i. instinti omicidi e altre arti minori
( M A N I A )
«Arrivano gli scassacazzo.»
Mania sbuffò e, guardando accigliata il cielo, ragionò che non avrebbe avuto tempo nemmeno per un'altra sigaretta prima di essere costretta a scendere.
Espirò l'ultima boccata di fumo e si infilò il tabacco nella tasca dei jeans, iniziando a scendere le scale che dal tetto l'avrebbero portata al terzo piano dei Grandi Magazzini.
Il suo intero mondo ridotto ormai da due mesi a pavimenti di piastrelle lucide, i negozi e la gente che ci lavorava dentro; le scale mobili erano i suoi mezzi pubblici, le enormi luci del soffitto il suo sole e l'aria condizionata tutto ciò che respirava.
Stare lì le piaceva, e non sentiva la necessità di uscire se non la notte, per fumare sulla cima al tetto, quando il suo negozio era l'unico a non essere chiuso e vagare nel silenzio diventava un po' troppo opprimente.
Amava il modo in cui la teneva impegnata durante la giornata. Amava lo stress, il non avere tempo per annoiarsi, per fermarsi troppo a pensare: aveva conti da far tornare, fornitori da pagare, dipendenti da licenziare, controllare e salariale; le signore delle pulizie che avevano costantemente bisogno di prodotti nuovi e la centralina che continuava a staccarsi.
E poi, ovviamente, c'era la questione delle armi.
Dopo che anche la Grande Muraglia era crollata, sorprendentemente più in fretta di quanto chiunque altro avesse previsto, erano rimasti solo i grandi Imperi del Nord su cui concentrarsi, oltre a fuggitivi e ricercati con pesanti taglie sulla testa.
A rifornire gli eserciti, lo sapeva, ci pensava sua mamma da New York.
A lei non restava che accontentare piccoli sfizi dei Cattivi che residievano nella capitale e dei loro figli, oltre ai continui capricci di Hunter, e alle sue menate su quanto fosse importante che nessuno se ne accorgesse e che stesse attenta e non ritardasse agli appuntamenti e sei sicura che riesci a spiegarlo ai fornitori?
Dei, quant'era noioso.
Sull'Isola — menomale —Mania non aveva mai dovuto avere a che fare con lui: non era il suo tipo, e lui non era tipo da frequentare posti squallidi come il Banco dei Pegni, forse ritenendoli troppo degradante per il suo regale sangue blu.
Di tutti i ragazzi che bazzicavano per la Zona Est, Hunter delle Isole del Sud era stato forse l'unico a non provarci mai con lei, e la cosa l'aveva anche leggermente offesa, finché non ne aveva scoperto la ragione.
Una miniera d'oro, nonché la ragione per cui stava scendendo in deposito a sistemare le scatole, i sacchi e le casse che uno dei disperati della Resistenza doveva venire a ritirare e, si sperava, a pagare.
Hunter era in ritardo con il mese, qualcosa riguardo a dei problemi con la conquista di Arendelle, con suo padre che stava andando fuori di testa.
Avrebbe fatto in modo di ricordarglielo, o avrebbero avuto parecchi problemi.
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«Bu!»
Ci fu uno scoppio di magia azzurra verso il cielo, un fuoco d'artificio all'alba, e Mania rantolò dal ridere.
Ai suoi piedi, la topolina — di un rosa nient'affatto sospetto — giaceva a terra con le zampine davanti al muso, tremando di paura. Mania fece una smorfia e si voltò per non doverla guardare.
«Dai, scemotta, sono io.»
Ci fu un'altra serie di squit, squit! indignati, e Mania sorrise deliziata immaginando tutti i modi in cui Jane avrebbe potuto mandarla a quel paese senza l'utilizzo di parolacce.
Alle sue spalle, con un piccolo "puff!" e una nuvoletta di fumo azzurro che profumava di ammorbidente, la figlia della Fata Smemorina si materializzò sul pavimento lercio del deposito.
La codina da topo ancora bucava il tessuto dei jeans e Jane fece un verso frustrato.
«Mi hai fatto prendere un infarto!» l'accusò, gli occhi blu spalancati. «E se qualcuno avesse sentito?».
«Ma chi vuoi che ti senta, a quest'ora?» sbuffò Mania, puntandole un dito contro. «Così impari a presentarti qui in quel modo! Un topo.» rabbrividì per il disgusto. «Bestiacce orribili. La prossima volta ti sparo.»
«Non è colpa mia se ancora gli uccellini non mi vengono bene.» Jane borbottò, le orecchie rosa per l'imbarazzo.
«Ma tua mamma non faceva tipo, magie con le melanzane? N'era forte, a trasformare la roba?»
«Mia madre ha aiutato Cenerentola!» Jane squittì offesa.
«Cenerentola» Mania annuì con aria grave. «La prima gattamorta della storia.»
« . . . e io sarei capace se solo avessi una bacchetta!».
«Mh-mh» Mania fece schioccare la lingua. «E Malefica, allora, come fa?».
Jane incrociò le braccia: «Ha lo scettro.»
«E Maga Magò?».
«Sono la figlia della Fata Smemorina.» Jane scandì le parole con le mani. «La Fata.»
