6. Matt's Pov
Il bruciore sulla guancia è immediato, si diffonde come fuoco. Ma è il silenzio che pesa di più, un vuoto che mi riempie la testa, ovattando tutto il resto. Non so se dovrei dire qualcosa, forse urlare, ma le parole si strozzano in gola e restano lì, mute. Mi giro lentamente, sento il sangue pulsare sotto la pelle calda e lo sguardo che cerco di puntare in basso, come se potessi nascondermi, come se non volessi guardarla.
La vedo davanti a me, ma sembra lontana anni luce. Gli occhi sono spalancati, e in quelli ci leggo la stessa paura, la stessa rabbia che mi stringe il petto. Eppure, non faccio niente. Non c’è rabbia nelle mie mani, non c’è desiderio di rispondere. Solo un dolore muto che si allarga tra le costole, una sensazione di vuoto che non mi aspettavo.
Mi porto una mano alla guancia, il calore mi brucia ancora le dita. Respiro a fatica, a piccoli pezzi, come se ogni boccata d’aria graffiasse. E penso che, in fondo, me lo merito.
Era solo questione di tempo. Ma saperlo non lo rende meno devastante. Non so cosa fare, non so nemmeno cosa provare in questo momento. Rabbia? Tristezza? Rimpianto?
Sorrido, un sorriso storto, senza alcuna gioia. È un riflesso, un modo per mascherare il dolore, per non farlo vedere più in profondità di quanto già non abbia fatto. Ma so che lei sa. Sa che dentro di me qualcosa si è rotto. Eppure non riesco a dire nulla, non ora, non ancora. Resto fermo, in equilibrio precario su questo silenzio che ci avvolge come un’ombra.
E dentro, mi sento come se stessi precipitando.
Mi chino verso di lei, le labbra che sfiorano appena il suo orecchio, e la mia voce è un sussurro spezzato, quasi irriconoscibile.
« Era questo che volevi, Stellina mia? »
Le parole sono scivolate fuori prima che potessi trattenerle, portando con sé tutto il dolore che mi riempie il petto. La sua pelle è fredda sotto il mio respiro caldo, e per un istante mi sembra di vederla tremare.
Poi, mi giro e mi allontano di un passo, poi un'altro e un'altro ancora, fino a salire in camera mia per affondare prepotentemente la testa nel cuscino.
Mi lascio avvolgere dal silenzio della mia stanza, così incessante e deprimente, fin quando i miei occhi stanchi faticano a rimanere aperti.
Mi addormento così, con la consapevolezza di averla persa.
E questa volta per davvero.
Il post sbornia rimane anche al mattino seguente, quando mi alzo e la testa sembra sul punto di esplodere. Il post sbornia rimane anche al mattino seguente, quando mi alzo e la testa sembra sul punto di esplodere. Scendo in cucina, cercando di fare meno rumore possibile, ma ad ogni passo sento le pulsazioni rimbombare come tamburi. La casa è vuota. Nessun rumore, nessun odore di caffè, o risatine provenire dal piano di sotto.
Un promemoria squilla nella mia testa: stasera ho una partita importante.
E dovrò giocare in squadra con Dylan. L'idea di condividere il campo con lui rende il mal di testa ancora più insopportabile, ma non posso permettermi di perdere. Sarebbe un colpo veramente basso per il mio orgoglio.
Metto le mani sul fuoco che Sophia sarà seduta sugli spalti a tifare per la nostra squadra.
E non guarderà più me come i vecchi tempi.
Guarderà lui.
Il pensiero mi manda in bestia.
Vado a farmi una doccia e prendo un'aspirina, sperando che faccia effetto in fretta. L'acqua gelida scorre sulla testa e sulle spalle, svegliando i muscoli intorpiditi, ma il cervello sembra ancora in blackout, un groviglio confuso che fatica a riprendersi. Il corpo non va meglio, ogni movimento richiede uno sforzo immenso, come se fossi zavorrato.
Maledizione a me che ho deciso di fare serata ieri sera. E come se non bastasse, ci si è messa anche la litigata con Sophia. Solo a pensarci sento un nodo allo stomaco, un misto di rabbia e rimorso che si mescola alla nausea.
Non ricordo nemmeno cosa l'abbia fatta scattare, forse una battuta stupida o il fatto che avessi bevuto troppo, non lo so. So solo che a un certo punto ho ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
Ora, mentre l'acqua scorre sulla mia faccia e il mal di testa mi martella le tempie, vorrei solo poter spegnere i pensieri.
Il resto della mattinata lo passo a riposare, oziando nel letto e aspettando l'orario giusto per fare un po' di riscaldamento prima della temutissima partita.
Gli sfidanti sono una squadra della Newport Beach e per quanto mi riguarda abbiamo già vinto.
Prima di andare al campo faccio uno squillo a mia sorella per sapere come sta.
« Ciao » La sua voce fredda rimbomba dall'altra parte del telefono.
« Ehi, ho visto che non eri a casa e volevo avvisarti che sto andando alla partita »
« Non preoccuparti » un sospiro precede la voce di Abigail, che si sforza di sembrare normale. Temo che sia al corrente di ciò che è accaduto ieri sera.
« Questa mattina non ti ho vista in casa, dov'eri? »
« Ho fatto colazione con Sophia. Non mi ha voluto dire niente, ma so che hai fatto qualcosa Matthew Corwell » Il suo tono minaccioso non lascia presagire niente di buono, perciò mi limito a salutarla senza darle modo di indagare oltre.
« A dopo sorellina » Chiudo la chiamata prima che possa ribattere e mi metto al volante in direzione campo da Rugby.
