sedici
Firing squad, Lifehouse
Quando arrivo all'università ci sono poche persone, e soltanto salendo le scale mi rendo conto di essere in anticipo, perché raggiungendo il mio piano mi volto e vedo qualcuno appostato fuori dallo studio del professore, davanti alla bacheca dove saranno affissi i risultati dell'esame.
La mia mente vaga e i pensieri si fermano su ieri sera, ripercorrono le parole di Harry e il suo modo di pensare, il suo modo di parlare e quello di guardarmi. Abbiamo preso la metro, eravamo entrambi appoggiati a due dei paletti in ferro, l'una di fronte all'altro. Per qualche istante mi sono persa nel guardarlo; ho provato a non farlo e ho provato a non fare caso alla linea del suo volto, alla definizione con cui sembra essere quasi stata tracciata, ma poi mi sono miseramente persa comunque.
Anche il suo sguardo lo sentivo su di me mentre io non stavo guardando lui. Lo percepivo percorrermi, definirmi, e per quegli istanti mi sono sentita così vulnerabile che quasi ne ho avuto paura. Perché era da tempo che non mi sentivo così. Era da tempo che non mi importava, che non ci facevo caso. Era da tempo che riuscivo a fingere.
Mi tengo in disparte, mi avvicino alla finestra e mi appoggio al davanzale. Ho ancora il libro che stavo leggendo in metro tra le mani, così con lo zaino ancora su di una spalla apro quest'ultimo, riponendo il libro al suo interno. Mancano due giorni a Natale, e noi siamo qui ad aspettare dei risultati. Non che mi importi più di quanto non lo facesse qualche anno addietro, ma è in questi momenti che ti rendi conto che il tempo non si ferma per nessuno. Niente si ferma, continua tutto a scorrere ininterrottamente, come un fiume in piena. Non ti aspetta, non si gira a guardare se gli stai dietro, lo fa e basta.
«Mia?» È una voce che non riconosco a chiamarmi, a riprendermi da dove mi sono persa questa volta. Io mi volto e ho bisogno di qualche istante per ricordarmi chi abbia davanti, anche se non sono sicura di ricordare il suo nome.
«Callie» le dico e lei mi sorprende quando avvolge velocemente un braccio intorno alle mie spalle. È un po' più piccola di me, ma riesce ad avvicinarsi comunque senza problemi.
«Speravo di incontrarti di nuovo» dichiara e quasi mi sento in colpa ad essermene andata in quel modo l'ultima volta, ad averla lasciata con la convinzione di ritrovare qualcuno ad aspettarla dopo quell'esame. Alla fine le sorrido soltanto e abbasso lo sguardo, poi quando lo rialzo indico la bacheca ancora vuota. «Credevo di essere in ritardo.»
Callie sorride ancora e poi scrolla le spalle. «In realtà lo siamo, erano previsti per mezz'ora fa.»
Come se fosse una serie di gesti meccanici controllo l'orologio che porto al polso e sfilo il cellulare dalla tasca della giacca. Sospiro e getto la testa all'indietro, chiudendo gli occhi.
«Ma è come se non lo fossimo. Il professore lo è sicuramente più di noi» dice Callie e nell'esatto momento in cui lo fa e mi giro verso di lei la porta dello studio si apre, e uno degli assistenti va verso la bacheca. Tutti smettono di parlare, alcuni smettono anche di respirare mentre si avvicinano per controllare i loro risultati. L'assistente fissa tre fogli, poi si volta verso di noi e dice qualcosa che sappiamo già, qualcosa che al momento pochi ascoltano per davvero, perché riescono a pensare soltanto al peso di quel numero che potrebbe fare la differenza. Rientra nello studio e anche io vado verso la bacheca, seguita da Callie.
Sono ancora troppo lontana per riuscire a trovare e a leggere il mio numero, e mentre aspetto guardo qualcuno sorridere, qualcuno piangere, qualcuno sospirare. L'ultima cosa è quella che faccio anch'io quando mi trovo, e quando trovo il mio risultato. L'ho passato, è andato, ma va sempre. Semplicemente, va, e anche questo dopo un po' stanca. Il fatto che vada sempre ma che resti bloccata lì, in quel confine che non riesco a passare. Vedo anche Paula, lei sorride alle altre, si abbracciano tutte come se questo calvario fosse finito. Come se non mancasse altro alla fine di tutto, come se tutti i pezzi fossero già al proprio posto.
