.19.

- Mio padre, Anthony Iero, vuole uccidermi.

La confessione di Frank iniziò in modo improvviso e inaspettato, dopo qualche minuto di silenzio in cui i boss, a cerchio attorno a lui, avevano aspettato che, sconfitto, si umiliasse. Pensavano si sarebbe degradato, implorando la loro pietà, cercando scuse, strisciando ai loro piedi per collaborare.
E poi cominciò così, senza annunciarsi. Teatrale, drammatico.
Mio padre, Anthony Iero, vuole uccidermi.
L'attesa, prima che la fatidica frase venisse pronunciata, aveva trasformato l'aria in pura elettricità, e non appena pronunciò quelle parole fu come se tutta la tensione si scaricasse sui presenti, paralizzandoli.

- E' cominciato tutto quando Evan, il mio fratello adottivo, si è ammalato. Quattro anni fa, a vent'anni. Cancro, lo hanno ricoverato forse troppo tardi, quando era un semplice agglomerato di metastasi. Io avevo solamente tredici anni, non capivo molto se non che probabilmente sarebbe morto, e la notizia non mi sconvolgeva né mi faceva piacere. Evan mi era sempre stato indifferente, non ci eravamo mai parlato moltissimo. Era uno dei figli dell'amante di mio padre, Mandy. Anthony la adorava. Era innamorato. Innamorato di una patetica troia. Le faceva regali, le comprava ville in località esotiche, le pagava viaggi e vestiti, gioielli. Dopo nemmeno un mese che l'aveva conosciuta, la fece trasferire in casa da noi, e lei diventò la mia nuova madre.  Apparentemente senza motivo, mio padre aveva perso la testa per lei, nonostante quella donna lo considerasse solo come un ricco cliente da cui poter estorcere soldi a suo piacimento. E mentre lui le moriva dietro, mentre lui si consumava per avere briciole di attenzione, lei si limitava a fargli sentire il suo profumo e a fargli vedere qualche breve tratto della sua pelle per poi andarsene verso sera e tornare la mattina dopo ubriaca, spesso anche fatta. Non si limitava all'erba, prendeva anche cocaina, in dosi troppo pesanti perché non la rovinasse. Era come se il fantasma della sua vecchiaia la trapassasse da lato a lato ogni volta che lei radunava con la carta di credito qualche strisciolina bianca, per ammonirla, era come se ogni giorno di più si disfacesse sotto il peso della sua stessa esistenza, ma non ci faceva caso. Di lei non sapevo quasi nulla, se non che si prostituiva, beveva e si drogava da quando aveva dodici anni, e che aveva passato qualche mese in una clinica per squilibrati mentali. Una vita passava a morire. Una vita che era stata solo una morte. Mi faceva paura pensarci. Ma lei non ci faceva caso, oppure le andava bene così, oppure siccome non le andava bene cercava solo di finire il tutto alla svelta. L'anno scorso è morta. Viveva da noi già da molto tempo, insieme a Evan. Si è impiccata in camera da letto. Ma di tutto questo, comunque, la parte più importante è che mio padre stravedeva per lei. La trattava come una regina. Per una volta era riuscito a superare i confini del suo egoismo.

Fece una pausa, leccandosi le labbra, quasi fosse in cerca delle parole e del coraggio che avrebbe dovuto avere per pronunciarle.
Quasi fossero maledette.
A Gerard il cuore si stringeva ad ogni sillaba. Il coltello squarciava le carni adesso, il pugnale faceva cadere le tende del sipario, la superficie di incrinava a rivelare molteplici riflessi e schegge di dolore che si mescolavano gli uni alle altre restituendo un'immagine scomposta e frammentata.
Una parte del mistero di Frank, del velo che lo avvolgeva e lo rendeva invisibile agli occhi del mondo, stava crollando, pezzo per pezzo, senza pietà, davanti a tutti.
Ma lui continuava, inesorabile, gli occhi sbarrati mentre stava al cospetto della sua stessa distruzione, quasi fosse stato uno spettacolo divertente, una canzone frenetica ma inesorabile, una melodia che lo incalzava sempre di più a proseguire, a tessere i fili della sua vita sempre più velocemente, il dipinto marrone e giallo e rosso di uno splendido cataclisma.

