venti
A little too much, Shawn Mendes
Il marmo del davanzale su cui sono seduta è freddo, lo sento anche attraverso i pantaloni di tuta leggeri che indosso.
C'è ancora il sole, le nuvole sono poche, ma nonostante questo non sono riuscita a contarle. Non sono riuscita a finirle, perché arrivata allo stesso punto ogni volta qualcosa nella mia mente non mi ha fatto continuare, mi ha interrotta tutte le volte che ci ho riprovato. Poi ho smesso, mi sono stancata allo stesso modo in cui le persone che ho perso ad un certo punto si stancano di me.
Il dottor Welson è andato via da poco, e oggi è stata l'unica persona che ho visto insieme a mia madre — che ha acconsentito ad andare a casa almeno per qualche ora. Anche io ne avevo bisogno. Ne ero spaventata, ma avevo bisogno di respirare, di provare a metabolizzare almeno in parte quello che è successo negli ultimi giorni. E per riuscire a farlo dovevo restare da sola.
Sono seduta su questo davanzale probabilmente da un paio d'ore, anche quando è passato Welson non mi sono mossa da qui. Lo ascoltavo e a volte lo guardavo, cercavo di capire se nel suo tono ci fosse giudizio, cosa pensasse dei casi come il mio. Di quelli che credi di conoscere, di poterne estrapolare le cause e gli effetti, ma alla fine la cicatrice riesci a vederla completamente per ciò che è soltanto chi la porta sulla pelle.
Ogni tanto mi volto: la rosa è ancora lì, insieme al taccuino che ogni tanto prendo tra le mani e sfoglio. Anche quelle pagine vuote mi spaventano, perché ho quasi il terrore di sporcarle con qualcosa che mi appartiene, di non esserne all'altezza.
Ho pensato a Harry tante volte. Ci penso e mi chiedo se lui sia stata l'ennesima persona entrata nella mia vita per sbaglio, se il niente aspettative fosse una regola sin dall'inizio. Poi però la porta della stanza si apre e succede lentamente, non riesco a capire chi sia fino a quando non è quasi completamente aperta. E allora ho la mia risposta, una delle tante che però non mi basta ancora.
Richiude la porta dietro le sue spalle, non mi ha ancora guardata negli occhi e sento il battito accelerare, il petto che si alza e si abbassa; la voglia di piangere e di non smettere mai, di essere toccata e amata come non c'è mai stata, di rispondere che non sto bene e che forse la felicità per me è soltanto un'utopia.
Poi si volta e alza gli occhi, e mi guarda. Mi vede, le labbra chiuse in una linea sottile in un silenzio leggero che ci divide e ci unisce in un modo inspiegabile. Solo che io non ce la faccio a tenerlo, non riesco più a tenere tutto. Il cuore mi pesa dentro, si è spezzato troppe volte e io non riesco a sopportarlo, non ce la faccio più. Una lacrima cade sul mio volto nello stesso momento in cui un singhiozzo mi chiude la gola e una mano raggiunge il mio viso come a coprirlo. E poi succede tutto velocemente, perché non sono più seduta su quel davanzale ma sono al centro della stanza, con i piedi nudi a contatto con la superficie del pavimento freddo e le braccia di Harry che mi avvolgono il corpo in un modo in cui nessun altro mi aveva mai stretta. E piango. Piango tanto, forse troppo, non me ne rendo conto ma lui me lo lascia fare. Una sua mano raggiunge i miei capelli, la mia testa sul suo petto insieme alla mia mano avvolta dalla sua.
«Sono qua» sussurra poi, la voce bassa e roca, e sono le prime parole che mi rivolge. Le ripete ancora. «Sono qua, Mia.»
Sento il suo mento poggiarsi sulla mia testa mentre ancora mi tiene a sé senza l'intenzione di lasciarmi andare. Non so bene perché io stia piangendo, e perché mi sia lasciata andare proprio con lui. Non so cosa dire, da dove partire, quali siano le parole giuste per cominciare. Ma so che ci sto bene stretta in questo modo, che non mi dà più fastidio, che il suo modo di tenermi forse non voglio evitarlo, che l'ho fatto già per troppo tempo.
Mi allontano piano, le mani di Harry mi seguono e trovano il mio volto. Sfrega delicatamente le dita sulla mia pelle per rimuovere le lacrime, il mio respiro è ancora irregolare e io riesco a guardarlo soltanto dopo qualche istante. Non mi guarda in modo diverso; non mi guarda in modo compassionevole, ma c'è qualcosa che non lo rende lo stesso.
Sono la prima a spostarsi, vado verso il letto e mi siedo verso il centro piegando le gambe e portandole al petto. Harry esita, ma poi si siede sulla sedia accanto al letto, di fronte a me. Nessuno dei due parla, soltanto i nostri respiri riempiono la stanza e io faccio qualcosa che forse non dovrei fare, solo che sono una codarda e non so da dove poter iniziare. Allora prendo il mio cellulare e premo il tasto di accensione, è la prima volta dalla sera in cui l'ho spento, quella in cui i pensieri erano troppi e troppo pesanti da sostenere, non riuscivo a stare dietro neanche ad uno solo, eppure mi sentivo vuota, priva di vita.