«Sì, sì, e non cambiare mai.» Mania le picchiettò con l'indice la punta del naso e si voltò. Andando verso i rifornimenti, allargò le braccia.
«Allora, qui c'è il mangiare. Niente gelati, dolcezza, si fa quello che si può. Qua stanno le scarpe che mi avevi chiesto. Ci ho infilato pure un paio di infradito, non mi ringraziare, e le armi stanno in mezzo ai vestiti di questo mese, quindi sta attenta a non agitarti troppo oppure fate boom tu e tutta la scatola.»
Jane, che sembrava sul punto di urlarle contro già al pezzo delle infradito, perse colore tutto d'un colpo. «Sta—sta—stai scherzando?»
«Ma sì» disse Mania, allungando la "i" finale. Diede un colpo di tosse «Sì, sicuro.»
Diffidente, Jane annusò la scatola del cibo, come se a furia di trasformarsi in animaletti le fosse rimasta l'abitudine.
«Il cibo è scaduto come l'altra volta?».
«Scaduto, ah!» Mania scoppiò ridere. «Voi di Auradon mi fate impazzire!».
Jane fece un verso sconsolato: «In che senso?».
«Siete così fiscali. È adorabile.»
«Ma perché non possiamo . . . » Jane sembrò sul punto di protestare di nuovo e Mania le mise un dito davanti alla bocca, zittendola. Cominciava a trovarlo irritante.
«Senti, dolcezza,» parlò come se si rivolgesse a una bambina di cinque anni, invocando la pazienza dall'alto; «Io vi dò la roba che andrebbe buttata dell'alimentari di sopra. Sono affari: se ti vuoi lamentare, lamentati col superiore, fammi avere un'aumento, e poi ne riparliamo.»
Un mese fa, se le avesse parlato in questo modo, pensò che Jane si sarebbe messa a piagnucolare. Oggi, invece, si limitò a tirarsi e fare una smorfia.
La Resistenza doveva averla resa più dura, o forse era la responsabilità di non far morire di fame i suoi amici. Mania non lo sapeva, non le interessava.
«È tutta una questione di soldi, per te?» le domandò Jane, e Mania finse di doverci riflettere su.
«Ehm, sì.» rispose, e Jane gemette scoraggiata.
«Ora, su, vai che mi stai facendo perdere tempo, e attenta i gatti.» Mania fece un gesto impaziente verso le scatole ancora da rimpicciolire, e se ne andò.
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Quel giorno il primo ad arrivare fu Mike del bar, e lei si fermò da lui a prendere un caffè.
«Non dormo da un po'» mugugnò, la guancia contro il bancone freddo. «Sono instabile.»
«Ma va' là, che stai benissimo.» Mike le passò il caffé e le diede due colpetti sulla spalla. Mania si sforzò a non sobbalzare.
Ad Auradon, solo gli dei sapevavo il perché, avevano tutti questa strana fissa col toccare, rassicurare e abbracciare gli amici quando pensavano fosse necessario, o anche solo per abitudine. La convinzione che il contatto fisico fosse in qualche maniera rassicurante.
«Come stanno Sammy e Kate?» Mania domandò, alzando appena lo sguardo per seguirlo lavorare.
Un'altra cosa che aveva imparato era che ad Auradon, sempre per ragioni a lei del tutto ignote, chiedere ai genitori dei propri bambini sembrava farli impazzire. Mike, che ne aveva due piccoli, le faceva vedere sempre le foto.
«Bene, bene.» rispose Mike. Come previsto, quasi di riflesso, il viso gli si aprì in un sorriso. «Kate oggi fa gli anni e non fa altro che correre per tutta casa a chiedere i regali.»
A Mania non poteva fregare di meno, però chiese lo stesso: «E tu che le hai preso?».
«Ancora niente, ma vuole la casa delle bambole, poi quando stacco vado a prenderla, sennò Laura mi ammazza.»
Lo disse con affetto, come se l'idea della moglie arrabbiata con lui fosse qualcosa di tenero. Mania cercò di ricordare che aveva ricevuto lei, quando aveva fatto quattro anni.
Sbuffò: «Ma vacci adesso, no? E poi tornatene a casa così aiuti a preparare.»
Mike strabuzzò gli occhi: «Come, davvero?».
«Eh, sì.»
«Ma . . . » Mike sembrava incerto. «Lisa, qui, non viene prima dell'una.»
«E ci penso io, che credi, che sprechiamo soldi?» ribatté Mania, vagamente irritata dalla sua faccia sconvolta, girando dietro al bancone e schioccando le dita, «Ora però sparisci prima che cambio idea.»
Una volta, sua mamma le aveva detto che avere a che fare con i dipendenti era come avere a che fare coi bambini: bisogna guadagnarsi la loro fiducia, far sì che ti vogliano bene. Obbligandoli a farlo, naturalmente, perché sull'Isola era l'unica maniera per imporsi su qualsiasi cosa. Pensò a che avrebbe detto ora, vedendola, e si divertì a immaginare i suoi schiamazzi.
Si disse che, infondo, era questa la ragione per cui lo stava facendo: fare esattamente l'opposto di quello che Madame Medusa avrebbe ritenuto giusto. Della bambina e della casa delle bambole, ma anche di Mike, non gliene fregava niente.
A Mania non fregava, punto. Era solo una ragazza annoiata ma, togliendosi il grembiule, Mike la abbracciò lo stesso.