- Come lo chiamano? Karma. Incantato da una puttana qualunque, quando a sua volta aveva rifiutato un amore. L'amore di mia madre, della sua unica moglie. Linda Pricolo. Si erano conosciuti in un ristorante italiano dove lei faceva la cameriera, quando erano ancora giovani. La famiglia della mamma era povera, così lei era stata mandata a lavorare quando aveva diciotto anni perché a casa c'era bisogno di un altro stipendio. Serviva sempre il suo tavolo. Era bellissima. Profumava di pulito e aveva le mani morbide. Ma lui era crudele, l'ha solo attirata tra le sue spire. O forse è stata lei ad attirarlo, quella piccole luce bianca che emanava, debole e fortissima, quella luce che poi lui stesso nel suo masochismo e nella sua violenza contro se stesso, per non permettersi di essere felice, ha spento con uno schiocco di dita. La loro non è mai stata una relazione felice. Anthony era crudele con lei. Crudele nella maniera più velenosa, crudele con le parole. Faceva violenza sulla sua mente. Ma mia madre lo amava, ed era troppo tardi per scappare. Così lo ha amato fino alla morte, fino a che non è stata sgretolata. Fino a che non è stata uccisa. Esattamente davanti ai miei occhi. Mi stava facendo dormire, era pomeriggio, e dopo pranzo andavamo sempre nella mia stanza, lei mi raccontava una storia e poi dormivo un po'. Era un modo per non farmi sentire le urla di mio padre, era il suo modo per preservarmi dall'odio e dalla cattiveria alla quale anche lei era sottoposta. Mio padre non si è sporcato le mani. Una guardia è entrata e le ha ficcato una pallottola dritta nel cuore, e poi alcuni uomini l'hanno portata via come una rivoltante e putrida carcassa. Mentre io rimanevo immobile sul letto. Quasi la stessi aspettando, quasi stessi aspettando che si rialzasse e dicesse "è uno scherzo, sono qui". Questo è accaduto prima ancora che Evan si ammalasse, però. Quando io avevo all'incirca otto anni. Tre mesi dopo Mandy si è stabilita in casa nostra, ma penso mio padre la pagasse per il sesso già molto tempo prima, quando era ancora sposato. Mia madre lo sapeva. Mia madre sapeva di tutto, ma amava incondizionatamente. Ed è finita sottoterra. Eterno riposo, amen. Il giorno dopo mio padre già la insultava, la malediceva, e poi la chiamava perché tornasse, e intanto beveva. Ho passato tre giorni chiuso nella mia stanza per non uscire e ritrovarmi nello scenario di un incubo.

Si fermò per un istante, fissava un punto dritto davanti a sé, la parete vuota su cui si stavano proiettando i suoi ricordi.

- Karma. Soffri perché hai fatto soffrire. Impazzisci per effetto della tua stessa violenza. Sono cresciuto in una famiglia che non era la mia, dopo la morte di Linda. Evan mi era estraneo, e non avevo nemmeno voglia di sforzarmi per conoscerlo. Mandy era sempre via. Per loro ero come invisibile, e questo, forse, era un bene. Ma mio padre, mio padre mi odiava di un odio cieco. Ero uguale alla mamma, e ai suoi occhi mi trasformavo nel demone dei rimorsi che lo perseguitava ovunque andasse. Cercava di stare il più lontano possibile da me, e allo stesso tempo mi umiliava, mi picchiava, trasferiva il male che non poteva più esercitare sull'unica persona che lo aveva amato tanto da sacrificarsi su di me. Non riusciva nemmeno a vedermi e alcuni giorni mi tirava gli schiaffi se mi avvicinavo o gli rivolgevo la parola. Gli ispiravo solamente ribrezzo, e rabbia. Forse anche malinconia. Non lo so, non me lo ha mai detto. Passava le sue serate a ubriacarsi e ad aspettare che Mandy tornasse a casa mezza nuda e fatta. La sua preferenza per Evan, per la sua nuova famiglia, da cui io ero escluso, era evidente. Me lo ripeteva spesso, che avrebbe preferito che Evan fosse stato il suo figlio biologico, e io un semplice, rivoltante scarto da buttare via. E poi mi picchiava. Ancora e ancora. Hai i suoi stessi occhi, mi diceva. Un giorno o l'altro ti staccherò le orbite da quella testa di cazzo, e poi ti staccherò anche le mani e i piedi, e il cuore, e finalmente non sarai più qui a guardarmi. Ecco la sua frase preferita. Almeno, quella che gli ho sentito pronunciare più spesso. Per lui la cosa più utile che avrei potuto fare sarebbe stata uccidermi. Gli avrei tolto un figlio che forse non aveva mai voluto. Un figlio di cui odiava ogni singola parte. Un figlio che gli ricordava troppo qualcuno che avrebbe dovuto amare, forse aveva amato, ma che aveva tradito in un impeto di follia. 

Abbassò il mento, il suo labbro inferiore tremava.
Il terrore e il dolore sembravano mozzargli il respiro, il suo petto che si alzava e si abbassava lo faceva apparire così vulnerabile e bisognoso di protezione, una preda, una preda inseguita dalla sua stessa esistenza, come un cervo pieno di frecce dorate, il corpo ormai cosparso di ferite da cui sgorgava sangue rosso cremisi. 

