Capitolo 4: Say Yes... or Call Me Maybe
📻 Just Like Heaven, The Cure
𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝟺:
𝚂𝚊𝚢 𝚈𝚎𝚜... 𝚘𝚛 𝙲𝚊𝚕𝚕 𝙼𝚎 𝙼𝚊𝚢𝚋𝚎
Taehyung spense il motore dell'auto e si lasciò andare contro lo schienale, sospirando. Le dita tamburellavano distrattamente sul volante, seguendo il ritmo languido di una vecchia ballad anni Novanta che la radio diffondeva a basso volume. L'abitacolo era avvolto in un silenzio ovattato, interrotto solo dalla musica e dal suono lontano dei clacson che riecheggiavano nella strada.
Oltre il parabrezza, Seul si tingeva di toni autunnali: foglie rosse e dorate formavano mosaici colorati sui marciapiedi, ancora bagnati dalla leggera pioggerella di quel pomeriggio. L'aria era fresca e umida, profumata di terra bagnata, e il cielo grigio prometteva una serata piovosa.
L'orologio del cruscotto segnava le sette meno dieci. Taehyung era arrivato con largo anticipo alla scuola di danza, un evento raro nella sua routine frenetica. Il pomeriggio, stranamente tranquillo, gli aveva offerto un'insolita finestra di libertà. Niente appuntamenti in agenda, niente udienze, nessuna emergenza da gestire. Per una volta, era uscito dall'ufficio senza fretta, dirigendosi direttamente lì.
Eppure, mentre guardava distrattamente le ombre allungate delle persone che passavano sul marciapiede, sentiva che qualcosa lo tratteneva.
Avrebbe potuto impiegare quel tempo in mille modi diversi: incontrare Jimin per una chiacchierata, andare dal barbiere per un taglio, comprare un nuovo cappotto in centro. Eppure, si ritrovava lì, parcheggiato davanti alla scuola di danza, come spinto da un impulso irrazionale che non riusciva a decifrare del tutto.
O forse, più semplicemente, non desiderava fare nient'altro.
Il suo pensiero tornò a Jeongguk.
Negli ultimi giorni aveva pensato a quel ragazzo diverse volte, quasi inconsciamente, nei brevi momenti in cui si perdeva nei suoi pensieri. Durante la giornata gli capitava di porsi delle domande sul suo conto, tra un appuntamento e l'altro, mentre preparava la cena, o quando si concedeva qualche minuto in solitudine sul divano dopo che Nabi era andata a letto. Era un comportamento tanto assurdo quanto inusuale per lui, perché di solito non era abituato a interrogarsi così tanto su una persona, a volerla comprendere meglio, a volerne sapere di più.
Anche in quel preciso istante, si stava comportando in modo del tutto estraneo alla sua natura. Taehyung era sempre stato un uomo di polso, pragmatico e razionale, abituato a prendere decisioni rapide e ponderate. E invece ora se ne stava lì, seduto in macchina, a rimuginare come un ragazzino insicuro, senza decidersi a entrare.
Scosse leggermente la testa, cercando di ricomporsi.
Cristo Santo, Kim Taehyung, datti un tono. Sembri il protagonista di una cazzo di commedia romantica, pensò con un lungo sospiro.
Si guardò brevemente nello specchietto retrovisore per sistemarsi i capelli, leggermente inumiditi e ondulati dalla pioggia. Poi afferrò l'ombrello dal sedile posteriore e uscì dall'auto.
Una volta dentro la scuola, il calore dell'edificio lo avvolse, facendolo rabbrividire per il contrasto caldo-freddo. L'atrio della scuola era ancora semivuoto: tutti gli allievi erano a lezione e nella sala d'attesa c'erano solo un paio di genitori con le teste chine sui cellulari.
Taehyung avanzò verso la reception, dove la segretaria era intenta a fissare il monitor del computer con un'aria che oscillava tra la noia e l'abitudine.
«Salve, sono Kim Taehyung. Il papà di Nabi», disse garbatamente, per attirare la sua attenzione.
La segretaria alzò lo sguardo dal computer e fece l'espressione di chi ha appena visto un UFO. La matita che teneva in mano le scivolò goffamente dalle dita e schiuse leggermente la bocca. Doveva essere anche lei sulla trentina, aveva i capelli castani raccolti in una coda e un'espressione stanca. Si sistemò gli occhiali rotondi sul naso con un gesto rapido, ma le guance si erano già tinte di un rosso evidente.
«Oh, sì, certo, signor Kim, mi dica...» balbettò, cercando di mantenere una certa professionalità ma tradendo un leggero tremolio nella voce.
Taehyung si grattò la nuca, un po' in imbarazzo. Con il completo scuro perfettamente stirato e gli occhiali da vista neri che aveva dimenticato di togliere, doveva sembrare tutto tranne che il simpatico e amichevole genitore di una bimba. Probabilmente sembrava più freddo e inamovibile di un iceberg. Forse è per questo che metto a disagio le persone, pensò. Grazie a Dio, almeno oggi non indosso la cravatta.
«Mi scusi se disturbo», iniziò, cercando di mantenere un tono più affabile, «volevo solo sapere se posso dare un'occhiata alla sala di hip hop. È la seconda lezione di Nabi e vorrei vedere come si trova in questo nuovo ambiente. Se non disturbo, ovviamente.»