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Mania decise che il bar le piaceva verso le otto, ma già alle dieci si maledisse e si disse che non l'avrebbe fatto mai più.
Dalle porte a vetri, proprio mentre stava finendo di servire la colazione a una coppia, era entrato abbaiando e scalpitando un gruppo di ragazzi che Mania riconobbe dall'Isola.
Con la coda dell'occhio, vide la mano dell'uomo a cui stava portando il caffè serrarsi intorno a quella della sua ragazza, rigida anche lei. La bambina al tavolo davanti aveva la brioche a mezz'aria quando la madre, fra le proteste, la trascinò via.
L'intero corridoio si era come immobilizzato, trattenendo il respiro, e anche se Mania dubitava che qualcuna di queste persone avesse un'idea di chi fossero i ragazzi appena entrati, era palese che avessero intuito da dove provenissero.
Non che richiedesse particolare intuito: i ragazzi dell'Isola non facevano assolutamente niente per nascondere le loro origini: i colori e simboli dei genitori portati addosso con orgoglio, come anche Mania era abituata a fare, con un'armadio intero di rossi accesi, verdi e viola; diamanti, coccodrilli e mappe sulle decorazioni delle t-shirt.
Appena Gaston Junior la riconobbe, ghignò e tirò uno spintone al fratello, Gaston Terzo. Gil non era in vista da nessuna parte.
«Ehi, Mania!» salutò, andandole incontro; e Mania sorrise, tranquilla e provocante, piegandosi un po' di più sul bancone nel modo che sapeva avrebbe fatto risaltare la scollatura.
«Ehilà ragazzi. Cosa vi posso offrire?» Mania sorrise, tranquilla e provocante, piegandosi un di più sul bancone nel modo che sapeva avrebbe fatto risaltare la scollatura. Gaston Junior mollò al fratello un'altra gomitata.
Con loro c'era anche Clay, figlio di Clayton, il cacciatore che tanti anni prima aveva provato a catturare la famiglia di gorilla di Tarzan. Com'era abitudine dell'Isola, i figli dei Cattivi davvero cattivi si portavano spesso dietro spalle e tappabuchi, e se nel tuo gruppo non avevi idea di chi fossero, c'erano buone probabilità che tu ne facessi parte.
Avvicinandosi, Clay ghignò mentre si passava casualmente una mano fra i capelli, gli occhi neri che scansionavano Mania da capo a piedi come se prendesse le misure per una gabbia. Il sorriso di Mania si allargò solo.
«Non ti vedevamo da tanto.» le disse Gaston Terzo, con quella sua voce profonda che faceva impazzire le ragazze della zona Est. «Dove sei sparita?».
«Ah, sai com'è,» Mania fece un gesto vago delle dita. «Un po' di qua, un po' di là, sono una donna impegnata.» fece l'occhiolino e Gaston Terzo rise sorpreso, come trafitto.
«Sai, Mania,» suo fratello poggiò il grosso bicipite sul bancone. «Non riesco proprio a capire perché una pupa come te passa tutto il suo tempo a lavorare quanto potrebbe stare fuori tutto il giorno a divertirsi, sei sfuggente, lo sai?».
«Forse sono sfuggente solo con quelli che non hanno niente da offrirmi.» rispose Mania, con facilità.
«Beh, in tal caso, non c'è problema.» annunciò lui, incrociando le gambe e appoggiandosi allo schienale con un sorriso. Era simile a uno squalo. «Ho molto da offrire. Devi solo chiedere.»
«Sei adorabile.» Mania sorrise, facendogli scorrere lentamente due dita sul muscolo teso, guardandolo negli occhi. Contò un secondo. Ne contò due. Quindi si voltò e recuperò un paio di tazzine. «Vi preparo qualcosa da bere, volete? Offre la casa.»
«Dì un po', ma è vero che hai mandato a fanculo tua madre?».
La voce che aveva appena parlato, stridula come una forchetta contro un piatto e fatta apposta per irritare, non apparteneva a nessuno dei ragazzi.
Mania la riconobbe e desiderò ardentemente avere con sé il suo fucile. Magari, rifletté, potrei metterli agli angoli dei muri al posto degli estintori.
Fece un passo indietro, il respiro trattenuto, poi si costrinse a voltarsi.
«Maddy, tesoro.» sorrise, dolce, guardando la figlia di Maga Magò dondolare rumorosamente sul suo sgabello. «Perdonami, non mi ero accorta che ci fossi anche tu, come sono sbadata.»
I ragazzi non fecero una piega, Mania non se lo aspettava, ma gli occhi verde acido di Maddy si ridussero istantaneamente a due fessure.
Se c'era una cosa che non sopportava era non essere notata.
Era cambiata, rispetto all'Isola: i crespi capelli lilla sostituiti da morbidi boccoli che le arrivavano fin sotto a un seno che, Mania ci avrebbe scommesso il culo e tutti soldi che aveva, non era mai stato così grande.
Metamorfosi, rifletté fra sé e sé, non riuscendo a trattenere una smorfia. Bastarda fortunata.
«Ho sentito,» insisté Maddy, sporgendosi in avanti. «Che tua madre è a New York, e che tu sei scappata via. E ora non ti vuole più.»