Mi sposto per fare spazio ad altri, e vedo che Callie è già lì ad aspettarmi. «Com'è andata?»
«Bene» rispondo, perché chiunque risponderebbe così con quel risultato. «A te?»
Sul volto di Callie leggo qualcosa, e mi rendo conto che vorrebbe chiedermi qualcosa di più, che vorrebbe che parlassi ancora, però non lo fa ancora. Si limita a rispondere alla mia domanda nel modo in cui avrebbe voluto rispondessi anch'io alla sua. «Speravo in qualcosa di più, ma è andata bene.»
Scendiamo le scale insieme in silenzio, tra le altre voci di chi racconta i resoconti, di chi ha appena finito di seguire una lezione, di chi è appena arrivato. È quando siamo ormai all'esterno che non so come comportarmi, cosa dirle. Alla fine è lei a parlare, a fermarmi in modo diretto prima che riesca a scappare come faccio ogni volta.
«Posso lasciarti il mio numero?» mi chiede senza troppi giri di parole. «Così possiamo sentirci per le varie lezioni, se ti va.»
Io ci penso, ma poi alla fine cedo. Perché c'è qualcosa nel suo sguardo che mi spinge a fidarmi di lei, e se prima vedevo quel dettaglio in ogni singola persona incontrassi, adesso la cerco perché non riesco più a trovarla in nessuno.
«Va bene» le rispondo e le passo il cellulare, lei fa lo stesso con il suo. Poi mi sorride ancora, prima di avvicinarsi di nuovo per salutarmi.
«Sono felice di averti rivista» mi dice tra i capelli. Sento le sue mani dietro la schiena, io la stringo nel modo in cui riesco e forse lei se ne accorge, ma non gli da peso. «Ci sentiamo allora, Mia.»
Annuisco e la saluto anch'io, e quando mi volto sento ancora addosso un po' del suo sorriso, della sua fiducia e della sua spontaneità.
—
Il giorno della vigilia di Natale il locale è semivuoto, è un venerdì come tanti e c'è soltanto chi si trova di passaggio, chi non ha nessuno e quasi odia questi giorni, e poi c'è Harry. Sento il tintinnio della porta principale quando si apre e lo vedo entrare, con una mano riparata nella tasca del cappotto scuro che indossa e l'altra tra i capelli. Lui vede me mentre sto raccogliendo alcuni bicchieri da un tavolo ormai vuoto, poi va verso il bancone. Lo raggiungo anch'io, non fermandomi neanche quando sono davanti a lui.
«Ciao, Mia» quasi sussurra, il taccuino è tra le sue mani e su di esso c'è l'accendino.
«Ciao, Harry» gli rispondo cantilenando e guardandolo mentre lo faccio. Lui sorride, e io non riesco a non fare lo stesso.
È passato qualche giorno da quando siamo usciti insieme, e dopo quella sera non l'ho più visto. Non ci siamo scritti, non ci siamo cercati, ma è stato meglio così. Io non so cosa lui voglia da me, cosa cerchi, ma qualsiasi cosa sia so di non potergliela dare, e so che probabilmente non la troverà, non adesso. E non so se si stancherà del niente aspettative, di me e di quello che mi porto dietro, perché a me al momento basta questo. Mi basta vederlo il venerdì, seduto al bancone di questo locale mentre mi distrae dal resto.
Gli porto lo stesso drink di ogni volta e lui accenna quel sorriso quando glielo metto davanti sul bancone. Io mi volto velocemente, anche se c'è poco da fare. C'è qualche decorazione in giro, ma si tratta di qualcosa che potrebbe restare anche durante tutti gli altri periodi dell'anno. Così il locale è soltanto più luminoso, però mi piace.
«Mia, credo che non verrà più nessuno» dice George, poi indica Harry. «C'è solo lui ormai.»
Guardo Harry e poi torno a guardare George. «Puoi andare se vuoi, qui finisco io.»
