11. Sophia's Pov
Detesto la sicurezza di Matthew.
Okay, sei il mio ex.
Okay, forse ci stavamo spingendo un po' oltre.
Ma ciò non giustifica la sua determinazione, il suo ego smisurato lo spinge ad odiare Dylan e a sentirsi come se fosse l’unico uomo sulla faccia della terra.
E ciò mi fa incazzare, perchè lo era. Era lui, con le sue attenzioni e ciò mi bastava.
Ma ora è diverso, non siamo più dei bambini, e ogni nostra azione ha una conseguenza.
Per non parlare poi della situazione scolastica, sono tornata da neanche un mese e ho già bisogno di una vacanza.
Sfido qualsiasi essere umano a convincere Matthew ad aprire un libro e prepararsi ad un esame, quel cretino pensa solo al rugby, non è mai stato portato per la scuola.
E a chi tocca aiutarlo? A me, come sempre, come se fossi l'unica donna sulla faccia della terra in grado di farlo ragionare. Possibile che in due anni Raylee non sia servita a niente?
Ho cercato di convincermi che la Williams non si sia messa con lui solo perchè è carne fresca agli occhi delle altre ragazze, ma non sono brava a mentire nemmeno a me stessa.
So già che questa storia tra me e lei deve finire prima che sfoci in altro e siccome mi conosco troppo bene, per la salvaguardia di tutti è meglio che io e Matt tronchiamo i rapporti.
Almeno per il resto delle altre lezioni, siamo separati. È una fortuna non averlo più incontrato, anche se lo nego, la sua presenza si sente.
Si sente sempre, in ogni momento.
È indescrivibile, lui, noi, tutta questa assurda situazione.
Durante le ultime ore di educazione fisica esco nel cortile adiacente alla palestra armata di libri e ipad, voglio cercare di portarmi avanti il più possibile con lo studio, così da poter spiegare a quello scansafatiche gli argomenti che non capisce.
Ecco, l'ho fatto di nuovo. Per l'ennesima volta continuo a preoccuparmi di Matthew Corwell.
Nel cielo oggi non c'è traccia di nuvole, è completamente limpido. Si starebbe bene se fossi sulla spiaggia, piuttosto che seduta su questo pezzo di cemento che mi separa dall'erba.
Segno sul mio taccuino gli argomenti che devo recuperare dalla fine dell'anno scorso, prima di poter passare agli altri.
Quando torno a sfogliare le materie restanti, mi rendo conto che non ce ne sono più.
Avevo recuperato tutto il recuperabile tempo fa e neanche lo sapevo, mi sento veramente soddisfatta di me stessa.
Mi lascio prendere dall'entusiasmo, mentre una pallonata schiva la mia testa di qualche millimetro, andando a rimbalzare rumorosamente contro il muro.
Ma che diamine…?
« Scusa splendore! »
Una voce familiare mi raggiunge subito dopo, è Dylan, seguito a ruota da Asher. Scommetto la testa che è stato proprio lui a tirare quel bolide.
« Stai bene? » Sorride tirando indietro i capelli dorati, bagnati dal sudore.
Devo dire che, nonostante sia il cugino di quella vipera, è proprio bello.
Ma la sua è una bellezza diversa da quella del mio tenebroso e dannato Matthew: sembra il tipico principe azzurro che si vede nei cartoni animati.
Eppure dentro ai suoi occhi si cela qualcosa che io non so e bramo di sapere più di ogni cosa al mondo.
« Sto bene grazie, però potreste mirare da un'altra parte la prossima volta? » mi alzo da terra andandogli incontro.
« Cosa fai qui da sola? » chiede, schioccandomi un tenero bacio sulla fronte.
« Stavo rivedendo alcune cose, ero un po’ indietro con i compiti » cerco di chiudere in fretta il discorso. Odio mentire, ma non voglio dirgli dei corsi di recupero, e neanche con chi li faccio.
Non voglio rischiare di creare altri casini tra Dylan e Matthew.