Ci volle tutto in Mania per non rovesciarle il caffé bollente in testa, e i ragazzi si scambiarono occhiate tese.
Sull'Isola degli Sperduti vigeva una regola non scritta, ma che era molto più importante di tutte le loro leggi: la regola era non mischiare mai i problemi familiari con tutto ciò che stava al di fuori della propria casa.
I Cattivi, come genitori, potevano essere poveri, ignoranti o cattivi, potevano urlarti in faccia, chiuderti in camera tua per mesi e perfino ammazzarti di botte, non aveva importanza: i loro figli non li avrebbero traditi. Per essere gente che a cose come l'amore e l'affetto familiare dava ben poca importanza, era strano come, per tutti loro, la famiglia fosse una cosa estremamente seria.
Non si abbandonavano, i genitori. Non si parlava male di loro, non si rinnegavano, perché senza di loro, da soli, i figli non sarebbero sopravvissuti. Dovevano appartenere a qualcuno, altrimenti non avrebbero avuto un tetto, un lavoro, uno status. I genitori bisognava accontentarli, perfino renderli fieri, se uno ci riusciva. Non essere voluti, essere considerati qualcosa che non si vuole più, era il disonore assoluto.
«Che c'è?» il sorriso di Maddy andava da un'orecchio all'altro. «Lo Stregatto ti ha mangiato la lingua?».
Mania le scoppiò a ridere in faccia.
«Oh, tesoro,» ansimò, fingendo di asciugarsi le lacrime, e le spalle dei ragazzi si rilassarono. «Ma chi te l'ha detta, 'sta stronzata?"»
La faccia di Maddy si era fatta viola. «Mi stai dando della bugiarda?».
«No, no, certo che no.» Mania picchiettò le unghie sul tavolo e sorrise, «Solo male informata.»
«Come ti—»
«Vedi, Maddy,» Mania sospirò, zittendola. «La verità è che alla mia età ho realizzato di aver bisogno delle mie esperienze, sono sicura che i ragazzi sanno di che parlo: volevo un po' di spazio, e ora, boom, mi occupo di tutto questo.» allargò le braccia come a voler abbracciare tutti i Grandi Magazzini. «Ovviamente è una bella responsabilità, sai, ma è così soddisfacente sapere che la propria madre è disposta ad affidarti la sua intera attività mentre è via che ne vale davvero la pena.»
Maddy stava praticamente vibrando. «Non sei cambiata per niente.» sputò e Mania le rivolse il suo sorriso più dolce. «Sempre la solita troia bugiarda.»
«Ora, "troia", che brutta parola.» Mania scosse la testa con disapprovazione, «Io invece ti trovo proprio bene, tesoro, lo sai? Ti vedo diversa. Certo, posso immaginare che passare da una prima a una coppa C in qualche mese sarà stata dura. Ti capisco, quando alle medie è successo a me è stato così pesante.»
Maddy impallidì così velocemente che fu quasi comico. I suoi occhi molto spalancati mentre le spalle dei ragazzi tremavano scossi dalle risate che non facevano nemmeno finta di trattenere.
«Be'» Mania schioccò le labbra. «Che c'è che non va? Non c'è niente di—»
La maga scattò in piedi così in fretta che lo sgabello ruzzolò all'indietro, gli occhi fiammeggianti di rabbia.
«Ascoltami bene piccola stronza.» Maddy la afferrò per la maglietta e piegò la testa di lato, la voce acuta e infantile di una bambina: «Ti credi tanto furba, tanto intoccabile, mh? Ho più potere io nel mio dito mignolo»
A quelle, i tavoli cominciarono e tremare, e la caraffa del caffè esplose con un frusciare di vetro. Qualcuno nel corridoio strillò.
«Lo vedi?» Maddy sorrise compiaciuta «Sei nata senza niente, e morirai senza niente, un inutile cattiva di serie B, senza potere, senza poteri. Nessuno si ricorda di tua madre e nessuno si ricorderà di te. Questo posto io te lo brucio, e non potrai neanche rendertene conto perchè ci sarai dentro.»
Mania allungò la mano per afferrare una delle bottiglie in vetro sotto al bancone e Maddy si voltò, la faccia deformata nel muso di un brutto ratto viola. Mania strillò e la bottiglia si fracassò a terra fra le risate isteriche di Maddy.
«Che c'è Mania? Te la fai addosso davanti a un topolino?».
Rise ancora, forte, e forse era tornata normale, ma Mania non riusciva ad alzare lo sguardo per scoprirlo. Era paralizzata.
«Chissà! Forse tua madre ti ha lasciata da sola perchè sapeva quanto fossi patetica e non voleva imbarazzi, forse ha permesso che te ne andassi così non dovrà averti fra i piedi, eh, Mania?»
La figlia di Medusa non rispose e Maddy fece le fusa.
«Direi che ho vinto!» trillò, assolutamente trionfante, dando un calcio a uno dei tavoli mentre usciva.
Abbastanza impressionati, i ragazzi la seguirono senza fiatare e senza salutare. Solo Gaston Junior rimase indietro, e come se niente fosse successo, afferrò la mano di Mania e gliela baciò.
«Non preoccuparti, dolcezza, le passerà.» le promise, le labbra ancora un soffio dalla sua mano.
