undici
Collide — Chris Lord — Alge Mix aka Radio Edit, Howie Day
In un giorno troppo freddo di dicembre conosco una ragazza che non riesce a non camminare per l'intero corridoio durante l'attesa.
Io sono seduta contro la parete con le gambe incrociate e il libro tra le mani, davanti allo studio del professore di quest'esame. Conosco la ragazza perché spesso mi viene vicino e mi chiede conferma, mi chiede se ho sentito qualcuno chiamare il suo nome. E io ogni volta le dico che non è ancora stata chiamata, di stare tranquilla.
«Scusami, so quanto ti sto distraendo» mi dice poi, abbassandosi e guardando il libro aperto tra le mie mani.
Non sa che non sto ripetendo davvero, che prima di un esame non riesco mai a farlo. Solo che tenerlo aperto e basta mi dà quella sicurezza in più di cui ho bisogno anche se mi costa ammetterlo.
«Non preoccuparti» le ripeto ancora, abbozzando un sorriso nella sua direzione. Non mi sembra di averla già vista, ma sembra diversa dal genere di persone che frequentano quest'università.
Alzo lo sguardo quando Paula esce dallo studio con un sorriso stampato sul volto e i libri stretti al petto. Le altre ragazze la accerchiano e le chiedono come sia andata, cosa le è stato chiesto.
«È andata benissimo» la sento dire e quasi mi viene da ridere, perché sono le stesse parole che dice ogni volta. Come un disco rotto che ti ostini ad ascoltare e che non riesci a lasciare andare.
La ragazza di cui già non ricordo più il nome mi chiede qualcosa e io devo farglielo ripetere perché non le stavo prestando attenzione, ma lei mi sorride comunque.
«Ti ho chiesto se sei da sola» mi guarda senza giudizio, senza aspettative. Nessuno si aspetta mai niente quando mi parla.
«Sì, solo io» le rispondo chiudendo il libro sulle mie gambe. Mi guardo intorno e mi rendo conto che siamo rimasti in pochi. «Tu?»
«Anch'io» continua a sorridermi, e mi chiedo come faccia. A sorridere e a sembrare sincera, a non stancarsi di farlo.
«Puoi ripetermi il tuo nome? Mi dispiace, non li ricordo mai all'inizio.»
Sorride ancora, questa volta anche di più. «Speravo di non essere l'unica.»
Allora poi sorrido anch'io. «Sono Callie. Tu?»
«Mia» dico velocemente, premendo successivamente le labbra in una linea.
«È un bel nome.»
«Grazie» le rispondo senza dirle che anche il suo lo è, un po' perché odio le repliche obbligate, un po' perché chiamano il mio nome.
Mi alzo velocemente e raccolgo ciò che c'è di mio, poi Callie mi tocca il braccio prima che entri in quella stanza.
«Buona fortuna» mi sussurra con un altro sorriso, e io non riesco a non ricambiarlo e a pensare che, forse, lei mi piacerebbe rivederla.
—
Quando esco dallo studio non ho il sorriso che aveva Paula e neanche quello della ragazza che sento ancora parlare mentre attraverso il corridoio. Non è andata male, è solo andata come tutte le altre volte, però va bene.
Sistemo la sciarpa intorno al mio collo e scendo le ultime scale dell'edificio, mentre l'impatto con tutto quello che c'è fuori mi destabilizza, però non mi ferma. Continuo a camminare e oggi decido di non prendere la metro per arrivare al locale, non mi va.
Provo a chiamare Eve mentre supero alcune persone ferme davanti a una vetrina e altre che semplicemente sono ferme, parlano come se niente fosse, come se non gli importasse di nessuno.
Arrivo al Midnight Memories e sento che il naso potrebbe staccarsi dal mio volto e cadermi per quanto sia freddo; quando entro nel locale sospiro di sollievo per il leggero calore che mi riscalda quasi istantaneamente. Con Eve non riesco a parlare, continua a non rispondermi, così abbandono il cellulare nella tasca del parka.
Saluto Matt con la mano e lui mi sorride debolmente, prima di indicare con un cenno la persona seduta in fondo al locale.
«Vado a cambiarmi» gli dico velocemente prima di fare altro, e mi chiudo la porta alle spalle quando raggiungo il retro. Sfilo il parka insieme alla sciarpa, poi recupero la divisa scura e la indosso; sospiro ancora quando mi rendo conto che non posso più temporeggiare.
Torno prima da Matt, voglio essere sicura del perché lui sia qui.
«Mi ha chiesto di te» mi dice, come se potesse davvero bastare.
Io lo guardo: lo guardo riesco a vedere soltanto il ragazzo che Nina ha prosciugato, non riesco ad immaginare altro.
«Vai, Mia, se ho bisogno di una mano ti chiamo» continua Matt, guardandomi con i suoi occhi grandi e sorridendomi dolcemente. Replico il suo sorriso e annuisco, prima di girare intorno al bancone e attraversare il locale.
Quando gli sono vicina solleva lo sguardo dalla sua tazza e mi guarda, poi mi sorride anche lui.