Il mio sguardo cade improvvisamente su Asher, che notandomi distoglie immediatamente gli occhi dal mio seno, anche se poco scoperto.
Che razza di porco, chissà cosa direbbe Abby se fosse qui, sicuramente non sarebbero mancati gli insulti.
Mi schiarisco la gola per celare la smorfia disgustata che si è formata sul mio volto e forse per chiudere definitivamente la chiaccherata, non credo di aver più voglia di stare con loro.
Asher mi ha sempre messo in imbarazzo di fronte a tutti, e sapere che potrebbe avere pensieri indecenti su di me mi fa gelare il sangue nelle ossa.
Per me è a pari merito nella classifica dei peggiori scarti umani, insieme a Raylee.
« Dopo gli allenamenti ti va di uscire? Finisco tardi perciò sarei da te per le nove »
« Dove mi vuoi portare? » Ammicco scherzosamente, mordendomi il labbro inferiore, ma Dylan non accenna a rispondere e facendomi l'occhiolino si allontana.
« È una sorpresa, piccola ».
Quando anche Asher lo segue faccio un sospiro di sollievo, il pericolo si è allontanato e io posso tornare a fare quello che facevo prima.
O meglio, posso raccogliere le mie cose e tornarmene a casa. Potrei cenare con Abby, avere il giusto supporto emotivo che mi serve per affrontare questa serata e chiudere in bellezza con una bella maschera sul viso e un libro tra le mani.
Apro la rubrica per sentire dov'è, mentre cammino disinvolta in quei corridoi tanto vecchi, ma che di storie ne avrebbero un miliardo da raccontare.
Passeggio tra quelle mura che ne hanno sentite urla, di pianti, sberle e calci.
Echi incombenti del mio passato, e ora, di nuovo del mio presente.
Cercare anche solo un luogo di Laguna Beach a cui non sia legata, è impossibile.
Non c'è, non c'è strada che non abbia percorso o nascondiglio che sia rimasto nascosto ai miei occhi.
Dopo qualche squillo la voce di Abigail si fa nitida attraverso il microfono del telefono.
« Ciao Cosita »
« Ciao Abby… cosa? »
« È spagnolo, vuol dire “Fiorellino” » nella sua voce avverto una certa fierezza.
« Sono sicura che non significhi quello, forse volevi dire “Florecita”? » rido, ogni tanto questa ragazza se ne esce con una delle sue.
Ricordo una volta in particolare in cui si era cimentata in cucina solo per conquistare mio fratello, quando ancora lui non la considerava più di tanto.
Aveva fatto un pasticcio, spiaccicando un uovo sul soffitto, ma almeno era riuscita ad ottenere la sua attenzione.
Poi iniziarono ad uscire, ed il resto è storia.
Proprio come me e Matthew.
Una triste e stupida storia d'amore che non si concluderà mai.
Un giorno ci odiamo, e il giorno dopo ci promettiamo di non saltarci addosso.
Due teste di cazzo, ecco cosa siamo. Troppo orgogliosi e testardi per esprimere i nostri sentimenti, come se essere sinceri con noi stessi portasse a delle conseguenze imminenti.
Ed effettivamente è così. Rovineremmo tutto, come abbiamo sempre fatto.
Ma che importa ormai? Dopo che ho rovinato tutto.
Mi hanno imposto di andarmene, di tornare dalla mia famiglia senza possibilità di scelta.
Ho visto mia madre cadere in mille pezzi, per poi raccoglierli un coccio alla volta per andare avanti.
Ho visto mio padre andarsene, lasciandosi alle spalle tutto.
Ho visto mio nonno spegnersi lentamente, giorno dopo giorno, consumarsi sotto i miei occhi senza che potessi fare nulla per fermare l’inevitabile. E mentre lui si lasciava andare, io dovevo essere la roccia per mia nonna, il suo punto fermo in quella tempesta di dolore.
L’ultima volta che l’ho visto in ospedale, aveva le braccia livide per via della flebo, gli occhi lucidi di chi era consapevole della sua situazione. Eppure, in quel momento, era ancora vivo.