La segretaria si affrettò a rassicurarlo, agitando una mano come per scacciare ogni dubbio. «Oh, no, no, nessun disturbo! Certo che può. La sala è proprio in fondo al corridoio, a sinistra. Posso accompagnarla, se vuole.»
«Grazie, ma non si disturbi. Credo di ricordare dove si trova.» Taehyung abbozzò un sorriso gentile e si chinò leggermente in un cenno di ringraziamento.
La donna si sistemò la collana, ancora paonazza. «Bene, allora... se ha bisogno, sono qui.»
«Grazie ancora.»
Taehyung si voltò per dirigersi verso il corridoio, le scarpe eleganti che scricchiolavano sul parquet. Con la guida del ritmo sommesso di una musica rap old school e delle voci squillanti dei bambini, raggiunse la sala di hip-hop.
Si fermò sull'uscio, appoggiandosi allo stipite della porta vetrata e sbirciando all'interno. I suoi occhi trovarono immediatamente i capelli arruffati di Nabi. Era in prima fila, sudata ed energica, con un'espressione che era un misto di concentrazione e determinazione. I suoi occhi erano fissi sulla figura alta davanti a lei.
Jeongguk.
Era al centro della sala, circondato dai bambini, e si muoveva con una potenza e una grazia che era inconcepibile appartenessero alla stessa persona. Ogni movimento era fluido e al contempo preciso, come se avesse il pieno controllo di ogni singolo muscolo del suo corpo. Indossava un'ampia tuta grigia con stampe caotiche e un paio di spesse scarpe da ginnastica. I suoi capelli scuri, leggermente spettinati, stavolta erano coperti dal cappuccio sollevato della felpa.
Tutto in lui gridava libertà.
Quando un bambino sbagliava un passo, Jeongguk gli si avvicinava con un sorriso rassicurante e ripeteva il movimento con una calma infinita, senza mai risultare condiscendente. La sua gentilezza era disarmante, e il suo entusiasmo contagioso. Ogni richiesta trovava in lui una risposta piena di calore, e ogni piccolo successo dei bambini veniva celebrato con un applauso o un'esclamazione di incoraggiamento. Ma ciò che colpì di più Taehyung era il modo sincero e autentico con cui interagiva con loro: si metteva al loro livello, facendoli sentire importanti e ascoltati.
«Ecco, così! Dammi il cinque! Questa è l'energia che voglio vedere!» esclamò, con un sorriso capace di illuminare la stanza.
Taehyung non riusciva a distogliere lo sguardo. Era come osservare un mondo diametralmente opposto al suo, ma che lo affascinava e lo attirava a sé con forza. Jeongguk non era solo un ballerino eccezionale: era un insegnante attento, premuroso, capace di creare un ambiente in cui ogni bambino si sentiva accolto e valorizzato. E in quel momento, Taehyung provò una profonda gratitudine per il fatto che sua figlia ne facesse parte.
All'improvviso, Jeongguk alzò lo sguardo, i suoi occhi incontrarono quelli di Taehyung, e il tempo parve rallentare. Per un istante, si scrutarono in silenzio, come se il resto del mondo fosse scomparso. Poi Jeongguk sorrise, un sorriso aperto e sincero, e tornò a rivolgersi ai bambini.
«Ok, ragazzi, ripetete la coreografia un'altra volta. Poi proviamo tutti insieme con la musica!» esclamò.
Dopo aver dato le istruzioni, lasciò i bambini a esercitarsi e si avviò verso la porta. Con un gesto disinvolto, uscì dalla sala, lasciandosi alle spalle il leggero clic della porta che si chiudeva.
«Taehyung», lo salutò con tono calmo e accogliente, ancora col fiato un po' corto. «Sei in anticipo.»
Taehyung abbozzò un sorriso. «Volevo dare un'occhiata. Nabi sembra divertirsi molto.»
Jeongguk annuì, volgendo lo sguardo verso la sala. «È incredibilmente determinata. Si impegna più di molti altri, anche più grandi di lei.»
Taehyung ridacchiò. «Sì, anche a scuola è lo stesso. Dà il massimo in tutto ciò che fa.» Lanciò un'occhiata a Nabi attraverso il vetro, che però era troppo concentrata a ripetere i passi con i suoi compagni per notarlo.
«Deve aver preso da te», disse Jeongguk, appoggiandosi con le spalle al muro.
Taehyung fece una smorfia scettica. «Non saprei. Io sono più pacato e metodico, Nabi invece è un concentrato di energia.»
Jeongguk gli sorrise. «È davvero una bambina speciale.»
«Lo so», replicò Taehyung, con una punta di orgoglio nella voce. «Mi insegna qualcosa di nuovo ogni giorno.»
Jeongguk lo osservò in silenzio per un istante. Poi, inclinando leggermente la testa, chiese: «Posso farti una domanda?»
«Certo, dimmi.»
Jeongguk esitò per un attimo, mordicchiandosi l'interno della guancia, come se stesse scegliendo con attenzione le parole. «Sei sempre tu ad accompagnarla e a venirla a prendere. Non ti ho mai visto con nessun altro... Ti occupi di tutto da solo?»
