.11.
La mattina dopo, alle nove in punto, entrò nella stanza di Frank per la colazione attento a non fare rumore per non svegliarlo. Era appena stato in sala da pranzo con suo padre, Ray Urie e Stump, che sarebbero partiti l'indomani: gli ultimi che rimanevano, prima che la tenuta rimanesse vuota eccetto quel poco che rimaneva della famiglia Way. Aveva finito di mangiare velocemente, poi si era precipitato nelle cucine a prendere la razione del prigioniero e subito in corridoio, il cuore in gola e le gambe che tremavano.
Contro ogni sua aspettativa, non trovò nessuno sul letto, solitamente sempre occupato: la figura addormentata che era solito studiare, ammirare mentre era ancora immersa nei propri sogni, oggi era solo uno spettro pallido che ripeteva in continuazione poche azioni nella sua testa, un disco che girava e girava a mostrare sempre le stesse scene; sempre i loro baci, sempre i suoi "non posso", la promessa di tornare sulle sue labbra, la promessa di lasciarlo andare nella sua testa, sempre le stesse scene, le stesse battute, quelle che voleva dire e quelle che si forzava a produrre, quelle che aveva pronunciato piano al buio poche ore prima, mentre passava un dito sulla sua garza e le loro bocche si scontravano di nuovo.
Aspettami domani.
Cosa gli era saltato in mente?
Lo aveva detto, lo aveva detto alla fine, ansimante, come sul punto di morte, come per esprimere il suo ultimo desiderio. In quale modo era potuto tutto quello nascere da una semplice occhiata, da quello che doveva essere semplice divertimento tra le lenzuola di un bordello?
Si guardò attorno, lentamente.
Era tutto in disordine, nella camera. Fogli sparsi qua e là, scritti fittamente, disegni, la televisione accesa come al solito assieme alla musica, un qualche disco di Louis Armstrong, forse una raccolta di rivisitazioni più moderne dei suoi brani, accompagnate anche da una batteria e da un piano che velocizzavano i ritmi e rendevano tutto più vivace, più malinconico, sostenuto, intenso.
In ascolto, Gerard mosse un altro passo verso la finestra davanti a lui, e, dopo pochi istanti, lo accolse un lieve scroscio d'acqua proveniente dal bagno. Proseguì, guardingo,
Appoggiò il vassoio con il cappuccino e il toast sulla scrivania.
Le note delicate della melodia blues accoglievano i suoi gesti con pazienza.
Nell'istante in cui la sua presenza non ebbe più una funzione, dal momento che il suo compito, quello di portare la colazione, fu terminato, dal secondo in cui ebbe le mani inequivocabilmente vuote, si chiese cosa fare.
Aspettami domani.
Quella frase così colma di desiderio, ma anche di tenerezza. Si avvicinò alla soglia del bagno, incerto.
Ne aveva bisogno.
Ne era sicuro?
Hai bisogno di scopare.
Lo stomaco si contorse a quella frase.
Sembrava sbagliata, acida.
Squallida.
All'improvviso dal nulla un gemito, proveniente dalla doccia, raggiunse le sue orecchie.
Il suo cuore prese a battere più veloce.
Era acuto, così spontaneo, dolce; non lo aveva mai sentito così, prima d'ora.
Gli mozzò il fiato.
Aspettò qualche secondo, e di nuovo, dopo istanti infiniti, quel suono paradisiaco si ripeté, ovattato e parzialmente coperto dall'acqua e dalle note della musica.
Era debole, quasi non volesse farsi sentire, ma allo stesso tempo bruciante, allettava, tentava il suo animo che, senza sosta, aveva passato quella notte a pensare a lui, a a cosa sarebbe successo se solo.