- La villa Iero è stata la mia casa degli orrori. Ma non ha mai avuto una fine. C'è un unico motivo per cui Anthony non mi ha mai potuto eliminare del tutto, come avrebbe voluto fare. La mia vita è stata appesa, per diciassette anni, a questo sottile filo: il mio sangue. Le cosche sotto il potere di mio padre mi riconoscevano come suo solo erede. Solo io ero sua stirpe, γένος, in greco, figlio del suo seme. E il potere di padre in figlio si sarebbe tramandato. Non gli avrebbero permesso di muovere un solo dito contro di me, a meno che io non mi fossi macchiato di tradimento. Mio padre è sempre stato un megalomane, e un folle. L'odio che prova verso di me è proporzionale all'odio che prova per sé stesso, distrugge per autodistruggersi, riduce in deserto per prosciugarsi. Si stordisce per devastare, si crede padrone dell'universo, dal primo raggio del sole fino al suo ultimo tramonto. Sotto il tuo tocco non è mai cresciuto nulla che fosse morto già dalla prima ora di vita, e io non sono morto solo a causa di mia madre. Ad Anthony non è mai importato di nulla, se non del suo sogno di potere, quell'anacronistica volontà di comando su ogni cosa che aveva ereditato da suo padre, e da suo nonno prima di lui. Io ero e sono colui che dovrebbe perpetrare questo mito. E per ottenere il dominio, la guerra contro di voi era un qualcosa di inevitabile.
Quattro anni fa, quando Evan si è ammalato, anche lo stato mentale di mio padre è peggiorato. Il suo unico scopo era liberarsi di me e trasmettere a lui il ruolo di capo, ma io ero ancora in vita, lui non poteva permettersi di uccidermi e la salute di Evan sembrava peggiorare sempre di più. Non sapeva ancora che i medici sarebbero riusciti a tenerlo in vita. Questa situazione di scacco lo ha reso un'esplosione di violenza. E io ero l'unico capro espiatorio. Mi ha picchiato, umiliato, usato, e infine violentato. È successo solo una volta, in realtà. Una sera è tornato a casa imbottito di droghe e alcol. Mi chiamava Linda. Pensava fossi la mamma. La vedeva, penso, al mio posto. Mi ha obbligato a fargli un pompino. E poi mi ha picchiato. Mi ha detto di andare in camera mia, mi ha detto che ero un frocio del cazzo. Per quattro anni, fino a quando non sono diventato vostro prigioniero, la mia casa è stata questo. Solo la sera, quando uscivo di nascosto, avevo qualche ora di tregua. 

Per Gerard fu un colpo al cuore.

- Tre mesi fa, dopo i segni di miglioramento che aveva dato per tutto questo periodo, Evan è peggiorato di nuovo. Non gli rimaneva, non gli rimane molto. Ma mio padre voleva che fosse lui il suo erede, o meglio, che il suo erede non fossi io. E così ha cercato un modo per sbarazzarsi di me. Una missione suicida sul campo nemico, con una squadra incaricata di non proteggermi davanti a nulla. Il suo piano era, ed è ancora, suppongo, semplicemente questo: che voi mi uccidiate. In questo modo, sarà giustificato davanti alle cosche e non dovrà rispondere del mio omicidio, e potrà passare il potere ad Evan, Evan che muore, ma ad Anthony non sembra interessare, nella sua pazzia forse crede che vivrà. Ma non aveva previsto che mi sarei offerto come prigioniero volontario e mi sarei salvato; in realtà, non lo avevo previsto nemmeno io. Deve averlo scoperto, in ogni caso. E così ha mandato degli uomini per uccidermi, di quell'attico. Probabilmente sperava di poter dire davanti alle altre famiglie che ero rimasto ucciso nel mezzo della lotta da un soldato nemico, senza fornire dettagli più specifici. Questa è la mia verità. 

Tutti rimasero in silenzio, nessuno osava parlare.
Gerard mosse un passo in avanti per andare verso di lui, ma Frank, senza dargli il tempo di rendersi conto di cosa stava succedendo, si alzò in piedi di scatto, facendolo fermare.
Non aveva né manette né catene, lo avevano lasciato libero quel giorno.
Tremava.
Dentro di lui vita, passione, sofferenza e disperazione vibravano in un prodigioso tutt'uno che lasciava a bocca aperta.

- Se avete finito con me, vi chiederei molto cortesemente di poter uscire. Vi ringrazio per la vostra attenzione.

Guardando dritto davanti a sé, tratteneva le lacrime in modo fiero, con la voce spezzata e le guance colorate di rosso fuoco.
Sconfitto, li aveva sconfitti.
Sconfitto, li aveva umiliati.


























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