𝐃𝐨𝐯𝐞 𝐞𝐫𝐚𝐯𝐚𝐦𝐨 𝐫𝐢𝐦𝐚𝐬𝐭𝐢
Sono passati 6 mesi da quando Paolo è venuto al mondo sconvolgendo le nostre vite. Mi sono trovata con pappette e pannolini, con più caos, più responsabilità, meno ore di sonno e più stress, ma anche con più amore. Da quando Paolo è tra noi ogni equilibrio si è stabilito.
Siamo proprio dove questa storia è iniziata, alla stazione di Napoli, ma stavolta non sarò io ad arrivare confusa e curiosa. Io ormai sono una napoletana a tutti gli effetti.
Clemente esce disordinatamente dall'auto, come suo solito. Fa il giro della vettura e viene ad aprirmi lo sportello.
Con un po' di fatica, perché Paolo pesa un pochino, esco fuori anche io.
Clemente si sistema meglio gli occhiali da sole, poi mi pizzica una guancia.
"Sei felice picceré?"
"Sì." Annuisco, ma in realtà sono piuttosto nervosa. Cerco di distrarmi guardando Paolo, gli prendo una manina, Clemente segue ogni mio gesto. Non fa in tempo a parlare, che scorgo da lontano due figure a me tanto familiari. Ecco, sono arrivati i miei genitori.
Mia madre scende dal treno, non prende nemmeno un bagaglio, non sia mai si sciupi. E in effetti quasi sembra spezzarsi ad ogni passo. Ha un grosso cappello sulla testa, con i capelli raccolti fastidiosamente in modo ordinato.
Alle sue spalle, mio padre, con le sue spalle larghe e i baffi sempre ben pettinati. Porta lui tutti i bagagli, come un fedele cagnolino. Ha l'aria composta identica a quella di mia madre, un'aria che fa voltare i passanti. Mia madre è una milanese doc, di conseguenza lo è diventato anche mio padre, scordando un po' troppo spesso le sue origini.
Ci vengono incontro, mia madre mi bacia appena le guance, rivolge poi una veloce occhiata a Paolo, lo stesso fa mio padre. Restano fermi, così capisco che devo fare un bel respiro e prendere parola.
"Mamma, papà, lui è Clemente." Si fissano un secondo, poi prestano attenzione a lui. Ha il suo solito giubottino di pelle, il cappellino con la visiera, jeans larghi e grosse scarpe, è totalmente l'opposto di quello che immaginavano per me.
"Salve." Esordisce Clemente con il suo accento forte che li fa strizzare il naso. "E' un piacere." Sorride, ed io spero che non si sia accorto del loro fastidio.
"Piacere nostro." Mia madre gli stringe inorridita la mano completamente tatuata.
"Va bene, sarete stanchissimi, andiamo che zia Giusy ha preparato un pranzo degno di un re." Li sollecito a salire in macchina, i loro atteggiamenti mi stanno infastidendo.
Arriviamo in casa, zia Giusy ha l'aria rassegnata, guarda la mia faccia e probabilmente già immagina.
"Jamm (andiamo) mettiamoci a tavola."Incoraggia tutti dopo i convenevoli.
Ci sediamo a tavola, c'è un po' di silenzio, che mia madre si appresta a rompere.
"Allora, questo matrimonio?" Porta compostamente un boccone alla bocca.
"Stiamo organizzando tutto, mamma. Ho visto tanti vestiti stupendi..." la tensione che avevo comincia a sciogliersi, parlo con aria sognante, Clemente mi stringe una mano.
"Non vorrai mica metterlo bianco?" La sua bocca si apre in una smorfia di disgusto.
"Perché no?" Chiedo senza capire.
Si mette a fissarmi con aria arresa poi si ricompone. "Quando si commette un errore, poi bisogna accettare le conseguenze." Fa spallucce.
"Mio figlio sarebbe un errore?" Cruccio il viso, sento un calore prendermi la bocca dello stomaco.
"Puoi sempre mettere un vestito colorato, almeno sei abbinata ai suoi scarabbocchi." Prende in giro Clemente e i suoi tatuaggi.
