diciassette

Not easy, Alex da Kid — Wiz Khalifa — Elle King — X Ambassadors

Oggi è Natale e io mi sono svegliata presto, ma sono rimasta chiusa nella mia camera fino a quando non ho sentito tutti. Il giorno di Natale prima piaceva tanto anche a me, adesso è soltanto un giorno come un altro, un giorno che non aspetto più. Prima avevo l'innocenza della speranza, uscivo tanto soltanto per perdermi tra le luci che decorano le strade. Mi svegliavo presto, quasi non chiudevo occhio durante la notte, solo che quell'innocenza è maturata nel momento in cui è maturata l'idea di come mi guardi la mia famiglia.

Discosto le coperte e apro le tende insieme alla finestra, mi strofino entrambi gli occhi con i dorsi delle mani e raccolgo nuovamente i capelli. Prendo la felpa che vedo sulla sedia accanto alla scrivania e la indosso prima di uscire dalla stanza e chiudermi la porta alle spalle.

La prima persona che vedo è mio fratello, è seduto al tavolo in cucina e sta bevendo qualcosa, mi fa un cenno quando mi vede e io faccio lo stesso; sono questi i nostri auguri. Poi vedo mia madre, ha anche lei una tazza tra le mani. Mi dice di aspettare e mentre lo faccio mi verso il caffè in una tazza, poi quando mi volto mi mette un piccolo pacchetto tra le mani.

«Buon Natale» dice soltanto, sorridendomi anche con gli occhi.

Io non le rispondo, le accenno un sorriso e appoggio la tazza sul tavolo, prima di aprire il pacchetto. Capisco già cosa contenga, ma nonostante i regali non mi piacciano mai, questa volta mi rende diversa. Mia madre non si è mai dimenticata di me e di mio fratello, neanche una volta, e questo glielo dovrò sempre.

Tengo il piccolo libro tra le mani, quando alzo lo sguardo per guardare mia madre. «Grazie. Buon Natale anche a te.»

Lei mi passa prima una mano sul volto e poi tra i capelli, sistemandomeli dietro le orecchie. Nei suoi occhi leggo tanto, leggo una storia che già conosco e che inizia a pesare. So che vorrebbe qualcosa di più da me, che forse non chiede neanche tanto, che vorrebbe soltanto passarmi un braccio intorno alle spalle e stringermi per tutte le volte che io gliel'ho negato. Solo che io continuo ad essere egoista, e continuo a non riuscirci, a non fare più di così.

Recupero la tazza con l'altra mano e mentre ritorno nella mia stanza incrocio mio padre, che mi da una semplice pacca sulla spalla e accenna un sorriso, augurandomi qualcosa che non festeggiamo neanche più.

«Stasera vado da Darlene, ci incontriamo tutti a casa sua» spiego a mia madre mentre mi infilo la giacca e sposto i capelli, facendoli ricadere oltre le spalle.

«E adesso? È un po' presto» nota, e non le faccio una colpa. È il giorno di Natale e non ci sarà letteralmente nessuno per le strade, saranno tutti rinchiusi ancora nelle proprie case, in un ristorante o in un semplice locale.

«Prima devo fare una cosa, non preoccuparti» cerco di rassicurarla con un sorriso, e anche se so che vorrebbe aggiungere qualcosa non lo fa, si limita ad annuire e mi accompagna alla porta.

«Stai attenta» mi dice mentre esco, prima di chiudere piano la porta alle mie spalle.

Scendo le scale velocemente, nonostante qualche centimetro di tacco che mi sono decisa ad indossare. C'è il sole che mi riscalda mentre cammino, con la tracolla della borsa su una spalla e una piccola busta di carta tra le dita. Arrivo alla stazione della metro e questa volta mi va bene, perché non aspetto molto prima che mi passi davanti e che si fermi. In questo vagone ci sono poche persone, riesco anche a sedermi.