La domanda era piuttosto diretta, come d'altronde lo erano i modi di quel ragazzo, ma Taehyung non vi lesse alcun tono di giudizio. Era più... una genuina curiosità.
Taehyung sbatté le palpebre, colto alla sprovvista, e per un momento non seppe cosa rispondere. Poi, dopo una breve pausa, rispose con cautela: «Sì, sono solo io. Da quando...», si schiarì la gola, «da quando ho divorziato.»
Jeongguk annuì lentamente, stringendo leggermente le labbra, ma rimase in silenzio. Avrebbe potuto essere un momento imbarazzante per entrambi, eppure il silenzio che seguì non lo fu affatto. Anzi, era denso di una tacita comprensione. Dopo un istante, Jeongguk riprese a parlare.
«Dev'essere impegnativo», disse con voce calda e sincera. «Gestire tutto da solo: lavoro, casa, una figlia... Trovi mai un momento per te stesso?»
Taehyung accennò una risata, un suono rassegnato e quasi amaro. «Non ho molto tempo per pensarci. Il lavoro è impegnativo e Nabi ha la priorità assoluta. Il resto... passa in secondo piano», mormorò.
Vennero interrotti dal vociare di alcuni adolescenti che passarono accanto al loro lungo il corridoio, e Jeongguk ne approfittò per cambiare argomento con delicatezza, stemperando l'atmosfera. «A proposito di Nabi, pensavo che sarebbe utile scambiarci i numeri di telefono. Per eventuali comunicazioni o emergenze.»
«Certo», rispose Taehyung, prendendo il cellulare.
Mentre si scambiavano i contatti, Jeongguk continuò la conversazione con naturalezza. «Che lavoro fai, Taehyung?»
«Sono un avvocato», rispose lui, senza pensarci troppo.
Un'espressione di curiosità illuminò il volto di Jeongguk, che annuì lentamente, come se quella risposta confermasse una sua intuizione. «Me lo immaginavo.»
«Davvero? Cosa te lo faceva pensare?» chiese Taehyung, sorpreso.
Jeongguk scrollò le spalle con un sorriso. «Non lo so. Forse il tuo modo di parlare. Sembri una persona molto misurata, che ha sempre tutto sotto controllo», disse.
Taehyung sollevò un sopracciglio. «Non so se prenderlo come un complimento.»
Jeongguk ridacchiò. «È solo che mi chiedevo... non ti pesa? Sforzarti di avere sempre il controllo di tutto, intendo», disse poi con voce più morbida.
«Certo che sì», ammise Taehyung, abbassando lo sguardo per un attimo. «Ma è la mia vita. Il mio lavoro. È quello che so fare.»
Jeongguk lo osservò attentamente, con un'espressione seria ma non inquisitoria. «E lo fai perché ti piace o perché devi farlo?»
Taehyung aprì la bocca e poi la richiuse. Non sapeva cosa rispondere. Stava parlando con questo ragazzo da meno di cinque minuti e già era rimasto senza parole due volte. «Lo faccio perché sono bravo. E perché è un lavoro stabile. Ma non direi che lo amo», disse alla fine, irrigidendosi appena.
Jeongguk annuì, come se si aspettasse quella risposta. Poi, con una calma disarmante, chiese: «E c'è qualcosa che ti appassiona? Qualcosa che fai solo per te, per il puro piacere di farlo?»
Taehyung esitò, accigliandosi. «Non... non lo so.» Il tono era onesto, quasi incerto. «Da quando c'è Nabi, tutto ruota intorno a lei. Non mi sono mai fermato a pensarci.»
«Capisco», mormorò infine, con una voce che sembrava più un pensiero pronunciato ad alta voce che una risposta, ma non distolse lo sguardo dal suo.
Lo stava giudicando? Qualcosa nei suoi occhi gli suggeriva di no, eppure Taehyung si sentì di nuovo messo alle strette da quel ragazzo.
Le parole rimasero sospese nell'aria, librandosi tra loro in un silenzio teso.
Lo sguardo di Jeongguk rimase fisso in quello di Taehyung per qualche secondo, come se cercasse di scavarvi dentro. «A volte non è solo questione di trovare il tempo. È questione di concederselo.»
Taehyung annuì impercettibilmente, distogliendo lo sguardo come a volersi sottrarre da quella strana tensione che si era creata tra loro. «E tu? Fai altro a parte... questo?» chiese, indicando con un cenno del capo la sala prove, nel tentativo di spostare l'attenzione su Jeongguk e allontanarla da sé stesso.
Jeongguk scrollò le spalle, con un sorriso disinvolto. «A me piace ballare. Anzi, direi che è più una sorta di necessità per me. È il mio modo per ricordarmi chi sono, per restare in equilibrio anche quando la terra sembra crollarmi sotto ai piedi», disse, annuendo leggermente, come se fosse immerso nei suoi pensieri. «Ma... sì, cerco di prendermi cura anche di me stesso ogni tanto. Anche se non sempre ci riesco», aggiunse alla fine con voce più bassa, rabbuiandosi un po'.
Poi, come se fosse tornato in sé, il suo sguardo si illuminò di nuovo. «Comunque, oltre a insegnare ai bambini, do anche lezioni private per adulti. Se mai... ti venisse voglia di provare», aggiunse con una leggera esitazione che sembrava quasi fuori posto, in netto contrasto con il suo solito modo di parlare deciso e senza filtri.