Aspetto, poi lo schermo si illumina e su di esso compare tutto quello che ho ignorato durante questi tre giorni. Ci sono le chiamate di Darlene, di Eve, e ci sono quelle di Harry. Quelle a cui non ho mai risposto. Scorro tutto con le dita, guardo ogni cosa, poi però il cellulare lo lascio cadere sul letto tra le mie gambe, e mi porto entrambe le mani a coprirmi il volto.
Alla fine è Harry a parlare per primo, è lui a cominciare, ed è il modo in cui la sua voce scandisce le parole a farmi sollevare la testa e lo sguardo per poterlo vedere. «Perché non mi hai mai risposto, Mia?»
Io mi stringo nelle spalle, dischiudo le labbra più volte prima di rispondergli. «Volevo soltanto provare a spegnere tutto, che sai, è la cosa che secondo tutti mi riesce meglio.»
Riporto lo sguardo su Harry e lui chiude gli occhi per un solo istante, è piegato in avanti e ha i gomiti poggiati sulle gambe, le mani incrociate. La felpa nera che indossa lo fa sembrare anche più stanco di quanto già non sia; i suoi occhi sono cerchiati da qualcosa che riconosco, e mi riesce difficile credere che io lo abbia ridotto in questo modo, anche se in un modo o in un altro finisco sempre per trascinare tutti giù con me.
«Ma io stavo venendo da te, lo sapevi» dice, e il senso di colpa presente nella sua voce mi fa stare male, perché non ha senso di esistere. Non è colpa sua. «Sapevi che sarei arrivato da un momento all'altro, eppure non sono riuscito ad essere con te prima di, di...»
«Ho pensato a te» lo interrompo velocemente, perché so che che sono l'avessi fatto istintivamente probabilmente non sarei mai riuscita ad ammettere una cosa del genere in modo così diretto. Lui continua a guardarmi, gli occhi di un verde così chiaro che non riesco a sostenerli.
«Quando?»
«Prima di farlo. Ti ho pensato.»
Harry scuote debolmente la testa, si stringe nelle spalle e poi accenna un piccolo sorriso. «Però non è bastato.»
Anche io compio quasi gli stessi movimenti. «Non è questo, Harry. È più di così.»
E adesso mi rendo conto che non siamo pronti. Che forse credevamo di esserlo, che forse io credevo di essere pronta per lui, di potergli dire qualcosa che lui si aspettava. Perché adesso il niente aspettative va fatto da parte, e lo sappiamo entrambi. Solo che io non sono pronta a spogliarmi completamente dei miei peccati e dei miei demoni, e lui non è pronto ad accoglierli e a farli suoi. Allora mi guarda ancora intensamente, ci chiediamo scusa e allo stesso tempo ci perdoniamo, le parole premono contro le mie labbra per cadere dalla mia bocca, ma è troppo tardi.
Alla fine Harry abbassa lo sguardo e si passa una mano tra i capelli, poi con un unico movimento si alza senza esitazioni. Va verso la porta senza neanche guardarmi e io mi sento così vulnerabile che non voglio più restare da sola.
«Harry» lo chiamo, ma poi esito quando si volta. «Tornerai?»
Mi guarda, aspetta prima di parlare. «E tu? Tu resteresti?»
«È diverso» dico come se fosse un'abitudine, tirarmi indietro piuttosto di lasciarmi cadere. E lui lo capisce.
«Non ho intenzione di lasciarti andare, Mia, ma ho bisogno di tempo. Non so dirti di quanto, ma concedimelo» mi chiede e io annuisco senza parlare, senza più forze.
Harry torna indietro invece di aprire la porta e andare via. Si avvicina di nuovo e mi sfiora il volto con una mano, poi si abbassa su di me e mi lascia un bacio sulla fronte, quasi tra i capelli, e al contatto delle sue labbra con la mia pelle chiudo gli occhi.
«Non ti lascio andare» ripete e si allontana piano mentre mi guarda un'ultima volta, ma non dice niente. Alla fine si volta e va verso la porta, che chiude alle sue spalle quando esce, lasciandomi ancora una volta da sola in questa stanza.
A/N
Scusatemi infinitamente per l'attesa, ma questo capitolo è stato letteralmente un parto e nella mia testa era quasi tutto completamente diverso.
Spero in ogni caso di aver reso l'idea, di essere riuscita a farvi arrivare quello che sta provando Mia, che poi ha anche portato alla decisione finale di Harry (insieme a lei).
Giuro che ci saranno (più o meno) gioie da questo punto in poi!!
Vi abbraccio,
Chiara 🌹
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