11 - A chance is allowed to everyone

Plus, after all this time
I should be a preatty crier

Block me out, Gracie Abrams

𝐂 𝐀 𝐓

Tra una lezione e l'altra ho due ore libere, che scelgo di trascorrere in biblioteca per mettere in ordine gli appunti. Qui regna un silenzio quasi sacro, un'atmosfera che apprezzo molto, finché il mio stomaco non rompe l'incanto con un brontolio decisamente rumoroso. Le persone attorno a me trattengono dei sorrisi divertiti, mentre io arrossisco, imbarazzata.

D'altronde, è l'una e l'ultima cosa che ho mangiato è stata a colazione, alle nove. Sistemo libri e quant'altro nello zaino, mi alzo e mi avvio verso l'uscita, scendendo poi la lunga scalinata affollata da studenti e studentesse.

Non c'è nulla che non ami di questo posto, dico davvero. Me ne sono innamorata anni fa, la prima volta che mio padre mi portò qui. Ricordo che ci fermammo solo di passaggio, diretti a una festa per i quarant'anni di un suo amico, ma già allora rimasi incantata dall'atmosfera solenne: gli edifici classici, come usciti dall'epoca greca, e i giardini verdi, ampi e curati.

Solo le mie amiche sanno quanto ho atteso l'e-mail di ammissione, aggiornando la casella postale ogni ora per quasi due mesi. La mia felicità era alle stelle quando scoprii di essere stata ammessa.

"Sono stata accettata alla Columbia University!" era ciò che mi ripetevo prima di andare a dormire.

Il mio flusso di pensieri s'interrompe nel momento in cui i miei occhi si posano su una figura in fondo alla scalinata. Mi fermo di colpo, e il sorriso che avevo fino a un attimo fa mi muore sulle labbra. Che cazzo ci fa lui qui?

Il suo sguardo è puntato su di me, motivo per il quale non posso fingere di non averlo visto e sgusciare via da questa situazione.
Cazzo.

Accorcio la distanza con passo pesante; il mio viso è una maschera di pietra, anche se traspare la mia confusione. «Da dove sbuchi fuori, esattamente?», domando con voce fredda.

Colin si inumidisce le labbra con la lingua e si massaggia la nuca, come se fosse nervoso. «Non rispondevi ai miei messaggi, quindi ho deciso di fare un salto», dice, tendendomi una busta di carta. «Per te. Cornetto caldo appena uscito dal forno. Vuoto»

Il cuore mi si stringe, perché non ha dimenticato ciò che mi piace. Incrocio le braccia al petto, ignorando il suo bel gesto e fingendo indifferenza, e analizzo le sue parole. «E' logico che non ti abbia risposto: ho bloccato il tuo contatto tempo fa»

Sembra deluso dal mio tono freddo, ma cosa si aspettava, forse i fuochi d'artificio?
«E poi, perché mi hai cercato?» domando, serrando la mascella. «Ci siamo lasciati, nel caso non te ne ricordassi».

Lui sembra quasi sorpreso. «Se ben ricordo, sei stata tu a lasciarmi. Due volte, per la precisione. La prima senza nemmeno farmi dire una parola, e la seconda... be', ho trovato il letto vuoto la mattina dopo», accusa.

«E allora?» ribatto, senza abbassare lo sguardo. «È stato solo sesso, Colin, niente di più. Ero vulnerabile, ho fatto un errore. Non c'è altro da dire.»

Lo sorpasso, per mettere un punto a questa conversazione, ma lui non ne è soddisfatto a quanto pare dato che mi segue, piazzandosi sulla mia strada. «Dici sul serio?», chiede, allibito.

«Sì, dico sul serio», sbotto, furente. «Vorresti farmi la morale? Tu? Lo stesso stronzo che si scopava un'altra mentre io non c'ero? Sei tu quello che parla di serietà, Colin?»

Talmente che sono arrabbiata sento caldo, come se stessi prendendo fuoco. Mi rendo conto di star attirando l'attenzione, che è l'ultima cosa che mi interessa, per cui faccio appello alle mie facoltà mentali e mi impongo di darmi una calmata.