Non le chiese se stava bene, non era rimasto indietro per questo. Mania si impose un sorriso di plastica.
«Ascolta, so esattamente cosa ti serve per tirarti su.» assicurò Gaston Junior, che non aveva non avrebbe mai avuto idea di cosa servisse a una donna, figurarsi poi a Mania. «C'è una festa stasera, alla Giostra. Dovresti venire, mh? Rilassarti un po'.»
Mania strinse le labbra.
La Giostra era il locale che il Postiglione, l'ex-proprietario del Paese dei Balocchi, aveva aperto in centro città il mese scorso, e la sua fama già perseguitava tutta Auradon.
Sembra assolutamente perfetto.
«Sembra un po' rischioso...» Mania si morse il labbro, il tono incerto. Il sorriso di Gaston Junior era tutto denti. «Non ci sono mai stata, potrei perdermi...»
«Non preoccuparti.» disse Gaston Junior, e non lo sapeva, ma era completamente alla sua mercé. «Ti proteggerò io.»
Mania arricciò le labbra. «Ci conto.»
Appena anche lui uscì dalle porte a vetri, il bicchiere che stringeva in mano le si spaccò fra le dita e le tagliò il palmo.
«Che cazzo avete da guardare, teste di rapa?» urlò addosso ai commessi e ai clienti che avevano assistito alla scena, marciando verso il corridoio. «Tornate al vostro fottuto lavoro!».
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«Per gli dei, Mania! Cazzo, copriti!».
«Un uomo nel mio letto mi guarda mezza nuda e grida, "copriti!"» Mania socchiuse gli occhi, pensante. «Certo che la vita riserva certe sorprese . . . ».
«Mettiti una cazzo di maglietta!».
«Ma che problemi hai? Sei in tu in casa mia e sei tu a cui non piacciono le tette, non vedo il problema.»
«Il fatto che non ne sia attratto non significa che le voglia vedere!».
Mania lo ignorò, sedendosi e srotolando il turbante che aveva abbozzato con l'asciugamano. «Dio, quanto sei pudico.»
Alle sue spalle, Hunter fece un verso sofferente: «Non voglio più vederti.»
«Neanch'io voglio vederti, eppure sei sempre qui.»
Il Principe sospirò, portandosi due dita al naso e recitando qualche parola tra sè e sè che Mania non capì.
Qualche minuto dopo, lo sentì finalmente tornare a guardarla.
«Che è successo allo specchio?» Hunter indicò il vetro in cui Mania si stava specchiando con un cenno del mento, la superfice incrinata nel mezzo.
«Sbalzo di pressione.» rispose lei, vaga, lottando con il fondotinta che non voleva uscire dall'erogatore. «Questo maledetto coso è finito!».
«Mh.»
«Si può sapere perchè sei ancora qui, comunque? Hai pagato, puoi anche levare le tende».
«Magari mi mancavi» rispose lui sporgendo le labbra all'infuori, con due occhi da cucciolo. Buona cosa che Mania gli dava le spalle. «Dopo tutti questi mesi, potremmo quasi dire che siamo amici, no?»
«Non dire quella parola che mi viene un cerchio alla testa».
«Sei comunque la mia unica alleata.»
Mania sbuffò, come se la cosa fosse esilarante: «E allora sei messo veramente male.» Si passò un po' di illuminante sul l'angolo degli occhi. «Non hai il tuo ragazzo da andare a trovare o qualcosa del genere?».
La nomina di Richard sembrò mettere a disagio Hunter.
«Non— Non posso. Me l'ha proibito. Non possiamo rischiare.» Fece una pausa in cui lo sentì muoversi incerto sul letto. «Mania io— penso di amarlo.»
Mania ebbe un conato. «Mi viene da vomitare.»
«Eh, vai in bagno.»
«No, mi viene da vomitare per tutta questa melassa.» la figlia di Medusa fece un verso schifato, ringraziando di non aver ancorsla messo il rossetto. «Dimmi che almeno ti ha messo le mani addosso.»
Dallo specchio, il riflesso incrinato di Hunter si era fatto dello stesso colore dei suoi capelli. «L'amore non è solo sesso!»
«Oh povero dolce tesoro, ma che ti hanno insegnato ad Auradon?»
Hunter battè le palpebre, interedetto: «Ma si può sapere che hai?».
«La mia vita è orrenda, ecco cos'ho.» Mania sbuffò mentre cercava di mettersi la matita intorno agli occhi. Diede uno sguardo dietro di sè al ragazzo steso sul suo letto. «Come la tua giacca.»
«Ehi!» esclamò lui, tirandosi a sedere. «La mia giacca è stupenda!».
«Convinto tu». Mania fece una smorfia, lamentandosi per l'eyeliner che le veniva storto. «Sto solo dicendo che che ti stai facendo troppe fantasie, mio caro principe. Questa situazione è precaria, il vostro rapporto è finto.»
«Anche la mia simpatia per te lo è, ma non per questo vale meno.»
«Oh, non fare il Cattivo con me, dolcezza, non ti si addice. Che ne pensi, rossetto rosso o rosa?»
«Rosso.» Hunter sospirò. «Se vuoi dirmi di lasciar perdere stai sprecando fiato».