Gerard allungò il collo per guardare dentro il bagno, gli bastò sporgersi di qualche centimetro con il viso, ed ecco il corpo di Frank fin troppo visibile attraverso le porte trasparenti della doccia, appoggiato alla parete umida, gli occhi semichiusi, una mano avvolta attorno al proprio pene che lo accarezzava sinuosa, la schiena leggermente inarcata; era bello, era così intimo, in quel momento che era solo suo, niente sembrava fatto apposta, per divertimento, era solo lui, solo Frank, Frank che, timidamente, si toccava e sospirava sonoramente, eccitato, una dimensione così bella, così pura. Eccitato per davvero, bisognoso, si masturbava per necessità.
Niente di finto, di forzato.
Solo il suo impulso, la sua passione.
Il giovane Way tremò, la bocca spalancata per metà ad ammirarlo.
Gli ricordava quando erano insieme, gli ricordava quel calore. Gli ricordava la luce che nei loro occhi, alcune volte, brillava, quella scintilla di spontaneità e autenticità che aveva fissato trasecolando, confuso, senza sapere cosa fare, che aveva ignorato, cercato di uccidere, estinguere, sterminare, ma che era rimasta, cadendo come un fiocco di neve in quelle iridi verdi: e la poteva vedere, sentire, ogni volta che riusciva a prestare attenzione.
Rimase a fissarlo per un poco, esitante, e altri gemiti riempirono la stanza - non si era accorto di lui, cosa avrebbe fatto altrimenti? Sarebbe fuggito come un cervo spaventato o lo avrebbe reso partecipe del suo piacere, invitandolo in quel delizioso banchetto d'amore?
Mentre Gerard ripercorreva, danzando con gli occhi, il suo corpo, i fianchi bagnati e coperti di tatuaggi si spinsero in avanti, in un movimento spasmodico che gli fece venire i brividi.
Già li immaginava, li sentiva tra le proprie mani.
Già li pregustava, bramoso di attaccarvicisi con le proprie labbra.
Aspettami domani.
Aspettarti?
Se lo ricordava bene, adesso, Frank lo aveva baciato ancora alla sua frase, e quei baci erano fottutamente peccatori, quei baci amavano, quel baci lo consumavano e gli davano sollievo, quei baci lo intrigavano, lo incatenavano.
Aspettarmi.
Lo aveva confermato piano, annuendo, ubriaco. Senza nemmeno sorprendersi delle sue risposte.
Per cosa?
Frank era sembrato confuso, divertito, rapito, ma lui non aveva risposto, aveva continuato a sfiorare la sua pelle con la bocca, ormai anelante più che mai.
Ti fa tanto male il taglio?
Lo aveva chiesto in un respiro solo, direttamente sulla sua guancia.
No, non più... Grazie per la garza.
E all'improvviso era stato tutto così confuso, erano finiti sul letto, alla rinfusa, si erano aggrappati l'uno all'altro, l'istinto di darsi senza rimorsi.
E poi Frank aveva iniziato ad accarezzarlo, a dipingere il contorno delle sue labbra, lo aveva chiamato, e chiamato ancora:
Gerard...
- Gerard - il più piccolo pronunciò il suo nome in un sussulto, guardandolo ad occhi sbarrati, nudo e inerme, le guance lievemente rosse per il più autentico imbarazzo, le dita delle mani appoggiate alle cosce candide e il labbro inferiore martoriato dai denti.
Doveva averlo notato proprio in quel momento, era ancora sopraffatto dallo stupore.
Nel suo sguardo lampeggiavano mille sensazioni, mentre il getto d'acqua lo bagnava dolcemente, inumidendo la pelle chiara ricoperta di tatuaggi: il suo membro eretto fremeva, disperatamente in attesa dell'orgasmo, il suo cuore rinnegava se stesso, la timidezza ormai evidente a tratti aveva l'impulso di ridare la supremazia alla generica sfrontatezza con cui si era sempre mostrato al mondo esterno, ma falliva, e in quei pochi millesimi di secondo il suo rossore sembrava aumentare ancora di più, dandogli un aspetto ancora più tenero, vulnerabile, delicato. E poi la paura velata, la tristezza profonda, la fiamma rossa di un amore, l'antica superbia, il vizio, denso fumo, la noia dal colore della nebbia per la sua reclusione, rabbia, e ancora affetto, coraggio, sembrava rotto in mille pezzi, sembrava così frantumabile, eppure al contempo così forte, sopravvissuto a così tante forme di dolore, di costrizione, di tristezza.