Taehyung lo guardò con le sopracciglia sollevate, visibilmente sorpreso. Poi scoppiò a ridere. «No, non credo proprio di essere portato. Non ho mai ballato, a parte in qualche club ai tempi dell'università... Cioè, molto tempo fa», disse, con un sorriso divertito e un po' di imbarazzo al ricordo. «Però, quello non conta, perché di solito mi muovevo solo grazie al gin tonic. Altrimenti, ero un pezzo di legno.»
Jeongguk scoppiò a ridere, un suono leggero e arioso che riempì il corridoio, come il suono di campanelle che tintinnano. «E invece conta! L'alcol elimina parecchi freni inibitori. Partiamo già da un'ottima base», rispose con un sorriso genuino. I suoi occhi brillavano di un interesse palpabile mentre guardava Taehyung. «E poi, come dicevo, non si tratta di essere portati. Si tratta di lasciarsi andare, di trovare una connessione con la musica e il proprio corpo.»
Taehyung si passò una mano tra i capelli, visibilmente in difficoltà. «Non lo so, Jeongguk. Mi sembra... fuori dalla mia portata. Non sono una persona molto... espressiva, ecco», disse in tono incerto e un po' esitante.
Jeongguk, però, non si lasciò scalfire dalla sua risposta. «Forse è proprio per questo che dovresti provare», ribatté, scostandosi dal muro e avvicinandosi di un passo. Fu un movimento appena percettibile, ma sufficiente ad accorciare la distanza tra loro e a mandare in panne il cervello di Taehyung. «A volte, le cose che ci spaventano di più sono quelle che ci offrono le maggiori opportunità di crescita. Di scoperta di sé.»
Gli occhi di Jeongguk erano fissi su di lui, pieni di una pacata persuasione che però non sfociava mai in qualcosa di forzato. «E poi... non è detto che l'espressività debba essere qualcosa di esibito. Può essere anche qualcosa di intimo, di personale. Qualcosa che si vive dentro, che si libera piano piano.»
Taehyung sentì un leggero calore salirgli alle guance. Non era abituato a conversazioni così personali, men che meno con qualcuno che conosceva appena. Aveva sempre mantenuto una distanza di sicurezza con le persone, soprattutto da quando la sua ex moglie lo aveva lasciato solo e con una bambina da crescere. Eppure, con Jeongguk era diverso.
Non riusciva a spiegarsi perché non avesse già troncato quel discorso, come faceva di solito quando qualcosa lo metteva a disagio. C'era qualcosa in Jeongguk che scivolava oltre le sue barriere con una naturalezza disarmante, come il vento che trova un varco invisibile e si insinua silenzioso attraverso una fessura appena aperta.
E poi, diamine, quel ragazzo era profondo. Era intelligente, in un modo che non ti aspetti, e non perché Taehyung fosse uno di quegli uomini rigidi che credono che tutti i giovani manchino di intelletto e spessore morale, ma perché Jeongguk era... diverso. Non era il tipo che si perdeva in parole vuote o che cercava di impressionare con concetti sterili. No, Jeongguk era uno di quelli a cui bastava dire una parola per farti riflettere, che ti costringevano a rivedere le tue certezze senza nemmeno accorgertene. Non c'era nulla di banale in lui, né nel modo in cui si esprimeva, né nel modo in cui viveva, e forse proprio per questo Taehyung si ritrovò di nuovo a scrutare i suoi occhi con una curiosità che non riusciva a contenere.
«Che intendi?» chiese dopo qualche secondo, la voce che tradiva una leggera titubanza mentre cercava di mantenere un tono neutro e impassibile.
Lo sguardo di Jeongguk vagò per un istante sul viso di Taehyung, fermandosi sulle sue labbra, prima di tornare sui suoi occhi. Fu un gesto rapido, quasi involontario, ma che non sfuggì all'attenzione di Taehyung, facendolo sentire stranamente a disagio, ma anche osservato. No, più di questo. Per una frazione di secondo, Taehyung si sentì quasi... desiderato.
«Ballare può essere un modo per dare spazio a emozioni che altrimenti rimarrebbero inespresse. Per liberare energie che non sapevi di avere. Felicità, ansia, tristezza, vergogna... tutto. E farlo in un ambiente sicuro e non giudicante può essere sorprendentemente liberatorio», disse Jeongguk, con un tono che fece dubitare a Taehyung che stessero ancora parlando di danza.
Taehyung distolse immediatamente lo sguardo, sentendosi improvvisamente consapevole di quanto fossero vicini. «Non saprei», mormorò, più a sé stesso che a Jeongguk, cercando di nascondere il suo disagio. «Non avrei comunque il tempo—»
«Do lezioni individuali nel weekend. Sai, per andare incontro alle esigenze lavorative di tutti», lo interruppe Jeongguk con un sorrisetto.
Taehyung si voltò di nuovo verso di lui, con un'espressione accigliata. «E non ti scoccia lavorare nel weekend?»
Lui scosse la testa. «No, mi piace il mio lavoro. E comunque il sabato e la domenica do lezioni solo per una o due ore, la mattina.»
Taehyung rifletté per un momento, facendo qualche calcolo mentale. «Non dai lezioni private a molti, quindi...» disse, più come una constatazione che una domanda.