«Nah. C'è tanta gente nel mondo, una più una meno . . . » scrollò le spalle. «Fai quel che cazzo ti pare. Basta che non mi tiri in mezzo.»
«Ci sei già in mezzo».
«Così sembrerebbe, ma lascia che ti dica una cosa: io potrò anche non avere esperienza sull'amore e le guerre, e tutte quelle altre robe profonde e drammatiche di cui tu sono sicura sarai un'esperto, ma sono esperta di cose che vanno a rotoli e tu, lasciatelo dire, ci andando a tutto gas.» Ridacchiò, chiudendo il mascara e girandosi verso di lui, una luce crudele negli occhi: «Dimmi, che farai quando l'amore tuo scoprirà i tuoi piccoli segretucci, mh? Quando capirà che a tutta questa sciocchezza della Resistenza e della Vittoria del Bene sul Male non ci credi nemmeno tu?».
Hunter esitò, ma poi scosse la testa: «Io ci credo».
«Si, e io ti sto aiutando per bontà d'animo.»
Il viso del figlio di Hans si incupì, e con un salto si alzò dal letto.
«Sto tornando su, ad aiutare mio padre» cambiò discorso. «Il muro di ghiaccio eretto da Elsa è quasi caduto, e lei non ce la fa più. Non so quando tornerò.»
«Cerca di farlo il prima possibile. I miei sacchi d'oro iniziano a sentire la mancanza di nuovi amici molto presto».
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«Dove vai?» in ginocchio sul divano, Milt guardò il suo vestito con aria sospettosa.
Mania alzò gli occhi al cielo si diede una generosa dose di profumo.
«Esco.»
«Mania?»
«Milt.»
«Sabato ho la partita.»
«Davvero?» Mania fece un verso indifferente, dove diavolo aveva messo quelle chiavi? «Non mi dire.»
«Papà non può venire a vedermi.»
«Una disgrazia.» si diede una sistemata ai capelli, facendo schioccare le labbra rosse davanti a uno degli specchi esposti.
«Tu ci vieni?»
«E che dovrei fare?»
Evidentemente incoraggiato dal fatto di non aver ancora ricevuto un no, Milt saltò su. «Niente, mi guardi e mi tieni il borsone.»
«Che volgarità.» Mania rabbrividì. Milt sembrava un cucciolo preso a calci.
«Va bene, poi vediamo ok?» Mania fece un gesto vago della mano prima di voltarsi «Come sto?»
«Stai bene.» Milt sospirò. «Ma però io ho fame.»
«Tesoro? Che cosa ti ha insegnato Mania? Certe cose non si dicono.»
Milt aggrottò le sopracciglia, come se se ne fosse ricordato in quel momento: «Hai ragione, "ma però" è sbagliato.»
«Ma chissene frega del ma però!» Mania afferrò la borsa, puntandogli contro il dito. «Non si dice mai che si ha fame perché fa poveraccio, non si dice mai la verità perché fa cretino e mai e poi mai si dice a una donna che ti chiede "come sto" che "sta bene". Ricordalo, che un giorno mi ringrazierai.»
«Tu sei tutta matta.» le disse Milt, e Mania pensò che era l'unico ad averlo mai detto con affetto.
Come se potesse volerle bene anche così.
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La Giostra era nel seminterrato di un edificio inutilizzato, enorme, e per raggiungerla bisognava scendere lungo un tunnel di scaloni che sembravano condurre dritti alla porta dell'inferno.
Lo spiazzale davanti era pieno di ragazzi che fumavano, spintonandosi e facendosi di chissà cosa. E Mania notò con un filo di crudele soddisfazione come, fra loro, ci fossero anche ragazzi di Auradon.
La loro tanto decantata incorruttibilità buttata giù insieme agli shottini gratis.
All'ingresso, una tipa con i lustrini in faccia le timbrò il dorso della mano e le disse qualcosa, ma lei non la sentì, perché la musica era assordante, un battito spaventoso che spaccava l'aria e lo stomaco.
Dentro, centinaia di corpi si muovevano a scatti, accesi, spenti e riaccesi dalle luci violente e intermittenti, in una puzza atroce di profumi e sudori mescolati.
Un volta il Postiglione si occupava dei bambini, ma i tempi erano cambiati, il trasformare gente in asini superato e la sua voglia di impartire una lezione a chi se lo meritava scemata dopo gli anni passati sull'Isola: neanche quello avrebbe fatto cambiare idea ai VK's.
Se potevi pagare, alla Giostra potevi fare tutto quello che volevi, e Mania si chiese perché non l'avesse provato prima. Mani che la toccavano ovunque e l'alcool al cervello mentre muoveva i fischi a ritmo di musica. Era tutto soffice. Facile. Lo stomaco vuoto e leggero.
La aiutava a non pensarci. Al negozio, a sua madre. A tutto quello che le faceva venir voglia di rinchiudersi in bagno quando non riusciva a mangiare. Quando il cibo, grasso e unto, l'avrebbe fatta sentire sporca finché non fosse riuscita a ripulire, due dita in gola, scaricando tutto giù dallo sciacquone.
E' okay, si disse.
Si avvicinò al bancone e ordinò un altro shot di tequila.
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«Faresti qualcosa per me?»
«Quello che vuoi.» baci a bocca aperta, troppa lingua, invadenti. Affamato dal momento esatto in cui gli aveva permesso di avvicinarsi. Mania lo lasciò fare. «Tutto quello che vuoi.»