"Emilia, non ce la fai proprio vero? Non ce la fai proprio a non giudicare e non fare la maestrina. E' tua figlia." Zia Giusy prende parola al posto mio.
"Appunto, è mia figlia, e sa bene come la penso. Non avrebbe dovuto fare un figlio prima del matrimonio con uno sconosciuto colorato e napoletano." Dice ogni parola serrando i denti, Clemente deglutisce, so che si sta contenendo per me. Gli stringo una mano, non voglio che mia madre lo giudichi in questo modo.
"Anche tuo marito è napoletano." Zia Giusy le fa il verso.
Mia madre resta zitta, senza riuscire a dire una parola, la fissa con aria di sfida, poi abbassa la guardia.
"Siamo stanchi, abbiamo bisogno di riposare."Parla anche per mio padre, come sempre.
Resto per un attimo a giocherellare con il cibo presente nel mio piatto, poi prendo Paolo e mi dirigo in camera di Elena.
Quello che temevo succedesse, alla fine è successo. Avevo detto a zia Giusy che a mia madre non sarebbe passata, non le sono bastati i 9 mesi della mia gravidanza né i 6 mesi di mio figlio per farla sbollire.
Sapevo che non le sarebbe piaciuto Clemente, immaginavo non degnasse di uno sguardo mio figlio e che sbottasse con me in quel modo. Ma zia Giusy ha ragione, sono pur sempre i miei genitori, non posso escluderli per sempre dalla mia vita
Mentre i pensieri cominciano a mischiarsi nella mia mente, la porta della stanza si apre, scorgo Clemente. Sono imbarazzata, cerco di evitare il suo sguardo ma lui cerca il mio.
"Tesoro." Si siede sul letto.
"Mi dispiace." Scrollo le spalle, mi stringo Paolo al petto.
"Dai, nessuno mai mi ha definito napoletano colorato, è stato divertente." Ride e fa ridere anche me, mi chiedo se davvero stia bene, se nasconde tutto dietro la sua strafottenza. Avrei voluto per lui lo stesso trattamento e la stessa accoglienza che la sua famiglia ha riservato a me, ma mia madre è una snob viziata con la puzza sotto al naso e non posso più negarlo. Per questo anche sono scappata da Milano, perché io e lei non avevamo niente in comune.
"Dalle tempo, ti conoscerà e ti apprezzerà."Mento, più a me che a lui, infatti il suo sguardo rassegnato mi conferma che sa già bene che lui e mia madre sono totalmente il Nord e il Sud. E no, stavolta non aiuterà l'unità d'Italia.
"Ma io devo sposare te, mica tua madre." Mi schiaffa un sorriso in piena faccia, mi bacia poi la punta del naso.
Vorrei essere come lui, leggera, ignorando ogni problema.
Prende poi Paolo tra le braccia, comincia a lanciarlo in aria e riprenderlo a volo, ridono come due pazzi, e non posso fare a meno di notare quanto si somiglino.
"Clemé, gli fai vomitare il latte." Lo rimprovero con un accento sforzato, ormai sembro un po' più terrona, anche se alcune parole sono costretti sempre a ripetermele due volte.
Clemente continua con il suo gioco, Paolo continua con i suoi piccoli schiamazzi, calo il viso pensierosa, fin quando un verso inconfondibile cattura la mia attenzione. Come avevo predetto, Paolo vomita tutto il latte addosso a Clemente, che resta immobile, con il piccolo sospeso a mezz'aria.
"E' necessario dirti che te l'avevo detto?"Trattengo a stento le risate.
"Per favore, puliscimi, o oltre al vomito suo pulirai anche il mio." Dice a denti stretti.
Una volta puliti e sistemati i miei due bambini, ce ne andiamo a casa nostra.
Sì, abbiamo una casina in affitto per il momento, non è molto grande, c'è l'indispensabile. Mia madre e mio padre grazie a Dio resteranno da zia Giusy, con la scusa che la casa è piccola me li ha tolti dai piedi almeno per un po'. Come al solito mia madre ha borbottato anche per questo.
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