Respirava, parlava, mi guardava con quell'affetto che non avrebbe mai smesso di donarmi.
«Mi raccomando, prenditi cura della nonna» mi disse con voce ferma, ma con quella sua solita dolcezza.
Avrei dovuto abbracciarlo. Dio, se avrei dovuto farlo.
L'ultimo giorno che lo vidi, quando ormai lo avevamo riportato a casa con l'ossigeno da qualche settimana, avrei dovuto stringerlo forte a me, proprio come faceva lui.
Avrei dovuto farlo all'epoca, perché i rimorsi sono la bestia peggiore.
Ma ho avuto paura di crollare davanti alla mia famiglia. Come se quel dolore trattenuto potesse rendere tutto meno reale.
Ricordo ogni dettaglio del giorno del suo funerale. Il primo a cui abbia mai assistito. E spero con tutto il cuore che sia anche l’ultimo.
Entrai nella casa di mia nonna con il cuore pesante, e lì, nel soggiorno, c’era lui. Sdraiato dentro quella bara di legno lucida, pronto a riposare in eterno. Vestito con il suo completo migliore, la barba ben rasata, il volto sereno come se stesse semplicemente dormendo.
Così mi avvicinai, sperando in un miracolo.
Sfiorai la sua guancia con un filo di speranza folle, irrazionale. Ma la realtà mi colpì come un pugno nello stomaco: la sua pelle era fredda, immobile, senza più quel calore che aveva sempre saputo donarmi.
Ritirai la mano di scatto, come se quel gelo potesse ferirmi più di quanto già non fossi ferita dentro. Una lacrima mi solcò il viso, ma la asciugai in fretta, come se negare il dolore potesse in qualche modo renderlo meno vero.
Eppure era reale. Dannatamente reale.
Dopo quella mattina, passai giorni interi a svegliarmi stremata dalla notte precedente, con un mal di testa che non voleva più passare.
Pronta ad indossare una corazza che mi facesse superare tutto.
Ma anche le armature più resistenti se vengono continuamente colpite, rischiano di danneggiarsi.
La scuola era diventata un inferno, e i bagni nelle prime ore della giornata il luogo dove poter sfogare le mie vulnerabilità, versando lacrime su lacrime.
L'unica cosa buona era che l’eyeliner non si sbavava mai.
Tutto questo si ripeté fino a consumarmi.
Dopo quel grande dolore provai a distrarmi, a conoscere altre persone, a provare qualche sentimento e arrivai alla conclusione che era tutto inutile.
Col passare del tempo mi feci qualche amica con cui uscire e conobbi qualche ragazzo, ma non fu mai nulla che durasse più di qualche settimana, perché forse non era di loro che avevo bisogno.
Non di qualche persona che mi consolasse, ma di mio fratello che mi preparava il tiramisù mettendo la mia serie tv preferita, o di Abigail che mi distraeva con le sue disavventure e detesto ammetterlo, ma anche di Matthew, perché in quel caso la sua sola presenza bastava.
All'epoca però c'era già Raylee che gli ronzava attorno, era l'unica a sapere che a breve sarei andata via e ha colto la palla al balzo.
La sera prima di partire io e Matt discutemmo per una sciocchezza e la mattina dopo decisi di partire in anticipo, come una perfetta idiota.
Nascosta in un cassetto, gli lasciai però una lettera scritta a mano, dove gli spiegavo tutto, ma so di certo che quel cassetto non l’avrà mai aperto.
Forse neanche avrà notato quella busta color lilla, chiusa con un adesivo a forma di cuore.
La voce della mia migliore amica mi riporta inesorabilmente alla realtà, ricordandomi di essere al telefono con lei.
« Uff… non lo imparerò mai lo spagnolo! » la sento sbuffare, non posso fare a meno di soffocare una risatina.
« Alex lo ha studiato, è bravo nelle lingue. Comunque ceniamo insieme stasera? »
« Sì beh, ma come fai a sapere che è bravo con la lingua? »
Allontano il cellulare dall'orecchio e per un'attimo guardo confusa lo schermo.