Alzo lo sguardo per contare le fermate che mancano, e quando ne resta soltanto una mi alzo e mi avvicino alle porte. Scendiamo soltanto io e un'altra ragazza, solo che io prendo le scale mentre lei va verso gli ascensori. Esco dalla piccola stazione e rileggo il messaggio con le indicazioni di Eve, anche se l'ho già fatto tante volte durante la corsa e prima.

Non so cosa aspettarmi, ma sono agitata anche se so che non dovrei esserlo, che si tratta soltanto della famiglia di Eve. Penso alle parole adatte che dovrei dire anche se ho la sicurezza che finirò per non pronunciarne neanche una, ma è in questo modo che occupo il tempo prima di ritrovarmi fuori il piccolo cancelletto che porta il numero che Eve mi ha indicato. Le scrivo che sono qui fuori e la sua risposta non tarda ad arrivare, quando il cancelletto fa un piccolo scatto e io entro. Percorro il piccolo viale e salgo i pochi gradini dell'ingresso, e prima che possa raggiungere la porta principale questa si apre, e il sorriso di Eve mi accoglie.

Mi abbraccia velocemente, ma mi stringe forte, intensamente, come solo lei riesce a fare. Mi trasmette quella sicurezza di cui ho bisogno, poi si allontana e mi guarda.

«Dai, vieni» dice e io la seguo nel piccolo corridoio, prima di raggiungere la sala. In un angolo c'è un grande albero di Natale, le luci e le decorazioni riescono ad illuminare tutta la stanza, a farlo quasi sentire anche a me il Natale. Il padre di Eve è seduto su di una poltrona il pelle con un paio di occhiali sul volto e un libro tra le mani, e quando mi sorride appena mi vede mi rendo conto di quanto somigli ad Eve. Hanno entrambi gli stessi occhi, la stessa curva delle labbra nel sorriso e la stessa espressione nel volto quando lo fanno.

«Papà, questa è Mia» mi presenta Eve, e suo padre chiude il libro e si sfila gli occhiali. Io attraverso la stanza e gli vado vicino per stringergli la mano.

«Per me è un piacere conoscerla» gli assicuro e lui poi scuote debolmente la mano, mentre io mi siedo di fronte a lui.

«Credimi, lo è più per me. Io sono Chris» dice e Eve mi sfiora la gamba, mentre io riesco a sentirmi sempre meglio, ogni secondo di più. Poi Eve si alza e va verso la cucina, che riesco ad intravedere da dove sono seduta.

Chris continua a guardarmi come se cercasse qualcosa nel mio volto, e in questo mi ricorda Harry. Solo che lui lo fa in un modo diverso, perché sembra che riesca a trovare quello che stava cercando.

«Sei esattamente come Eve ti ha descritta. Mi ha parlato tanto di te.»

Io e Chris continuiamo a parlare di tutto e di niente — in realtà è più lui a parlare, io lo ascolto con attenzione e non faccio altro che chiedermi il perché: perché l'uomo che siede davanti a me, che sorride e che scherza debba essere talmente segnato da qualcosa di più grande di lui, qualcosa che non ha scelto e che non ha mai chiesto.

È per questo che parte della mia speranza, di quella che avevo per me e per gli altri costantemente, è sfumata via nel momento in cui la realtà mi ha investita.

Eve torna da noi con un vassoio tra le mani che poggia sul piccolo tavolo che separa me e Chris. Dà prima una tazza al padre, poi fa lo stesso con me e si siede nuovamente al mio fianco. Entrambi mi raccontano qualcosa di quando Eve era piccola, mi parlano di Francis e io noto Eve alzare gli occhi al cielo e arrossarsi. Noto anche il modo in cui lei e suo padre si parlano, quello in cui si guardano e il legame indissolubile che niente e nessuno riuscirà mai a spezzare. È quel tipo di legame che mi fa sorridere nel momento in cui lo guardo, e quasi lo ammiro. Non provo malinconia, e neanche rancore per non aver mai vissuto né avuto un legame così, ma soltanto ammirazione.

Mentre parliamo, ad un certo punto sentiamo la porta d'ingresso aprirsi, e una bambina dai lunghi capelli biondi ci raggiunge in pochi secondi, correndo inizialmente in direzione del padre.