«Ma non lo capisci che sto cercando di chiedere scusa?!», mi grida contro a sua volta. «Ho sempre, disperatamente, cercato di parlarti, ma tu mi hai sbarrato su ogni fronte. Ho sbagliato, lo so, va bene? Ma io...», s'interrompe e la sua voce diventa bassa, roca. «Io credevo che dopo l'ultima volta...»

Lascia la frase in sospeso, ma non c'è bisogno che aggiunga altro.

Scuoto il capo. «Ripeto, nel dubbio in cui tu sia diventato sordo: è stato un errore», gli dico di nuovo, tagliente. «E le tue scuse puoi ficcartele su per il culo». Gli punto un dito contro il petto mentre il nodo in gola si fa più stretto. «Non cancelleranno quello che mi hai fatto passare. Non potrò mai, e dico mai, perdonarti». La mia voce s'incrina appena. «Se è questo il motivo della tua visita, credimi, hai frainteso tutto. Non esisterà mai più un "noi". Non lo vedi? Non funzioniamo più. Eravamo speciali, ma tu hai distrutto tutto. E per cosa, poi?»
Questa domanda mi tormenta da sempre, ma non gliel'ho mai posta prima. «Ero troppo poco? Non ti piacevo più? Era il mio carattere, o il mio corpo? Ti mancava qualcosa? Dimmelo, perché vivere con questa spada di Damocle è un tormento. Almeno questo me lo devi»

Senza una parola, Colin lascia la busta col cornetto su un muretto, e con entrambe le mani cerca il mio viso. Indietreggio d'istinto, come se il suo tocco mi bruciasse. Non cederò ancora.

«Cat...». La sua voce si spezza e, nel guardarlo, noto nei suoi occhi castani un velo di pentimento che si scontra con la tristezza nei miei.

Lo spintono, smuovendolo di poco. «Rispondimi, cazzo!», lo imploro. Lo afferro per la giacca di pelle e il suo odore si fa spazio nei miei polmoni. «Dimmi dove ho sbagliato io»

Colin mi guarda, fermo come una statua. Resto impassibile, con le dita ancora serrate sulla sua giacca, in attesa di una risposta. «Non è mai stato per colpa tua,» sussurra alla fine. «Non sei mai stata troppo poco, Cat. Sei sempre stata... tutto per me.»

Serro i pugni e reprimo la voglia di scagliarne uno dritto sul suo bel viso. «Bugiardo», ringhio a denti stretti. «Anche tu eri tutto per me, eppure non ho fatto ciò che hai fatto tu!»

Chi ama non ferisce.

Cerca il contatto fisico e prova ad afferrarmi i polsi, ma mi ritraggo prima che possa anche solo sfiorarmi. Lui si passa una mano sul viso, un gesto stanco. «Non c'è una risposta semplice. È stato un momento... un momento in cui non ero in me. Ero ubriaco, e ho fatto una delle cose più stupide che potessi fare. Ma giuro-»

«La frequentavi da mesi!», lo riprendo. «Se è come dici, e hai commesso lo stesso errore con la stessa persona per più sere di fila, allora non sei solo uno schifoso traditore, ma sei pure stupido, lasciatelo dire.»

Lo guardo, col cuore in pezzi, chiedendomi come tutto possa essere diventato così difficile, come l'amore possa tramutarsi in un labirinto senza uscita. Sento il dolore scorrere in me, un dolore che è allo stesso tempo rabbia e nostalgia, e so che non posso lasciarlo entrare di nuovo nella mia vita.

«Non posso più fare questo, Colin», gli dico, con la voce che trema, ma ferma. «Non posso continuare a vivere con quest'ombra dietro di me...». Respiro a fondo, lasciando che le parole arrivino senza esitazione. «Ti ho amato, e tanto, ma ora quel sentimento è svanito e l'unica cosa che voglio è andare avanti»

Mi fa stare solo male e io non voglio questo. Chi mai lo vorrebbe?