Jeongguk annuì lentamente, come se stesse valutando le parole giuste da usare. «In realtà, no. Di solito, sono io a propormi se la persona che ho davanti mi ispira fiducia, perché le mie lezioni private non rientrano più tra i corsi attivi della scuola.» Poi, con una voce più bassa che tradiva una certa esitazione, aggiunse: «Diciamo che in passato ho avuto... brutte esperienze.»
Taehyung aggrottò le sopracciglia. «Brutte esperienze tipo?»
Jeongguk si infilò le mani nelle tasche della tuta, in un gesto nervoso. «Tipo mamme che mi chiedevano lezioni private con scopi ben diversi da quello di imparare a ballare», disse, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe. «Si sono creati fraintendimenti e situazioni spiacevoli con i mariti, e da allora ho preferito rimuovere le lezioni individuali dai corsi attivi della scuola.»
Taehyung si irrigidì. Qualcosa nel tono di Jeongguk, quasi mortificato, gli fece provare un moto istintivo di rabbia per quelle persone che neppure conosceva, ma per le quali provò immediatamente un sentimento di disprezzo.
Agì senza riflettere. Sollevò la mano e la posò sulla spalla di Jeongguk, stringendola appena in un gesto di conforto. «Mi dispiace... dev'essere stato imbarazzante per te», mormorò, con voce più morbida di quanto volesse.
Jeongguk alzò lo sguardo, fissandolo con quegli occhi grandi e intensi. Taehyung notò distintamente il momento in cui Jeongguk trattenne il fiato, come se quel semplice contatto fisico tra di loro lo avesse scottato. Solo allora, rendendosi conto del proprio gesto, Taehyung fece scivolare la mano via con un movimento goffo, come se fosse stato improvvisamente sorpreso a fare qualcosa di inappropriato.
Jeongguk si ricompose rapidamente, distogliendo lo sguardo. «Un po'», ammise, con un sorriso forzato. «Le persone tendono a giudicarmi solo per il mio aspetto. Si fanno idee su di me che non hanno niente a che vedere con chi sono davvero. Non sono uno da... relazioni occasionali, ma sembra che tutti cerchino solo quello da me.»
Quelle parole, pronunciate con una naturalezza che mascherava una profonda amarezza, colpirono Taehyung più di quanto si aspettasse. Un peso gli si insinuò nel petto, un miscuglio di empatia e un impulso quasi incontrollabile di protezione. Inspirò lentamente, cercando le parole giuste, e infine parlò.
«Sai, Jeongguk», iniziò con voce tranquilla, «spesso siamo noi a dover pagare il prezzo per i fraintendimenti degli altri, per aspettative che non hanno nulla a che fare con chi siamo realmente. È... ingiusto, ma è così.»
Jeongguk lo guardava, con la testa leggermente inclinata e gli occhi scuri fissi su di lui, attenti.
Taehyung abbassò lo sguardo per un momento, come a raccogliere i pensieri, poi lo sollevò di nuovo. «Ma la forza che ci vuole per restare fedeli a sé stessi, per non lasciarsi sopraffare dalle opinioni superficiali della gente... quello è qualcosa di raro e prezioso. È una forza che non tutti hanno. E tu, da quello che vedo, sembri possederla.»
Jeongguk sembrava voler dire qualcosa, ma rimase in silenzio, come se quelle parole lo avessero lasciato senza fiato.
«Non hai nulla di cui essere imbarazzato, credimi», disse infine Taehyung, con voce ferma ma gentile. «E non permettere che il giudizio degli altri ti definisca. Alla fine, le persone che davvero ti conoscono e ti apprezzano sono quelle che vedono chi sei nel profondo, e quelle sono le uniche che contano davvero.»
Jeongguk rimase in silenzio per un momento, assorbendo le parole di Taehyung. Un sorriso timido gli sfiorò le labbra, mentre nei suoi occhi brillava una gratitudine sincera. «Grazie, Taehyung. E... scusami, non so nemmeno perché ti abbia detto tutte queste cose», disse, abbassando lo sguardo e giocherellando distrattamente con il bordo della felpa. Poi, dopo un respiro profondo, alzò nuovamente lo sguardo, incontrando gli occhi di Taehyung. «È facile parlare con te...» mormorò con voce calda, quasi un sussurro. «Forse perché sei un avvocato», aggiunse, lasciandosi sfuggire una risata imbarazzata.
Taehyung inclinò appena il capo, divertito dal commento, e ricambiò il sorriso, questa volta più rilassato. «Probabile.»
Il silenzio che calò tra loro venne improvvisamente interrotto dalla voce di alcuni bambini che chiamavano a gran voce Jeongguk dalla sala. «Maestro Guk! Ci fai rivedere il passo di Superman!?»
Jeongguk si voltò appena verso la porta, poi sorrise a Taehyung con uno sguardo di scuse. «Devo tornare dentro», disse, inclinando leggermente la testa. «Allora ci pensi?»
Taehyung sbatté le palpebre. «A cosa?»
