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G — S E O N G H W A

[N/A] Non lasciatevi ingannare dalla GIF :)

«Dove trovi ispirazione per le tue canzoni?»  

Hongjoong situò incuriosito la propria posizione dinanzi a me, costretto a sollevarsi sulle punte dei piedi per sbilanciarsi seduto al di sopra del tavolo: sorreggeva tra le proprie pallide mani un taccuino rilegato finemente in pelle, dalle cui pagine ingiallite d’inchiostro scuro sporgevano impertinenti numerosi Post-It di abbaglianti tonalità sgargianti. Considerai curioso come un modesto oggetto nella propria disorganizzata stravaganza, potesse rappresentare con essenziale purezza la personalità di Hongjoong. Mantenni dolente un’espressione di scostata indifferenza, ingoiando affaticato l’amarezza della sfiorita memoria che d’improvviso aveva colto il mio subconscio impreparato. Osservai con disattenzione i suoi frenetici movimenti, mentre involontariamente annusai nella sua sbadataggine il nostalgico acerbo odore di tempere acriliche: trovai conforto nella domestica reminiscenza che possedevo riguardo all’ormai remoto corso di pittura al quale partecipammo insieme, durante cui mi era ancora concesso il privilegio del suo sguardo benefico, mentre rivolgendomi timidi sorrisi lasciava in modo permanente un’impronta di pittura sul mio viso scarno. Socchiusi semplicemente gli occhi, consentendo rassegnato a quella maligna illusione remota di far suonare in pungenti carezze le corde arrugginite del mio cuore solitario.  

«Non me ne vuoi parlare?» insistette dunque Hongjoong con tono lievemente molesto, visibilmente risentito dal non aver ottenuto il minimo accenno di una risposta, dondolando corrucciato le proprie corte gambe oltre il bordo del tavolo. Notai mi rivolse uno sguardo astioso, indietreggiando con il corpo verso la parete spoglia alle sue spalle per consentire il passaggio ad un tecnico visibilmente indaffarato. Mi limitai ad assumere un’espressione esageratamente annoiata mentre, piegando con un fluido movimento il capo di lato, permettevo a Choi Jongho di rimuovere le ultime sfumature di fard sul mio viso ormai scolorito. Quest'ultimo, mi accorsi piacevolmente con il trascorrere delle giornate, era un ragazzo particolarmente silenzioso: non interveniva se non richiesto, né aveva mai pronunciato parole sgarbate o fuori luogo. Sicuramente non perché non possedesse una propria critica opinione riguardo ad ogni singola situazione, ma probabilmente non riteneva necessario che i suoi interlocutori ne venissero al corrente. Probabilmente Choi Jongho prediligeva i luoghi isolati ed intimi, cantando appartato per un pubblico di pochi eletti ed aderendo dunque alla necessità di una propria scelta imprescindibile. Jongho possedeva le corde vocali di un passero solitario: spensierato, intona ignaro il proprio armonioso canto libero dinanzi alla costretta immobilità del poeta. Infastidito da quella mia stessa analogia mi alzai attimi dopo con sin troppa rapidità, ignorando il dischetto di cotone che Jongho ancora si apprestava a tamponare con delicatezza sulla mia pelle e tentando di recuperare rapidamente l'equilibrio perduto. 

Hongjoong mi rivolse immediatamente un ulteriore sguardo, attendendo impaziente un mio responso mentre si affrettava a saltare giù dal tavolo con un balzo repentino, atterrando solidamente nelle proprie scarpe numero trentotto. Notando non volesse demordere mi limitai ad un disinteressato cenno con la mano, indicandogli con un mugugno una disordinata pila di fogli accatastata al di sopra di una sedia. Hongjoong sembrò sforzarsi di apprezzare quella mia iniziativa, imbronciando leggermente il proprio volto mentre impaziente mosse rapidi passi verso la sedia precedentemente indicata, tuttavia bloccandosi di scatto non appena percepì le proprie gambe tremare al di sotto del peso del proprio corpo. Un amareggiato guizzo di consapevolezza illuminò il suo sguardo affranto: lo vidi socchiudere prontamente gli occhi, rassegnato ad incontrare con la propria tremante figura il freddo pavimento sul quale poggiava. Mi mossi ancor prima di ponderare una decisione, anticipando l'ansioso intervento di Jongho: mi risultò spaventosamente facile circondare con un braccio la sottile vita di Hongjoong, mentre lo costringevo con un brusco gesto nuovamente seduto sul tavolo. Ebbi paura di incontrare il suo sguardo interrogativo, mentre sistemavo infastidito i miei appunti tra le sue mani tremanti. 