«Maddy oggi è stata molto, molto cattiva con me. Non sei d'accordo?»
«Molto» concordò Gaston Junior, scuotendo la testa, le mani sulla sua vita mentre Mania gli scivolava in grembo, a cavalcioni.
«Non pensi che qualcuno dovrebbe darle una lezione?» Mania sospirò, le dita che giocherellavano coi bottoni della sua camicia. Gaston Junior seguì i suoi movimenti, un cane in attesa di una ricompensa dal padrone.
«Lo faccio io.» le promise, come se non avesse registrato le parole. Fece per toccarla. Mania sorrise.
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Era da sola. I tacchi in mano. La strada deserta. Gaston Junior se n'era andato, o suo padre l'avrebbe ucciso.
Non l'aveva riportata a casa ma, mentre si sistemava la cintura, promise che alla questione di Maddy ci avrebbe pensato lui.
A Mania questo bastava: il vento fresco le stava facendo passare la sbornia, e la lucidità era sempre stata il suo peggior nemico.
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A svegliarla non fu il telefono, ma le grida di protesta di Milt. Una lama di sole entrava dalla finestra e le trafiggeva il cervello. Ebbe l'impressione che la testa le pulsasse a ogni battito del suo cuore, e giurò a sé stessa che non avrebbe mai più bevuto.
«Ti ho detto che non puoi andare di lá!» ripeté ancora Milt, dall'altra parte del corridoio che divideva casa di Mania dal negozio. «Se la svegli può diventare tanto, tanto cattiva!»
«Ma davvero?» Mania riuscì a percepire la smorfia maliziosa nella voce di chiunque diavolo fosse venuto a disturbarla anche senza vederlo.
«Cosa sta succedendo?» sentì che la sua voce era roca, impastata.
Alzò lo sguardo, nero per la nottataccia passata, e si irrigidì.
Non poteva essere.
«Che diavolo ci fai tu, qui?».
Jay di Agrabah la fissava con le sopracciglia alzate, gli occhi che la squadravano da capo a piedi, mentre Milt correva a mettersi davanti a lei, come volesse nasconderla dal ragazzo più grande.
«Gli ho detto che non doveva passare!» assicurò, e il figlio di Jafar incrociò le braccia al petto.
«Sì, testardo, il piccoletto.»
«Una rottura di palle!» gracchiò il suo pappagallo, svolazzando indignato dietro alle spalle del suo padrone. Jay lo scacciò con un gesto della mano.
I suoi capelli lunghi erano semi raccolti, indossava una giacca col simbolo di suo padre e degli anfibi neri. Alle dita portava anelli dall'aria costosa, e al collo delle collane d'oro, e Mania trovò ironico che nonostante sembrasse fare di tutto per nasconderlo, fosse ovvio a chiunque lo guardasse che fosse il principe di uno dei regni più ricchi del mondo.
Mania si rese conto di indossare il vestito viola della sera prima, lo scollo a V che le scendeva fino al seno e i piedi scalzi sul pavimento. Il trucco sbavato e in chissà quali condizioni. Ebbe l'istinto di coprirsi, e Jay sembrò notarlo.
«Ti trovo bene.» la schernì, l'ombra di un sorriso sulle labbra.
«Milt, tesoro» sussurrò Mania, accarezzando i ricci del bambino «Perché non te ne vai in libreria mh? Mania ha da fare.»
Facendo scattare lo sguardo fra i due, Milt rivolse a Jay un'ultima occhiataccia prima di scappare via. Il figlio di Jafar lo seguì con lo sguardo e, quando si voltò, Mania si assicurò che si ritrovasse la canna del suo fucile a due centimetri dal naso.
Jay scoppiò immediatamente a ridere: «È così che tratti i tuoi clienti?»
«Ah, ah, ah,» Mania fece segno di "no" con il dito. «Sbagliato! Tu non sei un mio cliente, sei solo venuto a ficcare il naso, e mi dirai perché e non mi mentirai, perché lo capisco quando gli uomini mi mentono.»
Gli occhi vuoti di Jay si illuminarono di qualcosa di simile al divertimento. Fece qualche passo verso di lei, finché il fucile non gli premette contro il centro del petto. Arricciò le labbra. «Guardami,» le disse, «Sto morendo di paura.»
Mania ebbe l' impulso di mettere giù il fucile e prenderlo a schiaffi. «Se pensi che non ti toccherò perché sei uno dei pezzi grossi...» sibilò, stringendo gli occhi a fessura, e Jay la guardò con aria di sufficienza.
I mesi ad Auradon l'avevano reso ancora più robusto di quanto ricordasse, ancora più alto. Anche così, perfettamente rilassato e con l'espressione divertita, era teso, i nervi in tensione nell'attesa della prossima rissa, la prossima battaglia, la prossima lite.
Intorno a lui, l'aria sfrigolava, calda e secca come sotto il sole a picco, e Mania si sentì la testa pesante.
Magia.
«Non puoi proprio credere che sia passato per salutarti?» le domandò Jay, con un sorriso beffardo. «Andiamo, Mania, il nostro cattivo sangue è tutto acqua sotto i ponti ormai, mh?».