Non è tardi, solitamente non chiuderemmo a quest'ora, ma anch'io credo che difficilmente qualcuno possa ancora aprire quella porta. George annuisce, prima di andare verso il retro mentre si sta già slacciando il grembiule. Esce poco dopo con una borsa sulle spalle e mi viene incontro prima di andare via, ma io non so cos'altro possa avere da dirmi.
«Allora io vado» dice. «Buon Natale.»
«Anche a te» gli rispondo ed entrambi abbiamo sul volto un sorriso debole, stanco. Gli poggio una mano sulla spalla mentre esce, non prima di aver guardato un'ultima volta Harry. Chiudo la porta alle sue spalle e poi mi passo una mano tra i capelli legati, tornando al bancone.
Harry sta scrivendo qualcosa sul suo taccuino, lo fa velocemente e il bicchiere al fianco della sua mano è quasi completamente vuoto.
«Puoi andare anche tu, ormai siamo chiusi» ma è proprio nel momento in cui lo dico e in quello in cui Harry si ferma per guardarmi che la porta principale si apre ancora, contro ogni aspettativa.
Si volta anche lui, quando Alex si lascia chiudere la porta dietro ed entra nel locale, si abbassa il cappuccio e poi mi guarda. «Ciao.»
Ricambio il suo saluto e aspetto che si avvicini, si siede a qualche posto di distanza da Harry. Ora sono quasi al centro tra di due.
«Ho appena finito e ho pensato di passare a bere qualcosa» spiega, e io gli chiedo cosa voglia bere, ma lui mi dà piede libero e mentre gli verso qualcosa sento gli occhi di Harry su di me. Metto il bicchiere sul bancone e Alex mi ringrazia.
«Ti trovi bene?» gli domando mentre lui beve lentamente il suo drink.
«Sì» risponde. «Sto bene. Grazie ancora per avermelo procurato Mia, davvero.»
Io gli sorrido e scuoto debolmente la mano. «Sapevo che ne avevi bisogno.»
Lo guardo e vedo che nei suoi occhi c'è qualcosa, oltre alla stanchezza, oltre alle ore trascorse a passare da una sala all'altra, ad ascoltare la gente parlare anche quando non desidereresti altro che un po' di silenzio, di quiete. E la conferma di cui ho bisogno arriva presto, prima di quanto credessi.
«Devo dirti una cosa» dice e mi guarda mentre lo fa. Io provo ad immaginare cos'abbia, cosa sia. Perché tutto mi porta ad una sola persona, ad un solo nome che non sono ancora riuscita a dimenticare.
Sono ancora davanti a lui, con le gambe quasi contro il bancone e le mani poggiate sul ripiano più basso. Non dico niente, aspetto che sia lui a farlo, aspetto che continui e non sono ancora sicura di volere che lo faccia al più presto. Però poi lo fa, abbassa lo sguardo per un istante e poi torna a guardarmi, un sorriso debole e di rassegnazione si costruisce sulle sue labbra e le sue mani sono intorno al bicchiere. «Nina è tornata.»
Non so esattamente cosa sento quando le parole lasciano la sua bocca e quando io riesco ad elaborarle. Sapevo che non era più in città, che era partita per inseguire qualcosa che aveva da sempre voluto raggiungere.
«Come l'hai saputo?»
«L'hanno vista, e Bath sembra molto più piccola quando succede qualcosa del genere. Le voci girano velocemente.» Alex ha ragione e io vorrei riuscire a lasciarmi dietro tutto quanto. Non temo di incontrarla, perché è già successo e perché so che se succedesse ancora, tra noi probabilmente non ci sarebbero neanche quelle parole di circostanza.
«Sarà tornata per le vacanze. Sai quanto ami questo periodo.» Nina ha sempre vissuto per questi giorni, per i contorni e non per i contenuti. Mi costa dirlo, ma riusciva a trasmettere qualcosa di cui avevo bisogno anche a me, a farmeli pesare meno. Sarà il primo Natale che non passerò con lei.
«Non lo so, ma a me non importa» ammette e da questo mi rendo conto di quanto lui sia finalmente riuscito ad andare avanti, a lasciarsela dietro. «So che con te però aveva un conto in sospeso.»
«Non abbiamo nessun conto in sospeso. Lei ha deciso di andarsene.» Le parole escono fuori veloci e dirette, come se non riuscissi neanche a controllarle. So che Harry mi sta guardando, perché lo sento anche adesso. «Ci siamo già incontrate, l'ha reso chiaro senza che nessuna delle due dicesse niente. Non mi ha neanche guardata.»
