quattordici

A Federica, la mia Gallagher preferita.

Heavy, Linkin Park — Kiiara

Guardo distrattamente l'orologio sulla parete alla mia destra più di quanto dovrei — e di quanto vorrei. Oggi sono arrivata presto; ho aperto il locale e mentre aspettavo Matt ho sistemato i tavoli, ho pulito il bancone e sono riuscita a terminare il paragrafo che avevo iniziato nella metropolitana.

Questa notte ho dormito poco, e anche se io non dormo mai molto, mi sono svegliata piuttosto bene: niente grida, niente rumori, niente dolori, niente stanchezza. Solo io. Mia. E mi piacerebbe credere che le parole di Harry non mi siano rimaste nella mente per tutta la notte e che non lo siano tutt'ora, che il pensiero di vederlo tra qualche ora non mi faccia sentire qualcosa, che probabilmente dovrei continuare per la mia strada non aspettandomi niente da nessuno nel modo in cui ho sempre fatto, solo che non è così.
Ed è questo ciò che mi spaventa, il fatto che lui mi porti ad avere delle aspettative, che mi porti a sperare in qualcosa che non esiste adesso e che, forse, non sarà mai destinato ad esistere.

Riesco a sentire la voce di Darlene da dietro il bancone, e sorrido mentre la aspetto.

«Non mi hai ancora vista e già sorridi» mi dice mentre alzo lo sguardo su di lei, che velocemente fa il giro del bancone e mi lascia un bacio sulla guancia. «Buongiorno, raggio di sole.»

«Adesso non esageriamo» le rispondo, ma il sorriso persistente sulle mie labbra contraddice il mio tono e le mie parole.

«Non mi chiedi come sto?»

Continuando ad asciugare il bicchiere che ho tra le mani, inclino la testa e le chiedo: «Come stai, Dar?»

Darlene solleva i suoi grandi occhi al cielo e sospira, sistemandosi meglio sul bancone. So che se me l'ha chiesto apertamente ha qualcosa da dirmi, e so anche che non riesce più a tenerlo per sé.

«Molto bene, grazie per averlo chiesto» afferma, e sto per risponderle quando lei si volta, cercando con lo sguardo qualcuno nella sala. Quando mi rendo conto di chi sia, e quando vedo il modo in cui reagisce, i miei occhi tornano su di lei.

«Darlene» la richiamo. «Dillo.»

Lei mi guarda dopo qualche istante e quasi le muore il sorriso sulle labbra. «Ma l'hai già capito.»

«L'avevo già capito anche prima, in realtà. Dillo lo stesso, so che vuoi farlo.»

Sapevo di avere ragione, perché lei scuote la testa e poi un angolo delle sue labbra torna a sollevarsi, trascinando con sé anche l'altro. Sapevo di avere ragione quando ripete le parole che avevo immaginato di ascoltare.

«Io e Matt vorremmo provare a vederci. Niente di impegnativo, solo tentare.»

Le sorrido anch'io, perché conosco lei e conosco Matt, e so per certo che Matt meriti una persona come Darlene al suo fianco.

«Andrà bene.»

«L'avevi davvero già capito?»

«Non ho mai visto nessuno guardare qualcuno nel modo in cui lui ha guardato te dalla prima volta che sei entrata da quella porta.» La mia mente istintivamente ritorna a quel momento, quello in cui entrambi l'abbiamo conosciuta e allora sorrido, perché sono cambiate tante cose da quel momento, eppure lei è ancora qui. «È il modo in cui meriti di essere guardata.»

Darlene accenna un sorriso e mi guarda intensamente, mi ringrazia sotto voce e senza parole. So anche cosa vorrebbe dire, che vorrebbe aggiungere qualcosa, però questa volta non lo fa e a me sta bene. Darlene rispetta i silenzi, rispetta gli spazi. Ci rispettiamo entrambe in questo modo.

«E tu, invece? Stamattina non sembri soltanto fingere di stare bene» dice poi, e io mi volto per sistemare gli ultimi bicchieri sulla mensola alle mie spalle, prima di tornare a guardare lei.

Provo a fare il suo stesso gioco sollevando le spalle e fingendomi disinteressata, lei si acciglia per un solo istante prima che il suo volto poi si illumini e la sua bocca si apra, e io riesco a fermarla un attimo prima che la sua voce riempia le mura del Midnight Memories.

«Chi è? Lo conosco?»

Io scuoto la testa e accenno un sorriso. «Non credo, ma viene spesso qui al locale.»

«Come si chiama?» Mi domanda Darlene e io avrei dovuto aspettarmelo, avrei dovuto aspettarmi tutte le domande che verranno, per averle ammesso che forse c'è ancora posto per qualcuno nella mia vita.

«Harry» rispondo, e quando lo dico alzando lo sguardo Darlene mi sorride dolcemente, e nei suoi occhi riesco a leggere la speranza che riserva anche per me.