Adesso, sotto la doccia, nudo, inerme, era un libro aperto.
Adesso, sotto la doccia, nudo, inerme, era semplicemente tutto, come in miliardi di altri istanti, come era sempre stato - ma adesso, sotto la doccia, nudo, inerme, ancora di più, ancora più a fondo, forse troppo, troppo perché uno di loro potesse ancora fingere.
Frank si stava presentando a lui in tutta la sua disarmante umanità.
Gli stava offrendo la propria carne, la propria vita, i propri difetti, le proprie virtù, il proprio bene, il proprio male - forse volontariamente, forse no, ma gli stava mostrando ogni singolo istante, ogni singola emozione.
Gerard avrebbe potuto perdersi, in quella moltitudine di moti dell'animo, ma il suo sguardo non lasciava alcun dubbio: in quel momento, più di ogni altra cosa, anzi, come espressione di ogni altra cosa, lo voleva.
Si volevano, ed era evidente - no, non evidente, chiaro.
Era trasparente.
Si volevano, erano fatti per volersi.
Impossibile mentire.
Arrivò davanti alle due porte trasparenti della doccia quasi senza riflettere, a passi grandi, veloci, come se lo avesse spinto una forza straordinaria.
Le promesse di contenersi, i suoi sforzi per limitarsi e rimanere lontano da quello che ormai era un amante, le preoccupazioni, tutto gli sembrò irrilevante, folle, surreale, davanti all'improvvisa sensazione di appartenenza che lo aveva trafitto quando aveva posato lo sguardo su di lui.
Il rumore dell'acqua adesso era più vicino e forte, il vapore caldo irresistibile si depositava sulla sua pelle e gli faceva venire ancora più voglia di spogliarsi. Appena fu a nemmeno un metro da lui, Frank, dopo avergli lanciato un sorriso enigmatico attraverso il vetro, aprì una delle porte senza dire nulla e lo guardò, affannato e provocante.
Lo voleva.
Gli lasciò a malapena il tempo di togliere le scarpe e le calze, i pantaloni, affamato lo fissava con ardore, il petto che andava su e giù irregolarmente, al ritmo del suo respiro ansimante.
Non appena lo vide svestito per metà, lo prese per il colletto della camicia e lo trascinò con sé sotto il getto caldo. Gerard sentì la sua camicia, i suoi capelli, la cravatta bagnarsi irrimediabilmente, si sentì libero, improvvisamente, prese tra le mani il mento di chi lo bramava, proprio in quel momento, spinse i muscoli, i nervi, la carne sotto di lui contro il muro, graffiò le natiche teneramente, mordendo le sue spalle, il suo collo, lasciando segni rossi, violacei, facendolo gemere, inarcare, pregare.
- Oh, mio Dio...
Le mani del ragazzo spaziarono sul suo petto, e in un istante le loro bocche di nuovo si incontrarono, come la sera precedente avevano avuto il coraggio di fare.
Si baciarono forte, le loro lingue subito si trovarono solo dopo una ricerca furibonda fatta di sfioramenti carichi di elettricità, si intrecciarono, si lasciarono andare l'una all'altra, in una sinfonia di schiocchi che proseguì per minuti interi, senza che nessuno dei due smaniasse per interromperla.
Frank si allungò verso il contenitore dello shampoo, alla loro sinistra, e ne prese un po' con un sorriso malizioso, poi, mentre le loro bocche esitavano l'una sull'altra, giocando a mordicchiarsi e regalarsi piccoli baci a stampo, iniziò a insaponarlo con un risolino adorabile, le pupille nere scintillanti di quella che sembrava autentica gioia.
