amano agire, non rimaneva spesso chiuso nel suo studio limitandosi a dirigere i suoi affari dall'esterno, vi prendeva parte, nel bene e nel male. Era probabile si fosse precipitato come rinforzo non appena si era accorto di quanto stava accadendo.
Mentre scendeva, Gerard non incontrò alcun corpo se non quello che lui aveva reso tale.
I rumori provenivano, come aveva immaginato, dalla sala riunioni.
Quando finalmente fu al piano terra, la vide devastata.
La porta era spalancata, cocci di vetro su tutto il pavimento, per terra cadaveri e feriti. Ray uccideva a colpi di pistola, fiamme feroci accese nelle pupille mentre danzava insieme alla morte, sparando e schivando senza darsi nemmeno un secondo di riposo. Sykes era in un angolo, ferito gravemente con una gamba fasciata di fretta, Diamandis gli faceva da scudo colpendo con freddezza chiunque si avvicinasse. Rutherford, dal canto suo, si cimentava in acrobazie stravaganti saltellando qua e là, abbattendo gli avversari con un grosso fucile - la cocaina gli aveva dato al cervello, ma manteneva comunque una buona mira, nonostante farneticasse e ridacchiasse quasi costantemente.
Gerard cercò di quantificare gli avversari mentre entrava nella sala spaziosa iniziando di nuovo a uccidere - dovevano aver mandato all'incirca una cinquantina di uomini, una missione disperata e suicida, non riuscì a individuarne un possibile scopo. Si riparò per qualche istante dietro a un mobile in legno, cercando di riprendere il respiro. La sua camicia bianca aveva una manica sporca di sangue.
Distolse lo sguardo, per evitare si sentire la bile acida salirgli in gola.
Questa operazione da parte degli Iero era semplicemente una follia.
Tornò allo scoperto e approfittò dei pochi metri liberi davanti a sé per correre da Ray. Si misero spalla contro spalla senza avere nemmeno bisogno di un cenno.
Suo padre, dov'era suo padre?
Il giovane Way lo chiese freneticamente, con gli occhi.
- Al sicuro - disse Ray, ansimante, sparando di nuovo - Urie e Stump. Lo hanno portato nel bunker.
Gerard sospirò di sollievo, si fece più sicuro e leggero.
Avanzò di un passo, sparò ad uno, due uomini, poi tornò indietro, ricordando ogni movimento che aveva imparato a fare dopo ore e ore di pratica. Sentì altri colpi riecheggiare attorno a sé e, preso dalla foga, gli sembrò che il tempo scorresse lento e danzante mentre accorreva in ogni angolo per aiutare. Invano gli altri boss cercarono di convincerlo a raggiungere il nascondiglio sicuro di Donald; voleva essere lì, nel cuore pulsante dell'azione, voleva sentire quel turbinio di violenza, voleva rimanere disgustato, sapeva gli sarebbe servito e allora violentava atrocemente la sua testa. Si rendeva conto di essere protetto da tutte le persone nella stanza, si rendeva conto che, se fosse morto, sarebbe stato l'ultimo a farlo, aveva dei compagni che avrebbero dato la vita. Il senso di potere lo inebriava e lo nauseava, lo faceva sentire male, bene e in nessun modo. In ogni caso, continuava a sparare. Gli avversari erano in minoranza, e dopo qualche minuto cominciarono ad essere scoraggiati.
Colpirono finché non rimasero solo cinque uomini a fronteggiarli, accerchiati. A terra, i cadaveri della famiglia Iero e Way si mescolavano, mischiavano il loro puro sangue, creando un denso tappeto fatto di pelle e liquido cremisi.
Gerard stava per voltarsi verso Ray, ma un movimento che non si era aspettato attirò la sua attenzione.
In mezzo ai cadaveri dei massacrati, uno dei loro avversari, più magro ed esile degli altri, salì sul lungo tavolo lucido con un salto agile, trascinandosi dietro uno dei suoi compagni. Aveva un passamontagna nero calato sulla testa, esattamente come l'altro. Erano vestiti uguali - giacca nera, pantaloni neri, stivali neri.
Tutti mirarono verso di loro.
Ma nessuno colpì.
- Ci offriamo come prigionieri volontari. Per cercare un compromesso di pace.
Gerard sbattè le palpebre, incredulo.
Follia o sacrificio umano? Le guardie avevano protetto gli ostaggi per permettergli di rimanere isolati e far recitare loro un copione prestabilito? O semplicemente la situazione si era rivelata più disperata del previsto, e adesso quei due stavano cercando di salvarsi?
I due erano voltati verso di loro, dritti.
Li stavano affrontando con lo sguardo.
Gettarono le proprie armi in mezzo al pavimento disseminato di vetro, uomo e vene mozzate.
Ci fu silenzio.
Tutti li guardavano.
Nessuno osava parlare.
Poi si tolsero il cappuccio, con un gesto veloce.
- Frank - mormorò Gerard, con la gola secca.
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