Colin resta immobile davanti a me, come se le mie parole fossero un peso che non riesce a sostenere. «So che è colpa mia,» mormora. «So di aver distrutto ogni possibilità, e ora è troppo tardi per cercare di rimediare. Ma credimi, Cat, vorrei poter tornare indietro. Vorrei poter cancellare ogni errore.»

Già, sarebbe più facile per tutti. Tiro su col naso e passo il pollice sotto gli occhi. «Non possiamo tornare indietro,» rispondo piano. «Motivo per il quale ti chiedo di lasciarmi perdere, Colin. Se ci tieni ancora un po', lasciami andare»

Magari è vero, prova ancora dei sentimenti per me, questo non posso saperlo. Ma il mio amor proprio mi impedisce di scusarlo, sarei bugiarda se lo facessi. 

Serra i pugni e la mascella, rifiutandosi di accettare il fatto che non si può salvare più nulla. Abbassa il capo, sconfitto, e si passa una mano fra le ciocche scure. Evita il contatto visivo e annuisce guardando un punto impreciso nel vuoto. «Va bene», dice in fine con voce bassa e profonda, tanto da lasciarmi pensare che sia incrinata.

Incrocio le braccia al petto, stanca e distrutta per l'ennesima volta da questa storia.

Recupera il sacchetto con il croissant e me lo porge. «Almeno ti resterà questo come ultimo ricordo di noi».

Riluttante, allungo una mano e afferro il sacchetto, le dita che sfiorano le sue per un breve istante. Ci fissiamo, e il suo sguardo, carico di rimpianto, mi disarma completamente. Incrocio i suoi occhi castani un'ultima volta prima che prenda coraggio e mi volti le spalle, camminando a grandi falcate per scomparire dietro l'angolo e lasciandomi con un nodo alla gola.

Stringo il sacchetto come se contenesse molto più di un semplice croissant anche se, per coerenza, dovrei disfarmene, ma non ci riesco.

Provo a camminare, riprendendo la mia strada, ma ho le gambe così molli che temo possano cedere sotto il mio stesso peso.

È stato un vero addio questo, quindi. Colin Mitchell se n'è andato per sempre. Qualche lacrima sfugge al mio controllo e mi riga lungo il viso, mordicchio le labbra secche, dovute al freddo che ottobre porta in città, e avverto il sapore metallico del sangue sulla punta della lingua.

In questo momento avrei proprio bisogno di uno degli abbracci di Amy perché – cazzo – mi sento proprio a pezzi.

Forse qualcuno ascolta i miei desideri, ma purtroppo non è la mia migliore amica quella che si siede al mio fianco. «Ehi, Cat, che hai?», mi domanda Wren, preoccupato.

Sbatto le palpebre e trattengo i singhiozzi che vorrei soffocare nel mio cuscino. Mi sento una cogliona a piangere per un ragazzo che mi ha ferito.

Scuoto la testa, non volendo parlarle, e borbotto un semplice: «Niente».

«Non dire bugie, si vede che ti è capitato qualcosa», sostiene. Lo osservo armeggiare con il suo zaino per poi tirare fuori dal taschino un pacchetto di fazzoletti. Lo schiude e me lo porge, e io non rifiuto. Asciugo il viso e lo appallottolo nel palmo della mia mano. Per fortuna che stamattina, per la fretta, ho scordato di truccarmi. Almeno non ho fiotti di mascara che mi colano sulle guance.

«So che, tra i due, sei tu quella che studia psicologia, ma... hai voglia di parlare?», tenta lui.

Il dialogo è uno strumento fondamentale in psicologia. Lo stesso Freud la definiva come "cura parlata" e, da definizione, è basata sull'assunto che è possibile risolvere un problema parlando con un'altra persona.

Fisso il sacchetto di carta sulle mie ginocchia, ripensando all'ultimo quarto d'ora. «Il mio ex ragazzo... lui... è venuto fin qui perché voleva una seconda possibilità. La situazione è un po' complicata, ma ci siamo lasciati prima che cominciassi il college perché... be', perché mi aveva tradita con un'altra ragazza», gli spiego brevemente.