«Siamo tornate con la torta» dice e Chris le accarezza i capelli, poi lei si rende conto di noi. Nella sala arriva anche una donna alta, con un cappotto grigio addosso, i capelli scuri che le ricadono sulle spalle e una scatola tra le mani. Anche lei va verso Chris, gli lascia velocemente un bacio sulle labbra e poi guarda me.

«Leyla, questa è Mia» dice Chris indicandomi, non aggiungendo che sono un'amica di Eve, è come se lo desse per scontato, come se tutti già conoscessero me in qualche modo.

Leyla mi sorride caldamente e poi va verso la cucina, ma la sorella di Eve resta con noi. Mi viene vicino e tiene le mani dietro la schiena.

«Mi piace il tuo nome» sostiene. La sua voce è piccola e sottile, è dolce e ha gli stessi occhi di Eve e di Chris. «Io sono Ginny.»

Leyla ha tagliato la famigerata torta di Natale e l'ha distribuita a tutti, spiegando che in realtà l'idea da cui è partita è stata di Ginny e non di Chris. La bambina però non ci fa caso, scrolla le spalle e continua a mangiare seduta sulle gambe del padre. Eve ha una bella famiglia, lo si percepisce. Non è solo di contorno, e non credo sia soltanto per la situazione che stanno vivendo, per le condizioni di Chris. Credo che siano sempre stati in questo modo: completi, senza crepe. O almeno, se ne hanno, sono riusciti a coprirle e a colmarle completamente.

Chris ha bisogno di riposo, di tranquillità anche se lo nega, quindi io seguo Eve nella sua camera al piano di sopra, in fondo alle scale. È una camera grande, ed è uguale all'ultima volta. Le pareti sono di un viola chiaro, che sfuma quasi nel rosa. Al centro c'è un letto che è grande quasi il doppio del mio, tanti cuscini lo adornano. Mi ci siedo sopra e poi sfilo le scarpe, perché anche se sono stata seduta quasi per tutto il tempo mi fanno già male, e so che se non ne approfitto adesso che posso arriverò a casa di Darlene che non riuscirò più a muovermi. Eve si volta mentre sto sfilando il secondo stivale e sorride, scuotendo la testa.

«Non cambierai proprio mai, Mia Davies» dice e io scuoto la testa come se fossi una bambina.

«Tanto mi vuoi bene lo stesso» le rispondo e lei ride di più, io poi mi lascio cadere all'indietro sul materasso e incrocio le mani sulla pancia.

«Torno subito» mi avvisa dopo aver recuperato qualcosa dall'armadio, prima di uscire dalla stanza.

Io resto così, immobile e c'è talmente silenzio che quasi riesco a sentire il mio respiro. A volte vorrei poter restare in questo modo per un tempo indefinito, quasi eterno. Vorrei solo riuscire a trovare il silenzio che cerco quando ne ho bisogno. E per una sola volta, vorrei poterlo trovare a casa mia, dove anche se nessuno parla, sono le pareti ad urlare.

Eve rientra nella stanza e io quasi sobbalzo, poi mi sollevo sulle braccia e resto poggiata soltanto con i gomiti. Anche lei indossa un vestito, solo che è più abituata di me a vestirsi in un certo modo. Ha i piedi coperti solo dalle calze e le scarpe tra le mani, mentre va verso la scrivania.

«Sei pensierosa. Prima lo sembravi meno» nota e io mi alzo ancora di più, fino a portare anche le gambe sul letto e a incrociarle.

«Ero distratta» dico e lei sposta lo sguardo dal piccolo specchio soltanto per potermi guardare e sorridere. Entrambe sappiamo quanto le distrazioni portino avanti sia me che lei, di quanto ne abbiamo bisogno. E conoscere suo padre, conoscere ciò che vive ogni giorno anche fisicamente mi ha distratta, mi ha permesso di tenere la mente occupata con altro, di perdermi in qualcosa di migliore.