Gioia, Frank provava gioia nel lavarlo, provava gioia nel massaggiare la sua testa con le mani e immergere le dita nei capelli scuri, provava gioia nel far roteare il suo collo e nel sentire che, ad ogni suo gesto, riceveva un bacio, ora sul naso, ora sulla fronte, ora sullo zigomo, provava gioia nelle smorfie che si facevano per scherzare, nella loro eccitazione, nel loro affetto, nella loro serenità.
Gioia, solo così si poteva tradurre quella miriade di stelle che stava precipitando nel suo sguardo.
Risero insieme, si baciarono di nuovo mentre il più grande lasciava che il ragazzo giocherellasse con la sua cravatta per qualche secondo mentre sciacquava la sua testa con cura, con un'espressione concentrata che di tanto in tanto quello interrompeva con qualche dolcezza improvvisa, strofinando il naso contro il suo o allungando le mani sul suo petto per sfiorare le sue costole. Finito di lavarlo, il minore slacciò sorridente uno dei bottoni della sua camicia bianca, solo per poi attirarlo di nuovo bruscamente a sé e strappare tutti gli altri con un gesto veloce, mentre leccava languidamente la sua bocca e strusciava il proprio bacino contro il suo, più grande e largo.
- Che cosa vuoi? - domandò con voce roca Gerard, mormorando direttamente nel suo orecchio.
Percepì la sua schiena tremare, la spina dorsale contorcersi disperata.
Lo baciò di nuovo, morse tutte le sue labbra, le avrebbe sbranate, le avrebbe consumate, se fosse stato per lui, le avrebbe riempite di dolci parole, suadenti intrighi, progetti, dichiarazioni, tutto quello che adesso non gli era permesso, non gli era concesso - le avrebbe lusingate, intrappolate nei propri denti, le avrebbe tenute contro le proprie per ore, giorni, e per vivere gli sarebbe bastato tutto quello, il contatto tra le loro bocche, perché dentro di esso sentiva tutta la sua vita trasfigurarsi pericolosamente in un vorticoso infinito, in una promessa di eternità che lo attraeva e lo intimoriva al tempo stesso.
Un mugolio fu l'unica risposta che ottenne dal giovane, insieme all'intimità che toccò piano i suoi boxer scuri, tremante e umida, bisognosa. Si lasciò spogliare mentre avvolgeva i suoi testicoli e li stringeva impercettibilmente, provocando una serie incredibile di sussurri quasi incomprensibili. Quando gettarono la camicia e la cravatta sul pavimento, fuori, e finalmente furono liberi di toccarsi, di sentirsi l'uno sull'altro senza barriere, limitazioni, presero a toccarsi, smaniosi di sentire, di ubriacarsi d'emozione.
Gemettero piano per lo sfiorarsi cauto, passionale, uno sul mento, il petto dell'altro, stringendosi come se avessero il timore di poter svanire, di poter tornare indietro, di potersi pentire, redimere, di poter cancellare, non volere tutto quello, di poter decidere improvvisamente di trattenersi, e perciò allontanarsi, inesorabilmente, a malincuore.
Resta con me, pregavano le loro mani, passando sulle braccia, sugli addominali, sulle natiche, sui volti sfigurati dal trasporto dei baci e delle espressioni.
Presero un poco di bagnoschiuma per uno e giocarono a insaponarsi mentre, lentamente, Frank si girava per permettere a Gerard di penetrarlo, godendo dei suoi baci sul collo e delle sue dita forti che si trascinavano, tentatrici, sulle sue gambe e sul suo petto magro, tracciando i contorni dei tatuaggi e posandosi, di tanto in tanto, sulla sua lunghezza bollente per stuzzicarla. Già aveva la cappella scoperta, rosea e invitante, già tremava visibilmente, duro e turgido, sulla strada dell'orgasmo per i tocchi che, da solo, si era regalato con impazienza e di malavoglia.