Jeongguk rise piano, una risata leggera che sembrò stemperare per un istante la tensione tra loro. «Alle lezioni di ballo.» Si fermò un attimo, guardando Taehyung con un'espressione a metà tra il serio e il divertito. «Non devi decidere ora», aggiunse poi con un tono più dolce. «Solo... pensaci. E se ti va, possiamo fare una lezione di prova. Senza impegno, solo per vedere come ti senti. Per capire se...» Si fermò un attimo, mentre il suo sorriso diventava un po' più esitante. «...se c'è affinità.»
Taehyung si pietrificò. I suoi occhi si posarono su Jeongguk con un'attenzione nuova, come se stesse cercando di decifrare le sue parole. «Affinità?» ripeté con cautela.
«Sì», rispose Jeongguk, abbozzando un sorriso. A Taehyung sembrò di intravedere un leggero rossore sulle sue guance. «Tra te e la danza... e tra noi due. Per come la vedo io, l'affinità tra insegnante e allievo è essenziale. È una connessione mentale.» Fece una leggera pausa, come a ponderare il peso di ciò che stava per dire. «Pensaci. Magari potrebbe piacerti», aggiunse poi, quasi in un sussurro.
Taehyung sentì il cuore perdere un battito e lo maledisse internamente. «Ci penserò», disse infine, con un tono lievemente rigido, posando lo sguardo su Jeongguk solo per un istante prima di distoglierlo.
«Perfetto», disse Jeongguk, con il sorriso che si allargava sul volto, chiaramente soddisfatto della risposta di Taehyung. «Allora fammi sapere. E se hai bisogno di qualsiasi cosa, sai dove trovarmi... o chiamami.» Lo salutò con un cenno del capo, poi si voltò e rientrò nella sala, lasciando Taehyung lì impalato, con il cuore che galoppava come un cavallo imbizzarrito nel petto.
Oh, Kim Taehyung. Sei nei guai fino al collo.
🍂
Jimin saltellava per il salotto di Taehyung, il tablet stretto tra le mani e un sorriso smagliante stampato in faccia. Ormai lo portava ovunque, alla perenne ricerca di ispirazione su Pinterest per il suo matrimonio. Yoongi, spaparanzato sul divano accanto a Taehyung, sembrava sul punto di addormentarsi. Insieme, davano l'impressione di essere usciti dalla pubblicità di un farmaco contro l'emicrania.
Taehyung aveva appena messo a letto Nabi e si sentiva stremato. Sua figlia era sempre stata particolarmente vivace durante le cene settimanali con gli "zii" Yoongi e Jimin. Era seduto sul divano da appena cinque minuti e già aveva fatto tre sbadigli. Aspettava solo che i suoi amici se ne andassero per crollare in un sonno profondo. Tuttavia, non sembravano intenzionati a tornarsene a casa tanto presto, a giudicare da come Jimin continuava a mostrargli foto, canzoni e altri dettagli matrimoniali come la più temibile delle wedding planner.
Consapevole che la serata si sarebbe protratta ancora per un bel po', Taehyung sospirò silenziosamente e tirò fuori il cellulare dalla tasca. Aprì Instagram e iniziò a scrollare distrattamente il feed, sperando che il tempo passasse più in fretta.
«Ho trovato la canzone perfetta per il nostro ingresso al ristorante!» esclamò Jimin, piantandosi davanti al divano e mostrando lo schermo ai due. Dal tablet si diffusero le note di una melodia dolce e melodrammatica, un tripudio di violini e pianoforte.
Yoongi inarcò un sopracciglio. «Sembra la sigla di una telenovela argentina.»
«Concordo», mormorò Taehyung distrattamente, senza alzare lo sguardo dal cellulare.
Jimin si voltò di scatto verso Yoongi, con un'espressione esageratamente offesa. «Ma cosa dici? È romanticissima! Parla di un amore che supera qualunque ostacolo!»
Yoongi lo guardò con un sorriso condiscendente. «Jiminie, noi non abbiamo superato nessun ostacolo epocale. Ci siamo incontrati a una grigliata tra amici e dopo due settimane convivevamo già.»
Jimin fece un'espressione oltraggiata, aprendo e richiudendo la bocca come un pesce fuori dall'acqua. Poi sbuffò esasperato. «E va bene, allora che ne dici di questa per il primo ballo?» Premette di nuovo play e partì una ballata lenta e strappalacrime, con tanto di coro angelico.
Yoongi si portò una mano alla fronte. «Jimin, se balliamo questa, i nostri invitati penseranno che uno di noi due è morto.»
Jimin incrociò le braccia al petto, il labbro inferiore sporto in un broncio infantile. «Ma è bellissima! È piena di sentimento!»
«Sì, il sentimento che provi quando devi andare dal dentista», replicò sarcasticamente Yoongi. «A questo punto, tanto vale mettere Lacrimosa di Mozart.»
Jimin lo guardò torvo. «Non capisci niente di romanticismo! Questa canzone parla di un amore eterno!»
«Jimin, amore mio», disse Yoongi, prendendogli una mano e stringendola dolcemente tra le sue, «il nostro amore è già eterno, non abbiamo bisogno di una canzone che ce lo ricordi in modo così... tragico. Perciò che motivo c'è di far piangere tutti gli invitati con questa roba moscia, mmh? Facciamo che sia un giorno felice.»
Taehyung, sempre immerso nel suo cellulare, alzò brevemente lo sguardo, abbozzando un sorriso divertito alla vista dell'espressione contrita di Jimin. Poi tornò subito a fissare lo schermo.
