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[N/A] Weilà, sono tornata ^^ Perdonate il ritardo, spero comunque apprezziate questo obbrobrio. Vi avverto, con questo capitolo potrete percepire tutta la mia sottonaggine per Seonghwa :)
D — H O N G J O O N G
Nonostante nella mia playlist vi fossero almeno una decina delle sue canzoni più celebri, ebbi la possibilità di sentire realmente la sua voce solo un paio di ore dopo dal suo svenimento. Park Seonghwa venne soccorso immediatamente dai suoi due colleghi di lavoro: la loro altezza mi incusse timore, benché i loro visi fossero mascherati da una pallida smorfia di sincera preoccupazione. A disagio osservai le mie scarpe numero trentotto, fermo incerto all'angolo che Jongho precedentemente mi aveva indicato. Era sopraggiunto d'improvviso, non mi accorsi minimamente del suo arrivo: mi afferrò semplicemente per una spalla, rimproverandomi agitato per aver desiderato uscire attraverso il retro del locale. Lo osservai sinceramente confuso, mentre lasciavo che mi guidasse in un luogo più appartato e mi rimproverasse di azioni che ingenuamente avevo compiuto. Mi chiesi perplesso cosa avessi fatto di sbagliato, mentre mi sollevavo incerto sulle punte dei piedi per permettere ai miei occhi di adocchiare il cantante aldilà delle imponenti figure dei suoi due collaboratori.
Al mio arrivo Park Seonghwa era steso in maniera scomposta su uno dei divani in pelle della sala, il viso pallido contratto in una genuina espressione di imbarazzo. Le labbra screpolate erano leggermente socchiuse, il petto affaticato si sollevava ed abbassava lentamente a ritmo dei suoi sospiri regolari. Capelli color pece ricadevano disordinati sulla sua fronte corrugata, distendendo una malinconica ombra sul suo viso stanco. Mi permisi di osservarlo in silenzio, disteso inerte su quell'insignificante divano ecologico, immobile nella più sciocca delle posizioni. Sconfitto come un'alba mai sorta, relegato in una stanza indegna di ospitare il genuino fascino della sua altera figura.
Mi sedetti timoroso accanto a lui, accertandomi imbarazzato che la poltrona fosse sufficientemente distanziata dalla sua posizione. Nel mio petto era sorto inspiegabilmente un fastidioso senso di vergogna, come se non mi fosse consentito osservarlo in quel modo spudoratamente sfacciato. Ero certo che il mio sguardo stesse in qualche modo scottando la sua pelle, come sale marino in una calda mattinata di metà Luglio. A quel pensiero un inconfondibile odore di mare solleticò le mie narici, e mi accorsi stupito fosse il suo profumo. Nonostante il suo aspetto fosse freddo come brina d'inverno, Park Seonghwa profumava di una nostalgica brezza estiva, di un'irraggiungibile estate infantile. Tuttavia non appena i suoi occhi si aprirono in seguito ad un brusco spasmo, mi ritrovai ad affogare in una scura pozza d'acqua stagnata: del sordo garrito dei gabbiani neanche il ricordo.
«Hongjoong.» sussurrò semplicemente. Disse il mio nome con una naturalezza disarmante, come se avesse trascorso giornate intere ad intonare quella stessa parola più e più volte, probabilmente con il semplice obbiettivo di migliorarne la pronuncia. La sua voce graffiante lacerò qualcosa all'interno del mio animo, e senza rifletterci mi allungai verso la sua figura per porgergli un bicchiere d'acqua. Obbediente misi in atto le tre intoccabili indicazioni di Jongho: non parlai, non lo guardai più in viso e mi accertai semplicemente che bevesse l'intero bicchiere d'acqua. Mi ritrovai involontariamente ad arrossire, sistemandomi a disagio una cioccia di capelli dietro l'orecchio.
Qualcosa nel mio cuore, in quell'esatto momento cigolò. Mi accorsi con vergogna di voler piacergli, di star agendo semplicemente con il fine di compiacerlo. Con il peso di questa consapevolezza addosso appoggiai il bicchiere ormai vuoto a terra, a disagio persino con il mio stesso corpo, talmente imperfetto rispetto al suo. Mi risultò difficile osservarlo a lungo, evidentemente i miei occhi svergognati si commossero sin troppo rapidamente nell'osservare l'armonioso aggroviglio dei suoi lunghi e pallidi arti. Era bello, bellissimo. Armonioso in ogni suo gesto, per un attimo invidiai Jongho per avere ottenuto la possibilità di poterlo vestire a suo libero piacimento.
«Come sai il mio nome?» la mia bocca parlò ancor prima che il mio cervello potesse organizzare anche una singola frase di senso compiuto. L'ansia stava lentamente divorando il mio stomaco, che indifeso si limitò ad esprimersi con un semplice brontolio. Imbarazzato mi portai una mano all'altezza del ventre, evitando accuratamente lo sguardo di Park Seonghwa. Mi domandai se fosse normale provare una tale agitazione dinanzi ad uno sconosciuto.
《Il mio stilista.》rispose lui, con tono laconico. Sembrava disinteressato alle mie reazioni vergognosamente esagerate e indifferente si sedette composto sul divano in pelle. Quella risposta non mi tranquillizzò minimamente. Scioccamente mi domandai se non ci fossimo conosciuti in occasioni precedenti.
《Mio cugino.》gli spiegai allora, nonostante non me lo avesse chiesto. Parlai in fretta, per non permettere ad uno scomodo silenzio di insinuarsi tra di noi, tollerando ben poco l'acuto tono della mia voce.
《Park Seonghwa?》continuai capriccioso, notando deluso non desse segno di voler estendere la nostra scarna conversazione. Lo vidi indugiare qualche attimo, prima di incastrare inaspettatamente il suo sguardo al mio.
《In persona.》confermò lui, con poco entusiasmo. Nonostante il palese disinteresse nei miei confronti, non distole comunque lo sguardo dal mio. Ne fui inspiegabilmente riconoscente e mi concessi qualche attimo per osservarlo nuovamente. Il suo sguardo era cupo, ma ebbi l'impressione che qualcosa di estremamente caldo riscaldasse la pece dei suoi occhi: benché fossero scuri come la notte, mi ritrovai smarrito dinanzi ad un cielo stellato.
《Stai meglio?》domandai voltandomi con il capo, dal momento che non fui in grado di sostenere un confronto con il suo sguardo. Con la coda dell'occhio notai le sue labbra tendersi in un sorriso sarcastico.
《Dipende da cosa tu intenda con meglio.》mi disse, prima che un sordo tonfo accogliesse l'inaspettato ingresso nella stanza dei suoi due colleghi di lavoro e mio cugino. Avevano l'aria di aver salito di corsa trenta rampe di scale, mentre Jongho rimaneva ostinatamente appeso alla maniglia della porta per poter riprendere fiato. Sobbalzai lievemente sul posto, e mi chiesi ignaro se non ci volessero lasciare da soli.
[N/A] ...CHI NON È PRONTO PER QUESTO COMEBACK DEGLI ATEEZ? :D
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