Appena entro nello spogliatoio, mi sfilo la giacca e mi guardo intorno. L’aria è carica di quella tensione elettrica che precede ogni partita, e gli altri sono già in movimento, chi si sistema le fasce alle caviglie, chi ripassa mentalmente le giocate. Mi sento addosso l’adrenalina, mista a un’inquietudine che non riesco a scrollarmi.
Poi li vedo, seduti sulla panchina che affaccia sul campo: Dylan, piegato in avanti con i gomiti appoggiati alle ginocchia, e Sophia al suo fianco. Stanno parlando piano, quasi come se fossero in un mondo tutto loro, separati dal rumore dello spogliatoio. Lei ha uno sguardo sereno, e ogni tanto, tra una risatina e l'altra, annuisce, ascoltando quello che Dylan le sta dicendo.
C’è qualcosa nella scena che mi disturba. Non saprei se è per il fatto di vederli insieme o perché Sophia sembra così spensierata accanto a lui.
Faccio finta di non notarli e mi avvicino al mio armadietto, ma non riesco a togliermi quella scena dalla testa.
E più ci penso e più la voglia di prenderlo a pugni aumenta a dismisura.
Ogni volta che alzo lo sguardo verso di loro, vedo Dylan ridere e scherzare, come se tutto andasse bene, come se niente potesse scalfire quella loro apparente complicità. E più ci penso, più la voglia di prenderlo a pugni aumenta a dismisura. È ridicolo, lo so.
Non dovrebbe importarmi. Dovrei concentrarmi sulla partita, ma la mia mente è ossessionata da quell’immagine, e la mia rabbia non fa che aumentare.
“Devi concentrarti sull'incontro" mi dico, scuotendo la testa e cercando di allontanare quel pensiero. Ma ogni volta che lo vedo accanto a Sophia, la mia calma si frantuma un po’ di più.
Mentre indosso la maglia, sento un nodo allo stomaco. Spero che l’adrenalina della partita riesca a spegnere questa fiamma di invidia e confusione, ma per ora il campo sembra lontano, e la mia mente continua a tornare a loro.
« Forza ragazzi in campo! » esordisce il coach, portandosi il fischietto alla bocca per ristabilire l'ordine.
Ci dirigiamo tutti verso il campo, il rumore delle nostre scarpe che battono sul pavimento del corridoio si mescola alle voci eccitate dei miei compagni. Ma il mio sguardo è fisso su di loro. Quando Sophia e Dylan si salutano con un bacio, sento l'istinto di prenderlo a calci pulsare dentro la mia testa come un bisogno necessario alla sopravvivenza.
Quando anche Dylan si unisce alla squadra, cerco di mantenere la mia faccia neutra e fingendo di non averlo notato, mi avvicino a lui e, in un momento di impulso, lo spingo leggermente con la spalla, come se fosse un gesto involontario.
« Dovresti stare più attento a dove cammini, molte persone si sono fatte male così » dico, cercando di mascherare la mia irritazione con un sorriso forzato. La mia voce suona più allegra di quanto mi senta realmente. Dylan si gira, un po' sorpreso, e mi guarda con quell’aria da sempre un po’ sfacciata. Non posso fare a meno di notare come il suo sorriso abbia un modo tutto suo di irritarmi.
«Nessun problema Corwell » risponde lui, facendo finta di nulla, e mentre ci allineiamo per la formazione, sento che non riuscirò a reprimere i miei istinti ancora per molto..
Cerco di concentrarmi, ma la presenza di Dylan e la sua aria sicura amplificano tutto ciò che provo. Sarà una partita difficile.
Finalmente il fischio finale segna la conclusione della partita, e il campo esplode in un fragore di applausi e cori. Abbiamo vinto. La gioia si diffonde tra di noi come un’onda travolgente. I miei compagni si abbracciano e saltano, e io mi unisco a loro, cercando di mettere da parte le mie preoccupazioni, almeno per qualche istante.
Ma mentre festeggiamo, tra le voci del pubblico, ne riconosco una che si staglia sopra le altre: è quella di Sophia. La sento esultare, e il suo entusiasmo mi colpisce come un fulmine. Si è alzata in piedi, le braccia alzate, e il suo sorriso è contagioso. In quel momento, il mio cuore si stringe. Vederla così felice mi scalda il cuore, regalandomi sempre gioia, anche se per poco.
Sophia mi lancia uno sguardo, e in quel breve istante, mi sembra che i suoi occhi dicano qualcosa che va oltre le parole. Ma poi Dylan le si avvicina, prendendola in braccio , e la mia piccola illusione svanisce. Sento una fitta di gelosia.
Mentre ci prepariamo a lasciare il campo, il rumore della festa inizia a svanire e sento un senso di disorientamento. È un momento di pura euforia, ma dentro di me c’è solo confusione. Mi allontano un attimo per riprendere fiato, e proprio mentre mi giro per tornare ai miei compagni, vedo Raylee..
« Matthew! Sei stato fantastico! » esclama avvinghiandosi a me, baciandomi ripetutamente.
« Avevi qualche dubbio a riguardo, piccola? » ricambio il bacio, cingendole un braccio sulla vita.
Ma il momento di felicità viene interrotto quando vedo Dylan avvicinarsi, il suo volto serio e determinato. La sua presenza mi trasmette un non so che di strano.
« Cuginetta! Posso parlarti un attimo?» dice, cercando di attirare la mia attenzione. Raylee si stacca da me, il suo sorriso sbiadisce mentre ci guardiamo con curiosità.
« Dylan, che succede?» un brivido di inquietudine scorre lungo la mia schiena.
I due si allontanano, non riesco a sentire ciò che dicono, ma percepisco che c'è tensione nell'aria, talmente densa da poterla tagliare con il coltello.
Alla fine Raylee urla, infuriata e shockata da non so cosa.
« TU COSA HAI FATTO?»
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