- Non avresti dovuto bagnare la garza - sussurrò improvvisamente il maggiore, tirandolo indietro per far sì che l'acqua togliesse il sapone dai loro corpi e, parzialmente, anche sulle loro erezioni, ormai evidenti.
- Ops - Frank rise, piano, appoggiando la testa all'indietro, sulla sua spalla, e chiudendo gli occhi. Gerard alzò gli occhi al cielo, poi fece scendere ancora le mani, e le depositò entrambe sul suo pene, che subito riprese a pulsare più forte di prima:
- Te la dovrò cambiare... Ma ci pensiamo dopo, adesso concentriamoci su altro, ti va?
Frank, con un mugolio sordo e pigro, appoggiò la fronte alla parete della doccia dandogli la schiena, e sporse in fuori le sue natiche sode con evidente arroganza, fissandolo con la coda dell'occhio per vedere la sua reazione. Il suo presunto carceriere le carezzò con una mano, poi si protese in avanti palpandole, mentre mordeva la sua spalla e la riempiva di piccoli succhiotti circolari e sospiri caldi che facevano in modo che lui, già ansante, rabbrividisse piano, chiudendo gli occhi per l'estasi.
Si rubarono ancora un bacio, chinandosi l'uno sull'altro, divorati dalla fame.
Gerard carezzò lentamente il suo osso sacro, esitante, e infine, avvertendolo con un bisbiglio, spinse due dita dentro di lui, sospirando leggermente al sentire le pareti del più piccolo stringersi e richiudersi ritmicamente attorno a sé. I sospiri e i gemiti iniziarono a piovere tutto d'un colpo, quando prese a far avanti a indietro tenendolo fermo per un fianco. Per il minore fu come immergersi in una cascata frizzante: non riuscì nemmeno quasi più a pensare, deliziato da quella presenza così gradevole, estranea ma familiare, calda, autorevole - lo faceva impazzire, desiderava dipendere da tutto questo per sempre. L'acqua sopra la pelle umida e tiepida, il profumo del sapone, il contatto, la voluttà, l'incrociarsi di ogni cosa che apparteneva loro ed era loro intrinseca; era tutto semplicemente troppo disarmante, coinvolgente, tutto troppo forte, sensazionale, toglieva il respiro.
Dopo che lo ebbe abituato all'improvvisa penetrazione con pazienza e attenzione, viziandolo con coccole e circolini appena accennati sulla schiena solo per il gusto di vederlo fremere, il maggiore arricciò le dita dolcemente, iniziando a muoverle. Frank si aggrappò alle piastrelle azzurro chiaro con un gridolino acuto, la sua erezione premuta contro la parete fredda mentre i fianchi la spingevano su e giù, nel disperato tentativo di ottenere più piacere, più soddisfazione di quella che già avevano.
Era bellissimo, Gerard non riusciva a pensare ad altro mentre, cauto, esplorava la sua apertura e ondeggiava tra i contorni dell'ano, follemente incantato dalle struggenti reazioni che il più piccolo aveva a ogni suo movimento, anche minimo.
Bellissimo, semplicemente magnifico.
Semplicemente fragile, semplicemente angelico, semplicemente perfetto; lo ammaliava.
Leccò la sua guancia, e, mordendo il lobo del suo orecchio destro, iniziò a masturbarlo con la mano libera.
Frank spalancò la bocca, ma non uscì alcun suono, solo un debole principio di gemito, ma la voce venne immediatamente rotta dal piacere, quasi si rifiutasse a dover cercare un modo per esprimere il godimento di quegli istanti di afrodisiaco tripudio.
Gerard...
Si era staccato dalle sue labbra la sera prima, premendo una mano sul suo petto, ma lo aveva fatto solo per guardarlo negli occhi, solo per vederlo sorridere, solo per affondare nel suo volto.
Avevano riso, insieme, senza guardarsi, forse per timidezza, poi l'altro si era alzato.