« Abigail Corwell, cosa diavolo stai blaterando? Anzi, non lo voglio sapere. Ti prego rispondi alla mia domanda » la supplico, ignorando l'immagine di mio fratello e la mia migliore amica che si è formata nella mia mente.
« Si! Scusa stavo divagando, ci vediamo a casa mia più tardi cos- Florecita »
« Perfetto, allora a stasera »
« Devi uscire con quel bocconcino non è così? Non vedo l'ora di sapere tutto » lancia un gridolino entusiasta, chiudendo la chiamata.
“Ti prego stasera fa che vada tutto bene” ripeto nella mia mente per tutto il resto del pomeriggio.
Forse perché so che sicuramente non andrà tutto come spero, è un pensiero molto pessimista, ma almeno evito a me stessa qualche delusione.
Verso le diciotto e mezza inizio a prepararmi, so già cosa indossare: un abito nero, aderente, con uno scollo profondo a V e spalline sottili, con sopra un top a maniche lunghe in tulle trasparente che copre le braccia e il décolleté, creando un effetto vedo-non-vedo.
Il tutto è completato da un trucco leggero, degli orecchini pendenti e degli stivali neri, lunghi fino a metà coscia.
Non è facile per me sentirmi a mio agio con ciò che indosso, ogni tanto provo ad osare per convincermi che è tutto ok, che non c'è niente di male nel mettersi ciò che mi piace.
Che essere in carne non è sinonimo di bruttezza.
Digito sulla tastiera un messaggio ad Abby, per avvisarla che da lì a poco sarei arrivata ed esco di casa scrivendo a Dylan del cambio di programma.
Alex stasera esce dopo di me, perciò lo saluto senza chiudere a chiave.
In neanche un quarto d'ora ho raggiunto la residenza dei Corwell, la luce nella camera di Matt è accesa, cazzo.
Abby non aveva nominato il fatto che Matt fosse in casa.
Fingo che non mi importi mentre raggiungo la porta e busso. Ad aprirmi è la mia migliore amica, che vedendomi tutta a tiro finge un sussulto.
« Oh mio dio. Sei un fottutissimo schianto! » Esclama coprendosi la bocca con una mano, a parer mio un gesto esagerato.
Ma io so dove vuole andare a parare, lo so benissimo.
« Ok, ora fingi che mio fratello non ci sia e raccontami tutto. Esci con quel bocconcino vero? E hai bisogno di supporto morale, giusto? » la seguo, annuendo in risposta alle sue domande.
« In tutta onestà c'è qualcosa che non mi convince in lui, però sembra un bravo ragazzo… perciò vediamo come andrà stasera e se domani mattina non mi sentirai…» sorrido, prendendo una forchettata di pasta, quando lei mi interrompe.
« Non scherziamo, se dovesse succederti qualcosa sarei la seconda a spaccargli la faccia »
« Il primo chi sarebbe? »
« Matthew. Lo so, è un grandissimo coglione, un montato del cazzo, ma se c'è una cosa su cui non ama transigere sei tu. E se veramente questo Dylan si rivelasse un pezzo di merda, lo farebbe a pezzi ».
Dietro di noi un colpo di tosse ci fa sobbalzare, Matthew ci osserva a qualche metro di distanza.
« Vuoi mangiare con noi fratellino? » sorride Abigail, guardandolo in faccia, ma lui non le presta attenzione.
Il suo sguardo è rivolto verso di me, infastidito e protettivo allo stesso tempo. Come a ricordarmi che lui c'è, qualsiasi cosa accadesse.
« Ho mangiato qualcosa prima, devo correre a lavoro » conclude frettolosamente, uscendo di casa.
Rimango a chiacchierare con Abby finché non sentiamo suonare il campanello, sicuramente è Dylan, così prendo già le mie cose e vado dietro alla mia migliore amica mentre apre la porta d'ingresso.