«Nina è a Bath per le vacanze. Me l'ha detto Alex» continuo, e ho questo presentimento, questa sensazione che non mi lascia andare da quando l'ho saputo.

«Credi che ti cercherà?»

«Figurati» sospiro. «E anche se lo facesse, sono sicura che non sarebbe per farmi gli auguri di Natale.»

Eve mi guarda e accenna un sorriso. «Mai dire mai.»

Mi ricordo della piccola busta di carta che mi sono portata dietro e la prendo, poi mi avvicino a lei. «Questa è per te.»

«Mia» sospira mentre lo dice, e un ennesimo sorriso si costruisce sulle sue labbra. Prende la busta tra le mani e poi la apre, prendendo ciò che contiene. Il suo volto si illumina e si porta una mano sulle labbra mentre mantiene la cornice bianca. La guarda e continua a sorridere, poi guarda me.

«È la cosa migliore che potessi regalarmi» sostiene anche se forse non è vero, però nel suo sguardo c'è la sincerità e la purezza che continua a farmi avere fiducia in lei. Con ancora la nostra foto incorniciata tra le mani mi abbraccia, mi stringe le spalle e mi accarezza i capelli, sussurrando: «Ti voglio così bene.»

Io le sorrido ampiamente quando ci allontaniamo, poi torno verso il letto e lei sistema già la cornice sulla scrivania. È lei a parlare per prima. «Hai più visto Harry?»

Io annuisco, non ho ancora detto né a lei né a Darlene dell'evoluzione di qualsiasi cosa ci sia tra me e Harry. «Alla fine ci siamo incontrati, poi l'ho rivisto ieri al locale.»

Eve non mi fa domande ed è per questo che temo mai di parlarle, perché riesce sempre a rendersi conto di quando può provare a tirarmi fuori le parole e quando no. «Magari potresti chiedergli di fare un salto da Darlene, credo che anche a lei starebbe bene.»

La sua proposta mi sorprende, perché da una parte dà voce a qualcosa che avevo pensato anch'io e che poi avevo deciso di evitare in partenza. «Non so ancora cosa ci sia, Eve. Forse è troppo presto.»

«Si tratta soltanto di trascorrere qualche ora insieme, Mia. Non pensarci troppo, e poi ricordati che non sarai da sola» dice. «Dai, ci saremo tutti.»

Io inizio a pensarci ancora, ci rimugino forse più di quanto in realtà debba fare, così recupero il cellulare dalla borsa e il sorriso di Eve è la conferma di cui avevo bisogno. «Scrivo un messaggio a Darlene.»

Prima di raggiungere Francis chiedo a Eve di salutare suo padre. Ritorniamo nella sala, dove c'è ancora Ginny con lui.

«Papà, noi stiamo per andare via. Francis è già qui fuori» lo avvisa Eve, e lui si alza. Ci avviciniamo entrambe, io resto davanti a Chris, mentre Eve si mette al suo fianco, un braccio intorno alle spalle della sorella.

«Sei proprio una bella persona, Mia» dice Chris, e a me si scalda il cuore. «Sono felice che Eve possa contare su di te.»

«Io sono felice di poter contare su di lei.» Le rivolgo uno sguardo e mi basta per capire quello che sta pensando. Anche Eve oggi mi ha regalato qualcosa di cui avevo bisogno.

«Spero di rivederti presto» conclude l'uomo davanti a me con un sorriso, lo stesso che ha contribuito a rialzarmi dal fondo.

Io annuisco e non mi ritraggo quando mi prende la mano per qualche secondo, continuando a sorridermi e a ringraziarmi soltanto guardandomi. È come se riuscissi a leggere qualcosa di più nel suo sguardo, una richiesta e una conferma che lui vorrebbe avere da parte mia, e anche se al momento so che il peso di questa responsabilità non riuscirei a tenerlo completamente, cerco di dargli la sicurezza di cui lui ha bisogno adesso.

Quando arriviamo a casa di Darlene Matt è già lì, mentre Alex e Lola arrivano qualche minuto più tardi.