Mania sentì il rossore accenderle le guance, ma non seppe se per la rabbia o per la sbronza della sera precedente: «Mi hai messa una scatola con un topo sotto al banco. Acqua sotto ai ponti un accidente.»
Per un istante, gli occhi neri di Jay si allargarono per la sorpresa: «Solo perchè tu mi hai sparato addosso!»
«Perchè tu continuavi a venire nel mio negozio per rubare le cose che io avevo rubato per prima!»
«Senti,» la pazienza del figlio di Jafar sembrava star iniziando a farsi sempre più sottile. «Sono felice di vedere te quanto tu lo sei di vedere me, ma Mal mi—».
«Ohhhh, ora capisco qual'è davvero la questione.» lo interruppe Mania, un sorriso storto sul viso «Ma guardatelo: Jay, il grande cattivone della Zona Ovest che prende ordini. Sempre secondo a qualcuno, non è così?»
Il figlio di Jafar smise di muoversi, tornando a guardarla negli occhi. Non seppe perchè, Mania sentì un brivido percorrerle la schiena. L'atmosfera era improvvisamente mutata.
«Tu non hai paura proprio di niente, eh?»
«Non di te.» rispose Mania, fingendo un tono quasi annoiato. Jay scosse la testa.
«Mi è giunta voce che ci fossero stati dei movimenti sospetti intorno ai tuoi magazzini, in questi giorni». Incrociò le braccia. «Tu ne sai qualcosa?».
Cazzo. Mania sentì un brivido salirle lino la spina dorsale, i suoi sensi si acuirono. Cazzo, hanno sentito Jane.
Raddrizzò le spalle, forzando dinsinteresse.
«Dovrei?» gli chiese, passandosi una mano su una guancia. «Questi non sono i miei magazzini, sai? Per quanto sia onorata che tu la pensi così».
«Ma te ne occupi tu, giusto?» disse Jay, squadrandola dall'alto in basso. «Non hai proprio notato qualcosa di strano? Casse in più? In meno? Qualche . . . Buono che si intrufola da qualche parte per prendere qualcosa?».
«Ah!» esclamò Mania. «Tu pensi davvero che io non mi accorga se qualcosa sia stata rubata nel mio magazzino?». Si portò una mano al petto, in maniera teatrale. «Così mi ferisci, Jay. Non ti ricordi di tutte le volte in cui ti facevo il culo, sull'Isola? Sentivo i lamenti del tuo paparino fin nella parte Est!».
Alla nomina di suo padre, lo sguardo di Jay sembrò farsi in qualche modo più vuoto. Mania ripensò a quel giorno in cattedrale. Alla sensazione che aveva provato guardandolo.
Sembra di poterci passare attraverso.
«Allora ammetti che il magazzino è tuo.» disse lui, inarcando un sopracciglio, e per la seconda volta in dieci minuti Mania desiderò prenderlo a schiaffi.
Jay si infilò le mani in tasca. «Sta di fatto che la mia fonte è indiscutibile, e quindi, ho paura che godirai della mia presenza molto spesso nelle prossime settimane.»
La paura di un pericolo imminente fece sparire il doposbornia di Mania in colpo solo, insieme alla vergogna di essere mezza nuda. Mise via il fucile.
«Oh gioia, un'idiota in più da gestire! Sai proprio come rendere felice una ragazza!» lo schernì, sbattendo le ciglia.
Jay sogghignò: «E non è l'unico». Battè leggero un pugno sul bancone e radrizzò la schiena, porgendole la mano. «Ci vedremo settimana prossima, Mania. Vedi di pensare bene a quello che vuoi dirmi».
La figlia di Medusa sorrise civettuola, ricambiando la stretta: «Ovviamente. Per chi mi hai presa?».
Con un grugnito in saluto, e un'ultima occhiata alla ragazza, che a Mania sembrò durare qualche secondo di troppo, Jay scomparve dietro la porta del negozio.
Mania sospirò. Quasi poteva sentire la voce irritante di Hunter nelle orecchie dirle: "Te l'avevo detto".
No, non gli avrebbe detto un accidente. Poteva pensarci da sola.
D'altra parte, però, non tutto il male veniva per nuocere. Uno dei cinque VKs di Malefica da lei ogni settimana significava immettersi in una via pericolosa, sì, ma anche ricca. Potente. Piena d'opportunità. Se Mania si fosse giocata bene le sue carte avrebbe potuto raggiungere qualcosa al di fuori di tutti i suoi sogni più sfrenati. Magari avrebbe anche potuto dire addio a sua madre. Ottenere ciò che le mancava per schiacciare sotto ai piedi gente come Maddy Magò.
Mentre si rigirava uno degli anelli del figlio di fra le dita, si rese conto che dal bancone mancava uno dei suoi fermacarte preferiti, quello a forma di serpente con un diamante tra le fauci. Sbuffò dalle narici.
«La prossima volta» si disse. «Gli sparo.»
jade speaks! —— il 90% di questo capitolo è stato scritto da Anna, il mio è un misero 10%, quindi se vi stavate chiedendo perchè è mille volte migliore del solito avete la vostra risposta.
speriamo entrambe che Mania vi stia piacendo che siate curiosi di scoprire cosa le riserva il futuro <3
and Anna ( devo fare una nuova gif ).
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