«Mia, sicura di non volere che ti aspetti?» Mi chiede Matt, ma io scuoto la testa e gli assicuro che andrò via a breve. Adesso che so di lui e Darlene mi sembra quasi di guardarlo con occhi diversi, come se fossi stata cieca durante tutto questo tempo, durante tutte le volte che li ho visti insieme. Ho sempre immaginato ci fosse qualcosa, ma averne la certezza è diverso.

È quasi verso l'uscita quando lo fermo. «Matt, aspetta.»

Lui si volta, l'espressione è curiosa, aspetta cosa ho da dirgli e lo aspetto anche io, perché non sono sicura sia qualcosa di giusto da fare, però sento il bisogno di farlo. «È venuta Darlene oggi.»

Nei suoi occhi all'istante qualcosa cambia, quando dico il suo nome, e devo reprimere il sorriso che spinge per contrarre le mie labbra. Ma Matt poi si riprende fingendo disinteresse, e io non ci riesco più a reprimerlo, a scacciarlo via. È in questi momenti che mi rendo conto che sorrido poche volte, che prima lo facevo di più e che forse lo facevo anche per davvero. Adesso sono poche le volte che lo faccio perché sono davvero felice.

«Mi ha detto qualcosa di voi.»

La sua espressione cambia ancora, aspetta che sia io a continuare e credo di non aver mai visto Matt così insicuro, così senza parole. Anche lui non parla tanto — sicuramente parla più di quanto faccia io in un'intera settimana, ma l'imbarazzo che proviamo entrambi al momento è percepibile da qualsiasi punto di vista. Decido di continuare io, di dare voce alle poche parole che ho.

«Non so quanto ti abbia detto Darlene, ma io posso dirti che non è pronta a perdere altro. Ti conosco e so che non le faresti mai del male volontariamente, ma se tieni a lei, non lasciarla andare. Stalle vicino nel modo in cui merita.»

Matt mi sorride, unisce le mani e le strofina tra loro piano, poi mi guarda. «Sei una buona amica, Mia. Prometto che non le farò mai cercare la tua spalla per averle fatto del male.»

Sorrido anch'io a Matt e annuisco quasi impercettibilmente, prima che lui poi si volti ed esca dal locale, ormai vuoto.

Torno al bancone, sistemo gli ultimi bicchieri e poi vado verso i tavoli, sollevando le sedie e poggiandoli sulla loro superficie. Cerco di tenere la mente occupata mentre lo faccio, di non pensare al dopo, di non pensare a niente anche se non ci riesco. Quando finisco è più tardi di quanto credessi, slego il grembiule scuro dalla vita e recupero il cellulare dall'armadietto. C'è un messaggio di Eve e ce n'è uno da parte di mia madre. Rispondo velocemente ad entrambe e inizio a cambiarmi. Sapevo che non sarei stata nel massimo delle comodità, ma non mi andava di tornare a casa, non mi dava di dare delle spiegazioni, anche se è da tanto che ormai non ne do più. È da tanto che nessuno si aspetta più qualcosa da me, perché non c'è niente da poter aspettare, niente per cui l'attesa ne valga la pena.

Non so dove andrò con Harry, non so cos'abbia in mente e questo un po' mi destabilizza, perché lo conosco troppo poco per poter pensare a qualcosa. In ogni caso, non mi vedrà molto diversa dal modo in cui mi vede di solito qui al locale. Neanche io mi vedo diversa, mi vedo sempre nello stesso modo da tempo. Sempre con gli stessi pantaloni, con gli stessi stivaletti neri, con gli stessi capelli legati e con la stessa giacca di pelle. Mi guardo allo specchio e mi sento impotente, perché voglio cambiare ancora ma forse mi manca il coraggio.

Mi guardo ancora e la mano si muove da sola: sfilo l'elastico dai capelli che mi ricadono sulle spalle e sul petto, ci passo entrambe le mani tra le ciocche; provo a cambiare qualcosa per chi mi guarda dall'esterno, per chi riesce a guardare solo quello. Prendo la matita nera e traccio un contorno sottile intorno agli occhi, faccio lo stesso con il mascara e poi torno a guardarmi. Posso sembrare diversa, ma in realtà sono sempre io, sono sempre l'anonima Mia, e probabilmente non smetterò di esserlo a breve.

Mi guardo ancora una volta e sospiro, poi mi volto e chiudo l'armadietto, recuperando la borsa e chiudendo anche la porta della stanza del personale dietro di me. Tengo il cellulare tra le mani e c'è soltanto una piccola e debole luce a illuminare il locale, anche se fuori c'è ancora la vita che corre, fugge e ti lascia indietro.

Aspetto ancora, mi guardo intorno e questo mi spinge a pensare, a puntare la mente ovunque, perché sono da sola con me stessa e almeno per stasera, avrei voluto evitarlo. Guardo ancora una volta l'orologio appeso al muro e i secondi, i minuti continuano a scorrere, ma Harry non sembra seguirli. Sapeva a che ora avrei finito, sapeva che oggi il locale avrebbe chiuso prima, sapeva che sarei stata qui ad aspettarlo. Lo sapeva nel modo in cui io sapevo che lui stava aspettando me: senza speranza.