«L'hai incontrata?» mi domanda Alex, riappoggiando il bicchiere sul bancone dopo aver bevuto ancora.
Io annuisco. «È successo quasi un mese fa. Eravamo entrambe in metro e l'ho vista.»
Alex abbassa lo sguardo. «Io non l'ho più vista dopo l'ultima volta, quella che conosci anche tu. Credo che mi odi, che porti ancora rancore.»
«È probabile» gli rispondo, ed è così che finisce tutto. Nina è l'unica costante che nonostante tutto continui ad accomunarci, perché si è portata via un pezzo di entrambi quando se n'è andata.
Alex se ne va poco dopo, finisce il suo drink e mi lascia una mancia sul bancone senza che io me ne possa accorgere. Harry è ancora al suo posto, e io non so perché sia rimasto. Non dice niente mentre finisco di sistemare, beve l'ultimo sorso dal bicchiere e poi me lo passa.
Quando sono pronta vado verso il retro e mi sfilo il grembiule, poi mi siedo su una delle panche con i gomiti piegati sulle ginocchia e le mani tra i capelli. Nina è tornata, e io le sto dando più peso di quanto meriti. Eppure non riesco a non pensarci, a fingere di non averlo mai saputo, che quello che è successo tra di noi non sia mai successo. È stata fondamentale in molti momenti della mia vita e nonostante tutto il male, il dolore è il rancore, non riesco a non pensare ai momenti in cui io sentivo per davvero il bene che mi voleva. Lo percepivo sulla pelle, dentro, perché è stata la prima persona ad accettarmi e a starmi vicino, a illudermi che almeno nel nostro rapporto avrei potuto aspirare al per sempre.
Probabilmente resto a rimuginare per un tempo di cui non mi rendo conto a pieno, perché non mi accorgo neanche dei passi di Harry e di lui sulla soglia fino a quando non parla.
«Stai bene?» mi chiede e io alzo lo sguardo su di lui. So che si accorgerà in ogni caso che qualunque cosa gli dicessi starei mentendo, però non posso fare altro.
«Si, sì. Avevo soltanto bisogno di qualche minuto.» Harry annuisce e increspa le labbra, le braccia sono incrociate sul suo petto.
«Non vai a casa?» gli chiedo io questa volta, alzandomi e prendendo la giacca di pelle e la sciarpa dall'armadietto.
«Aspettavo te» dice e io non so cosa pensare, non so cosa sia giusto che io provi. Mi sta dando delle attenzioni che non riesco ad interpretare, che non sono sicura di volere e di meritare.
Harry si rende conto di avermi destabilizzata, di non essere abituata ad avere qualcuno che si preoccupi in questo modo per me.
«Sai che non ce n'è bisogno, davvero.» Sono davanti a lui mentre lo dico, recupero lo zaino e le chiavi e entrambi usciamo dal retro.
«Mia, è tardi ed è la vigilia di Natale. Non ti lascerò da sola neanche stasera, e lo sai anche tu.»
Ormai siamo fuori e io sto per ripetergli qualcosa che lui conosce già, ma se ne rende conto prima che riesca a farlo. «Non chiedermi perché lo faccio, la risposta non è cambiata.»
Lo guardo ancora e sul suo volto poi si costruisce quel sorriso che mi dà speranza, che fa sorridere anche me. Io sospiro e inizio a camminare verso la stazione, poi lui sfila un paio di chiavi dalla tasca della giacca.
«Stasera andiamo con questa» dice sventolandole davanti ai miei occhi, e mentre poi lo seguo verso la sua auto mi rendo conto che stasera non avrei voluto stare da sola come tutte le altre volte, che avevo bisogno di questo, anche se mi spaventa di più ad ogni secondo che passa.
A/N
Siamo ufficialmente oltre la metà della storia e a me farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, cosa vi aspettate, insomma qualsiasi cosa!!
Spero tanto vi stia piacendo il modo in cui la sto portando avanti e vi ringrazio per tutto il supporto, per essere ancora qui dopo tutto questo tempo.
Vi auguro una buona serata,
Chiara 🌹
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