« Buonasera bellezze, sono venuto a rapire la tua splendida amica » afferma sicuro di sé, indicandomi.
Io e Abigail ci lanciamo un ultimo sguardo, poi sorrido a mia volta.
« Sono pronta! » esclamo uscendo e facendo a braccetto con lui. Il suo profumo dolce mi riempie le narici, il suo sguardo è rassicurante.
« Quindi è questo il posto di cui mi parlavi… è davvero carino! »
Scendo dall’auto con curiosità, soffermandomi sui dettagli dell’insegna luminosa al neon che brilla nella buio. Il nome "Azure" risalta con tonalità vivaci, attirando subito l’attenzione, mentre la facciata del locale, con i suoi colori accesi e l’atmosfera vibrante, ci invita a varcare l’ingresso.
.
Se non sbaglio Matthew lavora qui.
All’interno, la musica avvolge l’aria e il ritmo travolgente ci trascina in pista.
Balliamo senza sosta, lasciandoci trasportare dall’energia della serata, finché non ci appartiamo per limonare.
Maledizione, Dylan bacia davvero bene.
Mi lascio travolgere da quel turbine di emozioni, continuando a concedermi a lui ma nel momento in cui inizia a parlare mi blocco.
« Vi siete baciati, vero? » chiede, mentre regge ancora con fermezza la mia coscia.
« Di cosa stai parlando Dy- »
« Lo sai di cosa sto parlando »
La sua voce è bassa, tesa, mentre le sue dita si stringono con più forza attorno alla mia coscia. Sussulto, perché la presa è sempre più intensa, quasi dolorosa.
« Dylan, mi fai male… » sussurro, cercando di spostarmi, ma lui non accenna a lasciarmi andare, cingendomi il fondoschiena con l'altra mano.
I suoi occhi sono scuri, non li riconosco più.
« Dimmi la verità. Ti ha baciata, non è così? »
Deglutisco a fatica, con il cuore che martella nel petto. « Non è come pensi… »
Ma non mi lascia finire. La sua presa si fa ancora più forte mentre si avvicina di scatto, le sue labbra che si schiantano sulle mie in un bacio ruvido, possessivo.
Mi afferra il viso con una mano, stringendomi le guance, come se volesse cancellare ogni traccia di Matt dalla mia bocca.
Gemo contro le sue labbra, non solo per il bacio ma per la forza con cui mi stringe. È disperato, arrabbiato e io ho paura.
« Eppure scommetto che se ti avesse baciata lui, non avresti reagito così » La sua voce è roca, il respiro irregolare mentre mi scruta con un’intensità che mi toglie il fiato.
Mi manca l’aria, il cuore è un tamburo impazzito. Voglio protestare, dirgli che sta esagerando, ma il suo sguardo mi blocca. E in quel momento inizio a dimenarmi.
Mi dimeno, finché la sua presa non si affievolisce e corro via senza guardarmi indietro.
Corro, con il trucco che cola dagli occhi, scappo via da quel ragazzo di cui pensavo di fidarmi, con la paura che scorre nelle vene.
Ma la mia fuga si interrompe quando sbatto contro qualcosa di morbido, il petto di qualcuno.
Alzo lo sguardo, ormai offuscato dal pianto e vedo Matthew, che senza dire niente mi stringe al suo petto, con l'espressione di chi darebbe fuoco al mondo pur di non vedermi così.
« Hey Stellina, sono qui. È tutto ok… »
« No, non è tutto ok » cerco di parlare tra i singhiozzi, ma non pronunciò altro che frasi sconnesse e qualche parola confusa, ma questo a lui basta per capire tutto.
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« Lui… lui mi stringeva così forte, mi faceva male… Sa che ci siamo baciati e… » Scoppio in un pianto incontrollato mentre le sue braccia mi stringono ancora più forte.
« Tieni le chiavi della macchina, chiuditi dentro e aspettami lì » sibila in tono minaccioso, porgendomi tirando fuori dalla tasca le chiavi.
« A quel figlio di puttana ci penso io adesso ».
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