Non posso chiamarlo, non posso inviargli un messaggio, non posso fare niente perché non ho neanche il suo numero e quasi sorrido, perché non avrei dovuto lasciarmi andare così.

Sono le undici passate quando decido che posso smettere di aspettare, che mi rendo conto che forse ho sbagliato a voler cambiare qualcosa anche di impercettibile proprio stasera, proprio con lui.

Sistemo lo sgabello dietro il bancone, vedo le bottiglie in fila e la tentazione è forte, ma questa volta non cedo. Spengo la luce e chiudo il locale dall'entrata principale, poi mi avvio verso il retro. I capelli mi coprono il volto appena esco, un leggero vento si innalza sulle strade di Bath.

Poi qualcuno mi chiama, e non ho bisogno di voltarmi per rendermi conto di chi sia.

«Mia» ripete ancora come se fosse un mantra, con la voce stanca e quasi affannata.

Giro la chiave per l'ultima volta e poi chiudo gli occhi per un istante, so che lui non può vedermi perché ci sono ancora i capelli a coprirmi. Alla fine mi volto e lui è di fronte a me, fermo, le labbra dischiuse.

«Lasciami spiegare» dice prima che io possa parlare. Sento le lacrime accumularsi agli angoli dei miei occhi, ma non mi permetto di piangere neanche adesso, neanche per lui, e neanche per me.

«Non c'è niente da spiegare, Harry» gli assicuro distaccata, fingendo un disinteresse che avrei sempre dovuto continuare a mostrare e ad avere. Sto per voltarmi dall'altra parte e andare via, ma Harry è ancora una volta più veloce di me quando mi raggiunge, ed è di nuovo davanti a me.

«Non hai bisogno di quest'armatura, Mia. Non ricoprirti così» dice e io vorrei soltanto urlargli contro, vorrei soltanto che non riuscisse a vedere così tanto.

«Non sai di cosa ho bisogno, altrimenti non saresti qui adesso.» Questo è un colpo basso anche per me e ne sono consapevole, perché lo guardo soltanto dopo che le parole hanno lasciato la mia bocca. Sono una vigliacca, e dal modo in cui mi guarda mi rendo conto che lo sta imparando anche lui. Che è meglio così.

«Perché lo fai?»

Io chiudo gli occhi anche se adesso lui può vedermi, lo faccio soltanto per un istante e poi gli rispondo. «Per questo.»

Questa volta però Harry non mi capisce, non riesce a leggermi come sembra farlo ogni volta. Io sorrido debolmente, stanca, poi scrollo le spalle. «Lo faccio perché così è più semplice. Hai meno aspettative, e se ti aspetti di meno poi dopo fa meno male. Fa meno male quando se ne vanno.»

So di starmi esponendo troppo, so di stargli lasciando un varco aperto, di stargli mostrando quanto in realtà io sia debole. Non so neanche perché lo stia facendo, ma il modo in cui Harry mi guarda mentre parlo non è compassionevole, non mi sta giudicando. Non mi guarda nel modo in cui mi avrebbe guardata chiunque altro, e neanche prima lo stava facendo. Non lo ha mai fatto.

«Io non sono venuta da te, e tu mi hai fatto capire cosa si provasse ad aspettare qualcuno che sai non arriverà mai.»

Lui però scuote velocemente la testa. «Non è per questo, Mia. Non l'avrei mai fatto.»

Io lo guardo, e mi rendo conto che vorrei davvero credergli, che una parte di me vorrebbe fidarsi di lui, lasciarsi andare e basta.

Non sono sicura di volere una spiegazione da lui adesso, non so se sono pronta ad entrare così tanto dentro di lui, perché se è sincero, significa che dietro c'è qualcosa di più grande.

«Vieni con me» dice poi, non aspettando neanche una mia risposta. Così, improvvisamente, come se io non avessi mai aspettato lui e lui non avesse mai aspettato me, come se fosse una prima volta. Come se le nostre parole non ci fossero mai state. Come se fosse un inizio senza precedenti.

«Niente aspettative» gli rispondo, e lui annuisce.

«Niente aspettative» ripete, e un angolo delle sue labbra si curva in un debole sorriso, esattamente come le mie.

A/N

Sì, ragazze, sono viva (più o meno). Sono passati due mesi dall'ultimo aggiornamento e mi dispiace veramente tanto, perché nel mentre ho letto i vostri commenti, i vostri messaggi.

Sono stati due mesi pesanti, l'università con la sessione invernale mi ha portato via davvero anima e corpo, e non sono riuscita a completare il capitolo che avevo iniziato a scrivere fino a ieri.

Tengo tanto a questa storia e spero che voi siate sempre qui, nonostante i miei sbalzi temporali.

Vi abbraccio,
Chiara 🌹

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