Devo andare, aveva detto, il cuore pesante, il cuore che scoppiava, mio padre mi cerca, voleva parlarmi.
Anche Frank si era alzato, aveva preso il suo viso tra le mani e lo aveva baciato di nuovo, aggrappandosi a lui, proprio come stava facendo in quel momento.
Quasi se fosse stato una salvezza.
Quasi se fosse stato l'ultimo uomo sulla terra.
Quasi se fosse stato un unico uomo, il suo.
E poi lo aveva lasciato uscire dalla porta, seduto sul letto.
Aspettami domani.
Riusciva a sentire ancora adesso l'eco della sua voce, l'emozione dei loro sguardi, la febbrile attesa che li doveva aver pervasi entrambi, quella notte. Riusciva a percepire distintamente il loro innamoramento, l'intricata composizione delle loro anime intrecciate, questa volta senza regole, senza maschere, convinzioni, mentre sopra la sua schiena crollava dolcemente il getto dell'acqua calda, e il ragazzo sotto di lui fremeva convulsamente:
- H-ho bisogno di te - non appena Frank riuscì a dirlo, Gerard, nell'impeto del momento, catturò la sua bocca per l'ennesima volta, e di nuovo ci fu il silenzio, interrotto, qualche volta, dai suoni schioccanti e secchi delle loro lingue.
Durante il bacio lasciò che le dita che qualche secondo prima si allungavano dentro le sue pareti morbide, sfiorando delicatamente la sua prostata, uscissero da lui e indugiassero sul suo addome colmandolo di carezze e strette improvvise; subito dopo avvicinò il suo bacino a quello del più piccolo con movimenti teneri, pieni di delicatezza, e in pochi istanti penetrò dentro di lui con tutta la sua lunghezza dura, lasciandolo senza fiato.
L'erotismo, l'amore dell'istante della loro unione li portò quasi al culmine, tanto intenso.
Gerard buttò la testa all'indietro, sentì la pelle del suo membro tirarsi e Frank, sotto di lui, gemere forte. Con una mano raggiunse la sua bocca e la tappò, delicato.
- Ci sono le guardie fuori - mormorò, leccando il suo collo e stringendo i suoi capezzoli già turgidi tra il pollice e l'indice solo per farlo impazzire.
Iniziò a spingere avanti e indietro solo dopo essersi completamente annullato dentro di lui, il proprio petto aderente alla sua schiena tanto che si sarebbero potuti confondere per una cosa sola.
Il ragazzo corrugava le sopracciglia e spingeva con i fianchi, bisognoso, lo chiamava, godeva nel dover essere ridotto al silenzio: l'eccitazione del loro segreto era mortale, ma li colmava di adrenalina, li spingeva a volere, ad avere sempre di più, un pezzo alla volta si stremavano a vicenda finché non decidevano di oltrepassare un altro limite, in silenzio, senza che nemmeno ci fosse bisogno di dirlo ad alta voce.
Le dita di Frank graffiavano inutilmente le piastrelle della doccia, allungandosi e ritraendosi in spasmi accompagnati da melodici suoni ovattati, Gerard si limitava a sospirare e gemere nelle sue orecchie, attento a non fare troppo rumore mentre entrava e usciva da lui. La sua apertura si allargava e si restringeva ritmicamente attorno al suo pene, le gambe tremanti sembravano quasi non reggerlo più.
Con un grido soffocato, proprio quando il maggiore percepì la pelle del proprio membro tirarsi così tanto da fargli quasi male e la cappella vibrare piano nell'affondare dentro il corpo che si agitava freneticamente tra le sue mani, gli annunciò che aveva colpito la prostata. Quello sorrise, baciò i suoi capelli grondanti d'acqua e, con dolcezza, fece scivolare la mano libera verso il suo pube. Uno dei suoi pollici strofinò il glande esposto e lucido per il liquido pre-seminale che colava dalla punta; il ritmo velocizzato del battito dei loro cuori, che parevano sul punto di esplodere, lo spingeva ad andare avanti e aumentare sempre più la frequenza e la profondità delle spinte, ad interrompere, di tanto in tanto, l'avvolgimento delle proprie dita attorno al pene eretto ancora esposto all'aria per affondare le dita nelle cavità delle ossa del bacino, come piaceva a lui. Poteva vederlo sciogliersi sotto il proprio tocco, bruciare, incendiato, illuminarlo con la sua luce - gli faceva perdere la testa.