Le sue dita avevano agito contro la sua volontà quando aveva aperto il profilo Instagram della Ara Dance Academy per spulciare tra gli account seguiti dalla scuola. Sempre contro la sua volontà, ne aveva scovato uno in particolare e l'aveva aperto. E assolutamente contro la sua volontà era finito col rimanerci, ispezionando foto e video con la scrupolosità di un detective.
Jimin incrociò le braccia al petto, sollevando un sopracciglio con aria di sfida. «E tu cosa proponi, allora, caro il mio produttore musicale? Qualche pezzo rap deprimente che parla di crisi esistenziali?»
Yoongi ignorò la sua frecciatina, sorridendo maliziosamente. «In realtà, stavo pensando a qualcosa di più... movimentato.» Prese il tablet dalle mani di Jimin e cercò una canzone. Partirono le note di una hit dance anni '80, con una base ritmata e synth che sembrava uscita da un film di fantascienza.
Jimin lo guardò a bocca aperta, assolutamente inorridito. «Yoongi! Ma sei serio? Vuoi ballare questa al nostro matrimonio? Che dobbiamo fare, i nonnini di mezza età alle nozze d'oro?!»
Yoongi iniziò a muovere le spalle a ritmo di musica. «Che c'è? È un grande classico!»
Jimin lo fissò per un attimo prima di scoppiare a ridere, scuotendo la testa. «Sei completamente pazzo.»
«Meglio pazzo che noioso», rispose Yoongi, continuando a ballare in modo buffo.
«Va bene, va bene, hai vinto», disse Jimin tra una risata e l'altra, sedendosi in braccio al suo fidanzato e gettandogli le braccia al collo. «Ma almeno per il taglio della torta scegliamo qualcosa di decente.»
Yoongi lo strinse tra le braccia, baciandolo sulla guancia. «Vedremo... Magari qualcosa dei Bee Gees?» propose con finta innocenza.
Jimin lo guardò con un'espressione esasperata, ma con un sorriso che gli illuminava il volto. «Se metti Stayin' Alive mentre tagliamo la torta, giuro che ti lancio la glassa in faccia, e Taehyung mi farà da testimone!»
Taehyung distolse finalmente lo sguardo dal cellulare e alzò le mani in segno di resa. «Ah, no! Non mi tirate in mezzo, per favore. Mi fate paura e vi temo, tutti e due», disse puntando un dito contro di loro, per poi tornare subito a dedicarsi al suo spionaggio digitale.
Quasi non si accorse che quella lince del suo migliore amico aveva aguzzato lo sguardo, fissando lo schermo del suo cellulare con sospetto. O meglio... se ne accorse troppo tardi.
«E questo chi è?» esclamò improvvisamente Jimin, sporgendosi e strappandogli il telefono dalle mani.
«Jimin, ridammelo», protestò Taehyung, cercando di riprenderselo.
La faccia di Jimin si illuminò mentre ispezionava le foto di Jeongguk. «Carino. Molto carino», commentò Jimin, schivando i suoi maldestri tentativi di riprendersi il cellulare.
«Io sono più bello», borbottò Yoongi, con un finto broncio.
«Certo che sei più bello, amore. Sei il mio futuro marito», lo rassicurò Jimin, baciandolo sulla fronte. Poi, tornando a Taehyung, incalzò: «Allora, Taehyung? Vuoi dirmi chi è?»
«Il maestro di hip-hop di Nabi», rispose con rassegnazione Taehyung, arrossendo appena.
Jimin lanciò un'occhiata maliziosa a Yoongi, il quale aveva un sorriso furbo stampato in faccia. «Ah, il maestro di hip-hop...» dissero all'unisono.
Taehyung fece un verso di pura frustrazione, sfregandosi la faccia con una mano.
«JJK...» lesse attentamente Jimin, guardando lo schermo. «E da quant'è che ti piace?» chiese poi, lanciandogli un'occhiata maliziosa.
Taehyung sgranò gli occhi e aprì la bocca in un'espressione che era il ritratto dello sgomento. «Non– non mi piace!» esclamò a voce fin troppo alta, e poi si maledisse internamente, ricordandosi che c'era Nabi che dormiva al piano di sopra.
«E allora cosa ci fai sul suo profilo Instagram alle 11 di sera?» chiese Yoongi, spalleggiando il suo fidanzato, come se ci trovasse gusto in quel teatrino.
Taehyung tentennò, messo alle strette. «Stavo... stavo solo vedendo se c'erano foto di Nabi insieme al resto della classe...» borbottò, accigliandosi.
«Oh, ma certo! Sul profilo personale di JJK! Con questa foto aperta!» disse Jimin in tono sarcastico, voltando il cellulare e mostrandogli la foto di Jeongguk con una canotta smanicata, i tatuaggi tutti in vista e un paio di jeans strappati che lasciavano ben poco all'immaginazione.
Taehyung avvampò, distogliendo immediatamente lo sguardo. «Quella non l'ho aperta io, ti sarà scappato il dito», mugugnò.
«No, non mi è scappato proprio niente», rispose acidamente Jimin. Poi, con un gesto teatralmente lento, allungò l'indice e davanti ai suoi occhi toccò due volte lo schermo, facendo comparire un grosso cuore sulla foto. «Ecco, ora sì che mi è scappato il dito!»