«Ciao, Mia.»
«Alex» mi siedo di fronte a lui e incrocio le braccia sul tavolo in legno. «Come stai?»
«Sto bene, grazie» mi risponde, sempre nel suo modo tranquillo di affrontare la vita e tutto il resto. Anche lui ha perso tanto. «Tu come stai?»
Io abbasso lo sguardo come tutte le volte che me lo chiedono, perchè questa domanda non mi è mai piaciuta e io non ho mai saputo rispondere, neanche una volta. Vorrei poter rispondere che semplicemente sto, perché sono in questa costante terra di mezzo di cui non so definire né limiti né confini.
«Anch'io sto bene» però rispondo alla fine, come tutte le volte. È più semplice, perché poi sei costretta a dare delle spiegazioni se la tua risposta è diversa, se ammetti di non stare bene. E Alex mi conosce, ma non abbastanza da rendersi conto di quello che c'è dietro le mie parole.
«Sono venuto per chiederti se qui c'è la possibilità di lavorare. Anche se si trattasse soltanto di qualche ora, mi andrebbe bene.»
La richiesta di Alex mi sorprende e mi solleva allo stesso tempo, perché ha volontariamente omesso Nina, anche se mi aspettavo che non fosse venuto qui per parlare di lei.
«Non ne sono sicura, ma posso chiedere e farti sapere» gli dico, e i lineamenti del suo volto si rilassano. Sembra stanco, però non sembra stare male.
«Ti ringrazio» mi risponde, e restiamo a parlare ancora per qualche minuto prima che lui finisca il suo caffè e recuperi qualche moneta, ma io lo fermo.
«Tranquillo» gli assicuro e mi alzo, lui fa lo stesso e mi sorride ringraziandomi ancora, prima di lasciare il locale senza neanche avermi sfiorata. Alex è sempre stato così, e in questo tante volte mi sono rivista in lui.
Mi chiedo se lui Nina l'abbia mai rivista, cosa pensa di lei e se sappia che anche quello che c'era tra noi è finito da tempo.
Il resto della giornata è come tutti gli altri resti della settimana, come tutti gli altri resti sparsi di cui non sai mai cosa fare. Durante la serata il locale si riempie, con Matt parlo poco dopo avergli chiesto se sa qualcosa riguardo qualche vuoto nel personale. Mi ha risposto che non ne è sicuro, ma crede che siamo al completo e lo penso anch'io, però voglio esserne completamente sicura prima di dirlo ad Alex.
È nel momento in cui mi sposto i capelli dal volto che alzo lo sguardo e lo vedo. Porta il nome di venerdì ed è esattamente come tutti gli altri, solleva il bicchiere tra le dita e mi fa un cenno quando me ne rendo conto.
Come un segno involontario, mi prendo il labbro tra i denti e scuoto debolmente la testa, perché questa giornata sembra non finire mai. Ne ho la conferma quando si avvicina al bancone e si siede esattamente di fronte a me, con un sorriso abbozzato sul volto. Una leggera peluria gli costeggia il mento e la mascella, arrivando fino alla parte anteriore alle labbra.
«Ciao» dice semplicemente, il taccuino nascosto da un paio di chiavi e da un pacco di sigarette.
«Ciao» replico, guardandolo soltanto per un istante. Non ho dimenticato quello che ci siamo detti l'ultima volta, e non ho dimenticato le parole di Eve. Solo che non so come comportarmi, non so cosa voglio da lui e non sono sicura di cosa cerchi lui, però so che quando c'è, inspiegabilmente, lo sento.
«Esci con me» lo dice velocemente, e nel modo in cui lo fa non sembra neanche chiederlo, lo da per scontato.
Alzo lo sguardo su di lui che continua a guardarmi, e non io non gli chiedo neanche di ripeterlo.
«No» sorrido mentre lo dico e scuoto la testa, e contro ogni mia aspettativa, lui fa lo stesso.
«Sapevo avresti risposto questo» continua con sufficienza, con la voce quasi consumata da quelle sigarette al suo fianco.
«È questo il punto» dico, poggiando entrambe le mani sul bancone e guardandolo. «Tu credi di sapere cose che in realtà non sai.»
«Esci con me» ripete, spostandosi dal bancone con la giacca tra le mani. «Domani. Sarò qui quando finirai il tuo turno.»
«Non conosco neanche il tuo nome» gli faccio notare, anche se entrambi sappiamo che non è una risposta, e anche se le parole di Eve continuano a ripetersi nella mia mente senza lasciarmi andare.
«Harry» dice poi, guardandomi mentre lo fa.
«Non ci sarò» rispondo quando lui è già davanti alla porta del locale, nonostante la presenza dell'accenno del sorriso sulle mie labbra che non riesco a reprimere.
«Tu non dovresti avere paura di credere in qualcosa in cui vuoi credere» si ferma e quasi sussurra, solo che poi se ne va senza neanche permettermi di rendermi conto davvero del significato di quelle parole.
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