Mentre eravamo in macchina, dopo aver ricevuto la risposta di Darlene ho scritto a Harry, e adesso ho il cellulare tra le mani perché non mi ha ancora risposto. Non ho nessuna idea di dove possa essere, di come abbia potuto vivere questo giorno, e questo non fa altro che ricordarmi che sappiamo così poco l'uno dell'altra che probabilmente non avrei dovuto ascoltare Eve, avrei soltanto dovuto lasciare le cose come stavano.

«Ancora niente?» È Darlene a chiederlo, e io scuoto la testa. «Gli hai anche già scritto l'indirizzo, giusto?»

«Sì, ma non sono sicura che verrà, Dar. Probabilmente è con la sua famiglia, o da qualsiasi altra parte.»

Mentre Darlene dischiude le labbra per rispondermi però qualcuno bussa alla porta, e io e lei ci voltiamo per guardare oltre Matt. La porta si apre e Harry è lì, disinvolto e con una mano tra i capelli mentre entra e saluta Matt, che lo riconosce.

«Ho portato questa» dice sollevando la bottiglia scura, e dal modo in cui lo fa sono sicura che abbia smesso di fumare soltanto pochi istanti prima di entrare.

Matt gli dice qualcosa ma lui poi mi cerca con lo sguardo, e io mi lascio trovare. So che Darlene sta sorridendo anche se non sto guardando lei, e la stanza sembra essere calata nel silenzio più profondo da quando Harry ha varcato la soglia di quella porta. Si avvicina e io ho ancora il bicchiere che mi aveva dato Darlene all'inizio tra le mani quando mi raggiunge.

«Non credevo saresti venuto» gli dico e lui curva le labbra in un sorriso.

«Non smetti mai di sorprendermi, Mia» replica e vorrei chiedergli il perché, a cosa si riferisca, ma Darlene è più veloce di me e spezza la nostra conversazione chiedendoci di sederci.

Harry si presenta a Eve e a Francis, poi fa lo stesso con Alex anche se si sono entrambi incrociati ieri al locale. Scambia anche qualche parola con Darlene e Matt, e sembra essere così a suo agio che è lui a sorprendermi. È come se riuscisse ad adattarsi ad ogni situazione, a trovare sempre le parole giuste da dire e allora io penso a quelle che mi ha detto lui quando eravamo davanti al mare, quando io gliel'ho fatto notare.

Durante la cena a volte mi fermo a guardarlo mentre parla, mentre muove le dita in un certo modo e mentre si risvolta le maniche della camicia nera sugli avambracci.

«Cosa c'è?» mi chiede quando se ne accorge, e io so che è troppo tardi per riuscire a negare.

«Niente» però dico, «sto bene.»

Harry mi guarda e sono sempre i suoi occhi verdi a destabilizzarmi, a farmi vacillare. «Sicura?»

Io annuisco e gli sorrido, mentre gli altri continuano a parlare in sottofondo. Lui fa lo stesso e poi sento la sua mano sfiorarmi la gamba e poggiarsi su di essa, sotto al tavolo. Il contatto dura pochi secondi, ma non mi da fastidio come credevo.

Io mi guardo intorno nella stanza e mi rendo conto di stare davvero bene, e di esserlo grazie a chi è qui in questo momento. A Eve, a Darlene, a Matt e a Harry. Non so domani cosa succederà, non so se starò ancora bene, ma per adesso me lo faccio bastare. Forse non sono felice, ma ho smesso di sentirmi fuori posto, di scappare, e per una volta voglio provare a restare.

A/N

Forse come periodo dell'anno non siamo esattamente in tema, ma avevo bisogno di trattare determinati argomenti in un capitolo del genere, anche per far comprendere un po' di più sul passato/presente di Mia.

Questo capitolo purtroppo è la quiete prima della tempesta, ma non voglio anticiparvi nulla! Spero in ogni caso che vi sia piaciuto, e grazie mille a tutte come sempre.

Un abbraccio,
Chiara 🌹

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