Parole e frasi bruciavano nella sua gola e vorticavano nella sua testa in attesa di essere pronunciate ad alta voce, si trattenne solo per paura, ma quel giorno non aveva avuto il tempo di costruire la sua macchina perfetta di bugie, lo scudo contro tutti i suoi sentimenti e la maschera da indossare davanti a tutti, e allo stesso tempo unicamente davanti a se stesso.
- Sì, oh, sì - dopo averlo penetrato di nuovo crollò all'improvviso sulla figura magra davanti a sé, abbandonandosi ai movimenti bruschi che sentiva provenire dalla parte più recondita e animalesca di sé. Per un attimo lasciò cadere la mano che teneva davanti alla sua bocca, troppo preso dai suoi stessi impulsi per avere la forza di contenersi, lasciando che le sue grida acute si diffondessero nell'aria liberamente.
Entrambi stavano raggiungendo l'orgasmo, sfiniti, era questione di attimi: già sentivano il familiare calore allo stomaco diffondersi verso le loro lunghezze, le gambe che urgevano di allargarsi, intrecciarsi, la velocità folle a cui si spingevano uno contro l'altro solo per sentirsi di nuovo un tutt'uno. Dopo averlo fatto gemere mentre lo masturbava ad una lentezza esasperante, Gerard coprì la sua bocca di nuovo, sorridendo:
- Shh, piccolo - lasciò un bacio sul suo zigomo - Vieni?
Frank annuì, le guance rosse e il respiro affannoso; non riusciva nemmeno a parlare, tanto era fragile e preso dalla cieca ricerca dell'apice che tanto agognava. Dalla punta del suo membro fuoriuscivano già grosse gocce di seme, sarebbe collassato nella piacevolezza del coito entro poco, così come Gerard, che colpiva la sua prostata a un ritmo che non gli lasciava nemmeno la possibilità di riprendere fiato mentre dentro di lui quello che prima era sembrato solo un tepore si trasformava in un bollore fluido e profumato di sesso.
- Chiudi gli occhi, lasciati andare, sono qui io - mormorò, tenendolo per la vita mentre godeva della vista dei suoi arti che iniziavano a tremare e contorcersi in preda al culmine della voluttà.
Iniziò a urlare il suo nome dopo una decina di secondi, mordendo le dita che, davanti alle sue labbra, gli impedivano di dare sfogo a tutto quello che stava provando.
I suoi fianchi ebbero un paio di scatti, rovesciò indietro gli occhi, abbassò le palpebre e poi venne, schizzando, su tutte le piastrelle, mentre il seme del maggiore si riversò dentro di lui in tutto il suo calore, riempiendolo interamente.
Godettero della perfetta sensazione di completezza che l'orgasmo regalava per un poco, strusciandosi languidamente l'uno sull'altro, poi quando ebbero finito, ansimanti, Gerard fece voltare Frank, il bisogno impellente di vedere quel volto davanti a sé quasi insopportabile.
Si sorrisero, poi si baciarono a stampo dolcemente, nel modo più lieve di tutti, senza alcuna pretesa.
- Vieni presto, mh? - il maggiore lo avvolse tra le proprie braccia e lavò i resti dei fluidi dell'orgasmo dal suo corpo con il getto dell'acqua che per tutto quel tempo non aveva smesso di colpirli, dolce e tiepido.
Sembrava passato solo un battito di ciglia, solo un respiro, dal loro primo sguardo quel giorno.