«Oh», gli esce dalle labbra.

Già. Oh.

Tiro su col naso. «Scusa, forse non avrei dovuto dirtelo...»

«No, no», mi blocca. «E' solo che... wow, è davvero complicato». Scuote la testa divertito per provare a smorzare la tensione.

Inclino il capo verso di lui e lo guardo con aria stanca. «Lei che è un futuro cardiochirurgo, ha qualche rimedio per un cuore a pezzi, dottor Smith?»

Una sua mano si posa piano sulla mia, che invece stringe saldamente il bordo della panchina, e quel contatto innesca un rapido irrigidimento in tutto il mio corpo.

D'un tratto la situazione cambia e la sua espressione anche. Deglutisce visibilmente prima di aprire bocca. «A dire il vero una soluzione ce l'avrei in mente», mormora, leggermente in imbarazzo. Le gote arrossate non fanno altro che risaltare le forme armoniose del suo viso, totalmente diverse dalle linee definite e i tratti spigolosi di qualcun altro.

Mi viene in mente quell'idiota di Shane, che insulterebbe sarcasticamente Colin e, nonostante la situazione, alzo un angolo delle labbra.

«...e quindi, sì, insomma, mi chiedevo questo»

Solo ad una certa mi rendo conto che Wren stava parlando. «Mh? Come, scusa? Mi... mi sono distratta un momento, scusa»

Distratta a pensare a Shane Foster, mi rimbecca la vocina nella mia testa.

Avverto il calore fino alla punta delle mie orecchie, ma fingo che non sia accaduto e riporto la mia attenzione a Wren.

«Be', ti... ti avevo chiesto – anche se mi rendo conto che forse non è il momento adatto – se... volessi uscire insieme, ecco», spara fuori tutto d'un fiato. Si schiarisce la voce e aggiunge: «Nel senso che potremmo parlare di questo venerdì sera, a cena. Volevo proportelo da un po', a dire il vero. Capisco però se non te la senti, ma... volevo che sapessi che io ci sono, se serve».

O mio Dio, e io come me ne tiro fuori?

Nemmeno dieci minuti fa ho chiuso definitivamente con Colin e ora Wren, così dolce e gentile con me, mi chiede di uscire insieme. Dirgli di no mi farebbe sentire profondamente in colpa, ma d'altro canto potrei concedergli una possibilità.

«Intendi dire... un appuntamento vero?», gli domando, ancora scossa.

Annuisce. «Sì. Un appuntamento, tu e io come... qualcosa di più dell'amicizia», afferma con decisione.

Storco il naso e rifletto su quando Schopenhauer diceva: "Il destino mescola le carte e noi giochiamo".

Qual è la mia mossa, per questo turno? Accettare o tirarmi indietro?

In fondo, lui non è come Colin. E, se vuole uscire con me, significa che gli piaccio?

Mettiti al primo posto per una volta, consiglio a me stessa. Sono stata sempre io quella che ci teneva di più, posso concedermi anch'io le premure da parte di qualcun altro?

Guardo Wren, e un accenno di sorriso mi sfiora le labbra. «Certo, mi... mi piace l'idea», mormoro in risposta, anche se una parte di me non è del tutto convinta di ciò che sto combinando.

Sul suo volto si stende un largo sorriso e segue un lungo minuto di silenzio prima che chieda: «Vuoi un passaggio a casa?»

Non c'è neanche bisogno di chiederlo. Non vedo l'ora di fare una bella doccia calda, mettermi sotto le coperte e guardare il mio film preferito per migliorare l'umore.

༄.✩*

Spazio Autrice🌟

Rinasco come Cristo, però una volta al mese ;)
A questo punto mi domando quanto mi ci vorrà per concludere la storia (visto che mancano altri 36 capitoli 🤓)

Spero vi sia piaciuto, ma apprezzerete di più i prossimi due💅.

IG: rose.miller___

Un bacio <3.

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