Taehyung smise di funzionare. La sua bocca, il suo cervello e i suoi polmoni smisero di funzionare. Per un attimo temette di rischiare l'asfissia, prima di recuperare le proprie facoltà mentali e ricominciare a respirare. Be', o almeno a respirare come meglio poteva.
«Jimin– ma che hai fatto– gli hai messo mi piace–», balbettò in preda al panico, con gli occhi fuori dalle orbite.
Jimin sollevò il mento, più che soddisfatto del proprio operato. «Qui se non mi muovo io... Buonanotte!» concluse con aria solenne, restituendo poi il telefono a Taehyung, che ormai era sull'orlo di una crisi di nervi.
Taehyung si affrettò subito a riprenderselo e a togliere il like dalla foto con un gesto fulmineo, per poi lasciarsi andare a un lungo sospiro di sollievo.
Yoongi scoppiò a ridere, stringendo la vita di Jimin e mordendogli l'orecchio. «Sei proprio un piccolo diavoletto.»
«No, ho solo un migliore amico che ha la stessa libido di uno zombie», bofonchiò Jimin, accoccolandosi contro il petto del suo fidanzato come un gattino.
Taehyung lo fulminò con lo sguardo. «Jimin, giuro che prima o poi—» sibilò.
«Ah-ah», lo interruppe Yoongi con tono di rimprovero. «Niente minacce al mio promesso sposo.»
Jimin rise allegramente e gli diede un rumoroso bacio a stampo.
Taehyung si lasciò andare a un gemito frustrato, abbandonando la testa contro la spalliera del divano e pregando in tutte le lingue del mondo che Jeongguk non si fosse accorto di niente.
🍂
Più tardi quella sera, Taehyung si infilò sotto le coperte, con indosso il suo caldo pigiama di pregiata flanella blu notte. Si girava e si rigirava pigramente nel letto, cercando di scrollarsi di dosso il peso della serata appena trascorsa. Finalmente, Jimin e Yoongi erano andati via, dopo aver monopolizzato il suo salotto con le loro battute innamorate e le prese in giro su Jeongguk, lasciandolo da solo nella pacifica quiete di casa sua.
Con un sospiro beato, si sistemò il cuscino sotto la testa, tirò su la coperta fino al mento e chiuse gli occhi, pronto a lasciarsi cullare dal sonno.
Ma proprio mentre stava per lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo, il telefono sul comodino vibrò e una tenue luce illuminò la stanza buia, catturando la sua attenzione.
Con un mugugno, si girò su un fianco e allungò una mano verso il dispositivo. Lo afferrò a tentoni, portandoselo davanti alla faccia e socchiudendo le palpebre per la luce intensa. La notifica che comparve gli fece sgranare gli occhi: "abcdefghi_jjk ha richiesto di seguirti".
Taehyung scattò a sedere così in fretta che per poco non sbatté la testa contro la testiera del letto. Incredulo, si strofinò gli occhi, come se stesse cercando di scacciare un'allucinazione. Ma la notifica era lì, reale, in bella mostra sullo schermo.
Con le mani che tremavano leggermente, afferrò gli occhiali da vista dal comodino e se li infilò, cercando di mettere a fuoco meglio lo schermo. Guardò ancora una volta il nome dell'account: era proprio quello di Jeongguk.
Per un attimo, rimase immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Perché Jeongguk gli aveva inviato una richiesta? Aveva visto il suo account apparire tra i like per poi sparire? Che cosa aveva pensato?
«Maledetto Jimin», sibilò a denti stretti, giurando a sé stesso di fargli qualche dispetto non appena si fossero rivisti al lavoro.
Istintivamente, si mordicchiò il labbro inferiore, con gli occhi che andavano avanti e indietro tra il tasto blu per accettare e quello grigio per rifiutare, il pollice fermo a mezz'aria.
Non posso rifiutare. Se rifiuto, sembrerò scortese, pensò. Ma se accetto, sarà sconveniente. È il maestro di danza di mia figlia.
I suoi pensieri continuarono a giocare a ping pong per diversi minuti, finché alla fine, con un respiro profondo, fece l'unica cosa che la sua curiosità e un pizzico di istinto cieco gli imposero: accettò la richiesta e ricambiò il follow.
Subito dopo, posò il telefono sul comodino con un gesto rapido, come se fosse diventato improvvisamente incandescente. Con il cuore che gli martellava nelle orecchie, si stese di nuovo, ma il sonno sembrava ormai un miraggio irraggiungibile. Rimase a fissare il soffitto a lungo, con la testa piena di domande e una fastidiosa vocina interiore che gli ripeteva come un mantra:
Oh, Kim Taehyung. Sei nei guai fino al collo.
a/n
ciao 👋🏼 sappiate che sono viva per puro miracolo, perché questo capitolo mi ha fatta quasi prendere fuoco ⚰️ sono proprio stanchissima e mi fanno male gli occhi, ma io quando scrivo questa storia vado come in trance. non so smettere🫠
come sempre, scusate se ci sono refusi, ma ci tenevo ad aggiornare stasera e a leggere le vostre reazioni🤪
bacini,
— M
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