«Credevo fosse guarito.» sibilai invece con voce roca, rivolgendomi a Jongho. Jongho non si mosse, limitandosi a ricambiare il mio sguardo ostile. Scosso dall’accaduto tentai di ignorare il continuo tremolio delle mie stesse mani, ancora pervase dal dolciastro profumo dei vestiti di Hongjoong. Infastidito volsi le spalle ad entrambi, tentando in qualche modo di ricompormi rapidamente: il solo pensiero che Hongjoong ancora si trovasse in quelle incerte condizioni mi stomacò più di quanto avessi potuto immaginare. Distratto dalla mia stessa agitazione, non mi accorsi che Hongjoong avesse ormai iniziato a leggere le mie note. Divorato dall’impazienza, aveva ceduto al proprio interesse. La curiosità uccise il gatto, Hongjoong. 

Gela l'inverno nel mio giardino appassito, giacciono foglie secche nella mia teiera macchiata. Il pianto di un pianoforte riecheggia nel salotto deserto, solitarie note impolverano l'ingresso. Il ricordo sbiadito che ho di te è l'unico motivo per cui mi ostino a respirare quest'aria viziata, l'inganno della mia memoria ha deturpato la tua immagine e non riesco a distinguerti da questa vile realtà bugiarda. Al di sotto delle mie palpebre socchiuse, ti sollevi incerto sulle punte dei piedi: aspetto ancora le tue labbra sulle mie. Uno sbiadito sogno ad occhi aperti sigillato in una fragile teca di vetro, le cui affilate schegge perforano il singhiozzo spezzato del mio cuore sofferente. In questa dispersiva città di stelle, il drago finalmente si è addormentato: la desolata stazione del centro attende l'eterno rimuginare di un treno soppresso, l'eco di un pianto fertilizza le rotaie in attesa del tuo ritorno. Immobile sul marciapiede, mani insanguinate nelle tasche dei jeans e sigarette in gola a soffocare il respiro. Impaurito dalla morte, ma stanco della vita. 

Hongjoong lesse il mio testo a bassa voce, come se avesse avuto il timore di sporcare con il proprio tremolante timbro quelle insignificanti parole che avevo scritto d’impulso. Aveva iniziato la propria lettura con determinazione, osservando invece disarmato il graduale affievolirsi della propria voce sino a ridurla in un lamentoso pigolio. Per quanto quelle parole a me non piacessero, probabilmente Hongjoong le apprezzò ampiamente. Incerto gli rivolsi un fugace sguardo, speranzoso di notare uno scintillio nei suoi occhi che potesse indicarmi la sua consapevolezza, la sua memoria. Tuttavia l’espressione di Hongjoong non era altro che compassionevole, e la smorfia comprensiva che mi diresse mi ferì ancor più della sua ignoranza.

«Hai realmente intenzione di inserire una scena in cui verrai investito da una macchina, nel tuo prossimo MV? Come cliché, rasenta l'immaginario...» commentò semplicemente, avvicinandosi incerto a me. Non lo guardai, fingendomi impegnato ad amministrare la mia troupe: dinanzi a noi, numerosi tecnici ed artisti erano indaffarati nella realizzazione della perfetta scenografia, un enorme schermo verde come sfondo delle proprie fatiche.

«Voglio essere investito.» replicai con voce atona, conquistando finalmente il coraggio necessario per guardarlo negli occhi. Insistetti nel guardarlo, soffermandomi sulle sue lunghe ciglia le quali gettavano tuttora un’ombra di innocenza sul suo sguardo infantile. Osservai le sue labbra rossastre storte in un capriccioso broncio, mentre mi studiava con disappunto, costretto a sbilanciarsi leggermente per potermi guardare negli occhi. In quell’esatto momento volli ridere, ridere a crepapelle. Ridere come mai avevo riso prima, sfogare in una sguaiata risata tutta la tristezza che stava lentamente desertificando i miei polmoni ed inaridendo le mie arterie. Sehnsucht, mi ritorovai ironicamente a pensare. Distogliendo la mia visuale assetata dalla luminosa sorgente presente nello sguardo lucido di Hongjoong, mi rivolsi invece a Jongho, recuperando il mio cellulare dalla tasca dei jeans e porgendoglielo con un gesto arrendevole.

«Chiama Kang Yeosang.» 

[N/A] Scrivere questo capitolo è stata proprio una fatica <//3. Avevo la bozza pronta da diverse settimane, ma non ho mai avuto il tempo materiale per continuare la stesura del capitolo. OUCH, spero vi piaccia comunque! La storia non ha una cronologia ben precisa, perciò vi avviserò se ci saranno dei salti temporali o quant'altro! ^^

BONUS:

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