- Generalmente no... - ammise quello, rifugiandosi nella sua stretta e chiudendo di nuovo gli occhi, come pochi secondi prima, ma adesso come per riposarsi.
- Potrei dire lo stesso di te - aggiunse infine, strofinando le labbra sui suoi pettorali inizialmente per gioco, poi, spostando il viso di lato ed emettendo un mugolio svogliato, prese a mordicchiare i suoi capezzoli con fare casuale.
Gerard trattenne il respiro, carezzando piano una delle sue guance:
- Pensavo fossi stanco - inarcò un sopracciglio e sorrise con fare provocatorio mentre apriva una delle porte della doccia, quasi non gli stesse badando.
- Sono stanco, ma ho voglia - rispose quello semplicemente, con un risolino - Ci sono tanti tipi di sesso, e a una sessione intensa potrebbe anche seguirne una rilassante, sul letto magari... non trovi?
Entrambe la mani poggiate sui suoi addominali duri, sbatté le ciglia innocentemente.
- Sarebbe magnifico, ma prima dobbiamo asciugarci, così non bagniamo tutte le lenzuola, va bene dolcezza?
Al cenno di assenso del ragazzo, Gerard lo condusse fuori dalla doccia con gentilezza e, appena furono usciti, fece per cingergli la vita con un asciugamano bianco che aveva preso allungandosi verso uno sgabello di legno, ma subito venne fermato dalla voce chiara e limpida del suo amante:
- Non vuoi rimanere nudo?
Lo sguardo che si posò su di lui era timido, ma autentico.
Non gli stava chiedendo di mostrargli il suo corpo, ma di mostrargli se stesso. Lo terrorizzò e lo affascinò profondamente al tempo stesso, quella piccola richiesta, rimase così spiazzato che ci mise un po' ad annuire, ancora esitante, per poi rimettere la salvietta al proprio posto.
Frank intanto aveva già preso in mano il phon, un lieve rossore sparso sulle sua guance candide.
Il maggiore rimase a guardarlo per un po', mentre armeggiava con la spina e la presa dell'elettricità guardandosi allo specchio con quel fare esploratore che hanno gli adolescenti mentre si sfiorava con una mano il collo e poi le costole. Non avrebbe saputo enunciarne il perché, ma quella vista lo rendeva così felice, così appassionato - alla vita, alla vita che gli aveva permesso che il proprio destino si incrociasse con quello di una creatura tanto misteriosa.
Diciassette anni, solo diciassette anni e già era prigioniero del suo nemico.
Diciassette anni, solo diciassette anni e già suo padre lo mandava a morire tra proiettili di fuoco.
Diciassette anni, solo diciassette anni e già troppi uomini avevano attraversato la sua vita.
Gli sembrò una figura tragica, lì, mentre scrutava il suo riflesso come un normale ragazzo della sua età. Un personaggio così misterioso ed enigmatico, così incredibilmente complesso, così pieno di luci, ombre, colori, grigio, nero, bianco, rosso, blu, verde, giallo.
Era un tripudio di sfumature la cui origine comune gli era ancora sconosciuta, un'origine che anelava a scoprire più di ogni altra cosa.
Andò verso di lui lentamente, lo avvolse da dietro e iniziò a baciargli il collo con calma.
Non voleva avere fretta, adesso, non voleva correre, non voleva tornare fuori da quel loro minuscolo paradiso che avevano creato senza raccontarselo, ma con le loro più piccole azioni.
Osservò il loro ritratto nello specchio mentre gli carezzava piano le sue scapole.
Era più alto di lui, più muscoloso, lo inglobava interamente nella propria figura, sembravano così perfetti, tutto d'un tratto, fatti per stare lì insieme, a guardare l'intreccio magico dei loro sosia.
- Sei bello - lo sussurrò pianissimo, quasi senza voce, ma il più piccolo sentì ugualmente.
Stringendosi nelle spalle, increspò le labbra:
- Anche tu.
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